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Autore: balboa    02/04/2018    1 recensioni
Ciaoooooo :D. Ho immaginato una serata-tipo di Axl in Indiana, quando ancora viveva con i suoi genitori, delle conversazioni che poteva avere, delle sue reazioni, degli atteggiamenti che poteva assumere. In particolare parlo del fatto che dopo aver saltato la scuola per diverso tempo venga costretto a tornare e di come cerchi di non pensare ai suoi problemi. La maggior parte dei fatti narrati sono frutto della fantasia e la storia è narrata in prima persona. BUONA LETTURA!!! :D
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Axl Rose, Izzy Stradlin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TUTTO QUELLO CHE HO SCRITTO È  FRUTTO DELLA FANTASIA, A PARTE ALCUNI DETTAGLI. NON SO COME FOSSE LA VITA DELLE PERSONE DI CUI PARLO. I MIEI INTENTI NON SONO DIFFAMATORI. HO SOLO PROVATO A IMMAGINARE LA LORO VITA, PER PURI SCOPI DI INTRATTENIMENTO PERSONALE. 



Tornai a casa giusto in tempo per cenare con gli altri, stavano già mangiando la frutta quando entrai in cucina. Mio padre mi trucidò con lo sguardo quando mi vide. Lo faceva infuriare che arrivassi in ritardo a cena. Presi posto vicino a Stuart quasi dimenticandomi dei vistosi succhiotti che avevo sul collo. Velocemente ma con discrezione cercai di sistemare i capelli e il colletto della camicia di modo che non si vedessero. Amy era di fronte a me, se ne accorse e spalancò gli occhi, le pestai il piede. Quelle cose erano tabù a casa mia, se mio padre li avesse visti mi avrebbe spellato vivo.
-William hanno chiamato da scuola prima- disse mio padre con una calma sconcertante quando cominciai a mangiare. Quasi mi andò di traverso la minestra ai finocchi, "o merda" pensai "ora sono cazzi". Il sangue mi si era gelato nelle vene, era più di tre settimane che la scuola non la vedevo neanche da lontano. Feci la faccia sorpresa sperando che loro non ne sapessero niente. Mia madre scosse la testa, probabilmente aveva capito che stavo recitando.
-cos'hanno detto?- chiesi continuando a mangiare.
-hanno detto che quest'anno hai fatto talmente tante assenze che se perdi anche solo un altro giorno di scuola dovrai ripetere la terza- disse mio padre continuando a stare calmo io però dentro sentivo che stava ribollendo di rabbia e che sarebbe esploso da un momento all'altro. Lo conoscevo ormai, ero capace di decifrare i suoi gesti, le sue occhiate, i suoi ghigni.
-io gli ho risposto che non era possibile che mio figlio William, responsabile e ubbidiente, marinasse la scuola- disse bevendo un sorso di vino, aveva l'aria di essere una presa in giro. -dimmi, William. A chi devo credere?-
-penso abbiano fatto un errore in segreteria pa'- dissi giocando con le stelline nel piatto, preparandomi alla sua furia micidiale.
-un errore... si certo come no... sei veramente spiritoso- si alzò in piedi ghignando, si slacciò la cinta e mi fece segno di uscire in salotto. Mi alzai e uscii con gli occhi bassi mentre sentivo Amy che singhiozzava e mia madre sparecchiare la tavola anche se io non avevo praticamente mangiato nulla. Mio padre mi spinse da dietro con la sua mano da orso, urlando di muovermi. Da quando ero piccolo mi puniva nel sottoscala. Mi attaccavo alla ringhiera, con le gambe divaricate, e provavo a non piangere. Da piccolo versavo fiumi di lacrime, ogni volta arrivavo quasi a vomitare. Crescendo cercai di non piangere più ma i colpi erano talmente forti che era quasi impossibile. Sbottonai e sfilai la camicia, poi la lanciai sul divano, rimanendo in canottiera. Stavo morendo di freddo. Mi attaccai alla ringhiera e strinsi i pugni cercando di non pensare a niente, cercando di concentrarmi su una canzone dei Queen, mi ripetevo le parole e le note dentro di me. Mi alzò la maglia, scoprendo le croste di sangue rappreso che le cinghiate delle volte precedenti mi avevano lasciato, stavano guarendo ma scottavano lo stesso. Quando cominciò a colpire strinsi gli occhi, mi sentivo una mezzasega, un cretino incapace di difendere se stesso, strinsi ancor più forte i pugni, ero così incazzato. Ogni volta che la cinta colpiva la mia schiena mi veniva da piegarmi sempre di più verso il muro ma nella mia testa mi urlavo che dovevo stare in piedi, dritto, che dovevo resistere a ogni costo. Lo sentivo pregare mentre si scagliava su di me, diceva anche delle frasi in latino, colsi qualche parola e capii che chiedeva a Dio di perdonarmi. A ogni botta la schiena mi faceva sempre più male, mi incurvavo involontariamente, ogni volta mi sembrava di star per svenire, cercavo di non gridare, di sopportare, di non piangere e la testa mi scoppiava. Ad ogni frustata speravo che quella fosse l'ultima, speravo che avessimo quasi finito con quella tortura. Dopo non so quanto con esattezza (a me sembrava fosse passata un'eternità) si fermò e lo sentii riallacciarsi la cinta nei jeans. Riaprii gli occhi, frastornato, rincoglionito al massimo.
-da domani ti accompagno io a scuola, ti porto fin dentro- alzai lo sguardo al cielo ma lui non mi vide -e vedi di studiare o ti gonfio la faccia come un pallone-. Alla fine si allontanò lasciandomi quasi morto, ci misi qualche secondo a rimettermi bene in piedi. Non riuscivo a respirare bene, la schiena mi faceva malissimo, non riuscivo a non pensare al dolore, era martellante. Amy mi si avvicinò, le sue labbra tremavano e aveva gli occhi colmi di lacrime e rossi.
-Bill ti prego ubbidisci- mi sussurrò all'orecchio. La guardai con alcuni ciuffi che mi cadevano sugli occhi ma non dissi nulla. Mi levai la maglia e salii su in bagno a farmi una doccia trattenendo le lacrime e per questo la testa mi scoppiava. Sbattei più forte che potevo la porta del bagno e scivolai sulla porta abbandonandomi sul pavimento, sulle piastrelle fredde. Piansi per più di un'ora, in silenzio, poi mi salì un conato di vomito e mi fiondai sul cesso.
-cazzo...- borbottai, mi ero sporcato i capelli. Mi sciacquai il viso e mi svestii buttando tutto per terra. Non avevo acceso lo scaldabagno prima, l'acqua era ghiacciata e così io uscii dalla doccia 15 minuti dopo col raffreddore e starnutendo a ogni passo. Mi sentivo uno schifo, la schiena bruciava come se stesse andando a fuoco. E mio padre aveva vinto di nuovo. Questo mi bruciava mille volte di più. Di nuovo mi aveva umiliato e di nuovo mi stava costringendo a fare qualcosa che non mi andava di fare. Io non ci volevo andare proprio a scuola, avevo diversi amici lì e con loro mi divertivo come un matto, ma non mi piaceva cosa e come si studiava. Avrei preferito ritirarmi e studiare per conto mio, come volevo io. Mi asciugai velocemente nonostante sentissi la schiena friggere di dolore non appena mi muovevo. Vestii un paio di jeans e una maglia presi a caso dall'armadio, strofinai i capelli nell'asciugamano, presi chiavi e sigarette e uscii dalla finestra volando per quasi quattro metri di altezza. Avevo i capelli praticamente fradici, in quel momento non me ne fregava niente, mi misi il cappuccio della giacca e camminai velocemente verso casa di Jeff. Non volevo pensare a mio padre, che odiavo con tutto me stesso, a mia madre che non mi aveva difeso una volta in quasi 17 anni, al fatto che l'indomani sarei tornato a scuola, alla mia schiena ridotta in pezzi. Volevo soltanto uscire e dimenticarmi tutto. Volevo soltanto ridere e scherzare, non volevo pensare alla mia vita piena di casini.
Volevo evitare che la nonna di Jeff mi vedesse con i capelli fradici così andai nel giardino sul retro, grazie al cielo la luce in camera di Jeff era accesa e feci un sospiro di sollievo. Raccolsi una manciata di sassolini e li tirai uno a uno alla sua finestra, lui apparve qualche secondo dopo.
-William ma che cazzo...- disse apprendo la finestra scorrevole.
-esci a fare un giro??- chiesi sperando con tutto il cuore che non mi mandasse a quel paese.
-ehm si ok sto arrivando-. Sono sicuro che avesse qualcosa di più importante da fare ma scese lo stesso, ero un po' più tranquillo. Arrivò qualche minuto dopo starnutendo sonoramente e io lo seguii a ruota.
-anche tu hai il raffreddore?-disse, annuii ridendo e mi soffiai il naso.
-mi spieghi perchè cazzo hai i capeli bagnati???- mi chiese poi perplesso.
-fanculo i capelli, ho pensato- dissi ridacchiando -volevo uscire di casa al più presto e così eccomi qui-. Continuava a guardarmi preoccupato ma non mi fece altre domande.
-allora- disse strofinandosi le mani con i guanti bucati. -dove si va?-. Feci spallucce.
-andiamo da Mario?- proposi.
-è aperto oggi? Ma non chiude il lunedì di solito?-
-cazzo è vero!- esclamai. -andiamo a chiamare Gina allora??-
-si ok ma prima vieni dentro ad asciugarti i capelli-
-cosa? Ma no fregatene, starò benissimo-. Ero felice che me lo avesse chiesto, mi stava già venendo mal di gola.
-dai Bill rischi la polmonite così-
-no mi scoccia, tua nonna magari sta dormendo. E se poi mi vede così?- dissi accennando alle ciocche che sbucavano da sotto il cappuccio. In realtà semplicemente non volevo disturbare, quasi non si vedeva che erano bagnati.
-no non ti preoccupare, è in salotto che guarda Dallas, non si accorgerebbe neanche di un terremoto magnitudo 9.9 per quanto è presa dalla televisione-. Ridacchiai e lo seguii dentro, in camera sua. Quando ebbi finito mi buttai sul letto accanto a lui che si stava girando una sigaretta.
-ma lo sai che profumi come una rosa??-. Ridacchiai annusandomi i capelli.
-ho usato lo shampoo di mia sorella perchè c'era solo quello- spiegai sorseggiando la mia Coca. -ah domani torno a scuola, al 99,9 %- lo informai amareggiato.
-davvero? Sei ancora in tempo a recuperare l'anno?- chiese passandomi l'accendino.
-a quanto pare si- sospirai rassegnato.
-hanno chiamato a casa tua?-
-si, mio padre ha intenzione di accompagnarmi fino al mio banco per assicurarsi che io entri- aspirai, sovrappensiero. Non era giusto come stavano andando le cose, niente era giusto. Sentivo che ci sarebbe stata una svolta, prima o poi, ma in quel momento ero ancora bloccato a Lafayette e ancora non avevo idea di che cosa avrei fatto del mio futuro.
-brutta storia- sospirò lui. -hai provato a parlare con i tuoi del fatto che potresti ritirarti?-
-si ma figurati se mi permettono di farlo- dissi pensando alla faccia di mio padre quando una volta glielo avevo accennato, facendogli vedere il modulo tutto compilato dove mancava la sua firma e quella di mamma. -io vorrei chiudere con la scuola, mi ha proprio rotto-.
-su dai ho ripreso ad andarci anche io, ci divertiamo- disse cercando di tirarmi su di morale. Be', almeno un lato positivo c'era.
-andiamo da Gina?- proposi finendo la mia Coca.
-si andiamo-. Gina, la mia fidanzata da due settimane, si unì a noi e tutti e tre andammo in un altro bar che frequentavamo, lo Stabilizer. Lì lavorava Rocco, un italo-americano come Mario che ci lasciava ordinare alcolici senza fare storie. Bevemmo un paio di birre ciascuno, io finii per strafare e usci dal bar barcollando. Io e Gina riaccompagnammo Jeff e poi restammo su un muretto vicino a casa sua a pomiciare. Quanto mi piacevano i suoi baci, le sue labbra morbide, un po' umide, ogni volta che la baciavo sentivo i fuochi di artificio dentro di me, volevo baciarla a ogni ora del giorno, affondare le mani nei suo capelli e sentire le sue labbra sulle mie. La riaccompagnai e tornai a casa mia. Era l'una, le luci erano spente, rientrai silenziosamente stavolta passando per la porta d'ingresso. Aprii con la chiave che tenevamo sotto lo zerbino e ci misi qualche minuto per centrare la serratura. Salii in camera con passo felpato, mi levai pure le scarpe per non fare rumore. Entrai e quasi mi cascarono le braccia dallo stupore. Amy era addormentata sul mio letto.
-che cazzo...- sussurrai stordito. Sicuramente voleva aspettare che tornassi e aveva finito per addormentarsi. Se mio padre l'avesse vista lì si sarebbe incazzato con lei e non volevo che succedesse. Così la presi in braccio, pesava meno di una piuma, mi sembrava così indifesa. La portai nella sua camera e la infilai sotto le coperte. Mi sentivo in dovere di proteggere lei prima di me stesso. Lei era più importante. Nonostante litigassimo quasi ogni volta che parlavamo, avrei dato la vita per difenderla.
Ero stato estremamente attento e nessuno si accorse di nulla. Chiusi la porta piano e tornai in camera mia, tutto questo nel buio più buio. Ero a pezzi, mi levai solo le scarpe e la giacca e mi coricai tutto vestito addormentandomi un secondo dopo aver poggiato la testa sul cuscino.

 

   
 
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