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Autore: Kiki S    01/04/2018    3 recensioni
Esiste davvero quella spiaggia, da qualche parte? Si tratta soltanto di un sogno, oppure sta camminando realmente tra quelle onde? Ascolta l'assordante urlo del mare impazzito, l'ululato imponente del vento e lo stridere selvaggio dei gabbiani. Lei non ricorda chi sia, da dove provenga, né quale sia il suo passato. Sembrano non esistere risposte ai quesiti che la tormentano e che la legano indissolubilmente a quel luogo che, ad ogni passo, si ripete sempre uguale.
Poi quella voce.
Una voce che sceglie di farsi comprendere e che, lì dove si estende soltanto il vuoto profondo, in qualche modo prova ad indicarle la via.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VENTO D’OBLIO

 

Lei non ha nome, o se lo ha avuto, ormai non lo ricorda più, e qualunque esso fosse, di certo non le piaceva. Cammina ascoltando lo spietato ululare del vento, che come un lupo maestoso impone il proprio predominio sul luogo che gli appartiene.
Sente la sabbia bagnata sotto i piedi, mentre cammina tra le onde impazzite che, sulla riva, si infrangono schiaffeggiandole le caviglie e schiumandole il lungo abito nero.

I suoi occhi chiari, socchiusi, assaporano quel cielo grigio che preannuncia tempesta, per poi spostarsi a osservare quell’oceano indomabile che, senza una ragione precisa, riversa la sua furia su di un mondo indegno, su quella spiaggia deserta.

Quel luogo forse non esiste, forse è stato creato nella sua mente.

Scogli spigolosi si stagliano prepotenti tra le acque, fendendone la superficie, mostrandosi a lei come gli spettri di se stessa che in tante occasioni non ha voluto affrontare.

I lunghi capelli scuri le vengono smossi dal vento che, come giocandovi, lascia che da quei fili castani si formino disegni comprensibili soltanto a lui.

Le sue spalle e la sua schiena sono scoperte, ma poco importa. Forse fa freddo, non lo sa. A dire il vero non le interessa.

Cammina forzando le acque a lasciarla passare, cammina avvertendo in sé il peso di cui quella tempesta è portatrice, o forse quello sfacelo si sta abbattendo in lei soltanto.

Nessuno le è attorno. Nessuno solca il suolo di quella spiaggia.

Alza lo sguardo, attratta dal suono di battito d’ali e dallo stridere di voci che le appaiono ultraterrene: uno stormo di gabbiani sta sfidando la furia del vento, volteggiando tra il grigio delle nubi, dando un riempimento a quel vuoto infinito, che forse esiste da qualche parte.

Lei li osserva. Lascia che le immagini di quegli uccelli si imprimano oltre i suoi occhi, come un dipinto, come un’opera d’arte, come il più grande mistero esistente.

Li guarda vivere ogni attimo della loro libertà, invidia le loro ali e sente che vorrebbe farne parte. Sa che amerebbe spiccare il volo come quei gabbiani, per poi rimirare il mondo dall’alto, avvertendo sulla pelle il sapore di quel vento incolore.

Ma lei sa bene quanto questo sia impossibile: come poter porre le ali ad esseri viventi che sono unicamente in grado di incatenarsi al suolo? Come donare la libertà a chi saprebbe soltanto rispedirla indietro? Troppi pensieri, troppe incertezze, ansie e paure, troppe domande, esagerata autocommiserazione: di questo è composta la carne umana, e lei l’ha già intuito.

Continua a camminare tra quelle onde che sembrano ripetersi con la stessa frequenza, va avanti vedendo riapparire di fronte a sé sempre il medesimo paesaggio: ogni cosa nasce e muore ai suoi occhi, per poi riproporle sempre lo stesso ciclo, una volta ancora, e di nuovo, in eterno.

Com’è arrivata lì? Non sa rispondersi, non se lo ricorda.

Vorrebbe poter piangere, assecondando le urla di quel vento e bagnando quel mare con le sue lacrime, ma non ne è in grado. In lei esiste il dolore? Forse. La tristezza? Chi può dirlo. Il buio? Non è detto.

La sua mente è vuota, desolata, senza più ricordi al suo interno. Il suo cuore è arido, di pietra, fugacemente oscurato da un’ombra senza forma e senza nome.

Forse lei non è niente. Forse non esiste; non più.

Dorme di un sonno imperterrito e selvaggio, che le impone di mantenere gli occhi aperti su quella gabbia d’aria che le vive tutt’intorno, eppure non si può dire cosa veda realmente lungo il suo cammino. Le uniche certezze rimangono la sabbia, il mare agitato, il vento furioso, le ali dei gabbiani.

Non c’è luce in quel luogo: il sole è oscurato dalle nubi, che ne nascondono i raggi, che privano quel suolo del suo calore. Ma vi sarà realmente un sole dall’altro lato di quell’eterno grigiore del cielo? Esisterà davvero una luce? Non sarà possibile affermarlo né negarlo finché la stessa esistenza di quella spiaggia d’oblio rimarrà nel dubbio.

Lei cammina. Non c’è altro che possa fare. Porta le mani in avanti, tende i palmi a quel vento che parla troppo veloce per lei, che non riesce a farsi capire. O forse è la sua mente a non essere in grado di recepire il significato di quei suoni simili a urla.

Qualcosa di oscuro è sceso in lei, qualcosa di indefinibile. Una pena? È probabile, ma non certo. Sente la vita scivolarle tra le dita, inafferrabile come quel vento che parla senza sosta quella lingua sconosciuta, e in un attimo intende di essere lei sola, la causa e l’effetto della sua rovina. Anche se non lo ricorda, percepisce chiaramente di essere stata lei a creare quel vuoto che avverte dentro di sé. Ha trascorso un'esistenza di cui ora non serba memoria a fermarsi di fronte a se stessa, incapace di affrontarsi, di lasciarsi avvolgere dalle tenebre o illuminare dai celestiali bagliori che tante volte ha incontrato durante il lungo cammino: restare nel mezzo era sempre più facile, non le imponeva di scegliere. E così era rimasta per molto tempo: la luce a illuminarla da un lato, l’ombra a oscurarla dall’altro, e lei aveva scelto di essere un fantasma, un alito di nulla, una statua di carne. Si era fermata ed aveva atteso che luce e ombra scegliessero per lei, ma questo non era mai avvenuto, né sarebbe accaduto in futuro.

Ma forse un futuro non sarebbe mai esistito. Forse non avrebbe conosciuto altro che l’eterno presente su quella spiaggia, tra quelle onde, sposa del vento, figlia del mare.

Ancora una volta alza lo sguardo: i gabbiani volano tra le nuvole, il vento sembra sospingerli come complice della libertà che appartiene solo a loro.

L’aria è tutto ciò che può sciogliere le catene invisibili di una mente afflitta, l’aria è la casa degli spiriti che sanno ascoltarla.

Ma lei non ne fa parte; e sa di non essere la sola. L’uomo è fatto per tornare alla polvere, per scavarsi la propria fossa. Questo è il prezzo da pagare per essere le creature predilette del Signore? Questo è ciò che tutti danno in cambio di un cervello pensante? Sì, lei lo sa. La felicità, la realizzazione, la libertà.

E sa anche che sono le stesse mani dell’uomo a far sì che questo avvenga, ad annullare lo spirito, a chiudere a chiave una porta dimenticata al momento della nascita.

Così come anche lei aveva fatto.

Aveva lasciato che la sua vita le scivolasse addosso come l’acqua salmastra fa ora tra i suoi piedi, per poi ritirarsi. Aveva lasciato che la sua mente fosse svuotata come una brocca di vino, senza che neanche una goccia d’uva restasse tra quelle pareti fatte d'aria.

Forse era quella la morte? Una spiaggia desolata, con il mare in tempesta e il vento che ulula: luogo destinato agli spiriti erranti, distruttori inermi delle loro stesse esistenze.

Un’altra domanda, ma niente risposte.

Solo il mare e solo il vento.

Solo la sabbia bagnata sotto i suoi piedi.

Solo i gabbiani liberi di volare fendendo l’aria che ride di lei.

Forse questa è la sua punizione: restare per sempre incatenata alla tempesta che le sue dita hanno saputo creare per lei sola, potendo soltanto guardare dal basso la forza di quegli esseri che non le avrebbero mai concesso di assaporare l’infinita potenza della loro libertà, l’eterna e intoccabile gioia dell’istinto che oscura il pensiero.

Ed è questo il male dell’uomo: il suo inarrestabile pensare, la sua tendenza all’autodistruzione, l’estrema facilità con cui in sé accoglie l’odio e l’insofferenza. Anche lei ha odiato. Ne è certa, eppure non è in grado di ricordare chi fosse stato l’oggetto di tale sentimento, né il motivo che l’aveva ispirato.

Futili dettagli.

L’odio non è degno di nota. Sarebbe bene saper andare oltre.

Ma lei non era stata capace di farlo e ancora una volta era stata sospinta sempre più in basso, schiacciata dal suo stesso peso.

Avrebbe dovuto rialzarsi, ma era rimasta a terra: era stato più semplice.

Avrebbe dovuto credere, ma era stata scettica: si era sentita protetta.

Avrebbe dovuto scegliere, ma si era astenuta: non avrebbe fatto differenza.

E ora di scelta non ne ha più, se non quella di procedere nel suo incedere di passi silenziosi tra le onde, alla ricerca di qualcosa che sa bene non troverà.

Non una nave in quel mare, neanche un peschereccio. Solo il totale e disperato vuoto dell’anima, solo il pianto del vento che brama dal cielo le lacrime che dovrebbero appartenere a lei.

Ma lei non può piangere.

Lei non può neanche urlare. Forse non ha voce.

Improvvisamente si chiede cosa sia: corpo o spirito? Forse entrambi? O nessuno dei due.

Domande, sempre inutili e fuggevoli quesiti senza un perché.

È quello che è, deve solo camminare.

All’improvviso un suono distinto, una voce che comprende: -Dormi?- le domanda.

È il vento, che parla più piano.

Lei dischiude le labbra, ma in un attimo si accorge che non è necessario che parli. Il vento l'avvolge con la sua presenza che per lei è come una carezza e d'un tratto sa per certo che per rispondere a quel sussurro le basterà seguirlo con la mente. Le basterà lasciarsi libera di comprenderlo.

-Dormi?- Ripete il vento al suo orecchio. Quella voce è ultraterrena, profonda, eppure è flebile e impalpabile al tempo stesso. È una voce che lei non ha mai udito, ma che ugualmente le appare familiare.

Socchiude gli occhi, come se fosse alla ricerca di una presenza accanto a lei. Ma non c'è nessuno, esattamente come prima.

Lei si ferma. Le onde le si infrangono sulle caviglie.

Si volta ad osservare l'immensità grigio-azzurra che si estende fino alla linea dell'orizzonte.

Inspira a fondo, sentendo lo stesso vento che l'avvolge scendere in lei.

-Forse. Non riesco a capirlo- risponde nella mente, quasi senza accorgersene.

-Non affannarti a cercare di comprendere, se non ci riesci significa che non è ancora arrivato il momento di aprire quella porta, dentro di te-

Lo scroscio delle onde sembra scandire i secondi su quella spiaggia dove il tempo forse non esiste, ed accompagna come per mano quelle parole enigmatiche che, però, fanno presa su di lei. Perché anche se non riesce ad afferrarne il senso, anche se non capisce a quale porta dentro di lei il vento che le sussurra all'orecchio si riferisca, percepisce comunque in quelle parole un fondo di verità, un profondo legame con qualcosa che giace, forse, nel centro del suo essere.

Chiude gli occhi per far sì che quelle stesse parole scendano in profondità per uniformarsi a quel che dimora in lei e di cui avverte l'esistenza, benché non riesca a vederlo.

-Forse però sono qui unicamente per cercare qualcosa-

-Forse sì-

-Ma cosa? Delle risposte? Il passato che ho perduto e che non ricordo? Me stessa? Il mio nome?-

-Credo che si tratti di qualcosa di più. Qualcosa che ha a che fare solo con te, ma che al tempo stesso riguarda anche tutto il resto-

-Tutto il resto?-

Una nuova carezza sembra correrle leggiadra lungo il viso. È un tocco che le fa distendere le labbra in un sorriso, perché sembra quasi che il vento abbia percepito il senso di smarrimento nel suo pensiero e abbia voluto tranquillizzarla.

-Tutto ciò che adesso non ricordi, ma che ha o ha avuto un senso per te-.

Lei socchiude nuovamente gli occhi, tanto che il mare in tempesta che le si staglia dinanzi si riduce a una linea sottile, come se quel luogo (quel sogno?) potesse dissolversi e sparire del tutto.

Sta cercando di ricordare, di ricondurre a sé voci, colori, suoni e visi familiari e che devono pur legarla ad un mondo che non sia quello, ma i suoi sforzi ricadono nel vuoto e si perdono nel nulla, inghiottiti nel nero abisso dell'oceano in cui lei stessa si sta muovendo e che sembra non volerla lasciare andare.

Dischiude completamente le palpebre e, per un attimo, solleva lo sguardo per osservare nuovamente il volo dei gabbiani che disegnano ampi cerchi nel cielo grigio.

Respira a fondo, riempiendosi i polmoni di quell'ossigeno salmastro che sa di nuovo e conosciuto al tempo stesso. Nella testa le stanno turbinando mille quesiti e vorrebbe porli uno per uno al vento che ha deciso di ascoltarla e non lasciarla sola.

Infine si accorge che ne esiste solo uno di veramente importante.

-Perché non ricordo?-.

Si è resa conto d'un tratto di non poter comprendere dove si trovi in quel momento: quella spiaggia forse non esiste nel mondo reale (quello da cui proviene?), ma non è questo fatto ad importare davvero, non ora.

Se ha perso ogni reminiscenza, se nei cassetti della sua memoria non esiste più un passato che la ricolleghi a se stessa, deve esserci per forza un motivo.

Così come deve esistere anche un modo per tornare indietro.

-Perché in te c'è qualcosa che manca, qualcosa che hai lasciato scivolare via e che, infine, ti ha condotta qui-

-In questo luogo di vuoto e di nulla, dove esisto soltanto io e l'immensità che di me fa parte-.

La sua mente formula queste parole come se si trovasse sotto ipnosi, quasi senza accorgersene, quasi come se le avesse ripetute già innumerevoli volte dentro di sé.

-Sei qui solo perché è il momento. Stai cercando qualcosa, è vero, ma non è detto che risolverai il mistero questa volta-

-Questa volta?-

-Può anche darsi che tu l'abbia già risolto in passato e che tu l'abbia dimenticato, e ora sia giunto il momento di ricominciare il cammino dall'inizio-.

Lei sposta lo sguardo tutto intorno a sé: solo un mare grigio, furioso e impazzito.

Ora solleva la testa, lascia che il vento che le respira accanto si intrufoli tra i suoi capelli come se volesse districarli e si perde per un istante nella visione (altrettanto immensa come quella del mare che si è appena impressa nello sguardo) di un cielo che sembra estendersi all'infinito senza mai cambiare, e dei gabbiani che stridono d'un tratto più forte, quasi volessero rivelarle che la verità è più semplice di quanto lei immagini.

O come se stessero cercando di svegliarla.

È possibile che sia già stata in quel luogo e che poi l'abbia dimenticato, esattamente come ora, dalla sua mente, è sparito ogni ricordo che la ricolleghi alla sua vita?

-Non riconosco questo posto- afferma in un sussurro, ricordando però d'un tratto di aver pensato che, in esso, esistesse qualcosa di familiare.

-Non devi farlo, infatti. Non sforzarti inutilmente. Se è arrivato il momento di trovare quello che cerchi, allora succederà su questa spiaggia, altrimenti andrai oltre-

-Potrei trovare altrove, quello che sto cercando?-

-Qui o altrove non fa differenza, come non importa che tu ora non ricordi ciò che giace alle tue spalle-

-E cos'è realmente importante?-

-Tu. Devi sentire d'esistere-.

La voce del vento cala nell'affermare queste parole e lei, a sua volta, si sente trascinare in basso da un brivido che non credeva fosse umanamente possibile provare.

Per un attimo teme di star perdendo conoscenza, di essere inghiottita dall'acqua che le avvolge soltanto le caviglie ma che potrebbe salire rapidamente di livello.

Per un istante il vento sembra ricominciare a parlare la lingua incomprensibile con cui le si rivolgeva all'inizio e, lei, crede di star per sparire.

Poi invece ritorna in sé, così come il paesaggio che la circonda ridefinisce i propri contorni.

Esistere. Doveva sentire di esistere. Che cosa significavano quelle parole? Perché le erano scivolate così in profondità nell'abisso della coscienza? E dov'erano finite, ora che era tornata in sé?

Ma lei esiste veramente? O è soltanto uno spirito errante rinchiuso in un respiro informe il quale, solo per caso, ha assunto le sembianze di un'immensa spiaggia senza nome?

-Io … esisto- prova a dire a bassa voce. Voleva sperimentare che effetto le avrebbe prodotto pronunciare quelle parole ma, ora che l'ha fatto, non è nemmeno sicura di essersi udita.

Forse il rumore delle onde è così forte da sovrastare ogni altro suono, da non permetterle nemmeno di percepire la propria voce.

Una voce che non è nemmeno sicura di conoscere, né di aver mai udito in passato.

-Tu esisti- le fa eco il vento, dimostrandole di averla sentita.

-Esisti qui dentro e anche in altri luoghi, e se è qui che adesso ti trovi, significa che la tua coscienza si è spostata su questa spiaggia-

-In altri luoghi potrei riuscire a ricordare da dove provengo?-

-Potresti ricordartene anche qui, è una cosa che dipende da te. Ma non affannarti a tentare di ricordare. Avverrà da sé, se dovrà avvenire, e il luogo dove ciò succederà non avrà alcuna importanza-.

Da parte di lei, un nuovo respiro profondo.

-La mia coscienza si è spostata su questa spiaggia- e ripete le parole del vento come per saggiarne la consistenza nella propria mente -questo avviene perché, per così dire, in questo momento ho bisogno di trovarmi qui?-

-È avvenuto qualcosa che ti ci ha condotta, che sia un bene o un male è secondario-

-Qualcosa che non ricordo-

-Ma che continua ad esistere dentro di te-

-Così come anch'io esisto-. Ed improvvisamente è consolatorio pensarlo.

-Ora riprendi a camminare, e non preoccuparti se ciò che vedi ti sembrerà sempre uguale, se la tua memoria non accennerà a tornare, se ti sembrerà di essere sola. Questa è la via che ti spetta in questo istante e, se è così che dev'essere, significa che devi percorrerla fino in fondo, che devi sentirla fino all'ultima goccia-

D'un tratto, un dubbio.

-Ha una fine quella che tu chiami … via?-

Poteva davvero, quella spiaggia immensa, quel luogo di nulla profondo, possedere dei confini che sancissero l'ingresso in un altro mondo? Esisteva davvero un ultimo passo da muovere tra quelle onde?

-Inizio e fine sono soltanto delle percezioni e c'è un tempo per raggiungerle, quando ogni cosa è compiuta. A volte si può restare a metà strada tra i due opposti per molto tempo: per più di una vita, e in un più di un mondo, ma prima o poi un ciclo deve per forza giungere al termine perché un altro abbia inizio-

-Capirò quando arriverà il momento?-

-Quando arriverà il momento capirai tante cose-

E in questo momento il vento sembra come sorriderle, poi si dilegua, tornando a parlare veloce, rendendo di nuovo la sua voce incomprensibile al suo udito. È scossa, stranita. Non sa per quanto ancora durerà la permanenza in quel luogo, né se quel vento le abbia effettivamente detto la verità.

Forse a breve si sveglierà e ricorderà tutto della sua vita. Forse rimarrà lì in eterno, incatenata a quella realtà colma di quesiti irrisolti e voci lontane.

Forse ora il vento sta parlando con il mare e, forse, gli sta raccontando della loro conversazione.

Alza lo sguardo al cielo, a quell’immensa distesa grigia di nuvole che non mostrano il loro volto. Per un attimo il vento sembra accarezzarla un'ultima volta.

-Dormi?- Sente ancora. Ma è solo un istante, poi la voce svanisce di nuovo.

Quante domande, quante complicazioni! Questa è davvero la natura umana? Un’eterna catena legata all’incomprensibile?

Guarda i gabbiani e le loro ali. Li guarda giocare con il vento.

Sorride tra sé e sé e un pensiero le sfiora la mente: loro sì che hanno capito tutto.

 

   
 
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