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Autore: esmoi_pride    02/04/2018    0 recensioni
Il Gran Regno di Saab è stato rifondato dalle sue antiche rovine, e adora il dio Saab. L'Imperatore scelto dal Dio ha accolto i reietti della società e li ha resi il popolo della città. Ma adesso i signori rivogliono indietro i loro schiavi e creano un'Alleanza, formata dalle sette città più importanti della regione, per annientare il loro piccolo avversario. Quella che scoppierà sarà una lotta tra gli uomini... e qualcosa di ben più grande di loro. | Storia fantasy. Cosa c'è dentro: guerra, drow, omosessualità latente, dettagli truculenti, drow, omosessualità sfacciata, morte, drow, slash, comandanti bboni, ho già detto drow?, pseudoincesto, scoperte molto boh, qualche umano, poteri psionici/cineti, una minoranza di altre razze, cose improvvisamente sci-fi ve lo ggiuro, e... drow, principalmente.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Saab'
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Saab: Down to Earth
Capitolo 10 –  V'Yvmørå ðutzøløtÿ*
*l’ultimo sacrificio
 
 
 

 

 
 
 


 
“Cari lettori,
Se avete scelto questo tomo dev’essere perché, come tanti altri hystsiani, siete rimasti affascinati dai misteri del nostro mondo.
La scienza, l’ingegneria e la filosofia ci aiutano a comprendere meglio ciò che ci è attorno dal momento in cui esse si sono sviluppate, e hanno scacciato le ombre di ciò che non conoscevamo. Eppure ci sono fenomeni ed eventi che nessuna delle tre discipline può spiegare.
 
Uno di questi fenomeni è la Catastrofe o altrimenti detto il Sotto e il Sopra.
 
Manifestatosi più di quattromila anni fa, si tratta di un evento di cui non è possibile ottenere documentazioni dettagliate per via della deteriorabilità delle testimonianze e dell’inferiore grado di civiltà di quei tempi, ma il poco che è stato recuperato prima di questo periodo dipinge il mondo come un luogo florido e pacifico prima della Catastrofe. Maremoti, terremoti, eruzioni vulcaniche e trombe d’aria erano dei fenomeni naturali particolarmente rari, che si verificavano peraltro solo in determinate e previste zone del nostro continente.
 
La Catastrofe avvenne all’improvviso. Sui diari di bordo delle navi e nei registri amministrativi dei regni, prima del giorno della Catastrofe, qualsiasi fosse il calendario di riferimento, non era stata registrata nessuna anomalia. Da un momento all’altro, le energie del mondo esplosero. Il mare invase interi territori, distruggendo ciò che era stato creato e rendendolo ciò che vediamo oggi. I venti spazzarono via i regni degli uomini, spingendoli a cercare metodi più efficaci per la costruzione dei loro rifugi. La terra tremò così che dovessero ricostruire ogni volta, senza lasciare loro un momento di tregua, e rompendosi faceva dilagare il magma dalla superficie del mondo, bruciando raccolti, foreste, vite.
 
[…] La Catastrofe si ritirò dalle vite dei nostri antenati trecentocinquanta anni fa, così come era giunta: un giorno, senza preavviso. I mari erano di nuovo piatti e navigabili, la terra solida e immobile, il vento piacevole, i vulcani dormienti. Ad oggi ancora non abbiamo spiegazioni scientifiche sul fenomeno che ha sconvolto questa terra e gli altri continenti, e alcuni di noi temono in un ritorno di quei momenti bui. Forgiati dagli insegnamenti di tempi più duri, siamo abituati a vivere pronti per la prossima Catastrofe ma, intanto, ci godiamo quello che i nostri avi avrebbero voluto godersi e lo facciamo anche per loro. Ce lo godiamo, questo mondo.”
 

 
Reveel Ma’hasu, “il Sotto e il Sopra”, d.h. 350
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
Vilya e So’o osservarono davanti ai loro piedi il pavimento di pietra della stanza.
 
“Devono aver chiuso l’accesso.”
“Mh,” So’o annuì. Si accovacciò per esaminare la pietra, premendo i polpastrelli delle dita abbronzate sulla superficie fredda e liscia.
Vilya spostò gli occhi su So’o.
“Riusciresti a… ad aprirla?”
So’o alzò il viso e incrociò lo sguardo del fratello maggiore.
Si alzò.
“Fatti indietro.”
Insieme al drow, So’o indietreggiò di un paio di passi e puntò lo sguardo in un punto del pavimento. Chiuse piano i pugni. Inspirò, sollevando petto e spalle. Sgranò gli occhi. Il respiro uscì dalle narici, rilassando di nuovo il suo corpo.
 
Un lembo di pietra si piegò, modellandosi morbidamente come miele. Si sollevò in una elastica goccia di materia fusa, poi si appiattì nuovamente a terra e si espanse dal proprio centro, fino a spalmarsi allo stremo, creando un sottile cratere. Dal punto centrale iniziò a dilatarsi il resto della pietra. Il cratere si espanse man mano che la pietra si scioglieva e si dilatava. Quando So’o si fermò, la scala di pietra che Vilya e So’o avevano sceso la prima volta si stagliò davanti a loro.
 
Il mezzodrow aveva sviluppato un respiro affannato. La mano sinistra cercò il fratello maggiore e gli afferrò l’avambraccio per tenersi. Vilya ridusse le distanze con il biondo e infranse una mano tra i suoi capelli, in una carezza.
 
“Stai bene?”
“Sì,” sospirò So’o, “ho fatto di peggio.”
“Va bene. Andiamo.”
 
I fratelli scesero le scale. La stanza era più pulita di come l’avevano lasciata. Dalla luce della stanza superiore si intravedeva un pavimento liscio, privo delle macerie che prima lo sporcavano. Gran parte dello spazio era nascosto dal buio: l’unica luce nella stanza era un fioco bagliore giallo nel mezzo del buio.
 
So’o si fermò a metà delle scale e protese una mano verso un lato della stanza, indicando la parete di sinistra con l’indice. Dal punto che stava indicando e che fissava con concentrazione partì un baluginio. Si creò dal nulla una luce che si irradiò, rivelando adesso, ai due ragazzi, una sagoma mastodontica.
 
La luce drammatica segnava un’ombra affilata lì dove non poteva colpire le forme di Saab, inasprendo i tratti della faccia mostruosa. Era bianco, marmoreo, e immobile, se non per le appendici evanescenti che si muovevano sul suo capo, come se fossero immerse in acqua, delle sorta di corna o di pinne. Una seconda luce sulla parete opposta ammorbidì le ombre sul suo volto e scacciò gran parte del buio.
 
I due proseguirono la discesa e mossero gli ultimi passi verso Saab. Si fermarono davanti a lui, osservandolo. Vilya cercò la mano di So’o e intrecciò le dita alle sue.
 
Delle otto lunghe zampe sottili dell’alieno, una si mosse in avanti verso i ragazzi e si fermò al fianco destro di So’o, a poca distanza dal suo corpo.
 
“Cosa vi porta qui, bambini miei?”
“Io non sono tuo,” obiettò Vilya contrariato.
“Vogliamo farti delle domande,” rispose So’o trattenendo lo sguardo nelle fessure sulla testa dell’alieno.
La creatura rimase immobile per dei secondi, poi il collo indietreggiò e Saab si smosse del tutto, smuovendosi dalla sua posizione. L’aria vibrò partendo dal suo corpo, in un’onda che fece rabbrividire Vilya.
 
“Che tipo di domande?”
So’o guardò il fratello maggiore. Vilya incrociò il suo sguardo, poi insistette guardando Saab.
“Qual è il tuo piano?”
Saab si prese ancora il suo tempo. Quando rispose, la voce che echeggiò nelle teste dei due e lungo le pareti li fece quasi sussultare.
 
“È un piano molto grande, iniziato cinquemila anni fa. Sapete, io… mi sentivo solo.”
Vilya inasprì il viso per la confusione.
So’o sbatté le palpebre, sorpreso.
“Non ci sono altri come te?”
“No, non vicini almeno… secondo il mio concetto di vicino, che per voi, conoscendo le creature di questo mondo, è più lontano di quanto possiate immaginare. Sono arrivato dove altri non sono mai stati. Avventuroso, sì. Ma... solitario. Sono l'unico di me stesso, non è un po' triste?”
So’o rilassò le spalle, perdendo lo sguardo in un punto impreciso.
“Continua,” lo esortò Vilya.
Saab si smosse, allontanando le zampe dai ragazzi. Alzò il busto, restando giù con l’addome.
“Cinquemila anni fa, decisi di... creare qualcosa di mio. Una minoranza di drow si ribellava alle regole della loro società. Io diedi loro la possibilità di fare qualcosa di diverso, insieme. Costruimmo un luogo, una casa tutta nostra, un nuovo posto per noi, e i drow ebbero dei figli da me.”
Vilya rabbrividì e si espresse con una smorfia di disgusto.
“… in che senso,” sospirò So’o in un fil di voce.
La risata dell’alieno risuonò nella sala.
“Ve lo spiegherò più tardi.”
La sua voce riprese serietà.
“I loro figli alzarono in piedi il mio regno. ‘Fajjar Saeb’, il Regno di Saab. Questi incroci di drow con il mio sangue diede loro delle potenzialità che non avevo previsto. Erano capaci di regolare la mente delle persone, e attingevano dall'energia di questo mondo per qualsiasi cosa. La mettevano nel cibo, negli oggetti che facevano, la scambiavano tra loro. Erano... creature di energia. Di luce.”
Vilya e So’o si scambiarono uno sguardo sorpreso, prima di tornare a scrutare il viso inespressivo dell’alieno.
“E…”, biascicò So’o. Vilya finì la frase.
“E poi?”
“E poi finì tutto, come già sapete.”
Saab sospirò nel dirlo, smuovendo nuovamente la postura del corpo. Si avvicinò ai ragazzi con il busto, abbassando la testa.
“Lolth non era contenta di ciò che avevo fatto alle sue creature. Si vendicò, in un modo che potesse danneggiarmi. In un modo che distrusse tutto ciò che avevo.”
So’o e Vilya scrutavano nelle sei fessure sul suo muso, catturati. Saab proseguì.
“Usò i suoi incantesimi di necromanzia più proibiti. Quando poi io rimasi l'unico sopravvissuto, strappò con l'inganno l'organo che mi tiene vivo.”
Al centro dell’addome, il bagliore giallo che illuminava fiocamente la stanza si intensificò, lampeggiando un paio di volte.
“Lo usò per manipolare il mondo. Fu allora che iniziò il Sotto e il Sopra, che presero piede le catastrofi naturali. Lolth voleva il caos, ma non sapeva usare questo strumento. Ciò che fece fu misero in confronto a quanto avrebbe potuto fare. Ma prima che mi rubasse la vita, avevo fatto in modo che qualcuno lo ritrovasse per me, prima o poi. E fu così. Un ladro lo rubò ai drow delle gallerie e lo rimise al suo posto. Da allora, il mondo si calmò e io tornai a essere vivo. Progettai con calma il mio nuovo piano.”
 
“Quello… di adesso, intendi,” precisò So’o, guardando l’alieno.
Vilya seguì.
“Convincere mio padre a rifondare la città… dargli il potere necessario per farlo… portare qui le tue cavie e costruirci un regno. Erano queste le tue intenzioni?”
“Sì, ma non le avrei chiamate cavie…”
Fu interrotto da Vilya.
“Certo, perché sei un liberatore,” ringhiò il drow.
So’o scrutò, apprensivo, il fratello maggiore.
“Devi sentirti proprio una brava pers… un bravo… coso! Abbiamo bisogno di te, altrimenti come facciamo?”, proseguì feroce.
“Preferisco il termine ‘creatura’”, lo intimò buffamente l’alieno.
 
Vilya sbuffò dalle narici, trattenendo gli occhi sulla testa dell’essere. Saab proseguì.
“Una volta integro, intendevo provarci di nuovo. Volevo un popolo che fosse mio, dopotutto, ed ero affascinato dalle creature di questo mondo, e ancora di più dalle potenzialità che avevano mostrato incrociandosi con il mio sangue.”
 
So’o avanzò di un passo verso Saab. La luce nei suoi occhi tremolava flebilmente.
“Come incrociavi il vostro sangue?”, fremette la sua voce. Saab replicò imperturbato.
“Loro lo chiamavano rito, ma si trattava in realtà di un procedimento abbastanza semplice. Avevo bisogno del loro sangue, e di un oggetto che contenesse una buona parte della materia necessaria. Usavamo un sasso. Lo manipolavo a mio piacimento e gli davo la mia energia, così che prendesse vita e avesse, nel sangue dei suoi genitori, anche il mio.”
 
Vilya sgranò gli occhi e spalancò la bocca.
“Creavi persone dai sassi?”, esclamò allibito.
“Anche io sono stato creato così?”, chiese So’o con voce più alta, irrequieto.
“Sì, So’o,” confermò Saab, puntando le sei fessure del muso verso di lui, “eri un sasso carinissimo, appena nato.”
Gli occhi sgranati di So’o scivolarono lentamente via dal viso dell’alieno, verso il suo corpo, perdendosi in un punto impreciso. La fronte era contratta in un’espressione sgomenta, perso.
Vilya lo osservò. Apprensivo, strinse più forte la sua mano prima di abbandonarla. Mettendosi dietro di lui gli cinse i fianchi e lo premette a sé, accarezzandogli la pancia.
“Non sono sicuro che avrei voluto veramente saperlo,” sussurrò smarrito il mezzodrow, voltandosi verso Vilya e dando le spalle a Saab. Nascose la faccia contro il petto del drow che portò una mano alla sua nuca e accompagnò il movimento, dolcemente.
 
“Mi dispiace, ragazzi. Sto solo rispondendo alle vostre domande,” disse Saab, “possiamo smettere quando volete.”
Vilya alzò lo sguardo verso la creatura, determinato.
“No, andiamo avanti. Devi finire di raccontarci.”
So’o si rilassò contro il corpo del fratello maggiore, mentre Saab proseguiva.
“Lolth è una dea astuta, ma aveva fatto un errore. Gli incantesimi di necromanzia che aveva usato per sterminare la mia gente le erano stati richiesti da una sua discepola, per realizzare il volere di Lolth in superficie. Lolth si fidò di lei e cristallizzò le sue conoscenze in un libro, il Necronomicon. Lolth è una divinità… e va oltre tutto ciò che posso manipolare. Lei non è in mio potere. Ma gli uomini sì, e così feci in modo che il Necronomicon arrivasse tra le mani di vostro padre. Rubai la chiave segreta per il tomo nella mente della discepola e gliela feci dimenticare, per darla ad Azul quando sarebbe stato il momento.”
 
“Il potere che ha nostro padre, quindi, è lo stesso che ha raso al suolo il regno quattromila anni fa?”, chiese Vilya, confuso.
“Esattamente.”
“Questo è oscuro,” commentò So’o, socchiudendo gli occhi in un’espressione incupita.
Vilya chinò il capo verso la sua nuca bionda e posò una nuova carezza sul capo del fratello minore.
“E per ottenerlo ha dovuto sacrificare molto,” disse Saab, “ma se non fosse stato così, oggi nessuno nel regno potrebbe probabilmente dirsi vivo.”
“È questo, dunque? quello che stai facendo...”
Vilya scrutò l’alieno.
“Vuoi solo... compagnia?”
“Un luogo, una famiglia. Qualcuno o qualcosa a cui appartenere, sì. Voglio fare questo.”
Saab si sistemò nel suo piccolo spazio, ora statuario, nella posizione in cui l’avevano trovato.
“Non è quello che vogliono tutti, alla fine?”, chiese, con una nota ridente nel tono.
 
“Non sembra,” mormorò So’o a bassa voce, lasciando che il suo sguardo si perdesse nella sala.
Il Principe si scostò da Vilya per rivolgersi verso Saab e scrutarlo.
“Con il tuo potere, Lolth ha scatenato il caos in questo mondo. Tu, invece, l’hai usato per donare una nuova vita.”
Fece un passo verso l’alieno.
“Ma il potere di Lolth, invece, può essere usato solo per fare del male. Capovolge le leggi di questo mondo, porta morte e nient’altro. Non possiamo usare il suo stesso strumento per renderci liberi.”
Saab chinò il capo, così da puntarlo dritto verso di lui.
“Ed è per questo che tu sei qui, So’o.”
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
“Non capisco perché tu ci stia mettendo così tanto,” borbottò spazientito Vilya, seguendo Wolfspirit lungo i corridoi chiusi del Palazzo.
Il mannaro guardava altrove, lungo le pareti illuminate da graziosi fuochi fatui.
“È complicato, Vilya, non posso presentarmi all’improvviso. Ci vuole il momento giusto…”
Il drow sospirò.
“Non sarà mai il momento giusto, Wolfspirit.”
“Puoi chiamarmi anche Lupo Sabbia.”
“Non era Lupo di Neve?”, chiese confuso il ragazzo.
Wolfspirit rise.
“Sì, ma era un nome finto. Non potevo darvi il mio vero nome, no?”
“Neanche Lupo Sabbia è il tuo vero nome!”, obiettò Vilya.
“No, ma è come mi conosce tuo padre.”
“Lupo Sabbia? Lupo di Sabbia? Sei fatto di sabbia?”, Vilya pizzicò il bicipite definito del mannaro, provocandogli una risata allegra.
“Non è per questo! Sono nato nel deserto, sai?”
“Cavolo, che storia,” Vilya inarcò le sopracciglia, “dal deserto, ai ghiacciai… fino a qui. Devi aver visto tante cose.”
 
“Stai iniziando a parlare da solo, Vilya? Devo chiamare qualcuno?”
 
Wolfspirit sbarrò le palpebre e si fermò sul posto, interrompendo il cammino.
Vilya, pietrificato, si voltò lentamente, rigido, per vedere Azul fermo davanti a lui.
 
“O è solo l’inizio di un lento processo di degrado cerebrale causato da tutte le sostanze di dubbia provenienza che ti sei calato negli ultimi decenni?”
Azul gli rivolse un sorriso mellifluo, socchiudendo gli occhi gialli in due lunette ridenti.
Indossava degli abiti sobri; i lunghi capelli grigi ricadevano morbidamente su di una vestaglia aperta sul davanti e legata alla vita con una cintura di stoffa. Davanti si intravedevano una maglia e dei pantaloni calzanti, infilati in un paio di stivali. Una sottile collana d’oro era poggiata sul suo petto, e una serie di piccoli orecchini dorati gli tempestavano le orecchie appuntite.
 
Vilya scoppiò in una risata isterica.
“Dev’essere la seconda…”, concordò nervosamente.
Il padre trattenne gli occhi su di lui. Le luci dei fuochi fatui si riflettevano sul giallo delle sue iridi, facendole luccicare come due monetine. Le labbra piene si erano rilassate, ma mantenevano il disegno di un sorriso deliziato. Avanzò verso di lui senza fretta. Wolfspirit si voltò e indietreggiò cauto, muovendosi con passo felpato. Le orecchie di Azul fremettero quasi impercettibilmente, senza che il drow si distraesse dal figlio.
“O forse è Saab, ti ha incasinato la testa, lo sapevo che quello stronzo voleva renderti un demente.”
“Ma non sono demente, papà,” rise di nuovo Vilya, mentre iniziava a sudare freddo. Azul protese una mano verso l’altro e gli aggiustò premurosamente una ciocca di capelli mori dietro l’orecchio.
“Almeno sei ancora carino. Ecco,” disse, ritirando di nuovo la mano.
Dopo avergli dedicato un’ultima occhiata orgogliosa, Azul si voltò e si incamminò dalla parte opposta.
 
Vilya lo guardò allontanarsi, ansioso. Fissò Wolfspirit. Il mannaro incrociò i suoi occhi, nel panico. Scosse energicamente la testa, ma il drow puntò il padre e camminò verso di lui.
“Papà! Aspetta…”
Azul si fermò e si voltò per guardare il figlio, interrogativo.
“Volevo chiederti di una cosa di cui mi parlasti tempo fa.”
Lui attese pazientemente. Vilya scrutò nei suoi occhi e prese un respiro. Wolfspirit poggiò una mano alla parete per reggersi.
 
“Quando eravamo in ciurma, una notte mi parlasti di una persona. Di Wolfspirit.”
 
L’espressione di Azul si capovolse. Il calore degli occhi luccicanti si spense, trasmettendo freddezza. L’uomo raggelò, osservando Vilya con sguardo distante.
Vilya scrutò nei suoi occhi. Avanzò di un passo verso il padre.
“Ricordi quella notte?”
Azul abbassò lo sguardo agli stivali del figlio.
“Non voglio parlarne.”
Si voltò. Vilya si protese verso di lui e gli afferrò il braccio, fermandolo.
“Papà, ti prego.”
Azul restituì lo sguardo dell’altro con un veemente voltare del capo, fulminandolo.
“Dovevi fingere che non te l’avessi mai detto, forse non ci sei arrivato,” scrollò il braccio. Vilya lo liberò. “Rispetta la mia scelta e non insistere.”
“E se non fosse come pensi?”
Vilya sovrastò il padre, affrontò il suo sguardo ormai adirato. Proseguì imperterrito.
“E se ti sbagliassi? Non sarebbe la prima volta. Papà, pensaci…”
 
Azul rabbrividì. Le labbra e lo sguardo fremettero. In uno scatto le sue mani afferrarono la maglia color sabbia di Vilya per il colletto e la strinsero in una morsa convulsa che gli fece sbiancare le nocche. In pochi passi lo spinse contro la parete e poi lo tirò a sé, sbuffandogli ferocemente aria sul mento dalle narici.
 
“Quella persona è morta. L’uomo che amavo… è morto,” gli scandì in un mormorio a denti digrignati, su una voce tremolante di furia. Lo sguardo si inumidì. “E non tornerà indietro.” Scosse piano il capo, senza perdere contatto con gli occhi del figlio. “L’ho visto morto. Ho visto fallire il rito che l’avrebbe riportato indietro. La morte l’ha preso, e io non potevo riscattarlo. Questo è abbastanza per me. Abbastanza per non dimenticarlo mai più. Non sai cosa vuol dire, Vilya… vuol dire che me ne sono dovuto andare da lì. Vuol dire che ho abbandonato le persone a cui volevo bene perché mi ricordavano lui, e ho perso tutto ciò che avevo.”
 
Azul serrò le labbra. Gli occhi umidi gli bagnarono le ciglia.
Le sue mani sciolsero la presa sul colletto di Vilya, abbassandosi di nuovo ai fianchi. Il figlio si perse negli occhi del padre. Chiuse la bocca e contrasse la faccia con determinazione.
“Ma forse ci sono altri modi. Modi che non conosci, se funzionassero… tu lo rivorresti indietro, vero?”
Azul deglutì rumorosamente. Strizzò gli occhi e lasciò che le lacrime cadessero sulle sue guance, chinando esausto il capo.
“Non dovresti lasciarlo andare,” insisté Vilya, “lui non l’avrebbe mai fatto, sarebbe sceso anche nel piano degli spiriti…”
“Smettila, Vilya!”, urlò il più grande, in un pianto. Alzò il viso verso il figlio, trattenendo i singhiozzi a denti stretti. “Non c’è un altro modo. Non c’è.” Socchiuse gli occhi. Iniettò uno sguardo di puro dolore negli occhi di Vilya. Il moro zittì e Azul indietreggiò.
 
“Lui era forte, e anche io lo ero per lui. Ma c’era qualcosa più grande di noi. E questo non potevamo cambiarlo.”
Il drow tirò su con il naso. Si strofinò il dorso sulla guancia, asciugando una lacrima, prima di rialzare il viso verso Vilya. Ora più calmo, trattenendo la tristezza negli occhi.
“Non intendo tormentare il riposo di quel ragazzo. L’ultimo espediente è la magia nera. Ma la magia nera, Vilya… quella non ha niente a che fare con l’amore.”
 
Il drow abbassò lo sguardo, si asciugò le ultime lacrime e si voltò, incamminandosi lontano da loro.
 
Vilya voltò il capo verso Wolfspirit, che lo aveva raggiunto.
“Dovevi rivelarti, era il tuo momento!”
“Non ce l’ho fatta,” ammise Wolfspirit. Specchiò gli occhi lucidi in quelli del drow. “Stava soffrendo troppo.”
Vilya esalò un sospiro esasperato. Si voltò verso il mannaro. Lo afferrò per le ampie spalle, guardandolo dal basso.
“Wolf, stava soffrendo perché tu gli manchi. Perché vorrebbe tanto che tu fossi qui e crede che non sia possibile. Se vuoi che sia felice, che sia davvero felice… vai da lui. Adesso.”
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
Wolfspirit seguì Azul oltre il corridoio, sbucando nel chiostro. Si fermò dopo la porta per guardarlo allontanarsi. Prese un respiro che gli sollevò il petto, contraendo la fronte, combattuto.
“Devo andare,” sussurrò. “Adesso.”
Per un istante un riflesso rimbalzò attorno al mannaro, come se avesse colpito una sfera invisibile. Il riflesso svanì subito dopo. Wolfspirit avanzò verso Azul, prendendo velocità.
 
 
“Azul, ci sono novità.”
 
Wolfspirit sgranò gli occhi interdetto. Si fermò in mezzo al giardino.
 
Quella voce apparteneva a Valentino. Il Consigliere raggiunse Azul con passo accelerato, fermandosi davanti all’Imperatore. Azul si voltò verso di lui, studiando l’espressione tesa del mezzelfo. Valentino intercettò lo sguardo dell’Imperatore.
 
Il riflesso rimbalzò di nuovo sulla sfera invisibile che ora proteggeva di nuovo Wolfspirit, mentre il mannaro indietreggiava di un passo, titubante.
 
“Niente di rassicurante,” gli mormorò. “I Serpenti registrano dei movimenti sospetti, è come se i funzionari avversari avessero paura di qualcosa. Qualcosa che non siamo noi.”
Azul sbatté le palpebre, perplesso. Wolfspirit scrutò attentamente Valentino.
“In che senso? Dopotutto gli abbiamo dato validi motivi per avere paura di noi, non dovrebbe essere insolito.”
Valentino scosse il capo.
“È troppo presto perché si preoccupino delle nostre manovre. Si tratta di qualcos’altro, e sospetto che non sarà molto diverso da ciò che è successo l’ultima volta.”
Azul scrutò turbato il biondo. Posò una mano sul braccio del ragazzo.
“Mantieni la tua freddezza, Val. Non è questo il luogo, ne parleremo più tardi a un Consiglio.”
Valentino sospirò.
“Sono irrequieto perché loro sono imprevedibili, Azul. Non ci aspettavamo l’esplosione nei sotterranei. Non sappiamo cosa sono capaci di fare. Potrebbero essere qui adesso, potrebbero essere già in azione.”
 
Wolfspirit tese le labbra ed emise un ringhio minaccioso. Le orecchie appuntite del drow si drizzarono, al rumore. Azul piantò fulmineo gli occhi su di lui. Il mannaro si paralizzò e gli si mozzò il respiro. Azul scrutò attentamente in sua direzione, allarmato, quasi senza più respirare.
“Azul.”
Valentino premette una mano sulla sua.
Azul si voltò smarrito, e osservò gli occhi azzurri del Consigliere, che lo puntavano determinati.
 
 
Prima che Valentino potesse proseguire, al centro del giardino si materializzò un punto di luce che inizialmente accecò tutti. La luce bluastra, fredda, si espanse fino a formare uno scuro specchio ovoidale. Il Consigliere sussultò ed estrasse subito dopo la staffa da dietro la schiena. Azul sbatté le palpebre, voltandosi verso il portale.
 
Dallo specchio dimensionale emerse un abito lungo e bianco, così come i capelli della donna che vi era avvolta dentro. Le sue labbra si appiattirono in una smorfia di disappunto mentre si osservava attorno, e l’ultima persona che puntò fu Azul.
“Cosa… cosa ci fate qui?”, esclamò Valentino, abbassando la staffa.
Il drow socchiuse gli occhi in uno sguardo velenoso.
“Oh, cara mia, non è proprio giornata…”
Avanzò verso la Signora Bianca. Lingue di fumo scuro iniziarono ad avviluppare la figura dell’Imperatore.
 
La donna protese la mano verso un punto del Palazzo e pronunciò una formula magica. Una nuova luce fredda invase la sua mano, e il momento dopo, un grosso tomo nero era nelle sue mani.
Mentre Azul sgranava gli occhi, le lingue di fumo attorno a lui svanirono nel nulla.
“Questo è mio,” disse la Signora Bianca con voce roca, sfidando l’altro con lo sguardo.
Le sue labbra si piegarono in un sorriso velenoso.
 
Azul scattò verso di lei.
“Azul, no!”, esclamò Valentino, protendendo la staffa verso la Signora Bianca.
La donna lanciò un controincantesimo. Il fiotto di luce che partiva dalla staffa del mezzelfo fu fermato prima di raggiungerla. Azul invece le arrivò davanti e caricò un pugno per abbatterlo sulla faccia della donna. La Signora Bianca gemette voltando il capo, ma protese la mano e afferrò il braccio dell’Imperatore. Azul ringhiò.
 
“Undome!”, chiamò Wolfspirit allarmandosi. L’aura arcana esplose attorno a lui in una rivoluzione turbolenta, irradiando luce rossastra.
“Cosa… sta…”
Azul voltò il capo verso di lui, prima che la voce della donna gli urtasse le orecchie.
 “Tu verrai con me!”
 
Azul incrociò lo sguardo della Signora Bianca, confuso, e strattonò in un ringhio quando lei lo spinse verso il portale. Poco più lontano, la terra ai piedi dello stregone iniziò a incendiarsi. Centimetro dopo centimetro, un fuoco arancione prese a divorare la terra.
 
Dalla mano di lei un’altra luce bluastra avvolse il corpo dell’Imperatore. Azul emise uno stento. Fremette, senza più muoversi. La donna dischiuse le labbra in un ghigno.
 
L’urlo di Wolfspirit fu coperto dal divampare ruggente del fuoco. La sfera invisibile che lo proteggeva si infranse. Il mannaro era ora invaso dallo stesso incendio che aveva scatenato. Imesah sbucò dal porticato solo per cadere insieme a Valentino, scagliati via dal boato della combustione.
 
Azul cadde gemente ai piedi della donna. In uno stento lei protese la mano verso Wolfspirit, e una grossa sfera di luce si creò separando loro due dallo stregone e tenendo fuori l’incendio che divampava. Lei si chinò e afferrò di nuovo il braccio del drow.
 
Imesah e Valentino si coprivano il viso con le braccia, proni a terra. Quando si rialzarono Imesah cercò il mezzelfo.
“Che diavolo sta succedendo?”, urlò il Cavaliere, cercando di sovrastare il frastuono.
“Non lo so!”, esclamò Valentino mentre si rialzava frettolosamente, “allontanati!”
In una corsa affiatata riuscì a ripararsi sotto il porticato e inciampò dietro al muretto. Imesah lo raggiunse in tempo perché la barriera di pietra lo proteggesse da un nuovo boato. Il fuoco aveva raggiunto le colonne. Il mezzelfo alzò lo sguardo verso di esse. La pietra iniziò a squagliarsi.
 
La barriera di luce veniva divorata velocemente dalle fiamme. Partendo dalla sommità e dal terreno, si squagliava sotto le lingue di fuoco. La Signora Bianca imprecò e protese nuovamente la mano. La barriera si rigenerò solo per venire consumata ancora più velocemente. La donna gemette, affaticata.
 
Azul scrutò la donna ansante. Contrasse la faccia in una smorfia e spinse via la donna, liberandosi della sua presa. La Signora Bianca gemette ma afferrò il drow per il colletto, costringendolo ad alzarsi da terra. Azul la afferrò per gli avambracci, cercando di spingerla via. Lei insistette e scostò la mano per afferrare la gola dell’Imperatore. Azul premette gli occhi e boccheggiò, afferrò convulsamente la stoffa delle sue maniche e tirò, strappando una di esse. La stoffa dell’abito cadde sull’erba ancora integra.
 
La barriera si esaurì. Come Wolfspirit avanzò il fuoco prese piede, raggiungendo la Signora Bianca e il suo ostaggio. La donna gemette e distese il palmo libero. Da esso partì un nuovo fiotto di luce. Lei cadde in ginocchio e fece cadere Azul con sé. La barriera si rigenerò, più debole di prima, a un paio di metri da loro.
 
“Questo posto sta per fondersi!”, esclamò Valentino, “andiamocene, Imesah!”
Il mezzelfo indietreggiò e si nascose dietro un arco.
“Azul è là in mezzo!”, insistette il rosso. Cercò gli occhi azzurri del Consigliere. “Estingui le fiamme!”
“Non posso!”, il mezzelfo scosse il capo nell’incrociare gli occhi dell’altro, “qualsiasi cosa sia, sta contrastando la strega! Sta proteggendo Azul!”
Imesah sbatté le palpebre, confuso.
 
La Signora Bianca alzò il viso e puntò gli occhi frementi in quelli del drow, tenendolo per il collo.
“Il tuo stregone non riuscirà a salvarti!”, ringhiò.
Azul scrutò negli occhi della donna, smarrito.
“… stregone?”, sussurrò in un fil di voce. Alzò il capo sopra le loro teste, dove in pochi secondi la barriera venne consumata dalle fiamme. Voltò il capo verso la fonte. Una grossa sagoma sembrava essere al centro dell’incendio.
 
Un sospiro esaurì l’aria nei polmoni del drow. Azul sollevò il petto per prendere un respiro più intenso, a occhi sgranati. Le sue labbra si schiusero senza pronunciare suono. Protese la mano verso di lui, a palmo aperto, in un disperato tentativo.
La Signora Bianca lo spinse debolmente dalla parte opposta. Azul si voltò verso di lei e le mollò un gancio sulla faccia, facendola cadere a terra. Il drow gemette, il suo corpo tremante si alzò da terra e corse verso la barriera che si stava consumando, inciampando un paio di volte nell’erba prima di rialzarsi con veemenza.
 
La barriera svanì.
Il fuoco lo avvolgeva.
La sagoma si avvicinava, man mano più consistente.
 
Azul rallentò. Il suo corpo smise di obbedirgli, improvvisamente paralizzato, a un passo dalle fiamme.
Urlò e cercò, invano, di opporsi alla paralisi.
La barriera si ricompose di nuovo.
Il suo corpo venne spinto all’indietro.
Contrasse la faccia in una maschera di rabbia e dolore, lanciando un grido infuriato.
 
“Undome!”
L’urlo di Wolfspirit arrivò ora limpido alle orecchie del drow.
Sgranò gli occhi che divennero lucidi. La bocca si spalancò. Un nodo in gola gli impedì di tirare fuori il fiato finché non si fece scappare un gemito. Gettò il capo all’indietro mentre il suo corpo veniva attirato dalla Signora Bianca e stringendo i pugni emise un ultimo urlo.
 
Cadde a terra. L’ultima barriera si esaurì. La donna era accanto a lui, a terra, tremante. Si reggeva a stento. Alzò il viso per lanciare uno sguardo allarmato verso Wolfspirit. Azul puntò le mani a terra e tese le braccia, poi le gambe. Si alzò di nuovo. La donna lo imitò. Lo raggiunse per afferrargli i capelli, provocandogli un guaito. Azul le afferrò il vestito, cercando di spingerla via. La Signora Bianca lo sovrastò e lo fece indietreggiare, premendolo contro il portale. La luce bluastra baluginò sulla pelle del drow e lo paralizzò di nuovo. Davanti a lui, nascosto dalla figura della donna, Wolfspirit correva verso di loro. La donna lo spinse e Azul cadde all’indietro, svanendo nel portale.
 
“No!”, urlò il mannaro.
Il fuoco investì la donna in pieno. In un grido di dolore, la Signora Bianca si gettò nel portale.
Prima che Wolfspirit lo lambisse, questo si chiuse a un passo dal suo naso.
 
 
Quando il fuoco svanì, il giardino era in cenere. Lo stesso porticato era stato divorato dalle fiamme.
L’aura del mannaro divampava ancora, fulgida, attorno a lui in un’esplosione di energia. Wolfspirit, ansante, sollevava e abbassava senza sosta l’ampio petto e le spalle, osservando il punto in cui il portale era svanito con uno sguardo smarrito.
 
Valentino e Imesah sbucarono dall’arco, in parte squagliato dal fuoco arcano, e scrutarono l’uomo fermo nel giardino ormai in macerie.
 
Wolfspirit esalò un sospiro affranto.
“Troppo tardi,” mormorò. “È sempre… troppo tardi.”
 
Abbassò lo sguardo a terra.
“Per noi due. Non ho saputo raggiungerti neanche adesso, a un passo da te.”
 
Sbatté le palpebre. Sgranò piano gli occhi.
Avanzò di poco prima di accovacciarsi.
 
Protese la mano e prese qualcosa dall’erba, portandolo a sé ed esaminandolo. Era un breve straccio di abito, ingrigito dalle fiamme arcane. Lo rigirò, scrutandolo. I polpastrelli della mano si illuminarono di un curioso bagliore azzurrino.
 
“Ma stavolta non ti lascerò andare, amore mio.”
 
L’attimo dopo, un portale si materializzò davanti a lui. Il mannaro dalla pelle abbronzata si alzò in piedi e attraversò il portale, che svanì poco dopo, dietro di lui.
 
 
 
Vilya, davanti alla porta del corridoio, osservò la scena con occhi spalancati.
“Fuoco,” sussurrò a fil di voce.
 
Imesah avanzò nel giardino carbonizzato e osservò gli spettatori.
Contrasse la fronte in un cipiglio inferocito.
 
“Chi cazzo è quello?”
 
 





 
   
 
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