About an angry boy (and a very stubborn girl)
James
era
semplicemente incazzato.
Incazzato
con l’ammasso
di libri di scuola che si accumulavano sulla scrivania impazienti di
essere letti,
incazzato con Sirius per i suoi melodrammi da primadonna (il che era
tutto
dire, considerando che il ruolo di primadonna designata era da sempre
appartenuto a James), incazzato con Frank e Alice per quel loro fastidiosamente tenero modo di baciarsi
di
continuo. Incazzato perché da quel giorno Lily non gli aveva
più rivolto la
parola né dato adito di volerlo fare nel futuro
più prossimo.
Ci
ripensava,
rimuginava sulle parole non dette, sulle questioni rimaste in sospeso,
convincendosi
di aver sbagliato tutto. A nulla
servivano le bonarie parole di un Remus particolarmente premuroso, che
cercavano di rassicurarlo ma ottenevano in cambio nient’altro
che bofonchi
indistinti e occhiate bieche – innescando così un
circolo vizioso per cui
entrambi si sentivano colpevoli di errori mai commessi e rendevano la
vita
all’interno del dormitorio maschile di Grifondoro
pressoché insopportabile.
Ci
ripensava
continuamente, la osservava conversare a colazione catturando ogni
istante in
cui il suo sguardo si posava distrattamente su di lui, salvo poi
tornare
frettolosamente alle vuote chiacchere mattutine a cui Mary la teneva
incollata.
Mi sta guardando di nuovo, esultava
James dentro di sé senza rendersi conto di quanto ridicolo
potesse apparire
agli occhi dei suoi amici, che in quelle circostanze avevano quasi
sempre il
buonsenso di non commentare.
Si
era accorto di
tenere a lei più di quanto potesse immaginare,
più di quanto fosse disposto ad
ammettere a sé stesso. Se n’era definitivamente
accorto nel momento esatto in
cui aveva visto quel Corvonero stringerla protettivamente a
sé tra le viette di
Hogsmeade in una gelida giornata d’inverno, accarezzandole le
guance e strappandole
un caldo sorriso. James passava di lì per caso, bighellonava
coi ragazzi
discutendo dell’ultimo album di una strana rock-band babbana;
accorgendosi di
loro, si era sentito avvolgere da un fastidioso prurito al volto e alle
punte
delle dita. Si era accorto di voler essere lui
la causa di quel sorriso, voleva che fossero sue
le mani che carezzavano i rossi capelli di Lily, che si sarebbe
stretta al suo abbraccio e gli avrebbe detto James,
sono felice.
*
«Quanto
ancora
pensi di continuare con questa sceneggiata?»
Era
finalmente
riuscito a placcarla –
letteralmente
– non appena l’aveva vista poggiare un piede fuori
dall’aula di Antiche Rune, cogliendola
di sorpresa e facendola sobbalzare contro il muro di pietra.
«Non
posso
credere che tu mi abbia pedinata su quella stupida
mappa» esclamò prontamente Lily dopo aver
fulmineamente riacquisito il suo
solito autocontrollo. James rinunciò a riporre furtivamente
la Mappa del
Malandrino dentro le maniche della divisa, esalando uno sbuffo stizzito.
«E
io non posso credere
che una persona così notoriamente sensata
come Lily Evans possa comportarsi in modo talmente
infantile da evitarmi per giorni interi quando, voglio ricordarlo, ha
passato anni della sua carriera
scolastica a
dare dell’infantile al sottoscritto»
ribatté di getto lui, senza preoccuparsi di celare la rabbia
che l’aveva
divorato in quell’ultimo periodo. Lei aprì e
richiuse la bocca un paio di
volte, presa in contropiede, salvo poi distogliere precipitosamente lo
sguardo
da James per inchiodarlo, decisa, su un punto imprecisato alle spalle
di lui.
«Potter…»
sospirò
Lily. Lui deglutì, le guance ancora arrossate dalla
sfuriata. «Te l’ho già
detto, è sbagliato. Non
contava
niente! Dimentica tutto.»
*
La
situazione era
rimasta invariata.
James
sedeva
scompostamente su una delle panchine scampate alla gelata della notte
precedente. Si trovava nei pressi de I Tre Manici di Scopa, gli sbuffi
della
sigaretta di Sirius che gli annebbiavano la vista a momenti alterni. E
James
avrebbe effettivamente preferito non vederci più, piuttosto
che essere
costretto ad assistere a quel pietoso, snervante spettacolo: Lily e
quel
Corvonero – Frank gli aveva riferito che si chiamava Edwin,
Edward o qualcosa
del genere – ridevano da un tavolino all’interno
del pub che dava sulla strada
di fronte, davanti a loro due Burrobirre. Lei, notò James,
non sfoggiava il suo
solito sorriso pacato, e continuava ad aggiustarsi nervosamente una
ciocca
ribelle dietro l’orecchio.
«James,
piantala,
ora sembri decisamente un pazzo fanatico» disse Sirius
lanciandogli un’occhiata
in tralice, il fumo della sigaretta che svolazzava pigro davanti a
sé.
James
ridacchiò,
rubandogli un tiro. «Lo sembri anche tu, visto che devi
averli fissati tanto a
lungo quanto me per esserti accorto che li stessi
osservando». Espirò il fumo
nebuloso e poi tossì raucamente, smettendo solo dopo che
Remus gli ebbe
veementemente colpito diverse volte la schiena. Peter
sogghignò a bassa voce,
dicendo qualcosa a proposito degli sciocchi che si ostinano a voler
fumare.
«Sì,
va bene, hai
ragione. Resti comunque un coglione totale»
continuò Black aggrottando
vistosamente le sopracciglia, disgustato, adocchiando Edward mentre si
sporgeva
sul tavolo per pulire un baffo di schiuma dal naso di Lily.
«Siete
entrambi dei coglioni» si
intromise
pacatamente Remus, scuotendo la testa in una delle sue migliori
imitazioni
della McGranitt e prendendo posto tra i due amici. «Tu di
più però, Prongs».
James lo squadrò, oltraggiato dall’offesa, poi
Remus riprese: «Se solo ci
dicessi cos’è successo esattamente, magari
potremmo esserti d’aiuto.»
James
scosse la
testa. «No, non se ne parla, ve l’ho già
detto.»
«Lo
so io cos’è
successo, Moony» riattaccò
Sirius con aria di sfida.
James
Potter
arrossì violentemente; ora il fumo negli occhi iniziava davvero a dargli sui nervi.
*
Guardava
Edward, nelle
orecchie l’eco della risata di Madama Rosmerta e del chiasso
di decine di
studenti decisi a distrarsi dal carico di studio quotidiano. Osservava
il suo
ragazzo e al posto dei suoi rassicuranti occhi azzurri vedeva il
fantasma di
due iridi dall’aria sgradevolmente familiare.
Era
impossibile
tenerlo fuori dalla propria testa e lo odiava per questo. Se possibile,
odiava
ancora di più sé stessa per essersi resa
così vulnerabile, complice un
bicchiere di Whisky Incendiario di troppo e una serata trascorsa in
compagnia
della persona sbagliata. Eppure, nonostante il bruciante rimpianto che
provava,
ascoltando Edward che raccontava di come la sua sorellina avesse
finalmente
mostrato segni di magia, non riusciva
a desiderare fino in fondo che tutto quel casino non fosse mai
accaduto.
«Lily,
che
succede?»
Al
suono della
sua voce, la ragazza si ridestò improvvisamente dalla trance
in cui era
inconsapevolmente caduta; Edward la guardò stranito,
grattandosi la tempia. «Mi
stavi ascoltando?»
«Sì,
sì,
ovviamente!» rispose lei forse con troppa enfasi, abbozzando
un sorriso
conciliatore.
«Non
ne sono
convinto» ridacchiò Edward. «Se
preferisci, possiamo tornare al castello.»
«Sì,
va bene. Non
credo di sentirmi troppo bene» mentì Lily,
aggiungendo altri sensi di colpa al
già bruciante senso di inadeguatezza che provava in presenza
del suo ragazzo.
Uscirono
in
fretta dal locale, nascondendosi dentro i mantelli per sfuggire al
gelido
venticello che si era alzato. Un paio di iridi screziate
d’oro li seguirono
finché le loro sagome non furono scomparse alla
vista…
*
Due
settimane più
tardi, il freddo invernale sembrava aver dato tregua agli abitanti di
Hogwarts.
Lily
studiava
pacificamente al tavolo più isolato della biblioteca, i
pesanti tomi di
Aritmanzia che ne invadevano la maggior parte della superficie.
Più teneva
ostinatamente gli occhi sulla pergamena fittamente vergata di appunti,
più le
sembrava che qualcosa la stesse sondando da capo a piedi. Non ci volle
molto a
scovare la fonte di tale disagio.
«Tu
e Edwin
Gibson vi siete lasciati.»
Con
disappunto,
Lily notò quanto quella sembrasse una vera e propria
affermazione, più che una pacata
seppur scomoda e inopportuna domanda. «Si chiama Edward. In ogni caso, non vedo come
questo possa riguardarti in
alcun modo, Potter.»
«Oh,
ma per favore!»
James
Potter
strattonò una sedia facendola sfregare sul pavimento e si
sedette
rumorosamente, attirando le occhiatacce della bibliotecaria. Lily
sbuffò
infastidita, riportando lo sguardo sui suoi appunti.
«Lo
sai benissimo
anche tu come questo mi riguardi direttamente»
sibilò lui, riavviandosi con una manata i capelli
già di per sé abbastanza
sconvolti.
«Non
essere ridicolo»
replicò Lily affrettandosi a recuperare le proprie cose,
decisa a porre fine a
quella conversazione. «La grandezza del tuo ego a volte mi
sconvolge». Si avviò
verso l’uscita prima che la bibliotecaria trovasse un buon
motivo per
cacciarli, non stupendosi di ritrovarsi James alle calcagna appena un
attimo
più tardi.
«Qui
sei tu
quella ridicola, Lily Evans». James affrettò il
passo. «Ehi, ehi, sto
parlando con te!»
Lily
si sentì
afferrare per un braccio e, immediatamente dopo, si ritrovò
faccia a faccia con
un James Potter determinato a chiarire una volta per tutte
l’assurda situazione
in cui, stupidamente, si era cacciata. Il respiro di lui appariva
accelerato,
mentre la fissava con sguardo truce e le faceva segno di stare a
sentirlo.
«Non
voglio chiederti
quale sia la causa di questa rottura» ammise stancamente
James, accennando un
mezzo sorriso. Poi tornò immediatamente serio, serio come
Lily non l’aveva mai
visto. «Voglio che tu sappia che non ho fatto quello che mi
hai chiesto, non ho
dimenticato. Non voglio
dimenticare.»
«Potter…»
«James»
la
interruppe, sospirando pesantemente.
«James… Io so che non potrebbe
funzionare
in nessun modo». Il volto di lui sbiancò,
allentando la presa sul suo braccio.
Lily cercò di ignorarlo. «In nessun modo. Si
è trattato di uno sbaglio dettato
dall’alcool. Una stupida leggerezza. È
già incredibile il fatto che riusciamo
ad avere un rapporto quantomeno civile dopo anni di litigi. Capisci
anche tu
che sarebbe assurdo anche solo pensare che potrebbe esserci
qualcos’altro.»
La
mano di James mollò
definitivamente la presa, ciondolando stupidamente. Di
nuovo quel mezzo sorriso, pensò Lily mentre lo
osservava
riavviarsi i capelli con meno energia di prima. Quel
mezzo sorriso triste.
«Be’»
ruppe il
silenzio James. «Direi che non abbiamo altro da
dirci.»