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Autore: Umhiri    02/04/2018    2 recensioni
[2k12s SPOILER]
Estratto:
Leonardo scosse la testa e successivamente la girò. I suoi fratelli non sarebbero mai cambiati: ogni giorno la stessa routine, la stessa cantilena. E lui aveva il compito di proteggerli, come se fosse il loro angelo custode; sempre al loro fianco, invisibile e silenzioso.
In fondo era vero: Leonardo amava il silenzio. Qualche volta gli piaceva ascoltare il rumore delle goccioline che cadevano dalle tubature dei condotti; gli dava quasi la sensazione di vivere in una casa normale, magari in aperta campagna, dove è davvero molto raro sentire una sola goccia che raffiguri la pioggia. E questo lui sapeva essere solo frutto della sua immaginazione. Michelangelo non era il solo ad averne una. Fervida e surreale, a volte.
Genere: Generale, Horror, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Leonardo Hamato, Nuovo personaggio
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Furry, Violenza
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A New York l'atmosfera era fin troppo quieta, e stranamente quella sera stava trascorrendo nei migliori dei modi, senza scocciature tra i piedi; di questo Raphael ne era sollevato. Così, non appena i quattro fratelli furono rientrati alla tana, egli andò subito in cucina, a dare una fogliolina di lattuga a Spike, la sua adorata tartarughina.

Un Raph calmo, appunto, dava il via all'inizio dei giochi: Michelangelo l'avrebbe riportato nel mondo dei vivi e comuni mortali?

Ci riuscì, infatti, ma un piccolo problema gli sfuggì completamente di mano, facendo infuriare così il fratello dalla maschera rossa.

«Ma sei impazzito?!» gridò il festoso, correndo sempre più velocemente.

«Pensa a correre, piuttosto!» rispose l'altro, inzuppato dalla testa ai piedi di maionese e foglioline di lattuga sparse per l'intero capo. Una gli copriva addirittura un occhio, facendolo sembrare quasi un losco pirata!

 

Leonardo scosse la testa e successivamente la girò. I suoi fratelli non sarebbero mai cambiati: ogni giorno la stessa routine, la stessa cantilena. E lui aveva il compito di proteggerli, come se fosse il loro angelo custode; sempre al loro fianco, invisibile e silenzioso.

In fondo era vero: Leonardo amava il silenzio. Qualche volta gli piaceva ascoltare il rumore delle goccioline che cadevano dalle tubature dei condotti; gli dava quasi la sensazione di vivere in una casa normale, magari in aperta campagna, dove è davvero molto raro sentire una sola goccia che raffiguri la pioggia. E questo lui sapeva essere solo frutto della sua immaginazione. Michelangelo non era il solo ad averne una. Fervida e surreale, a volte.

Sospirò, e premette l'alto tasto rosso del telecomando, che spense lo schermo della TV davanti a lui.

Poi, il Leader s'alzò dal gelido pavimento, che preferiva al divano, anche perché non gli sembrava molto corretto usufruire dei beni materiali. Già tanto che guardasse la TV era un evento storico; solo perché davano tutta l'intera settimana la sua serie preferita, “Eroi Spaziali”.

Leo adorava quella serie, si rivedeva molto nel Capitano Ryan, riguardando ogni volta le stesse puntate pur di imparare a memoria le battute di quel singolo personaggio, registrandole addirittura: «La mente non è nulla se il cuore è una macchina che non funziona...»

Quella puntata se la ricordava benissimo, e quella frase era ormai indelebile dentro la sua scatola cranica.

Cosa stava a dire?

Perché non riusciva a coglierne il significato?

Doveva scoprirlo, e subito.

Così andò a letto con un caos di pensieri per la testa, senza però una sola risposta che potesse affievolirli.

Il giorno dopo Leonardo s'alzò per ultimo, inusuale data la sua natura di mattiniero. Non l'aveva mai fatto.

Odiava, a dire il vero, alzarsi tardi la mattina; ogni volta sentiva il dovere di vegliare sul sonno ancora in agguato dei suoi fratelli. Ricordava persino l'ora esatta impiegata da ognuno ad uscire dalle braccia di Morfeo: dopo di lui, normalmente era Donatello a fare il suo ingresso in cucina, per la colazione. Successivamente Raph, e a chiudere le danze Michelangelo. E da quando April e suo padre si erano trasferiti da loro, April era la prima che entrava in cucina. Probabilmente il sonno le aveva giocato brutti scherzi, mescolandosi con l'ansia e non facendole così chiudere occhio. Ma quella volta era stato lui a non volerne sapere di dormire, perdendo, come se non bastasse, la cognizione del tempo.

Con gli occhi rossi e gonfi, Leo si sedette al suo posto, facendo comunque finta di niente; sentendo però gli occhi increduli dei suoi fratelli e di April puntati sulla sua persona. Preferì quindi cominciare a mangiare quel poco che gli spettava del suo pasto; aveva sempre delle piccole porzioni. Ma non per questo si lamentava. In fondo, era stato proprio lui a volerlo. E non pretendeva poi così tanto.

«Che dite se questa sera andiamo a cenare da Murakami-san?» Propose April, portandosi una tazza bianca contenente del latte sulle labbra, guardando di sottecchi il Leader che era intento a prendere da una piccola scodella indaco un chicco di riso, alimento che l'avrebbe sfamato anche a pranzo, se Mikey non avesse ordinato la pizza.

Ma Leo era dell'idea che, anche in quel caso, il riso avrebbe fatto al caso suo. Non aveva poi molto appetito, quel giorno.

Ci pensò bene, e poi fece cenno col capo verso il basso; dando così il suo consenso, «D'accordo».

Era da molto che non vedevano quella vecchia talpa di Murakami, e Leo continuava a chiedersi se stesse bene.

 

E quella sera, come accordato, April, Michelangelo, Raphael, Donatello e Leonardo si diressero in quella desolata stradina che portava al ristorante di Murakami.

Si fermarono, davanti a loro un vecchio distributore, il quale aveva l'utilità di prendere, per così dire, le “ordinazioni”, riportate su un pezzo rettangolare di legno che sarebbe poi passato nelle mani di Murakami, che col semplice l'utilizzo delle mani avrebbe capito al volo cosa loro volevano.

April prese i cinque rettangoli e ne distribuì uno a testa. Così ognuno ebbe la propria “ordinazione”.

«Non sapevo ci fosse un altro japan-bar in zona!» affermò Mikey, guardando di fronte, proprio dall'altra parte della strada.

«Non l'ho mai visto» ribatté April, «l'avranno sicuramente aperto da poco. D'altronde vi sono pochi locali e negozi in questa zona...»

Donatello annuì, ammaliato e soddisfatto dall'intelligenza che giorno dopo giorno April acquisiva.

«La prossima volta potremmo farci un salto...» propose Mikey, dimenticandosi però un fatto importante.

«Oh sì, certo! E poi proviamo anche a fare amicizia con il proprietario!» ironizzò Raph.

«Mi hai letto nel pensiero! Era proprio quello che intendevo!» esclamò il festoso, in preda all'eccitazione.

«Cosa ti viene in mente?! Quando imparerai che delle TARTARUGHE MUTANTI non stanno simpatiche alle persone?!» sbraitò il focoso, dandogli, senza alcun ritegno, un pugno in testa.

«Mi hai fatto male, bulletto...!»

Così, mentre quei due discutevano, e April e Donnie cercavano di calmare le acque; Leonardo continuava a fissare come ipnotizzato l'insegna massiccia dell'altro japan-bar, che aveva raffigurato sopra uno scarlatto drago rosso con delle sfumature dorate per la lunga e arricciata coda. Lo trovava a dir poco sublime.

«Allora Leo, ti muovi?» fece Raph «Non abbiamo mica tutto il giorno!»

Leonardo uscì dal suo stato di trance e di mala voglia spostò via lo sguardo, raggiungendo gli altri. «Scusate», disse.

 

«Era tutto squisito!» esclamò April.

«Complimenti, Murakami-san! Ottimo come sempre.» aggiunse Donnie.

Lodare Murakami era poco e niente, quell'uomo si meritava la luna stessa per quanto buono era; un uomo come pochi e raro nel suo genere.

«Arigatou April-chan, Donatello-kun. Sempre molto gentili.»

«Ma è la verità!» fece Michelangelo.

«Odio dare ragione a Mikey, ma stavolta son costretto: i tuoi piatti sono ineguagliabili!»

«Ti ringrazio Raphael-kun...»

«Hey!»

«... e Michelangelo-kun...»

Dopo quella frase Mikey assunse un'espressione sollevata.

E in quel preciso istante la porta del locale si aprì, cosa che non succedeva mai, specialmente di sera. Tutti entrarono nel panico, alzandosi velocemente. Quindi pronti ad un possibile attacco nemico.

«Mako-chan!» esclamò la vecchia talpa.

«Konbawa, Murakami-sama...»

«Ti serve per caso qualche ingrediente?»

«Hai! Shōyu o koete iru, Mama wa panikku ni na-tsu!» “Sì! E' finita la salsa di soia, Mamma è in preda al panico!” finì la figura appena entrata, parlando nella sua lingua madre, il Giapponese.

«Vedo se la dispensa è dalla nostra parte.»

«Arigatou gozaimasu.» e la figura, con eleganza e compostezza, s'inchinò.

Perché Murakami sembrava esser tranquillo?

La vecchia talpa, quindi, lasciò soli i cinque adolescenti con la nuova presenza, che non sembrava affatto essere turbata o sotto shock. Forse solo un “tantino” in imbarazzo. Ella infatti stava torturandosi le mani con agitazione.

Dopo due minuti buoni, Murakami ritornò, con un piccolo sorrisino in volto «Fortunata» fece «Era l'ultimo rimasto. Vorrà dire che dovrò riordinarlo in settimana.

«Ecco a te, Mako-chan» e porse il barattolino contenente la salsa alla ragazza.

«Arigatou Murakami-sama. … Buo-na serata...» e si inchinò, di nuovo, «Signori,» e questa volta si inchinò proprio verso Leo e gli altri, uscendo poi frettolosamente dal locale.

Tutti, ormai riseduti, erano rimasti increduli, non riuscendo a capire cosa fosse appena successo.

«Murakami-sama, non credi di doverci delle spiegazioni?» domandò Donnie, sbattendo le palpebre.

La vecchia talpa sospirò «Non avete notato niente di strano in quella ragazza?»

Calò il silenzio.

“... I capelli color del sangue...” pensò Leonardo.

«I capelli rossi? Ma quelli non sono mica strani!» notò Mikey.

“... Gli occhi lucenti come smeraldi...”

«Gli occhi verdi?» domandò Raph annoiato: anche lui possedeva gli occhi di quel colore. Ma quelli della ragazza dai capelli rossi erano molto differenti dai suoi.

“Verdi, e a mandorla...” pensò sempre Leonardo.

«Aveva gli occhi verdi, e a mandorla!» mentre il genio lo affermò invece ad alta voce.

«E allora?» fece Raphael, «Cosa c'è di strano?». Raph non si accorse di star usando un tono alquanto menefreghista, e rude.

«Murakami-san, ma tu... cioè, come fai a...» Donatello si fermò, non sapendo come continuare la frase in modo tale da non ferire il non vedente.

«Me l'avete appena detto voi, semplice» disse «Io ho solo domandato se c'era qualcosa che non andava in quella ragazza, e voi l'avete subito individuato.»

Era vero, i capelli, gli occhi e la loro forma erano le prime cose che si notavano in lei. «Sapete, Mako-chan è una persona molto timida...»

«... Nonostante questo, non sembra temerci...» aggiunse Donnie.

«Esatto, Donatello-kun. Neanche io ho ancora capito il perché.»

Non l'ha ancora capito? Questo sta a significare che non era la prima volta che li vedeva.

«Quindi ci ha già...» Michelangelo non riuscì a continuare la frase.

«Credo proprio di sì, Michelangelo-kun. Ma non so dove. Mako-chan me ne ha solo accennato...

«Mi ha detto di esserne rimasta affascinata. Nient'altro.

Per questo motivo non ha reagito come vi aspettavate, quando vi ha visto.»

«La domanda è: dove? Dove può averci visto? Di notte è difficile anche solo intravedere un palo della luce. Specialmente qui a New York...» esordì Donatello.

«Andiamo da lei e facciamocelo dire!» disse Raph, battendo un pugno sopra un palmo della mano.

«Non faremo niente di tutto ciò» sentenziò Leonardo. Serio.

Raph non ebbe nemmeno il tempo di replicare che Leo era già uscito fuori dal locale.

«Ma che ha?» domandò Mikey, sbattendo le palpebre.

Non aveva nemmeno salutato Murakami.

Leonardo inspirò e espirò l'aria lentamente, mentre i suoi occhi color del ghiaccio si andavano a posare ancora una volta su quel drago scarlatto e dorato.

Doveva assolutamente rivederla.

   
 
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