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Autore: Unpinguinoperamico    02/04/2018    3 recensioni
Mostri contro (semi)dei, Titani contro (semi)dei, Giganti contro (semi)dei, Creature Primordiali contro (semi)dei...
Negli ultimi dieci anni la serenità dell'Olimpo (ma più che altro di Percy Jackson) è stata messa a dura prova da praticamente tutto l'ambaradan divino.
Mancava, giustamente - non sia mai che manchi qualcosa - il match finale di tutti contro tutti, un incredibile scontro con tanto di fuochi artificiali che dovrà essere fermato dai soliti semidei sfortunati, cui si aggiungerà, però, un altro individuo ignoto.
Un'anima gentile.
Riusciranno i nostri eroi a passare una dannata estate senza rischiare la morte più di cinque volte a settimana?
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Will Solace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Will

01. Chi non dorme piglia pesci in faccia




Tic tac, tic tac, tic...tac. Il maledetto ticchettio dell'orologio appeso alla parete lo stava facendo impazzire.

Forse era proprio quel ticchettio cadenzato la ragione che lo aveva indotto ad accostare la sedia della scrivania alla parete. Così fermò l'orologio e poi lo ripose, debitamente capovolto e senza batterie, sul comodino. Forse, tuttavia, era un semplice pretesto per evitare che i suoi occhi ricadessero ogni due secondi sulla superficie ovale di quel dannato arnese. Odiava quando non riusciva ad addormentarsi e purtroppo negli ultimi tempi accadeva un po' troppo spesso. L'ultima settimana era stata un susseguirsi sfrenato di impegni medici e complicazioni che era stato difficile risolvere, e la tensione lo teneva sveglio, agitato, con gli occhi puntati per tutta la notte sul soffitto della cabina. Ovviamente tra le cause del suo malessere diffuso erano compresi anche il caldo appiccicoso, le zanzare che lo divoravano, i lettini dell'infermeria ancora pieni di semidei feriti e poi, primo della lista, il Principe dei Morti. Ma riguardo a quest'ultimo, era meglio se non ci pensava. 

Quando Will prese la decisione di coricarsi per il poco tempo che rimaneva al suono della sveglia, i primi raggi del sole avevano appena cominciato a fare capolino dalle fessure della serranda abbassata. Si stese sul letto e tentò di riprendere sonno, ma ogni volta che chiudeva gli occhi o che era vicino ad addormentarsi gli venivano in mente tutte le cose che avrebbe dovuto fare il giorno successivo. I turni in infermeria, gli allenamenti con i novellini, le gare a Cacciabandiera, Percy che decideva che fare un tuffo dalla scogliera non era poi un'idea così cattiva... nella sua vita era tutto così caotico e stressante che sarebbe stato davvero bello poter bloccare il tempo, di tanto in tanto. Proprio come un attimo prima aveva bloccato il ticchettio dell'orologio.
Nei letti di fianco al suo, intanto, Austin russava come un trattore e Kayla parlava nel sonno, o forse sarebbe stato meglio dire che stava instaurando un vero e proprio discorso articolato con il suo subconsico, discorso che Will proprio non se la sentiva di interrompere.
Come se non fosse bastato, c'erano quei dannati raggi di sole che passando tra gli spiragli della serranda gli davano fastidio agli occhi. Grazie papà.

Will non avrebbe saputo dire quando si sarebbe riaddormentato o se l'avrebbe fatto in generale, e quella mattina non fu abbastanza paziente per scoprirlo.
Un quarto d'ora ed era già fuori dalla sua cabina, con il giubbotto di jeans sopra il pigiama arancione del campo e un cappello da baseball a coprirgli la zazzera di disordinati capelli biondi.

Per essere l'alba del tredici luglio, tirava un vento forte e stranamente freddo che gli attraversava il tessuto leggero del pigiama e lo faceva rabbrividire. Non c'era ancora nessuno in giro, ma considerando che erano le cinque meno un quarto della mattina e che quel giorno gli allenamenti sarebbero cominciati alle dieci in punto, quella surreale desolazione gli sembrava pienamente comprensibile. Anche dovuta, in un certo senso. Certo, era l'unico che si sognava di fare un giro di perlustrazione a quell'ora, ma aveva bisogno di fare qualcosa per tenersi occupato. Si guardò attorno per qualche istante, indeciso. Non sapeva bene dove voleva andare e non doveva andare in nessun luogo di preciso, perciò cominciò a vagare per le vie sterrate del Campo Mezzosangue senza meta, prendendo a calci qualsiasi sassolino o ciottolo aveva la sfortuna di capitare sul suo cammino. Passò l'armeria, l'arena, tracciò con passi lenti e ben meditati il bordo della mensa e, quando ebbe appurato che in giro non ci sarebbe stata anima viva fino all'ora di colazione, ritornò pensieroso sulla strada per la cabina 7.

Ma ecco che, senza nemmeno rendersene conto, i suoi pensieri più cupi l'avevano anzi condotto davanti alla cabina di Nico di Angelo, suo ragazzo da poco più di un anno e ultimamente un poco partito con la testa. Gira e rigira, pensò, finiva sempre per pensare a lui.

Will non aveva la più pallida idea di che cosa stava succedendo nella sua vita e di quanti problemi angosciassero Nico ultimamente, ma come qualche giorno prima gli aveva fatto notare Reyna questa non era una novità, bensì un notevole passo indietro: per aprirsi con lui Nico aveva impiegato ben più di due mesi, ma adesso qualsiasi loro progresso sembrava essere stato ingoiati dalle fauci di Cariddi. Will era parecchio sconfortato. A dir la verità Nico era sempre stato un tipo introverso, silenzioso e solitario, fin da quando era arrivato al campo per la prima volta dopo la morte di sua sorella. Però, nel corso dell'ultimo anno, aveva notato una lieve evoluzione, un qualche dettaglio nel comportamento di Nico che lo faceva sembrare più spensierato, più gioioso - o almeno così era sembrato a Will. Rispetto all'inizio rideva molto più spesso e non era raro che proponesse di sua spontanea iniziativa qualche battutina crudele, qualche commentino sardonico che non raramente conteneva una velata critica a Will o a chiunque altro: certo, il cinismo e la voglia di mandare all'inferno quattro persone su cinque erano rimasti pressoché inalterati, ma questo era ormai insito nel suo carattere e riguardo ciò, o almeno così si pensava, nessuno avrebbe potuto farci niente. Era quasi sicuro di amarlo. Cioè, a parte qualche cotta passeggera, non aveva mai amato nessuno in vita sua. Gli sembrava strano, e non voleva risultare pesante, ma perché l'amore doveva infastidirlo così tanto, dargli tanto pensiero?  Insomma, a Will sembrava che stesse andando tutto bene. Stavano da dio insieme.

Ma poi era successo qualcosa, qualcosa che al figlio di Apollo non era dato sapere: sapeva soltanto che dal ventotto giugno Will aveva visto tutti i loro progressi venire presi e buttati nel cestino dell'umido, e Nico si era barricato nella sua cabina senza dire nulla.

Era cominciato tutto con piccole cose.
Una parola non detta, un sorriso leggermente tirato e un chicco d'uva (Nico adorava l'uva) in meno a pranzo. Poi si era passati a notti insonni trascorse a parlare con gli spettri e perdite di sensi durante un allenamento causate dalla completa mancanza di sonno, attacchi di panico, perdita di peso, allucinazioni e vomito. Will aveva visto Nico sul lettino dell'infermeria più volte di quante avesse desiderato.

Ed infine, eccoci qua: Nico non usciva da quella casa da sedici dannatissimi giorni.

Senza nemmeno rendersene conto, perso in quei pensieri, Will si era avvicinato alla porta della Cabina 13 ed era rimasto a uguardare la porta di mogano con il braccio alzato nell'atto di bussare. Il suo cervello adesso si muoveva a rilento, sovraccaricato da tutti i dubbi e tutte domande che si erano sommate nella sua testa negli ultimi tempi. Era la cosa giusta da fare stressare Nico in questo periodo di evidente instabilità mentale? E Nico gli avrebbe aperto o l'avrebbe diretamente mandato all'inferno, proprio come aveva fatto con Jason e Percy ancor prima di lui? Che cosa avrebbe dovuto dirgli?

A conti fatti, decise che nessuna di quelle domande sarebbe stata tanto ansiogena quanto il "cos'ha?" che lo stava assilando da poco meno di un mese e, alla fine, dopo calcoli e ragionamenti ben meditati, prese la decisione che, sì, esporre a Nico quello che lo preoccupava e bussare a quella dannata porta sarebbe stata al momento l'unica cosa cosa giusta da fare.

Almeno per lui.

Si bloccò un secondo prima di farlo non appena sentì un rumore sordo proveniente dall'interno.

Erano le cinque di mattina, perché Nico era sveglio? Will rimase un attimo in concitato silenzio, con le orecchie tese e il cuore che batteva all'impazzata contro la cassa toracica. Ma subito dopo ebbe la conferma che non aveva sentito male: erano dei colpi, dei sussurri stizziti, e lo scalpiccio sul pavimento di ossidiana gli suggerì che Nico doveva aver indossato i suoi scarponcini preferiti.

Il volto del figlio di Apollo si illuminò. Che Nico avesse finalmente deciso ad uscire dalla sua tana?

Ma non appena la porta si aprì, tutto l'entusiasmo di Will subì un impressionante calo. Nico si era fiondato fuori dalla cabina all'improvviso e il figlio di Apollo non ebbe nemmeno il tempo di spostarsi: i loro corpi si scontrarono in un doloroso thud.

Quando il figlio di Ade si fu rialzato in piedi, con della sopresa, del terrore e anche un po' di fastidio negli occhi color pece, Will ebbe la conferma decisiva che lo strano comportamento di Nico era causato da qualcosa di grave.

I suoi capelli neri erano più lunghi dell'ultima volta che lo aveva visto, e notevolmente più disordinati ed arruffati del solito. Il volto mortalmente pallido ed emaciato era segnato da due profonde occhiaie scure e caratterizzato da una lieve sfumatura verdognola e malaticcia, che al figlio di Apollo, come amico ma soprattutto come medico, non piacque affatto.

Ma la cosa che più preoccupava Will era un'altra. Era il giubbotto da aviatore che indossava, lo zaino in spalla e la spada di ferro dello Strige stretta nella cintura. Era il fatto che sembrava pronto a partire per un'impresa - e forse lo era.

- W-Will! -  balbettò Nico.

Era evidente che non si aspettava di incontrarlo e che nemmeno lo desiderava fare.
Forse prevedeva da parte sua un sermone di quindici ore su quanto si era preoccupato per lui e quanto Nico fosse stato un idiota irresponsabile a comportarsi in quel modo. Beh, in questo caso non prevedeva male.

- Nico, ci hai fatti preoccupare da morire ! - tagliò corto Will, con una calma e una compostezza che nemmeno lui sapeva di avere. - E dove credi di andare? -

Nico si ritirò sulla difensiva, stringendo con una mano la spada e con l'altra la spallina dello zaino: - Non sono affari tuoi. -

- Ah no? - Will gli afferrò il polso e prese a trascinarlo verso la Casa Grande.  - Sono il tuo ragazzo, Nico, sì che sono affari miei! -

Il figlio di Ade si liberò dalla presa di Will a fatica e fece qualche passo indietro, finché la sua schiena non aderì del tutto contro la parete della Cabina 13: - Ho sedici anni, Will. Non mi serve la mamma chioccia. Non devo dire niente a nessuno. -

- Ti ricordi cos'è successo l'ultima volta che non hai detto niente a nessuno? -

Nico si strinse nelle spalle: - Ho salvato quelle due figlie di Nike da un centauro im... -

- Sei andato nel Tartaro da solo, sei stato catturato dai giganti e ci mancava poco che lasciassi le penne in una giara nel centro storico di Roma. -

Will si rendeva conto che il suo comportamento stava ferendo Nico, ma si stava comportando in questo modo perché in primo luogo era stato ferito lui. Era preoccupato per lui, inoltre. Cosa diamine credeva di fare? Perché non gli voleva dire che cosa non andava?
Se gli avesse detto cosa stava succedendo, avrebbero potuto parlare con calma davanti una tazza di té caldo e cercare insieme una soluzione al problema. Il té caldo funzionava sempre.

- Nico, ascoltami. - cominciò a dire Will.

Ma Nico lo guardò con astio, come se stesse cercando le giuste parole per mandarlo all'inferno ma senza ferire troppo i suoi sentimenti: - No, senti, ascoltami un fico secco! È già abbastanza difficile senza che tu ti metta in mezzo. E non venirmi a dire di discutere del mio problema davanti ad una tazza di té caldo, perché sono dieci giorni che penso a un'altra soluzione chiuso in questa accidenti di cabina! -

Will si espresse in un risolino esasperato: - Ma si può sapere di quale problema stai parlando? -

- Te l'ho già detto che non sono affari tuoi! -

- Sono preoccupato per te! -

Nico sospirò scocciato: - Non dire niente di tutto questo a Chirone. -

Quando Will si rese conto che il figlio di Ade stava progettando di viaggiare nell'ombra, non fece in tempo ad urlargli contro - Non pensarci nemmeno, signorino! - che Nico era già scomparso dentro l'ombra proiettata sull'erba dalla cabina 13, lasciandolo da solo e con la mano protesa verso il nulla. Come un deficiente.

Ma vaffanculo.

Non dire niente a Chirone?! Oh, se l'avrebbe fatto, invece! Se un attimo prima era preoccupato a morte per il comportamento del suo ragazzo, adesso sentiva nascere nel petto una rabbia che mai prima d'ora aveva sperimentato. Mai verso Nico, almeno. Era leggermente curvo e piegato in avanti, con i pugni stretti e il volto arrossito dal nervoso.

- Vaffanculo, Nico! -

Si girò verso la strada con l'intenzione di andare a spiattellare tutto quanto a Chirone, quando colpì e fece cadere a terra il corpo minuto di una ragazzina.
Indossava un paio di jeans strappati e una maglietta bianca a maniche corte su cui campeggiava la scritta "Pijamas all day", e i corti capelli castani erano raccolti in un codino arruffato. Era Arianna Orlandi, una delle poche figlie di Hypno che il campo ospitava.

- Ehi, attento a dove metti i piedi! - lo rimbeccò. Ma non l'aveva detto con un tono innervosito, bensì con una punta di giocosità gentile nella voce che servì a far sbollire un poco l'animo del ragazzo.

- Scusami, Arianna. - mormorò Will, porgendole dispiaciuto una mano.

La ragazza sorrise gentilmente ed accettò di buon grado l'aiuto offertole: - Tutto ok, Solace. Succede. -

Era una ragazza gentile, a Will piaceva. E, soprattutto, non era affatto come i suoi fratelli: dormicchiava, certo, ma non passava tutta la giornata stesa sul letto ad oziare. Anzi, il giorno prima aveva trascorso tutto il pomeriggio ad aiutare Will ed Austin in infermieria, etichettando e dividendo nei cassetti la nuova serie di medicine che erano arrivate - cioè l'unica cosa che le aveva permesso di fare.

- Tutto bene, Solace? Ti vedo un po' giù di corda. -

Will annuì pensieroso. - No, no, tutto apposto. -

- Sicuro? Guarda che se vuoi parlarne ti ascolto. -

Will soppesò un attimo la sua proposta. Un po' di compagnia non gli sarebbe dispiaciuta, in effetti, ma d'altra parte non se la sentiva di annoiarla con i suoi stupidi problemi sentimentali. Né gli andava di fare la parte dell'esaurito con una persona calma e disponibile come lei. Avrebbe dovuto parlane al più presto con Chirone e chiedergli un consiglio, ecco tutto. Nessun altro avrebbe dovuto preoccuparsi.

Per questo le rispose, con un sorrisetto apologetico sul viso abbronzato: - Tranquilla, Arianna, va tutto bene: sono solo preoccupato perché Nico è un idiota. Adesso dovrei andare a parlare con Chirone. Tu, invece? Stamattina non avevi un appuntamento con Annabeth? -

Arianna fece una smorfia: - Devo aiutarla a sistemare la libreria dei figli di Atena, guarda un po' in che guai mi sono cacciata. Adesso sto andando da lei. -

- Divertiti, allora. -

- Sicuramente. -

Arianna gli sorrise caldamente e, un attimo prima di lasciarlo, gli mormorò divertita un sentito buona-fortuna: buona fortuna che valeva sia per lei, che avrebbe passato un'orrenda mattinata in compagnia dei nevrotici figli di Atena, e sia per Will, che invece avrebbe dovuto trovare il giusto modo di dire a Chirone che Nico era scappato dal campo.

Buona fortuna.

 

 

 
   
 
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