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Autore: MarcoMarchetta    31/03/2018    2 recensioni
Fra storia e racconto
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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LEONARDO  DA  VINCI  
(1482)              
 
Il Moro lo precedette nel salone.
Nani facevano ridere facendo capriole in due o tentando di aumentare di statura saltandosi sulle spalle. Più in là il giullare fingeva di succhiare l’alluce della duchessa, i musicanti, ciascuno col proprio strumento giravano fra commensali suonando una carabandola e nel mezzo spiccava un ghepardo tenuto al guinzaglio da due africani.
Tutto era festa e fasto e le sete e gli ori risplendevano.
Il Duca Ludovico battè le mani e nel silenzio conseguente annunciò a voce alta:
“Questo giovanotto si chiama Leonardo e viene da Firenze.
È bello e raffinato ma voi donne non sciupatemelo troppo” Leonardo fece un gesto che avrebbe potuto significare ‘troppo buono’ o ‘grazie ma non c’è pericolo’ “perché mi serve.
Avevo bisogno di uno scultore, un mastro di festa, un pittore e di un ingegnere militare. Ecco qua tutti e quattro in quest’unico tuttofare, a sentir lui.
Fosse vero pagherei per uno solo, anche un po’ di più se lo merita, invece che per quattro.
Diteci di più, mastro Leonardo.”
“Messer Duca, madama la Duchessa e tutti voi bella gente di Milano che mi state accogliendo” e il daVinci si profuse in un grazioso inchino. “Credo davvero di essere bravo come mi sono descritto nella lettera mandata alla Signoria Vostra, messer lo Duca. Ma la bravura bisogna dimostrarla e quindi mi scuserete se  i tanti compiti che mi accingo ad affrontare mi terranno spesso lontano dagli svaghi di questa magnifica corte; svaghi che mi impegnerò di incrementare. Per lo stesso motivo mi rincrescerà sottrarmi alle attenzioni di tante belle dame e damigelle delle quali mi sento assolutamente indegno.
Non vorrei che accolto dal vezzoso e gentil sesso fossi preso a pedate e scacciato da messer lo Duca, deluso e schifato.”
Ludovico il Moro esplose in una bella risata e tutta la corte gli fece eco.
Leonardo, con un nuovo inchino si diresse verso gli alloggi della servitù pensando che per un po’ avrebbe evitato le aborrite profferte femminili.
Poi chissà… Gli tremavano le ginocchia anche per un’altra faccenda. Le sue vanterie epistolari lo avevano fatto assumere. Ma si sarebbe dimostrato davvero il genio che diceva di essere.
 
Marco Marchetta
 
 
FRAATACE  
(2 a.C.)                                         
 
"Eccelso Augusto, ti giuro su Ahura Mazdah, nostro unico Dio, che io e i miei fratelli non abbiamo avuto alcuna parte in ciò che mi riferisci. Che Ahura, luce e vita di tutto, mi destini a combattere in eterno al fianco del malvagio Ahriman se quanto mi hai detto mi vede in qualche modo partecipe."
"Ti credo, Mitridate; ma voi quattro tornerete ugualmente in Pàrtia. Qui non siete più beneaccetti."
"Nobile Augusto, così ci fai carico di una colpa che non abbiamo. Da quando ci tieni in tua custodia ti abbiamo sempre considerato e onorato come un secondo padre."
"A costo di ripetermi" insistè l'imperatore, bianco e dignitoso nella sua pochezza fisica, "si sa bene che vostro fratello Fraatace ha assassinato il vostro comune padre, Fraate, per usurparne il trono.
Fraatace è il colpevole, non voi, ma non è per questo crimine inaccettabile che tornerete nella vostra terra.
Era vecchio Fraate, come vedi me adesso. Quanto pensi possa ancora vivere chi ha tanti anni sulle spalle? Eppure Fraatace gli ha affrettato il passaggio all'Averno e ha sposato Musa, madre sua come vostra.    
Ora tuo fratello e vostra madre sono associati sul trono e so solo che hanno sospeso il vostro mantenimento. È per questo motivo che vi allontano.
Voi siete stati portati qui in qualità di ostaggi, non come amici. Che validità ha una tale condizione per noi Romani se i vostri parenti non danno alcun valore alle vostre vite?
Che quei due abbiano o meno sentimenti amichevoli nei nostri confronti lo diranno i fatti che seguiranno; però, io non dimentico che Fraate era diventato mio buon amico: mi aveva restituito le insegne e i sopravvissuti delle sfortunate campagne di Crasso e di Antonio.
Lo sai, Mitridate, che Musa è stata una mia schiavetta?"
"Sì, o potente. Ricordo che prima di spedirci a Roma per la nostra educazione nostra madre parlò di te come di un ottimo padrone."
"E fui io stesso a spedire quella vipera a Fraate.
L'ha sposata, l'ha fatta regina dei Parti e quella lo butta via come un rifiuto qualsiasi.
E quel mostro di suo figlio, per ambizione, conduce un simile orrore parricida praticando lo stesso ventre che lo ha generato."
"Ma, Augusto, signore di tutti noi, io e i miei fratelli che ci entriamo? Non pensi che Fraatace e Musa vogliano morti anche noi? Ciononostante ci rimandi in Pàrtia?"
"È questo il punto.
Noi Romani siamo duri e, per giustizia, sappiamo essere spietati. Il sangue, fortunatamente per noi, non ci ha mai impressionato; ma non quello dei congiunti.
Voi Parti nutrite un odio incontenibile per i vostri stessi familiari.
Sai, Mitridate, ciò che si dice in proposito su tuo padre, appunto il povero Fraate IV e su tuo nonno Orode II?"
"Sì, o pietoso; e non sono dicerie dato che loro stessi si sono vantati di tali misfatti."
"Tuo nonno, nostro valoroso avversario, col fratello Mitridate, assassinò il padre Fraate Teo, il terzo della dinastia. Ne fu ripagato a dovere perchè tuo padre lo fece trucidare assieme a ventinove fratelli. È così?"
"Sì, grande Augusto."
"Ora Fraatace segue fedelmente le orme dei suoi antenati, con quello che ti ho detto.
Voi Parti trattate la vostra stirpe come noi le bestie feroci nel circo.
Quanto più ti affretterai a lasciare Roma tu, Mitridate e i tuoi fratelli di cui da ora in poi ti ritengo responsabile, tanto più sarò felice.    
No, non interrompere e ascolta, perchè non ripeterò! e non fare quella faccia da cane bastonato. È ora che voi quattro facciate qualcosa di più oneroso che mangiare il cibo dei Romani e ingravidarne le figlie."
"Ti giuro, Augusto..."
"Sì, sì...
Non voglio la vostra inimicizia; comunque nemmeno voglio che voi diventiate una spesa fissa sul mio bilancio.
Ti consiglio di vendere tutto quanto avete in Roma e di andarvene al più presto altrimenti scatterà un interdetto contro di voi.
Prima che tu mi disobbedisca ancora aprendo bocca ti dirò, a mo’ di consigli che lo stesso Fraate ti avrebbe dato, come dovresti comportarti: troverete rifugio presso i nobili che vi hanno in simpatia, quelli più addolorati o danneggiati per l'avvento al trono di Fraatace; poi, nascostamente, cercherete di fargliela pagare.
Così, fratelli contro fratelli, con l'astio per il proprio sangue tornerete a essere Parti a tutti gli effetti.
E se ricorderete quello che di buono ha fatto Roma per voi, pensate a essa con benevolenza ... e con rispetto."
Augusto aveva finito e Mitridate lo vide riguadagnare le sue stanze private con la sua andatura malacconcia.
 
Marco Marchetta
 
 
SERGIO  III  
(905)                                           
 
Quello era un incontro al vertice tenuto fra i soli interessati e per motivi puramente privati: il papa dava udienza ai due unici senatori dei Romani, Teofilatto e sua moglie.
"Quanto ha la vostra fanciullina?" chiese Sergio con indifferenza.
"Al principiare di questo decimo secolo di Nostro Signore" rispose Teodora " aveva otto anni."
"Tredici anni, allora. Non ho ben capito questa proposta, signori miei." Voleva assumere un tono di superiorità con quei due zotici analfabeti, ben sapendo, però, che erano loro a spadroneggiare su tutto da Spoleto a Roma: non si poteva far nulla, neanche eleggere il pontefice o svolgerne le funzioni senza che la coppia senatoriale desse il beneplacito. "In genere è il popolino a portarmi le bambine perchè restino benedette e beatificate dal mio sacro tocco" continuò in tono declamatorio e scolastico. "Iniziate così, le fanciulle non trovano ostacoli a sposarsi e credo sia questo il vero motivo per cui io tanto spesso debba togliere una tale preoccupazione a tanti genitori.
Ma ciò non è il caso vostro, penso." Stette a guardarli con sussiego. "Vedete, quindi, che ho già un folto stuolo di verginelle, tutte più giovani, con cui cadere in tentazione" aggiunse prima che Teofilatto tagliasse corto:
"Dai licenza a tutte, Santità! La tua unica distrazione in tal senso sarà Marozia!"
"Ma, figliuolo, ciò che mi chiedi è fuori da ogni consuetudine."
"A tutte."
"Nessuna esclusa, papa Sergio" tenne bordone al marito la donna. "Bada che abbiamo i nostri informatori in Laterano."
"Stai calma, tu ... figliuola" impose Sergio che aveva faccia e dignità da salvare. Tuttavia, in quei brutti tempi i papi avevano una carriera brevissima e brevissima la vita. "Come volete" concesse, "come volete.
Posso sapere che succede? Una volta sembra che mi rechiate doni e un'altra che stiate in armi contro di me."
"Questo mai, Santità" fece Teofilatto, accomodante, "niente armi. E considera un omaggio pure la nostra Marozia.
Sei stato scelto tu fra il clero anti-formosiano per tenere il trono di Pietro e se agisci per demolire quello che fece Formoso andremo sempre d'accordo.”    
Con raccapriccio, si riaffacciarono alla mente di Sergio ricordi del processo d'infamia che papa Stefano VI volle intentare contro quel defunto predecessore; per compiacere la fazione spoletina il dissepolto scheletro di papa Formoso fu impaludato e assiso in soglio per essere investito da accuse e contumelie.
"Vorremmo il mio signore Teofilatto e io" suggerì Teodora "che le azioni di Teodoro II e Giovanni IX tese a riabilitare la memoria di quel delinquente usurpatore non abbiano a ripetersi: quell'infame aveva chiamato ai nostri danni Arnolfo di Carinzia."
"E" rincarò il marito "pretendiamo che si faccia piazza pulita di tutti quelli che in forma postuma hanno assolto Formoso  elogiandone il comportamento in vita.
Tu condannali ex cattedra che a strangolarli come meritano ci pensiamo noi."
"Consideratelo fatto, miei signori" condiscese il papa. Dentro di sè già stava pensando a come ripulirsi di tali misfatti: ogni monaca avrebbe recitato vita natural durante cento Kyrie Eleison al giorno. "Ma ditemi di Marozia, per favore."
"Ce la devi ingravidare" stabilì il padre; "non l'hai ancora capito?"
"Papa Sergio" spiegò la mamma, "tu sai che a tredici anni le femmine sono come il fuoco, desideroso di attaccarsi ovunque. Prima che sia pronta a impregnarsi di una semenza qualsiasi vogliamo che sia tu solo a usare con lei. Quando sarà il suo tempo è nostro desiderio che abbia un figlio con l'origine più nobile e santa possibile. È chiaro?"
"Certo. E dedicherò a questo scopo tutte le mie forze."
"Pontefice nostro" sottilizzò la donna, "stai bene attento a non forzare troppo: se ci accorgiamo che abusi della nostra bambina per scopi che esulano da quello procreativo i nostri strilli si sentiranno fino a Spoleto ... e anche i tuoi."
"State tranquilli; con Marozia sarò correttissimo."
"È quello che desideriamo. Noi siamo tranquilli" dichiarò Teofilatto, feroce.
Sergio si sentiva fremiti per tutto il corpo. Assicurò:
"Verrò nascostamente nella vostra magione tutte le notti.”   
"Proprio non hai capito niente, papa caro" si spazientì Teofilatto. "Noi ora te la affidiamo e Marozia sarà tua ospite finchè sarà.
Non penerai neanche a coglierne il fiore virginale: da quell’ingombro è già stata liberata e si dice che così le bimbe si affrettino a diventare donne. Per il momento non lo è ancora.
Ecco come dovrai comportarti con la figlia nostra: dalle il tuo seme un giorno su sette. Pensiamo che nel giorno del Signore la cosa dovrebbe risultare anche più sacra e propizia; ma in questo tu ne sai certamente più di noi.
Oltre questo dovrai sorvegliarla bene e farla divertire come si fa abitualmente con tutte le fanciulle e, ovviamente, dalle compagnia e servitù esclusivamente femminile.
Sappi che questo non è un passo gradevole per noi, perciò saremmo appagati se ti attenessi a queste raccomandazioni: più presto Marozia sarà pregna e più presto ce la restituirai. Così potrai tornare ai tuoi impegni e diversivi abituali.
Però ciò che assolutamente non deve essere è tener segreta la cosa."
"No? spiegatemi perchè, figliuoli."
A Teodora sembrava di esercitare pazienza con un ragazzo un po' testone:
"Eppure è così semplice: deve girare la voce che Marozia ha avuto un figlio da Sergio Terzo, pontefice della Cristianità".
"Ho capito tutto, amici cari."
Rimasto solo, il Vicario di Cristo era speranzoso che, accontentati in tutto quegli illustri personaggi e solo in virtù di questo, il suo pontificato e la sua stessa vita sarebbero durati a lungo.
Il figlio che avrebbe avuto da quella ragazzetta sarebbe stato il futuro papa: i conti di Spoleto erano influenti; avendo fra di loro un personaggio con sangue papale, quindi sacro, chi avrebbe contrastato la sua ascesa al Soglio Pontificio?
E poi, se il trono di Pietro era un regno, e questo nessuno pensava fosse contestabile, era giusto che si trasmettesse di padre in figlio.
Sergio, parte di quel sogno in cui si vedeva iniziatore di una divina dinastia, si immaginò prossimo a morire, vecchio e venerato, assistito dal figlio e dai loro fedelissimi pronti a gridare: 'Viva il nuovo papa Sergio Quarto!'.
 
Marco Marchetta
 
 
LA  DECAPITAZIONE  
(1793)                           
 
Ecco, ci siamo proprio, cara mia. Legata con le mani dietro la schiena come una volgare assassina. Quella che sono, posso dire di no?
Me la sono proprio cercata. Ma quel verme di Marat la doveva pagare per quello che ha fatto ai girondini!   
Mi spiace solo che Robespierre e Saint-Just la facciano franca, ma mica posso fare tutto da sola. Mi hanno presa subito sennò una coltellata pure a loro non gliela toglieva nessuno.
Io sono una pulzella con poca forza nelle braccia, che pretendevo da me stessa? Che lo facessi secco con un colpo netto? Quello, Marat, strillava e buttava il sangue come un maiale, nudo e roseo.
Aveva tutti amici, tutti attorno. Pazzi sanguinari.
No, io non lo sono affatto. La rivoluzione va bene ma si può fare pure senza tanto sangue, senza ammazzare tutti quelli che non la pensano alla stessa maniera: basta distribuire le risorse fra tutti, un po' di benessere a ciascuno, non solo ai nobili, ai privilegiati per nascita. E bisogna che tutti si sgobbi, senza che qualcuno sfrutti la fatica altrui standosene in panciolle.
Parlo proprio io che discendo dal grande Corneille, mezza nobile: Charlotte de Corday d'Armont, e dici niente.
Qui in questa carretta le nobili si sprecano: contesse, baronesse, tutte più di me.     
Però quelli del Comitato Rivoluzionario sembra che mi ritengano più importante di tutte queste dato che ho la precedenza: la prima testa che taglieranno sarà la mia.
Era bello grosso il mio bersaglio e a quel fetente di Marat ci tenevano proprio.
A proposito quello era uno che doveva puzzare forte se stava sempre a bagno; forse aveva qualche malattia. Avevo un cane che prese l'eczema, una specie di rogna, mi dissero, e puzzava forte. Che vado a pensare? Che c'entra il cane adesso?
Mi ha ricevuto nella sua toilette, quel miserabile. Me, ancora verginella. Meritava che lo uccidessi già solo per questo: lui nudo nella bagnola davanti a me. Però, non ho visto niente; c'era lo scrittoio che copriva. Ma che vado pensando? Con la ghigliottina che si vede laggiù.
Ho già venticinque anni e nessuno mi ha ancora fatto la festa; nessuno ci ha mai provato. Morirò vergine, come la pulzella d'Orlèans. Chissà se mi ricorderanno come lei: dare la vita per la patria.
Qua attorno vociano e imprecano e, perlopiù, sono donne, popolane. Forse ce l'hanno con queste altre qui, le vere nobili, non con me. In ogni caso capiranno alla lunga che l'ho fatto per loro, perchè Marat era un sadico! Capace di sterminarci tutti!
Credo sia per questo che l’ho fatto, per far qualcosa che mi destini ai libri di storia come il mio illustre antenato. Non credo nell’anima né nell’aldilà sennò gli direi: ‘Aspettami, Corneill, tra poco ci vediamo.
La folla si infittisce. Vogliono vedere le teste insanguinate e nella piazza non c’è spazio per tutti.
Che orrore. Tra poco…
Ma che vado a pensare? Lo dicevano tutti che era la morte più indolore possibile, la più misericordiosa. Ed eravamo tutti d’accordo, io pure. Che? Ipocrita! Quando la testa ce la rimettono gli altri va bene; quando tocca a te…
No. Sono tranquillissima. Non me ne frega proprio niente: tenetevela voi questa vita schifosa!
Quattro anni fa, sempre di luglio, prendevano la Bastiglia e la nobiltà, i prepotenti, cominciarono a farsela sotto. Che godimento! Tutte quelle gran dame che ti consideravano come si fa con una puzza, che non ti invitavano a un ricevimento neanche se le pregavi.
Per quattro anni ne sono salite di tali signorone su quel palco là. E ora sto fra di loro, la più importante fra tutte.
Siamo quasi arrivate e poi mi scorteranno e tutti guarderanno me: la Carlotta con un corteo a seguito tutto mio.
Manca poco.
Anche i miei amici della Gironda, Condorcet, Brissot, Vergnaud, Gaudet e gli altri non mi hanno mai presa troppo sul serio.
Dovevo fargliela vedere che anche io contavo qualcosa, no? Ora mi credi, Condorcet?
Niente più finestre e balconi con la gente come stesse a teatro per lo spettacolo. La piazza è grande e il sangue lo vedranno solo quelli che stanno sotto.
Forse dietro quelle serrande le ragazze eccitate da tutto questo trambusto cedono ai loro maschi e stanno tutte… Io no. Io non le farò mai quelle cose.
Ecco il palco ed eccomi giù dalla carretta. Sarà una cosa veloce? È dal boia che dipende.
Come mi odio: piccola, tracagnotta. Spero che almeno la mannaia riesca a togliermi questo atroce doppio mento! Volgare nell’aspetto, io così fine ed educata, con nobili pensieri.
Ma a che serve la testa se il corpo non l’aiuta? Allora è meglio che vengano separati! Mi stanno facendo un favore.
Forse è questa la vera ragione che mi ha portato nel bagno di Marat con il coltello in mano: non avevo il fegato di togliermi di mezzo da sola, e dovevo pure vendicare i miei amici, e volevo contare qualcosa per tutti quelli che mi hanno conosciuta e, perché no? vorrei passare alla storia, hai visto mai.
Ma chi lo sa perché.
So solo che se non si sbriga questo boia finirò col pisciarmi addosso. Questo boia della della maloraaaaaa…
 
Marco Marchetta
 
(Pubblicherò le mie storie settimanalmente. Vi do appuntamento, quindi, a sabato prossimo, 7 aprile con altre storie)
 
   
 
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