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Autore: Najara    03/04/2018    8 recensioni
In un mondo in cui si sogna la propria anima gemella il cuore di Kara esulta di gioia quando il momento di incontrarla arriva.
Sotto un antico orologio fermo, aspetta la ragazza che le ha già rubato il cuore, ma la sua è un'attesa vana.
Cosa succede quando il tempo si oppone a ciò che è destino essere?
Storia SuperCorp partecipante all'iniziativa “Easter Egg” indetta dal gruppo"LongLiveToTheFemslash”.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L’orologio

 

 

Parte I

 

Kara rientrò a casa perché non stava bene. L’insegnante di chimica le aveva lanciato uno sguardo, aveva sorriso e poi le aveva detto che avrebbero chiamato a casa per farla rientrare prima. Il suo cuore batteva veloce, mentre preparava lo zaino e usciva, e non notò neppure gli sguardi invidiosi dei compagni.

Aveva mal di testa, stava sudando e non era ben stabile sulle sue gambe, ma non era mai stata più felice.

“Stenditi Kara, a quindici anni è un po’ presto, ma non ti devi preoccupare.” Eliza le accarezzò il viso con emozione. “Alex è stata tardiva, mi sembra giusto che tu, invece, sia precoce.” Malgrado le sue parole vi era una ruga di preoccupazione sulla sua fronte.

“La vedrò, non è vero?” Chiese, il cuore che batteva di nuovo veloce.

“Sì, la tua insegnante aveva ragione.” Confermò Eliza, accarezzandole la fronte. “Ora, davvero, stenditi.”

Kara obbedì e si coricò nel letto. Sorrise, mentre chiudeva gli occhi.

Era giunto il grande giorno! Finalmente!

“Bevi questo.” Eliza era tornata e le tese una tazza fumante. Kara ne sorseggiò il contenuto apprezzandone il sapore dolce e il retrogusto di miele. La sua madre adottiva si sedette sul letto accanto a lei, un sorriso felice e al contempo teso sulle labbra. “Ora lascia che il sonno arrivi, rilassati, lasciati trasportare.”

“Sì, mamma.” Disse. Ora provava un po’ di paura. Aprì gli occhi e fissò la donna. “E se non gli piaccio?”

“Oh, tesoro…” Eliza le accarezzò di nuovo i capelli biondi, un’espressione dolce sul viso. “Ti amerebbe al primo sguardo, anche se non foste destinati e… lo siete, piccola mia, questa è una certezza.”

Kara annuì piano, lasciando che il calore dell’infuso si espandesse dal suo stomaco all’intero corpo.

“Andrà bene.” Ripeté la donna. “Solo non fare come Alex, scegli un posto carino in cui incontrarlo e non un poligono di tiro!”

“A Sam non è dispiaciuto…” La sua voce era impastata, Kara cercò di aprire gli occhi, ma sentì una mano fresca posarsi sulla sua fronte.

“Dormi, piccola mia.” Sentì dire da una voce ovattata. “Vai ad incontrare la tua metà.” Mormorò ancora sua madre e lei sorrise.

La sua anima gemella: finalmente l’avrebbe incontrata.

 

“Sotto l’orologio, alle 14.00. Ci sarete?”

La voce della giovane era solo più un lontano eco, la sua forma solo un’ombra. Kara si spinse avanti cercando di afferrarla, di trattenerla tra le proprie braccia, anche solo per un istante.

“Sì! Sì!” Urlò, ma era sola, abbassò la mano e aprì gli occhi.

 

Salì le scale di corsa, il cuore che batteva veloce nel petto, alzò lo sguardo e fissò l’antico orologio, poi, ricordando che era fermo, controllò l’ora sul suo cellulare, era arrivata in tempo.

Si guardò attorno, gli occhi che brillavano di gioia.

Attese.

E attese ancora.

Quando Alex salì la grande scalinata bianca per venire a prenderla, sei ore dopo, vi erano lacrime che brillavano sulle sue guance.

“Non è venuta.” Singhiozzò quando incontrò lo sguardo addolorato della sorella adottiva, non reggendo più il dolore. “Non mi vuole, non le sono piaciuta.”

“No, no, no… deve essere successo qualcosa…” Cercò di consolarla Alex, stringendo la sorella più piccola tra le braccia.

“Non vado bene per lei, non sono abbastanza.” Gemette tra le lacrime e Alex non poté fare altro che stringerla di più a sé, consapevole che non vi era nulla che potesse dire o fare per consolare il cuore spezzato di Kara. “Era così bella, così elegante, così intelligente e divertente! Sono sicura che ci ha ripensato, che ha capito che potrebbe avere di meglio…”

“No, no, non è possibile…” Tentò di contraddirla.

“Non è venuta! Devo aver detto qualcosa di sciocco, deve aver capito che…” Si interruppe incapace di continuare, le lacrime e i singhiozzi che sconquassavano con troppa forza il suo petto.

“Vedrai, andrà tutto bene…” Riuscì solo a dirle poi rimase in silenzio, lasciando che Kara piangesse.

Non era mai successo. Mai. Le anime gemelle riuscivano sempre a trovarsi dopo il Sogno Condiviso.

Non vi era nulla che potesse impedire il ricongiungimento.

Eppure Kara aveva mancato il suo destino.

 

***

 

 

Kara salutò con la mano l’inserviente della biblioteca e raggiunse l’ampia scalinata bianca, si sedette sorridendo al sole ed estrasse dallo zaino il suo pranzo, addentando con soddisfazione l’enorme panino che si era preparata quella mattina.

“Ciao, sorella.” Con uno sbuffo, Alex, si lasciò cadere accanto a lei.

“Cos’hai in faccia?” Le chiese subito, per poi sfilarle gli occhiali prima che la maggiore potesse protestare. “Ehi! Hai un occhio nero!” Esclamò, attirando lo sguardo di due o tre persone che, come loro, si godevano il sole del primo pomeriggio sulla scalinata della biblioteca.

“Lo so!” Sibilò Alex lanciandosi uno sguardo attorno e recuperando gli occhiali neri.

“Chi te lo ha fatto?” Chiese, scioccata, Kara.

J’onn…” Ammise lei. “Dovevo solo muovermi più in fretta.” Fece una smorfia, mentre si sistemava meglio sugli scalini, mostrando che l’occhio nero non era l’unico livido sul suo corpo. “Come fai a mangiare qua tutti i giorni? Non ti viene male alla schiena?”

Kara distolse lo sguardo e Alex strinse le labbra, rendendosi conto dell’errore. Alzò gli occhi verso l’orologio fermo e sospirò.

“Scusa…” Mormorò. Kara le fece un sorriso, ma era evidentemente solo una pallida imitazione.

Non tutti avevano un’anima gemella, alcuni suoi amici non avevano mai avuto il loro Sogno Condiviso ed erano felici così: James, Mike, Winn… ma Kara… Kara aveva sperimentato l’intensa gioia di conoscere la propria metà, aveva provato quel profondo, intenso ed immediato innamoramento che ogni Sogno Condiviso portava con sé e poi era rimasta sola. Per mesi aveva atteso, sperando in un miracolo, ma nulla era successo. La ragazza di cui le aveva tanto parlato nella loro folle corsa in macchina da Midvale a National City, non si era presentata. Le aveva dato un appuntamento e poi non si era fatta vedere.

Kara non si era arresa, aveva solo un’età e una vaga descrizione, nessun nome superava un Sogno Condiviso, ma, assieme ad Alex o Eliza, aveva cercato in tutti gli ospedali della città, controllando persino i necrologi. Non avevano trovato nulla… alla fine anche Kara aveva smesso di crederci, eppure… eppure ora che studiava a National City andava tutti i giorni a mangiare sotto a quel maledetto orologio spento.

“Mi piace qua.” Mormorò Kara, lo sguardo perso, il panino dimenticato tra le mani.

Rimasero in silenzio, Alex ripensò ai mesi successivi al proprio Sogno Condiviso, era arrivato tardi, tanto tardi che aveva avuto il tempo di conoscere Maggie e Sam aveva avuto il tempo di avere una bambina, ma trovare la sua anima gemella, sognarla, aveva cambiato tutto. Lei era stata la cosa più bella e importante della sua vita e i primi mesi dopo il sogno erano stati folli di gioia per entrambe. Ancora adesso sorrideva ogni volta che pensava alla donna che amava e la aspettava a casa con la loro piccola bambina.

Una risata femminile ruppe il placido silenzio e la testa di Kara scattò alla ricerca della fonte, per poi scuotere la testa nel vedere una coppia di giovani ragazze.

“Come va la scuola?” Le chiese allora Alex, cercando di distrarla da pensieri che la incupivano e che la facevano soffrire.

“Bene, almeno io non prendo pugni.” Le rispose sua sorella, lanciando di nuovo uno sguardo al suo viso.

“Non è nulla, solo normale addestramento.” Agitò una mano e dovette nascondere una smorfia nel sentire i muscoli dolere. Entrare nel corpo d’élite del FBI non si stava dimostrando una passeggiata. “E questo pomeriggio ho il corso sulle armi.” Gli occhi di Alex brillarono e Kara ridacchiò.

“Sei incorreggibile.” Commentò, tornando a mangiare il suo panino.

Dopo un po’ di morsi Kara iniziò a raccontarle della sua giornata.

“Questa mattina il nostro professore di giornalismo contemporaneo ci ha fatto un’intera lezione sull’importanza del non intervento. Insisteva nel dire che un giornalista non deve mai interferire, ma ti sembra giusto? Io credo che…” L’infervorato discorso che Alex era pronta a sentire si interruppe. Kara scattò in piedi e Alex ruotò su se stessa, stupita.

“Cosa stanno facendo?” Chiese la minore, osservando due operai che sistemavano una scala sotto l’antico orologio della biblioteca.

Consapevole che l’argomento era delicato e volendo evitare un altro scivolone Alex non rispose.

Kara corrucciò la fronte quando vide uno dei due uomini salire verso l’orologio con una cassetta di attrezzi al fianco.

“Forse devono solo pulirlo…” Tentò Alex.

“Cinque anni e nessuno si è mai avvicinato.” Rispose Kara. “E quelli non sono operai del comune.” Alex annuì, non aveva torto, avevano entrambi sulla schiena il logo di una ditta privata.

Aprì la bocca per esprimere la sua seconda opinione, ma poi la richiuse, dire a Kara che, forse, l’orologio stava per essere rimpiazzato da uno più moderno non era una buona idea.

“Vado a vedere.” Dichiarò Kara e prima che Alex potesse fermarla era già ai piedi della scala.

“Cosa state facendo?” Proruppe le mani sui fianchi. L’uomo la guardò perplesso.

“Dobbiamo portarlo via.” Disse e Alex che li aveva raggiunti posò una mano sulla spalla di Kara di cui aveva immediatamente percepito la tensione.

“Portarlo via?” Chiese, infatti, la giovane.

“Sì.”

“Chi lo ha ordinato? Questo è un orologio storico, appartiene alla città, non avete il diritto di…”

“Signorina, noi facciamo solo il nostro lavoro.” La interruppe l’uomo, agitando le mani e alzando lo sguardo verso il collega alla ricerca di aiuto.

“Kara, forse dovremmo lasciarli lavorare…”

“E, comunque, questo orologio non appartiene alla città.” Ci tenne a precisare l’operaio. “Ma ad una società privata.”

Kara fu sul punto di ribattere, ma Alex la prese per il braccio, fece un sorriso di scuse all’uomo, e tirò lontano sua sorella.

“Kara, non puoi aggredire in questo modo le persone, loro non…”

“Andrò al fondo di questa faccenda! Non permetterò loro di portarlo via!” Dichiarò però, Kara, combattiva, gli occhi che brillavano di decisione.

“Quell’orologio non è lei!”

“Mi aiuterai?” Le chiese di netto Kara, ignorando le sue parole. Alex chiuse gli occhi poi annuì.

“Certo.” Acconsentì, avrebbe fatto qualsiasi cosa per la sua sorellina.

“Bene.” Kara afferrò lo zaino e il pranzo dimenticato e si diresse verso la biblioteca con passo sicuro.

“Il tuo piano?” Chiese Alex, camminandole accanto.

“Scoprirò tutto quello che c’è da sapere su quell’orologio, impedendo a chiunque di toglierlo dal suo posto.”

Alex sospirò, quella faccenda poteva riaprire ferite mai chiuse, anzi, probabilmente avrebbe solo creato nuova sofferenza.

“Credi che sia una buona idea?” Domandò, cercando di far ragionare Kara.

“Assolutamente sì. Quell’orologio appartiene alla città, è un monumento storico, e alla città deve rimanere.” Dichiarò la sorella e Alex evitò di contraddirla, non sarebbe servito a nulla.

 

“Come sarebbe a dire: non c’è nulla che riguardi l’orologio?” Erano due giorni che Kara faceva ricerche, aveva trovato molte immagini con l’orologio, fermo sempre alla due, ma niente di specifico sulla sua storia. Ora era nel vecchio archivio del municipio e guardava con aria esasperata l’archivista.

“Mi dispiace, signorina, l’unica cosa che so dirle è che due giorni fa è arrivata la comunicazione che l’orologio sarebbe stato prelevato dalla sua sede storica.”

Kara sbuffò esasperata, questo lo sapeva benissimo, lo aveva visto estrarre e impacchettare con i suoi stessi occhi. L’ingranaggio per essere spostato aveva richiesto l’intervento di una gru e cinque uomini.

Vi era persino un uomo in un completo nero che aveva diretto ogni spostamento chiedendo più volte agli operai di agire con prudenza e delicatezza.

Alex le aveva impedito di interrogarlo e forse era stato un bene… vedere l’uomo posare le mani sul suo orologio l’aveva fatta infuriare.

“Questo mi è già stato detto, quello che voglio sapere è chi è questo fantomatico proprietario.” Cercò di stare calma, pensando alla voce di sua sorella che le intimava di essere diplomatica.

“Vediamo…” Borbottò l’uomo battendo i tasti sulla tastiera con esasperante lentezza. “No… non abbiamo nessuna informazione neanche rispetto a questo dato, ma non tutti i dati presenti nell’archivio sono stati digitalizzati.”

Kara strinse i pugni.

“Sì, anche questo mi è stato detto, ma se potessi accedere all’archivio cartaceo, forse potrei scoprire…”

“Serve l’autorizzazione.” L’uomo estrasse un modulo e glielo passò. “Deve fare la richiesta.” Kara osservò il foglio e scosse la testa.

“Ci vogliono due settimane per ottenere il permesso… io ne ho bisogno subito…” Il suo tono aveva perso l’aggressività di prima, era disperata, le sembrava che l’ultima cosa che la legasse alla donna che ancora sognava, le stava sfuggendo dalle dita. “Non potrebbe… lo so che non dovrei chiederglielo, ma non potrebbe fare un’eccezione? Potrebbe venire con me nell’archivio e controllare che io non faccia niente di sbagliato…” Tentò.

L’uomo scosse la testa.

“Mi dispiace, ma abbiamo una politica molto severa al riguardo e…”

“Si tratta della mia anima gemella!” Sbottò allora Kara. L’impiegato dell’archivio alzò gli occhi stupito. Kara sentiva le lacrime pungerle gli occhi. “Io l’ho sognata, ma non l’ho mai incontrata e… se solo potessi sapere qualcosa su quell’orologio, forse capirei perché… non lo so, è sciocco ma…”

“Signorina.” L’uomo si alzò, l’aria seria. “Venga con me.” Disse e aprì la piccola porta che li separava. Kara sbatté le palpebre confusa, poi obbedì, veloce, incapace di credere di aver ottenuto quel piccolo strappo alla regola.

L’archivio era enorme, ma l’impiegato la condusse verso uno scafale preciso, poi estrasse un paio di faldoni e li posò su di un tavolino.

“Qua vi sono tutti gli atti che riguardano la biblioteca, fin dalla sua creazione nel 1887, se da qualche parte in questo archivio si parla dell’orologio allora l’informazione è qui.”

“Grazie.” Disse Kara e l’uomo le sorrise.

“Ho perso la mia anima gemella due anni fa… ma non dimenticherò mai cosa si prova nel trovarla.”

Detto questo la lasciò ai polverosi fascicoli.

Due ore dopo, Kara scattò in piedi, un ampio sorriso sulle labbra. Finalmente aveva un nome!

Salutò l’archivista con un bacio sulla guancia e poi corse via, gli occhi che brillavano. Tornò in biblioteca lanciando solo uno sguardo allo spazio vuoto lasciato dall’orologio, ma percependo comunque una stretta decisa al cuore, e si diresse con sicurezza alla sezione che conteneva le diapositive dei giornali più antichi.

Ora che aveva un nome trovò subito quello che cercava, era chiaro che si trattava di una famiglia ricca e influente in città.

“Allora?” Saltò sulla sedia nel sentire la voce di sua sorella così vicina.

“Alex! Mi hai spaventata.” La sgridò, ma la donna si strinse nelle spalle e lei fece roteare gli occhi tornando a rileggere un articolo particolarmente interessante.

“Kara, mi hai lasciato un messaggio in segreteria, blaterando di un nome…”

Luthor.” Le disse allora, staccò la testa dal lettore di diapositive e sorrise.

Luthor?” Chiese Alex, perplessa.

“Sì, erano piuttosto conosciuti nell’ottocento: il primo articolo che ho trovato è del 1840, parla di Liobert Luthor, un uomo di scienza che ha rivoluzionato il sistema di trasporti della città. Poi ci sono stati i fratelli Leander e Lionel Luthor che, insieme, hanno reso la famiglia una delle più potenti e influenti della città e dell’intero paese, li ho visti citare molte volte, Leander è stato anche sindaco due volte.”

Alex ascoltava in silenzio e Kara continuò.

“C’era anche una via Luthor, ma ora non c’è più.” Kara fece una smorfia.

“Come mai?” Chiese Alex, perplessa.

“La storia della famiglia Luthor diventa decisamente più cupa nel 1923 quando Lex Luthor viene accusato di aver ucciso la sorella. Gli articoli di maggio di quell’anno parlano della questione quasi ogni giorno: prima la ragazza sparisce e tutti la cercano, poi l’accusa cade sul fratello.”

“Ed era stato lui?” Chiese Alex che sembrava più interessata alla faccenda ora che si parlava di crimini.

“Non lo so…” Mormorò Kara tornando a guardare i suoi appunti. “Aveva la ricchezza della sua famiglia alle spalle, era il figlio di Lionel e dunque il nipote di un ex sindaco… la giustizia potrebbe essere stata corrotta e lui essere scampato all’accusa, si da il caso che la ragazza non è mai stata trovata e Lex Luthor è sparito dalla vita pubblica. Per questo noi non conosciamo il nome dei Luthor.”

“Curioso.”

“Le uniche tracce di lui parlano di un uomo folle che fa richieste degne di un pazzo, come quando ha chiesto di fermare l’orologio della biblioteca donato dai Luthor anni prima.” Spiegò Kara. “E qui le cose si fanno ancora più interessanti: due giorni fa una misteriosa compagnia che guarda caso ha come insegne due L, ha ritirato l’orologio.” Disse Kara gli occhi che brillavano di nuovo. “Deve trattarsi di un erede dei Luthor.”

“Va bene… ha senso, ma, tu, cosa vuoi fare al riguardo?”

“Andrò da lui o lei e chiederò che rimetta l’orologio al suo posto.”

Alex fece una smorfia.

“E credi che sia possibile?”

“Sì! Ho materiale a sufficienza per un articolo, dirò che voglio intervistarlo e se non acconsente a restituire l’orologio dirò che porterò alla luce tutta l’oscura faccenda di Lex Luthor, gettando fango sulla sua compagnia.”

“Non mi sembra giusto.” Kara sbuffò alla risposta della sorella.

“Non lo farò per davvero! È solo il mio piano B.”

“Il tuo piano B è una minaccia? Kara, tu non sei così, non fai questo genere di cose.” Il tono di Alex era calmo, serio e Kara sentì la rabbia salire.

“Tu cosa faresti per Sam?” Sbottò e Alex scosse la testa. Kara si morse la lingua, non avrebbe dovuto dire una cosa simile.

“Kara, quell’orologio non è lei.” Si ritrovò a ripeterle. Quella faccenda non aveva senso, Kara si era legata ad un oggetto che, probabilmente, non aveva nulla a che vedere con la sua anima gemella.

“Lo so!” Sbottò lei.

“Non voglio che tu ricada di nuovo nel…”

“Non lo farò, quei giorni sono passati.” Alex scosse la testa, era mortalmente seria e Kara seppe che stava per dire o fare qualcosa che le avrebbe impedito di portare avanti il suo piano. “Questa è l’ultima cosa che farò.” Anticipò. “L’ultimo tentativo. Se non arriverò da nessuna parte smetterò di cercarla, accetterò l’invito a cena di Winn o James o persino di Mike e svolterò pagina.”

“Ne sei convinta?” Chiese Alex e Kara seppe che avrebbe ceduto.

“Sì, ne ho bisogno, devo essere sicura di aver fatto tutto il possibile per trovarla, di aver seguito ogni possibile pista e, se non succederà nulla, beh, non potrò essere più delusa di quello che non sono già, non credi?”

La maggiore delle Danvers sospirò, poi annuì piano.

“Va bene, ma, per favore, non fare nulla di cui poi ti pentiresti.”

Kara sorrise.

“Non farò nulla di stupido, promesso!” Esclamò. “Ora devo solo trovare un indirizzo.”

 

La casa davanti a lei era leggermente inquietante. Il quartiere era ricco, viali alberati, giardini curati, facciate eleganti, ma questa, quella a cui avrebbe bussato, era antica, probabilmente ottocentesca e attorniata da un aurea di nobiltà. Forse era l’imponente cancello in ferro battuto, forse le tende tutte tirate… ma Kara dovette ammettere che avrebbe preferito permettere ad Alex di accompagnarla invece di dirle che doveva farlo da sola. Dopo un lungo minuto in cui controllò l’indirizzo due volte, si decise a suonare al campanello.

Senza che le fosse chiesto nulla il cancello si aprì e lei proseguì lungo il giardino fino all’imponente porta di legno massiccio che si aprì non appena lei posò il piede sul primo scalino.

“Buongiorno, miss Danvers, si accomodi.” Era lo stesso uomo che aveva visto prelevare l’orologio.

Kara fissò l’elegante figura con aria stupefatta.

“Come…?” Iniziò a dire, il maggiordomo, perché dall’abbigliamento non vi erano dubbi sul suo ruolo all’interno della casa, si spostò di lato per invitarla ad entrare.

“Il signor Luthor la sta aspettando.”

Kara esitò ancora un istante, poi annuì ed entrò, aveva deciso che sarebbe andata fino alla fine di quella storia e fino alla fine sarebbe andata! Case e persone spaventose comprese!

Mentre camminava dietro all’uomo Kara si guardò attorno, alle pareti vi erano numerosi dipinti, sotto i suoi piedi i tappeti erano magnifici, vasi e sculture decoravano l’ambiente, in quella casa si respirava un’aria di antica nobiltà, ma, per quel poco che conosceva Kara, anche di raffinata eleganza.

Fu introdotta in un piccolo e deserto studio.

“Il signor Luthor mi ha chiesto di scusarsi per l’attesa, pochi minuti e potrà riceverla.”

“Va bene…” Accettò Kara.

“Posso portarle qualcosa da bere o da mangiare?”

“Ehm… no, grazie.” Avrebbe di certo mangiato qualcosa… ma in quel posto le sembrava di essere fuori posto.

“Magari un libro o una rivista da leggere?” Chiese ancora con la solita pacata gentilezza il maggiordomo.

“No, grazie mille.”

“Molto bene, se le serve qualsiasi cosa non esiti a chiamare.”

Lei annuì e l’uomo chinò il capo prima di andarsene. Rimasta sola Kara scrisse un messaggio ad Alex, qualcosa di semplice: se non ti scrivo entro trenta minuti vieni a prendermi!

Aggiunse una faccina, così che la sorella non si preoccupasse troppo.

Si sedette sul divano e si guardò attorno per un po’, quando era sul punto di alzarsi e dire di sì a quella proposta di cibo, la porta si aprì e un uomo entrò nella stanza.

Non si era aspettata un signore così anziano. La sedia a rotelle era elettrica e si mosse da sola in assoluto silenzio.

“Buongiorno, miss Danvers.” Le disse l’uomo, il suo viso era ricoperto da rughe, ma i suoi occhi azzurri brillavano d’intelligenza e la sua voce, seppur anziana, conteneva un nota di forza che di solito non apparteneva ad un uomo di simile età.

“Salve… ehm… come fa a conoscermi?” Chiese, Kara, incapace di trattenere la curiosità.

“Oh!” L’uomo sorrise, piegando un poco il capo, osservandola divertito. “Diciamo che poche cose che riguardano l’orologio sfuggono alla mia conoscenza.”

Kara corrugò la fronte, chiedendosi come prendere quell’informazione.

“Dunque siete qui perché lo volete indietro, non è vero?” Aggiunse l’anziano Luthor e Kara annuì. “Molto bene.” Disse solo lui e lei lo fissò, stupita. Sarebbe stato così facile? L’uomo ridacchiò.

“Volete seguirmi, per favore?” Le chiese, la sua sedia ruotò silenziosa sul pavimento e si mosse verso la porta che si aprì davanti a lui.

“Ehm… certo.”

Quello era l’incontro più strano di sempre.

“Posso farvi una domanda?” Chiese Kara, seguendolo.

“Ma certo.” Accettò lui.

“Perché avete preso l’orologio?”

“Perché era giunto il momento.” Rispose l’uomo, semplicemente.

“Cosa significa?”

“Conoscete la storia dell’orologio?” Le chiese allora l’anziano Luthor, entrando in un piccolo ascensore e facendole un cenno affinché lo imitasse.

“So che è stato installato dalla vostra famiglia sul muro della biblioteca e che Lex Luthor ha ordinato di fermarne l’ingranaggio nel 1923.”

“Alle due precise.” Mormorò l’uomo. “Sì.” Le porte dell’ascensore si aprirono e Kara sgranò gli occhi davanti al cambiamento di decoro, adesso si trovavano in un laboratorio moderno, con luci al neon, pavimenti e pareti perfettamente bianchi, superfici in metallo e strumentazione che avrebbe fatto brillare gli occhi a Winn.

“Sapete perché?”

“No…” Ammise lei, ma tutte le domande si bloccarono sulle sue labbra quando si ritrovò a osservare l’orologio e il suo ingranaggio, sistemati su di un banco da lavoro. Le sue mani corsero a sfiorarlo, ma poi esitarono e lei tornò a guardare l’uomo che la fissava con occhi attenti.

“Perché lo avete preso?” Domandò di nuovo.

“Il suo ingranaggio doveva ripartire. Sono passati esattamente 100 anni da quando…” L’uomo distolse lo sguardo e alzò una mano, sfiorando la cassa di legno nero che doveva racchiudere parti degli ingranaggi. “Tanti anni… e finalmente è giunto il momento.”

“Non capisco.” Kara si chiese se l’uomo non fosse matto.

“No, certo che no.” Lo sguardo dell’anziano signore si fece di nuovo attento. Ritirò la mano dall’orologio e mosse le leve per spingere la sedia a rotelle verso una porta chiusa. “Venite.” Disse e Kara, suo malgrado, lo seguì. La porte si aprì e lei si ritrovò ad osservare un piccolo studio, i suoi occhi però non si soffermarono sul mobilio o l’arredamento, ma corsero veloci al dipinto che dominava un’intera parete, il suo cuore prese a battere veloce, mentre seguiva le linee decise del viso, osservava quegli occhi chiari, dal colore indefinito, tra il verde e l’azzurro, così brillanti, anche nel dipinto e poi le linee del collo, decise e al contempo delicate, le spalle, mostrate dall’abito dal taglio ottocentesco, appena accarezzate dai capelli scuri.

Lei.

Fece un passo indietro, la mano che correva a coprirle la bocca. Vi era dolcezza in quegli occhi, ma anche una lontana sofferenza, la stessa che vedeva ogni mattina nei propri. Scosse la testa, incredula, incapace di comprendere, di accettare quello che il suo cuore aveva afferrato all’istante.

“Mia sorella.” Disse l’uomo alle sue spalle, ma lei lo ascoltava appena, mentre continuava a frugare tra le linee e i colori del disegno cercando l’incongruenza, l’errore.

“Lena Luthor.” Specificò l’anziano e allora lei si voltò a fissarlo, incredula. “Sì, sono Lex Luthor e lei, è la tua anima gemella.”

 

Kara stava correndo. Sentiva le lacrime raffreddarsi scorrendo orizzontali sul suo viso, mentre lei correva più veloce che poteva, allontanandosi da quella casa, allontanandosi da quella verità, una verità che non poteva accettare, a cui non poteva credere.

 

 

Note: Prima parte di una storia divisa in due, come sempre già interamente scritta e solo in attesa di essere pubblicata.

Kara e Lena anime gemelle separate dal tempo. Lo avevate immaginato, sospettato?

Fatemi sapere se questa prima parte vi è piaciuta, se questa storia di anime gemelle vi intriga, se credete che, anche questa volta, le nostre fanciulle troveranno un modo, oppure se vi rendete conto di quanto, la sfida lanciata dal destino, sia davvero impossibile da sconfiggere.

 

La storia è una doppia sfida, prima di tutto una sfida posta dall’iniziativa “Easter Egg” del gruppo “LongLiveToTheFemslash”, a cui partecipa, e in secondo luogo una sfida da colei che ha scelto per me il prompt (ve lo mostrerò alla fine della seconda parte) più difficile su cui ha posato lo sguardo. Grazie Anna! ;-)

 

  
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