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Autore: MoreUmmagumma    30/03/2018    3 recensioni
Una scatola può contenere molti ricordi: dei semplici bottoni, un biglietto del cinema o del teatro, delle fotografie... ma può contenere anche una storia d'amore.
E Laura lo sa bene, nel momento in cui per caso, all'interno di una soffitta polverosa, trova il tesoro più inestimabile nella vita di ogni essere umano.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
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Capitolo II

Toscana, 1910

 

Il sole picchiava forte quel giorno di metà giugno e nessuna nuvola minacciava di rovinare il bel tempo.
Aurora si sporse verso il finestrino della carrozza e una lieve brezza estiva le accarezzò il volto, smuovendole i capelli.
Finalmente tornava a casa.
La vita in collegio, lontano dalla sua terra, diventava ogni anno più dura. Suor Teresa non le dava tregua, né alle sue compagne. La rigidità con cui dirigeva l’istituto era divenuta popolare in tutta Roma, tanto che ogni anno sempre meno ragazze decidevano di entrare a farne parte, preferendo ricevere altri tipi di istruzione. 
Ma ora, anche se per pochi mesi, era libera.
Niente e nessuno avrebbe rovinato quell’estate.
Gabriella, la sua compagna di stanza e migliore amica da tre anni a questa parte, sedeva accanto a lei nella carrozza, e le rivolse un sorriso, stringendole la mano.
«Sono così contenta che tu abbia accettato il mio invito.» disse Aurora.
«Ed io che tu me l’abbia chiesto.»
«Vedrai, passeremo un’estate indimenticabile.»
La carrozza svoltò l’angolo e un lungo viale di cipressi le accolse. 
Un largo sorriso si dipinse sul volto Aurora, felice di vedersi di nuovo a casa.
«Bentornata, signorina Aurora.»
«Grazie Ottavio.» rispose la ragazza all’anziano maggiordomo, che la stava aiutando a scendere dalla carrozza.
Non appena mise piede in casa venne avvolta dal caldo abbraccio di Maddalena, governante e cuoca della casa.
«Bambina mia, non sai che gioia averti di nuovo qui!”
«Anche io sono contenta di essere di nuovo a casa!”
Gabriella spuntò dalla porta, osservando la scena, mentre Ottavio portava dentro casa i bagagli delle ragazze.
La madre di Aurora stava ritta sull’uscio che dava sul salotto, vestita di lungo abito rosso bordeaux ed una acconciatura legata con morbidezza sopra la testa, in attesa.
Aurora le venne incontro e la donna le sorrise, le prese il volto tra le mani e la baciò sulle guance.
«Bentornata, figlia mia.»
«Vi ringrazio, mamma.»
Fu a quel punto che si girò verso l’ospite, aspettando di essere presentata.
«Mamma, lei è la mia amica Gabriella. Nel telegramma non vi ho ringraziato abbastanza per aver acconsentito a farle passare l’estate qui da noi.»
«Gli amici di mia figlia sono i benvenuti nella nostra casa. Siamo felici di averti qui, Gabriella. Io mi chiamo Emma.»
«Vi ringrazio di cuore, signora.» rispose timidamente la ragazza.
Gabriella venne accolta nella casa di Aurora con un abbondante banchetto che si tenne nella grande sala da pranzo, a lume di alte candele.
«Allora, Gabriella, raccontaci di te.» le chiese la padrona di casa, rivolgendole un grande sorriso. «So che sei di buona famiglia.»
«Si, mio padre è un banchiere. Viviamo in un maniero nella periferia di Roma, dove possediamo dei terreni.»
«E ti trovi bene nell’istituto?»
«Sì, molto.» mentì.
Aurora le rivolse un’occhiata interrogativa.
Gabriella odiava il collegio. Odiava Suor Teresa. Le punizioni erano ormai all’ordine del giorno: la sua voce nel coro era inudibile, le preghiere ripetute con parole inventate. Per non parlare poi delle continue proteste sulla scarsa qualità del cibo servito nel refettorio.
In tutto questo Aurora partecipava passivamente; sapeva che se la sua famiglia lo avesse saputo, avrebbe passato dei guai.
«Le nostre compagne mi hanno anche nominata capocorso.» disse con un sorriso che solo a chi sapeva, risultò malizioso.
Aurora ricordò subito di quella volta in cui Gabriella, alle spalle di Suor Teresa, organizzò una gita notturna presso la via dei bordelli.
Al loro ritorno fu l’unica del gruppo ad essere stata colta in flagrante, mentre sgattaiolava nella sua stanza, con ancora la mantella addosso.
Ne seguirono settimane con le ginocchia sui ceci, o a pulire i piatti e il pavimento della cucina.
Ma le compagne la adoravano.
Dava loro un barlume di speranza che qualcosa potesse cambiare in quella vita così monotona, così grigia, sempre al passo coi tempi.
Tuttavia, l’amicizia tra le due ragazze non nacque certo all’improvviso.
Quando Aurora arrivò all’istituto, Gabriella non ne fu contenta: un nuovo arrivo avrebbe potuto minacciare la sua autorità di “capobranco”.
Ma Aurora era docile, serena, gentile con tutti.
E in meno di tre mesi diventarono inseparabili.
Aurora si perse in quei ricordi, mentre Gabriella continuava, imperterrita, a chiacchierare con i genitori dell’amica.
«Avete davvero un bellissimo strumento.» disse poi, volgendo lo sguardo verso il pianoforte a coda, posto in un angolo della stanza.
«Sai suonare?» le domandò Emma.
«Quando ero bambina. I miei genitori insistettero perché prendessi lezioni.»
Aurora sgranò gli occhi.
Gabriella non le aveva mai detto di saper suonare il piano. 
La cosa la sorprese perché anche lei, da bambina, prese lezioni, spinta dalla volontà di sua madre.
«Ti prego, Gabriella, suonaci qualcosa.» le chiese Emma.
Con riluttanza, e con un po’ di imbarazzo, a causa del lungo tempo passato senza toccare una tastiera, Gabriella si alzò, e si mise a sedere sullo sgabello.
Mosse lentamente le dita, come a volerle scioglierle, e dolcemente le posò sui tasti bianchi, facendo librare in aria le prime note del Notturno op. 9 n°2 di Chopin.
Il pianoforte non era particolarmente accordato ma bastarono le sue doti di pianista a far emozionare il suo piccolo pubblico. 
In particolare Aurora, che osservava attentamente ogni minimo dettaglio: la fluidità con cui le dita scivolavano sui tasti, il corpo di Gabriella che faceva lentamente avanti e indietro, dandole il ritmo e le sue labbra, leggermente socchiuse, che si muovevano quasi impercettibilmente, come se stesse ripetendo sottovoce le note della composizione. 
Un brivido la pervase.
Anche lei, anni addietro, aveva imparato quella melodia, ma la maestria con cui la sua amica la eseguì, le fece dubitare di tutto il tempo cercato ad automigliorarsi.
Ma la sua non era invidia.
Era ammirazione.
Che cresceva giorno dopo giorno, da quando diventarono amiche per la pelle.
Gabriella non era solo la sua migliore amica: era il suo punto d’appoggio, la sua forza maggiore. E ora che l’aveva trovata, non l’avrebbe mai lasciata andare.

 

♦♦♦

 

Dopo che la cena si conluse, Aurora accompagnò Gabriella nella stanza degli ospiti.
Avrebbe voluto raccontarle delle sensazioni che aveva provato qualche ora prima, ma le parole le morirono in gola.
Gabriella la guardava, i suoi occhi azzurri parevano avessero capito, ma nemmeno lei osò dire niente.
«Ti auguro una buona notte.» disse Aurora, poggiando su un mobile il candelabro che aveva in mano.
«Buonanotte anche te.»



 

Note dell’autrice: voglio ringraziarvi per aver letto questi due capitoli e un grazie particolare va a chi ha speso due righe per il primo.

Per quanto riguarda questo capitolo, ho deciso di non raccontare nulla di particolare, perché ho preferito descrivere i caratteri delle due protagoniste. Il padre di Aurora è praticarmente inesistente, poiché non ha una rilevanza particolare nel racconto in sé: c’è ma non si vede. Spero di aver reso bene l’idea delle caratteristiche principali dei personaggi.

Il finale l’ho lasciato un po’ così, perché preferirei descrivere i sentimenti nei capitoli seguenti. 
Spero davvero che questa storia vi stia piacendo.

Un abbraccio.
 

 
  
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