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Autore: Tota22    01/04/2018    2 recensioni
Cento anni dopo la guerra contro l'imperatore nero, Arya si trova davanti ad una scelta: rimanere fedele al suo popolo e votare la propria esistenza alla causa degli elfi, o volare libera verso est seguendo il proprio cuore.
Questa storia è la seconda di una trilogia di One shots. È ambientata nello stesso universo di Wooden Ceiling e si svolge nello stesso arco temporale, ma può essere letta indipendentemente dalla storia precedente.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya, Eragon, Fìrnen | Coppie: Eragon/Arya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Queen's Sorrow








Arya sedeva su uno scranno di legno chiaro, col sedile imbottito di stoffa, al centro della propria stanza da letto. Tra le mani stringeva una tazza di infuso di timo e menta piperita che spargeva il suo profumo in volute di vapore bianco.

 

La regina degli elfi chiuse gli occhi, mentre l'essenza delle erbe le impregnava la pelle e i capelli, sentendo i muscoli del suo corpo rilassarsi finalmente.

 

Si trovava in visita a Ceris, la città elfica più prossima ai confini meridionali della Du Weldenvarden.
Ceris era l'ultima tappa di un viaggio che ormai si protraeva da mesi e che aveva come obiettivo quello di toccare le maggiori roccaforti verdi: Osilon, Kirtan, Nädindel, Silthrìm, Ìlia Fëon, Ceris e infine il ritorno a Ellesméra.

 

In ogni città la regina aveva visitato le bellezze del luogo. Aveva trascorso pomeriggi freschi di primavera con i suoi sudditi; ascoltate le loro storie e i loro turbamenti in calde giornate estive; assolto i desideri e le richieste ai quali era in grado di rispondere nella brezza gelida di fine autunno; aveva spezzato il pane e bevuto idromele con le famiglie nobili di ogni città, nel tepore delle loro case sommerse di neve invernale.

 

Per quanto Arya adorasse la sua gente e amasse trascorrere del tempo a contatto con loro al di fuori delle mura del suo palazzo di legno e fiori, sentiva il peso del viaggio a causa della ragione che l'aveva spianta a partire.

 

Infatti da decenni i saggi elfi, suoi consiglieri, premevano affinché scegliesse un compagno. Doveva esserle da sostegno nel compito di governare e permetterle di avere una discendenza.

 

Arya si rendeva conto che le insistenze dei suoi fedeli, sempre più incalzanti, fossero per il bene del suo regno. Tuttavia non poteva fare a meno di aborrire l'idea con tutta se stessa.

 

Non desiderava nessuno al suo fianco.

 

Per anni Arya aveva temporeggiato, cercando di tenere distratti i consiglieri, finché non aveva deciso di allontanarsi dalla capitale per avere un po' di pace.

 

Era, in quel momento, arrivata all'ultima tappa prima di tornare a Ellesmèra, dove avrebbe dovuto affrontare il consiglio una volta per tutte, sempre più indecisa sul da farsi.

 

Prendendo in considerazione l'eventualità del matrimonio, l'unico elfo di cui si fidava e che sarebbe stato all'altezza del compito era Lumnarì.

 

Suo assistente e fedele amico da ormai più di 50 anni, Lumnarì era intelligente e con senso pratico; discreto e confortante nei rari momenti di debolezza della regina e rappresentava una presenza su cui contare sempre.

 

Arya tuttavia nutriva per lui solo un'affettuosa amicizia e non aveva maturato alcun sentimento romantico.

Era sicura che Lumnarì per lungo tempo l'avesse ammirata in silenzio, ma Arya sapeva che ormai il suo interesse era per una giovane elfa di Osilon, che l'aveva ammaliato con il suo spirito puro e la sua gentilezza.

 

Non voleva strapparlo dalle braccia di un tenero amore appena sbocciato e costringerlo a rinunciarvi per stare al suo fianco e condannarlo all'infelicità.

Lumnarì l'avrebbe fatto senza batter ciglio, la regina lo sapeva, per dovere e fedeltà nei suoi confronti. Ma a che prezzo?

 

Questi erano i pensieri di Arya, mentre il pomeriggio sfumava nella sera. Qualche ora prima, appena terminato l'incontro con gli abitanti della città, si era chiusa nel conforto dei suoi appartamenti in cerca di una risposta o forse per non cercarla affatto.

 

Grazie all'odore della tisana Arya iniziò a perdersi nei ricordi di decadi passate, alla ricerca di qualcosa che alleviasse le preoccupazioni.

L'inebriante aroma fece affiorare la gioia e sofferenze di un passato prossimo e remoto: immagini fluttuanti scorrevano davanti alle iridi verdi oscurate dalle palpebre.

 

La prima sensazione che provò fu di felicità e soddisfazione nel sapere che il suo regno era in pace.

Gli elfi erano in buon accordo con gli uomini governati dai discendenti di Nasuada. La magia dei draghi aveva dato vigore alla terra e alla sua gente viveva nella prosperità. I cavalieri dei draghi custodivano l'equilibrio di Alagaesia, giostrandosi tra la potenza del popolo degli elfi e l'ingegno degli uomini che con lo sviluppo ormai inarrestabile di nuove tecnologie avevano raggiunto un potere impressionante. Inoltre i maghi e gli stregoni mortali rivendicavano il loro diritto di esercitare la magia. Non trascurabile rimaneva il peso dei nani: il loro fiorente popolo battagliero rimaneva legato alle tradizioni e custodiva il sapere antico. Persino gli Urgali erano diventati ormai inarrestabili e rispettati per forza e abilità militare.

 

Dopo le difficoltà e le rivolte che infuriarono dopo la sconfitta dell'imperatore nero, la pace stabilita era un balsamo che leniva le ferite delle guerre.

 

Tuttavia più Arya si sentiva soddisfatta per tutto ciò che era intorno a lei, più si sentiva al buio dentro di sé.

 

La sua devozione alla causa della pace l'aveva riempita di onore e letizia, ma l'aveva svuotata di ogni altro sentimento nei confronti di se stessa, della sua vita personale, dei suoi affetti. Arya non si sentiva più se stessa, ormai era solo la Regina.

 

Non era più la figlia ribelle che si era unita ai Varden per combattere un oscuro nemico, non era più un'avventuriera nella terra di Alagaesia, non volava più con Fìrnen fino a sentire la brezza gelida e pura ghiacciarle il respiro.

Non era più l'oggetto del tenero affetto di un giovane cavaliere.

 

I ricordi dei momenti passati con Eragon la tormentavano. Era lacerata dal senso di incompiutezza che bussava alla porta della sua mente. Quale vita avrebbe potuto avere se si fosse abbandonata al sentimento che germogliò nella sua anima dopo la guerra, da lei stessa brutalmente represso?

 

Certe notti desiderava il dolce tocco di un amore puro e incondizionato, quasi idolatria, quasi folle devozione, quasi incontenibile passione che solo Eragon aveva tentato di offrirle.

A volte aveva dei sogni vigili di un presente, un passato o un futuro, di una vita parallela a fianco del Cavaliere in un terra nuova e fresca. Sognava una vita mite, fatta di piccole e grandi avventure, di nuove esistenze, di tenerezza, di spontaneità, di dare e avere, di baci e libertà.

 

Il suo vero presente la faceva sentire arida, così piena di amore mai speso, mai consumato tanto da appassire.

 

Ormai era così presa dai suoi obblighi istituzionali da dimenticarsi di quelli verso se stessa, verso la sua felicità e verso quella del suo compagno indissolubile, Fìrnen. Il drago verde ad ogni alba e ogni tramonto guardava verso est con il suo gigantesco corpo teso, con la coda possente, guizzante, pronto a spiccare il volo se solo lei avesse voluto; aspettava solo una sua parola: partiamo.

 

Con il tempo il filo che la legava a Eragon si era intrecciato e arricchito di nodi resistenti e momenti preziosi.

 

Erano rimasti sempre in contatto, all'inizio solo per motivi diplomatici: nei primi tempi si scambiavano missive scritte attraverso messaggeri. A volte intrattenevano scambi a voce, brevi e senza la possibilità di vedersi, a causa della lontananza e dell'energia magica richiesta per mantenere la comunicazione tramite uno specchio magico.

 

Nel corso dei decenni gli scambi erano diventati via via più frequenti e più intimi. Non passavano più in mano a corrieri o cavalieri, che facevano da spola tra la Valle dei Draghi e Ellèsmera, ma attraverso l'aiuto di amici alati, meravigliose bestie che fungevano da messaggeri privati.

 

La regina e il Cavaliere non parlavano solo di ribellione degli stregoni e di organizzazione dell'Ordine, ma delle loro giornate. Si scambiavano preoccupazioni, gioie, idee e consigli come vecchi amici, come i compagni di viaggio che erano stati.

 

Molto raramente, soprattutto di notte, parlavano attraverso lo specchio di come si sentivano e di quello che pensavano nel profondo, senza mai fare accenno al loro rapporto e ai loro sentimenti.

 

Arya aveva aspettato con impazienza ogni nuovo messaggio trasportato dal vento; si era ritrovata spesso a pensare, durante i quasi cento anni di scambi, di lasciare tutto e raggiungerlo dall'altra parte del mondo.

 

Il fatto che fosse così lontano l'aiutava, ogni volta, a tornare sui propri passi.

 

Eragon non era fisicamente accanto a lei a tentarla, non poteva toccarla per condurla verso ciò che in fondo desiderava.

 

Era stata egoista a tenerlo legato a sé senza dargli la possibilità di sfiorarla, l'aveva incatenato senza alcun diritto;  Arya amava le sue attenzioni, la facevano sentire viva, desiderata e allo stesso tempo al sicuro.

 

Più lei assorbiva quell'amore, più lui perdeva un pezzo di sé. Per un secolo il Cavaliere era affogato nel tormento e nella speranza che lei l'avrebbe raggiunto.

 

Il giorno dell'arrivo della regina a Ceris corrispondeva ad un anniversario doloroso. Esattamente tre decadi erano trascorse da quando Eragon, una notte, aveva abbandonato ogni timore e le aveva chiesto finalmente di partire per la valle dei draghi.

 

Quella domanda Arya la aspettava da decine di anni, tuttavia nel momento in cui fu pronunciata ebbe paura.

Aveva il terrore che l'equilibrio tra loro, il potere che aveva su di lui, si sarebbe spezzato.

A quel punto sarebbe stata lei debole, sotto il giogo dell'amore di lui, perduta in questi sentimenti cresciuti in lei come una pianta tenace nel deserto.

 

Quella stessa notte, trenta anni prima, Arya aveva lucidamente reciso il filo che la legava a lui, dicendo No.

 

Eragon infuriato, disilluso dopo un secolo di attesa aveva interrotto ogni contatto. Da quel giorno qualcosa in lei si era spento. L'ultima notte il Cavaliere le aveva urlato tutte le sue colpe, aveva tracciato con parole amare e irate ogni sfaccettatura della sua codardia. Aveva professato amore e tormento, disperazione.

Poi silenzio.

Gli unici messaggi scritti di suo pugno che le arrivarono nei trent'anni succesivi furono rapporti diplomatici.

Arya non aveva il coraggio di ritessere il legame, di allungare la mano verso il capo abbandonato del filo e riallacciarlo.

Per scacciare la colpa dalla sua mente si era convinta che lui l'avesse dimenticata, maledetta per sempre.

Ma era veramente così?

La notte precedente all'anniversario Arya aveva avuto una nuova visione. Questa volta però molto nitida, in tutto e per tutto reale, di Eragon che la teneva stretta a sé nel più intimo degli abbracci.
L'Eragon del suo sogno vigile era diverso, più maturo di come lo ricordasse, ma allo stesso tempo sempre uguale con i suoi occhi castani espressivi e il sorriso da bambino.

Eragon aveva baciato il suo viso e accarezzato la sua pelle con delicatezza e decisione sussurrando un nome all'orecchio come una preghiera agli dei. Quando Arya aveva mosso la propria mano per scostare i capelli da viso di lui, non l'aveva riconosciuta: era più piccola e tozza della sua, dal colore ambrato, ruvida e con le unghie molto corte. In quel sogno vigile Arya non era se stessa ma qualcun altro, come una coscienza che si impossessa di un corpo altrui. La visione stava accadendo davvero o era frutto della sua immaginazione? L'unica cosa di cui era certa era la voce del suo cavaliere che ripeteva il suo nome: Arya, Arya, Arya...

 

La regina degli elfi aprì gli occhi emergendo dai propri pensieri, ma non riuscì a mettere a fuoco la stanza intorno a sé. Calde lacrime le offuscarono la vista. Il tè era diventato freddo.

Per la prima volta, sola, lontana dagli obblighi e dalle costrizioni imposte dal suo stato di regnante, decise di rompere la barriera della razionalità e ascoltare quella voce che nella sua coscienza aveva sempre sussurrato parole dolci e ammalianti:

 

Tu che cosa vuoi, Arya? Che cosa desideri? Che cosa puoi dare, che cosa puoi ricevere?

 

Il terrore, che quelle domande le avevano suscitato per lungo tempo, sembrò evaporare come neve al sole.

 

Sentì dentro il petto qualcosa che voleva farsi largo per uscire.
 

Il respiro si fece corto e la testa le girava.
 

La propria coscienza si espanse in cerca di Fìrnen, il suo migliore amico, il sangue del suo sangue.

Appena le due menti si trovarono non ci fu bisogno di parlare, dato che entrambi condividevano lo stesso dolore.
 

Invece di arginare le sensazioni che provava, sostenuta dal suo drago, Arya si abbandonò ad un pianto liberatorio.

Il muro impenetrabile che  aveva costruito attorno al proprio cuore si sgretolò fino a diventare polvere. Il senso di colpa e lo strazio della sua anima fuoriuscirono come un'onda anomala.
 

Tremarono lo scranno, le pareti della stanza e la terra sotto i piedi.

La sua essenza fu l'epicentro di un terremoto di emozioni che investirono la terra in ogni direzione.

 

Arya rimase immobile per lungo tempo, sentendosi libera e pura.

Le catene che si era imposta si erano in quel momento spezzate.

 

Uscì, cauta, dalla propria stanza.

Attraversò il corridoio di legno di gelsomino e vide le proprie guardie personali, in piedi nelle loro armature scintillanti, con i volti rigati dalle lacrime.

I nobili elfi suoi ospiti, seduti nella stanza dei banchetti, erano stati colti da un pianto incontrollabile.

Tutti gli abitanti del palazzo erano come sotto una specie di incantesimo, intrappolati da un grande tristezza: tenevano la testa tra le mani mentre le guance si incrostavano di perle d'acqua.

 

L'eco delle sensazioni della regina fu così potente che ogni essere vivente ne fu toccato.

Lo strazio di Arya era stato percepito in Ceris e in tutte le città della Du Weldenvarden.
Lo sentirono sulla propria pelle gli anziani elfi che erano nella sala del consiglio ad Ellesmèra.
Ne fu scossa la regina degli uomini ad Illirea come anche la sua ancella che la stava aiutando a fare il bagno.
 

Il cuoco dell'osteria di Carvahall pianse nella zuppa di cipolle e carote.

Una famiglia urgali scoppiò inspiegabilmente in lacrime durante il compleanno del figlio minore.

In tutte le città uomini, donne, bambini, nani, urgali, stregoni, pastori, mugnai, nobili e mercanti sentirono una stretta gelida attorno al cuore e calde lacrime sul viso.

 

Mentre tutto ciò accadeva nell'intera Alagaesia, Arya correva e correva finché non raggiunse il grande giardino del palazzo ricoperto di neve.
Volse gli occhi al cielo, in cerca di una sagoma familiare stagliarsi contro le nubi lattiginose, presagi di neve.

Poco dopo un forte spostamento d'aria alle sue spalle la fece voltare ed eccolo il suo Fìrnen. L'immensa bestia smeraldina atterrò sulle possenti zampe davanti al suo cavaliere, a sua sorella, alla sua stessa anima nel corpo di un elfa e la guardò negli occhi.

 

Il momento era giunto.

 

Arya si concentrò congiungendo le mani e sentì la magia scorrere dentro di sé: formulò un incantesimo con un messaggio diretto a tutto il suo popolo, che ogni elfo avrebbe e ogni amico della sua stirpe avrebbe sentito come un sussurro nella propria mente. Un messaggio di arrivederci, che augurava felicità e speranza e prometteva di lasciarli in buone mani sotto la guida di Lumnarì fino all'elezione di un nuovo regnante.

Si tolse il cerchio d'argento decorato di giada che aveva sul capo e lo adagiò sull'erba ghiacciata. Quando la sua corona toccò terra brillò di una luce accecante, poi iniziò a cambiare forma; prese a stirarsi, allungarsi, crescere come animata da vita propria fino a diventare un albero dalla corteccia d'argento, ricoperto di foglie brillanti di giada e smeraldo. Era meraviglioso l'ultimo regalo della regina alla propria terra.

Infine Arya, solo Arya, salì sulla schiena del suo drago. Accarezzò le scaglie sottili sul suo collo e appoggiò la fronte su di esse, abbracciandolo come se la sua stessa vita dipendesse da quel gesto.

 

Partiamo, sussurrò.

 

Si librarono in cielo e puntarono in direzione del sorgere del sole, pronti per un lungo viaggio che desideravano da sempre.








N/A

Ciao a tutti, grazie per aver letto questa storia!! :)  Come accennato nell'introduzione fa parte di una trilogia di One shots, ma può essere letta in modo indipendente. La terza storia tratterà del fatidico incontro tra Eragon e Arya dopo più di cento anni di lontananza, spero di riuscire a pubblicarla presto! Se qualcuno volesse lasciare le proprie impressioni ne sarei immensamente felice! A presto,
T
 

  
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