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Autore: PawsOfFire    30/03/2018    5 recensioni
Canale della Manica, settembre 1940
Battaglia d'Inghilterra.
Quando Londra chiama bisogna rispondere. Questo il pensiero di Stefan Faust, arruolatosi nella Luftwaffe inseguendo il sogno di volare.
Pensava fosse una missione semplice, non diversa da tutte le altre.
La realtà, però, è ben diversa da quanto si fosse mai immaginato.
*Spin-Off di "Furia Nera" ma leggibile senza conoscere la storia principale, essendo ambientata tre anni prima e con personaggi diversi.
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Furia nera, stella rossa, orso bianco'
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Audembert, 6 settembre 1940
 
Aveva il sole diritto negli occhi, Stefan Faust.  Con i piedi a penzoloni su uno scoglio, lambiti dal mare, guardava l’orizzonte, coprendosi la fronte con la mano per poter osservare la scura linea che divideva acqua e cielo, appena increspata dal vento dell’oceano che gli riempiva di salsedine il volto ed i polmoni, facendo nascere sul suo volto un’incorruttibile sorriso.
Se solo Sophie, la sua amata, fosse stata con lui, in quel momento, ad osservare il sole calare sulla Manica…avrebbe dato qualsiasi cosa per poter condividere con lei quell’idilliaco momento.
A breve si sarebbero sposati. Aveva fatto richiesto una licenza per matrimonio qualche settimana addietro e, fortunatamente, era stata semplicemente prorogata, non respinta.
<< Lei faccia del suo meglio, soldato. Adesso è Londra che ti chiama! >> gli aveva ripetuto più e più volte il Capitano Eichel, accartocciando le labbra in un mezzo sorriso sghembo. L’aria che si respirava all’interno della loro base era incredibilmente informale e cameratesca. Quando Stefan aveva fatto richiesta di entrare nella Luftwaffe, affascinato dal sogno di volare, si aspettava un crogiolo di nobiltà tedesca ed animo cavalleresco, quel tipo di sentimento riscontrabile nella letteratura germanica che lo aveva tanto affascinato fin dai primi tempi in cui aveva iniziato ad approcciarsi alla lettura. Ma la Germania, quella nuova e nazionalsocialista, non faceva più distinzione di titoli e pronomi memorabili, così anche lui, figlio di sarti, era riuscito ad arruolarsi senza problemi, forte del fatto che fossero tutti uniti dall’amore incondizionato e sconfinato per la Patria. Pensiero si nobile ma non condiviso dai suoi fratelli maggiori Alfred e Bastian*, che si erano mossi pigramente ed in età tardiva solo quando la chiamata alle armi aveva bussato alle loro porte: a quel punto le due amebe umane avevano cambiato caserma su caserma, specializzazione su specializzazione al fine di perdere più tempo possibile. Bastian addirittura vi era persino riuscito. Mandato con poche speranze ad occupare gli stati del nord in qualità di carrista, ne era uscito vincitore ed illeso senza nemmeno sparare un colpo. Adesso, a quanto risultava nelle loro fitte missive, era stato stanziato in Boemia in una pigra marcia verso chissà dove, fatta più di birra e brindisi rispetto a guerra e cannoni. Alfred era stato un po’ meno fortunato: paracadutista, era stato mandato in Nord Africa in tempi relativamente brevi ma, di quel zuccone, non riceveva mai notizie…tranne qualche letterina scarna ed irrisoria che lui avrebbe volentieri gettato nella stufa, se non fosse stata scritta da suo fratello.
Lui era diverso. Diciannove anni e spirito di leone, si era arruolato appena ne aveva avuto la possibilità, desideroso di servire la patria e, al contempo, abbracciare il sogno più grande che ogni uomo potesse covare: il volo. Fin dal primo momento in cui era riuscito a salire su un aereo il giovane aveva capito che quello era l’elemento a cui apparteneva, che l’aria era il suo ambiente e le ali semplici estensioni delle sue braccia.
Se solo Sophie potesse vedere la sua abilità nei cieli! Come l’aquila nera che aveva fatto dipingere sulla fusoliera del suo Stuka (simbolo della sua nazione ma anche del suo sogno, due cose a cui era spasmodicamente attaccato) Stefan era in grado di librarsi nei cieli con grazia letale, eccellendo nonostante la sua giovane età.
A volare in quell’aereo, però, non era l’unico. In quanto pilota di bombardiere pesante al suo fianco poteva contare su un ragazzo poco più vecchio di lui, Siegfried Schneeden. **
Fin dai primi tempi i due avevano maturato un’amicizia profonda, fatta di stima reciproca, pur essendo caratterialmente opposti.
Stefan era un tipo silenzioso, meditativo ed un po’ ombroso. Non amava la confusione, preferendo di gran lunga passare il tempo libero a leggere, anziché a fare casino con il resto dei piloti nella mensa.
Siegfried, invece, era un girasole, una creatura così piena di vita che chiunque lo conosceva avrebbe desiderato solo vederlo crescere sano e felice, tanta era la gioia che emanava.  Adorava il casino e le grandi bevute ed era già successo che volasse in preda ai postumi della sbornia ma, grazie al cielo, i comandi non spettavano a lui in quanto bombardiere.
Non si capiva come potessero due caratteri tanto diversi andare d’accordo ma, a quanto, pare, l’accoppiata assurda si era rivelata vincente in più di un’occasione, tanto da far pensare ad una promozione in tempistiche relativamente brevi.
Si erano conosciuti in caserma d’addestramento, non troppi mesi addietro, durante un dopocena uggioso in cui non vi era niente di meglio da fare che schiamazzare fin quando un sergente non fosse intervenuto per metterli tutti in punizione, a strisciare nel fango di un marzo piovoso. Stefan, come sempre, era accartocciato sul suo letto in una esasperante lettura, il disappunto da guai-se-mi-interrompi scritto nel volto contratto ed appena esasperato della sua solita espressione di perenne negazione.
Siegfried, annoiato ma bruciante dalla voglia di stringere amicizia come un bimbo di quattro anni, si era avvicinato a lui con aria affabile, desideroso di invadere sfacciatamente lo spazio vitale dell’altro.
<< Cosa leggi? >> gli chiese, con un grande sorriso innocente che gli incoronava la pelle lentigginosa ed i capelli chiari, vagamente rossastri.
<< Atem einer Flöte >> Il respiro di un flauto, *** aveva risposto l’altro, cupo in volto come il biondo sgraziato e scuro dei suoi capelli mossi.
<< Anche a me piace Baumann, sai? Lo leggevo quando ancora ero nella gioventù Hitleriana >> aveva replicato Siegfried, senza smettere di osservare con un certo desiderio quella copertina maledetta.
<< Ma…questo è quello nuovo, no? Prestamelo quando lo avrai finito, ti prego! >>
L’insistenza del giovane nel voler quel dannato libro si dimostrò vincente nel lungo termine poiché, dopo giorni di vessazione continua, Stefan si decise a cedere la stramaledetta lettura pur di essere lasciato in pace.
Si sbagliava, letteralmente. Fu solo l’inizio di una nuova rottura, questa volta vocale, che prevedeva l’interlocuzione con quell’essere troppo estroverso e raggiante per i suoi gusti, esponendosi a commenti letterari che avrebbe preferito tenere per sé ma che, a quanto pare, erano condivisi a piene mani da molti altri nel loro ambiente, Siegfried compreso.
Erano tutti aviatori, laggiù. Gente dal naso sempre puntato al cielo, irrimediabilmente affini con l’immensità dell’aria, più che della terra: lì avrebbero passato il resto della loro esistenza, una volta morti. Che fretta c’era dunque di rimanervi spasmodicamente ancorati, se vi era la possibilità di puntare a qualcosa di molto più in alto di loro?
Anche quel giorno, davanti a quel magnifico tramonto settembrino, Siegfried si era approcciato a Stefan con l’esuberanza di un bambino di tre anni, saltellandogli accanto nel tentativo di distrarre l’amico pensieroso e strappargli un sorriso.
Non sopportava di vederlo così, perennemente imbronciato e nervoso. Solo quando stringeva i comandi di un aereo sembrava essere felice, quasi come se la terra gli fosse grave e che l’unica forma di gioia fosse l’infinito azzurro che continuamente rimirava, alzando lo sguardo…
<< Ehi, Steffi! Sempre pensieroso? >> la domanda fece trasalire il giovane che, immediatamente, sembrò ritrarsi con un certo sdegno, desideroso di essere lasciato in pace.
<< Vieni a fare un po’ di casino in mensa, dai! Hanno portato stamattina un paio di maialetti freschi. Sono talmente teneri che sembrano fatti di burro…e c’è un sacco di birra! a fiumi! >>
<< In realtà non ho molta fame… >> continuò l’altro, rivolgendogli un’espressione decisamente esasperata, nel tentativo di districarsi dal groviglio fastidioso in cui lo aveva invischiato l’esuberante amico.
<< Non venire a piangere da me, poi, se in mensa non sarà rimasto nulla da sbocconcellare.
Hai bisogno di energie per domani. Lo hai sentito anche tu, il Capitano. Domani andremo a bombardare Londra! È il giorno della svolta! >> Siegfried, non contento, si sedette accanto a lui con il genuino intento di pungolarlo fino alla resa, ricevendo in risposta solo flebili grugniti di disappunto.
<< Va bene, va bene. Hai vinto, Siggi. Solo per questa volta, sia chiaro >> rispose infine, stiracchiando il suo corpo magro ed ossuto prima di alzarsi, sbuffando come un treno.
<< Niente birra e a letto presto, però. Gradirei…essere lucido, domani >>
<< Come preferisci, signor pilota >> ridacchiò Siegfried, salutandolo irrisoriamente come se fosse un ufficiale di alto grado.
Ebbe solo uno sbuffo di dissenso in risposta.
 
 
 
Nella mensa l’aria era stranamente rilassata. Tra i piatti abbandonati e le fiasche che rotolavano sdegnosamente nel lucido pavimento bagnato, Stefan e Siegfried presero posto accanto ad alcuni membri della loro squadriglia che, sotto esplicita raccomandazione del secondo, avevano tenuto loro alcuni posti sdraiandosi sulle lunghe panche ed occupandole con degli sporchi stivalacci coperti di fango da capo a piedi. Sembravano già ubriachi, cosa che fece storcere il naso al giovane Faust, il quale occupò ciò che gli era stato riservato con sdegno, come se fosse infetto.
Premurosi fecero scivolare una portata di porco e patate lessate sotto i suoi occhi, imponendogli un boccale da litro che, prontamente, venne rispedito al mittente.
<< Hans, Paul, per favore…no. Domani devo pilotare un aereo, non un carretto di muli. Non posso permettermi di cadere negli effluvi dell’alcool… >>
<< Effluvi? Cosa? Una birra non ha mai ucciso nessuno! >>
<< Non fate bere Siggi, domani voglio che sia lucido…>>
<< Lucido, lui? >> ridacchiò Hans Schneider, sfilandogli la pinta ancora piena, tristemente scartata << Ha già provveduto a bere come una spugna prima di venirti a chiamare! >>
<< Com’era più il detto, Hans? >> lo interruppe Paul Weber, sgranocchiando una costina oramai ridotta all’osso << domani potremmo essere tutti morti, tanto vale brindare prima >>
<< Non diceva così. Era più… se domani sarò morto, voglio che mi seppelliate in una cassa. Di birra >>
I due si guardarono per qualche secondo negli occhi, prima di scoppiare in una risata sguaiata.
Ad allietare la serata, come se non bastasse, si aggiunse il Caporale Müller-del Torres, il mezzo spagnolo della squadriglia, inseparabile con la sua chitarra in mano. A gambe accavallate e sguardo assorto, intonò “Il canto della Legione Condor”**** lentamente, cercando di attirare a sé altre voci…
 
…Al quale si unirono solo biascichi ubriachi i quali, prontamente, lo investirono di fischi per reclamare un canto più conosciuto. Il Caporale Friedrich Antonio Müller del Torres digrignò appena i denti per essere stato interrotto, cosa che odiava profondamente.
<< Avete richieste più intelligenti? vi ascolto >> sbottò, appoggiando la chitarra a terra, usando la paletta come poggia-mani.
<< Qualcosa che ci faccia entrare più nello spirito dell’azione, cazzo. Niente merda nostalgica franchista, amigo >>
<< Ha ragione Paul >> continuò Hans, appoggiando al tavolo quello che fu il boccale di birra di Stefan.
<< Domani è il grande giorno, andiamo a bombardare l’Inghilterra! Ran an den Feind! Bomben! Bomben! Bomben auf England! >>
 
Wir stellen den britischen Löwen 
Zum letzten entscheidenden Schlag. 
Wir halten Gericht. 
Ein Weltreich zerbricht. 
Das wird unser stolzester Tag! 
Bomben! Bomben! Bomben auf England! *****

 
 
Stefan, stretto nel suo angolo di panca oramai abbandonato, si chiedeva cosa ci fosse di così gioioso da dover essere festeggiato con ebbri canti stonati. A dirla tutta, perfino la musica lo infastidiva. Non c’era nulla, in realtà, che non trovasse fastidioso. Guidato dalle nobili gesta, sfumate in leggenda, dagli aviatori della Grande Guerra, il giovane si era arruolato con la speranza di ritrovare la stessa affinità mentale, il desiderio di restituire splendore alla sua nazione, incatenata e stuprata dai paesi vincitori e lasciata a terra, debole e senza possibilità di difendersi.
Non che i suoi commilitoni non condividessero lo stesso pensiero, ma…era più infantile, fanciullesco. In molti di loro non vi era alcuna minima traccia del desiderio di rendere forte la nazione…solo quello di menare un po’ le mani e pavoneggiarsi per combattere nei cieli, come fanno le aquile.
Un’idea nata spontanea quando ancora non conosceva il concetto di nazione e si apprestava a muovere i primi passi nel mondo. Con i suoi fratelli giocava spesso alla guerra, ad una versione rivisitata di francesi contro tedeschi che lui prendeva sempre fin troppo sul serio, rovinando sempre l’azione. Non voleva, ad esempio, mai impersonare il nemico, lasciando quello spiacevole onore ai due maggiori, i quali fingevano di accettare di buon grado solo per non farlo piagnucolare e mandare a monte il gioco.
Erano dei pessimi francesi. Se Alfred veniva puntualmente fucilato per diserzione, Bastian attuava dei subdoli e meschini piani per vincere grettamente le giocate, come scavare dei fossi e costruire piccole trappole da ricoprire con gli arbusti, nascondendole agli occhi degli incauti nemici. Irritato, un giorno Stefan gli chiese perché dover barare a tutti i costi.
<< Perché è un gioco, e nei giochi se vuoi vincere devi per forza barare, altrimenti finisci per fare la figura del fesso >>
<< Ma la guerra non è un gioco! >>
<< Sarà, ma è divertente. Forse per questo piace tanto e gli adulti e ne parlano in continuazione. Non credi, Steffi? E, per giocare, si bara. Funziona così, anche tu lo sai >>
A distanza di anni quella frase lo faceva ancora imbestialire.
 
 
 
A metà di una struggente ballata cameratesca sui cannoni e gli aerei il Capitano Eichel fece visita al suo Staffeln ancora in mensa, intento a cantar una vittoria ancora da conquistare, gettando un improvviso e tiratissimo silenzio sui volti degli uomini storditi dal gran fracasso.
Gerard Eichel era il più vecchio della squadriglia. Era un uomo dallo sguardo affabile e di buon carattere, nonostante tendesse ad incattivirsi durante le missioni.
A terra, però, sembrava prendersi a cuore le cause dei suoi sottoposti, cercando di mantenerli sempre di ottimo umore. Niente poteva condurre più facilmente ad un disastroso esito che una truppa infelice e lamentosa.
Sembrò quasi rimanerci male quando la chitarra tacque per lui. In risposta, il capitano fece spallucce, sospirando: << Peccato, era il mio pezzo preferito >>
Si sfregò le mani, sorridendo come suo solito.
<< Soldati…domani è il gran giorno. Quando Londra chiama… >>
<< Noi rispondiamo! >> canzonò un certo Fischer, dondolandosi con i piedi.
<< Non vorrà fare aspettare una bella signora, Capitano! Non sarebbe da galantuomini! >>
Ci fu un corteo di risate, che riuscirono perfino a coinvolgere Stefan.
<< Certo che no, Fischer, certo che no. Però mi aspetto un lavoro pulito domani. Ci concentreremo nella parte est della città. Il nostro obiettivo sono i moli, non i londinesi. Non prendete iniziative personali, non rompete le file e soprattutto non ingaggiate con gli inglesi a meno che non siate costretti a farlo. Bombardare e tornare in base: semplice. Ci penseranno i caccia a liberarci la strada. Non aspettatevi cieli puliti domani. Abbiamo del vantaggio e dobbiamo cercare di sfruttarlo appieno.
Domande? >>
I soldati, oramai strascichi umani, annuirono in silenzio. Conoscendolo il vecchio avrebbe rifatto lo stesso riepilogo l’indomani, con tanto di mappa dettagliata con posizione accurata di tutti gli obiettivi da distruggere. Attese qualche minuto prima di congedarsi con un cenno di capo.
Stefan fu il primo ad interrompere la quiete: stiracchiandosi le braccia il giovane si alzò, lanciando uno sguardo al malconcio orologio appeso alla parete della mensa. L’occhio, inesorabilmente, ricadde sopra un Siegfried sbadigliante ma ancora desideroso di fare baldoria. Gli diede un colpetto sulle spalle, facendogli cenno di alzarsi.
<< Vado a letto, io. Domani voglio essere fresco come una rosa…dovresti farlo anche tu >>
<< Ma è presto!>> sbottò l’amico, ben intenzionato a rimanere in mensa a fare baldoria.
<< Non lamentarti però se domani avrai la testa pesante, Siggi. Dannazione, è importante! Non vorrai farti esonerare dal volo! >>
<< Non credo nemmeno possano concedermelo… >>
<< Ecco, bravo. Vedi di alzarti e andare a dormire… >>
Si sentiva un mostro nel fare continuamente la predica all’amico un po’ troppo libertino ma, condividendo il medesimo mezzo, il rischio di finire nei casini era doppio e Stefan di certo non moriva dalla voglia di finire in cella per qualche cazzata commessa da Siegfried. L’altro, dal canto suo, prendeva un po’ troppo alla leggera il suo ruolo da bombardiere. D’altronde i comandi li aveva Faust, non lui. Anche le scimmie sanno sistemare le bombe e premere leve e pulsanti…
<< Hai vinto. Comunque, se non fosse stato per me…nemmeno saresti venuto a cenare. Dovresti ringraziarmi…pensa, se non fossi intervenuto queste bestie non ti avrebbero nemmeno lasciato il piatto di ossa da sgranocchiare >> Schneeden sorrise beffardo mentre, con lentezza incredibile, abbandonava la panca, oramai parte delle loro avventure festerecce.
Faust corrugò la fronte, boccheggiando come un pesce fuor d’acqua alla ricerca di una risposta intelligente da dare. Quando si rese conto di non sapere come replicare, semplicemente, gli fece un cenno di mano, mettendo a tacere la questione e trascinando l’amico fuori dalla mensa che, con sguardo implorante chiedeva ai camerati di soccorrerlo, riportandolo alla baldoria fino al coprifuoco ma, sfortunatamente, non ottenne alcuna risposta.
 
 
 
A differenza di molti altri reparti loro, avendo necessità di possedere una base fissa, potevano permettersi il lusso di possedere un edificio intero, così come un ospedale vero, in mattoni, perfettamente fornito e funzionante. A Stefan faceva piuttosto ridere il fatto che fossero così ben serviti: era normale ferirsi in azione ma, il più delle volte, gli aviatori nemmeno riuscivano a tornare alla base. C’era un termine specifico che utilizzavano per rendere la morte meno amara.
Essere inghiottiti dalle nuvole, sparire dentro di esse e non tornare mai più, dissolvendosi nell’aria fino a diventare vento.
Romantico fino a risultare struggente. Loro sapevano bene cosa significasse non poter piangere un amico disperso, probabilmente inghiottito nelle profondità dell’oceano assieme al suo aereo, negando al suo corpo l’eterno riposo in patria.
Pensiero che saettò nella mente di Stefan, come ogni sera prima di dormire. Avevano previsto una bella giornata di sole per il domani. Alcuni speravano come sempre la pioggia: se il terreno è bagnato gli aerei non possono decollare: il che significava, grezzamente, un giorno in più da vivere. C’era chi
Pregava la notte con la speranza di udire nella notte il fragore di un temporale. I più, semplicemente, non riuscivano a dormire.
Siegfried era uno di questi. Dopo essersi sdraiato nel suo lettino, con la testa gonfia ed i sensi annebbiati, si girò verso l’amico che, nel frattempo, aveva preso un libro dal suo comodino.
Era una sciocchezza ma trovava confortante leggere anche solo una pagina a sera: i soldati sono creature molto scaramantiche e, avendo qualcosa da continuare, sarebbe certamente tornato alla base illeso, pronto per dedicare ancora un po’ di tempo alla sua lettura.
<< Cazzo, che serata. Non c’è niente di meglio di porco, patate e birra>> Schneeden sospirò, socchiudendo gli occhi e portandosi una mano alla fronte << credo di avere mal di testa… >>
<< Te lo avevo detto di non bere. Dovremo ringraziare il Signore se domani riuscirai a salire sull’aereo >> continuò Stefan, gli occhi ancora fissi sul libro.
Non ebbe risposta. Solo un lamentoso grugnito di disappunto.
<< Guastafeste che sei. Domani è il gran giorno! Festeggiare è lecito, non credi?  >>
<< Non abbiamo ancora fatto nulla, in realtà… >>
<< Sarà, ma è stato divertente…se sai cosa significhi divertirsi, ovviamente-  >>
<< Vorrei leggere ancora un po’, se mi permetti. Tu invece dovresti provare a dormire. Magari domani la sbornia ti sarà passata e potremo volare in pace.
Adesso, se permetti… >>
Siegfried sbuffò, girandogli la schiena.
<< Uh, scuuuusa, non ti interromperò più…Buonanotte Steffi >>
<< Buonanotte >>
Stefan lesse ancora qualche pagina poi, mentre lesti i loro camerata tornavano stanchi ed intontiti a letto, si stiracchiò come un gatto e chiuse gli occhi, immaginandosi già in alto nel cielo, con le mani ben salde nel volante del suo Stuka e quasi gli sembrava davvero di volare…planare lento ed imponente sulla costa inglese come aveva fatto molte volte nel corso dell’estate prima.
Sembrava così vivido da essere reale. Poi l’aereo perse quota ed iniziò ad avvitarsi su sé stesso, sprofondando in un sonno agitato e senza sogni.
 
Note
 
*Capitan Carrista Bastian Faust, capocarro del famigerato Panzer Tiger “Furia Nera” a cui è dedicata l’omonima long.
**Schneeden: riferimento a Snowden (da “Schnee” neve in tedesco) di Comma 22
*** Baumann. Autore per libri dell’infanzia molto apprezzato dal regime nazista per i suoi insegnamenti patriottici.
**** Legione Condor – volontari tedeschi impiegati durante la guerra civile spagnola in supporto alle forze franchiste.
 
***** Presentiamo al leone britannico
L’ultimo colpo decisivo
Distruggere un impero (regno unito)
Sarà il nostro giorno più orgoglioso!
 (traduzione adattata del canto “Bomben auf England” “Bombardare L’Inghilterra)
 
 
Note d'autrice:
Buonsalve! questa storia è una mini-long di due capitoli incentrata sulla figura di uno dei fratelli di Bastian, Stefan.
Ha dei collegamenti con il Capitolo 26 di "Furia Nera" e, per chi ha letto la storia principale, potrebbe trovare qualche legame, nonostante le vicende qui narrate si svolgano tre anni prima rispetto a "Furia Nera"
Ti ringrazio moltissimo, lettore, per aver dedicato del tempo a questa storia. Mi auguro possa essere stata di tuo gradimento.

 
   
 
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