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Autore: summer_time    05/04/2018    1 recensioni
L'Unione ambisce da quando è nata al Soldato d'Inverno, una leggenda vivente ma nascosta a tutti: addestrato a sopravvivere, a combattere, a uccidere ma soprattutto ad obbedire, sarebbe la risorsa militare perfetta per avere finalmente il controllo totale e assoluto sui territori e sui pianeti. Le più alte cariche lo bramano ognuna per sè, una guardia silenziosa e letale capace di simulare un omicidio per suicidio; l'Esercito lo chiede per sè, una macchina da guerra instancabile e sempre operativa, in grado di allenare nuove reclute; il Museo Generale lo vuole per sè, un umano ancora in vita dopo la Quarta guerra Mondiale, dopo la criogenesi a lunga durata, dopo la distruzione più totale, portatore di antiche culture.
Ma il Soldato è stato problematico fin da subito e la sua mente non è cambiata: che provino pure a manipolarlo, a tentare di sedurlo, a controllarlo. Il Soldato non si è spezzato una volta, non lo farà mai, se credono di averlo in pugno e di comandarlo a loro piacimento si sbagliano: è così che vuole far credere, osserverà ogni dettaglio, stringerà alleanze, vedrà tutti i punti deboli. E poi attaccherà.
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: Violenza
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Dicono del Soldato d’Inverno che sia bello come un angelo, con la pelle di porcellana e le mani delicate.
Dicono del Soldato che il sangue dei suoi nemici brilli sulla pelle diafana delle sue mani e che assomigli alla Morte.





Pianeta Madre Terra. Millesettecentosessant' anni dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale e cinquecento anni dopo la nascita dell’Unione.

L’archeologo James Kçasip osservava il pianeta da cui tutto aveva inizio, la Terra – il famoso pianeta azzurro, una leggenda in tutte le galassie – che ora gli appariva in tutto il suo orrore: degli azzurri mari non rimaneva che qualche lago salmastro e scolorito, inaciditi dai gas usati nelle guerre; l’atmosfera brillava grazie ai riflessi metallici di tutti i droni, satelliti e spazzatura varia lasciati dai loro antenati mentre il resto della terra, il terreno vero e proprio, veniva continuamente rimodellato dai venti aridi e incessanti che rendevano il suolo inospitale e terribilmente caldo. Nessuno abitava quel pianeta da secoli.

Continuò a osservare il pianeta, perso nei dettagli di quella che poteva rivelarsi la più brillante, la più fruttuosa e forse la più impegnativa delle sue missioni di scavo: il suo progetto era ambizioso, fin troppo e lo sapeva anche lui, ma per nulla al mondo avrebbe rinunciato a questa possibilità, dopo quasi cinquant’anni persi a pregare il concilio del Museo Generale in una - anche minima – spedizione. Lui sapeva che era là, nascosto nelle profondità del terreno, protetto da innumerevoli strati di piombo in modo da sviare l’attenzione degli scanner, addormentato e in attesa di ordini: era cresciuto sentendo la storia del Soldato d’Inverno da sua madre e suo padre, di come fosse stato addestrato a combattere, a sopravvivere e a obbedire agli ordini per poi essere congelato e sepolto nelle viscere della Terra poiché troppo pericoloso se non controllato costantemente. Era diventato un archeologo solo per trovarlo, per fare la scoperta del secolo: riportare alla luce un pezzo di storia in sostanza perduto. E solo lui poteva farlo – sentiva che solamente lui aveva le conoscenze necessarie: aveva studiato giorno e notte per notare anche i minuscoli dettagli della sua localizzazione, aveva sgobbato dietro alla traduzione di testi scritti in una lingua incomprensibile, ingerendo ogni rifiuto del concilio e preparando una futura spedizione nei minimi dettagli. Aveva un buon presentimento: aveva composto la squadra di ricerca in modo minuzioso e aveva acconsentito anche alla partecipazione dei militari dell’Unione, tutto pur di avere la miglior tecnologia a disposizione e di partire alla prima occasione.

“Dottore, la prego di sedersi: si prepari all’atterraggio.“

La voce di uno dei sottoufficiali della navetta lo fece tornare alla realtà: con un cenno del capo congedò il Krillarg di fronte a lui e s’incamminò verso la sua squadra, non senza aver lanciato un’occhiata alla figura snella e slanciata dietro di lui; erano creature affascinanti i Krillarg, lo ammetteva: dediti al lavoro in squadra e alla cooperazione con le varie specie, erano praticamente inoffensivi normalmente ma durante la stagione degli amori secernevano un liquido urticante piuttosto fastidioso dalle lunghe unghie gialle. Erano i privilegiati dai ricchi capitani di navette spaziali per la loro obbedienza ed eccellente supporto meccanico, e James non poté che sorridere tra di sé: l’Unione aveva un interesse particolare quasi quanto il suo per il Soldato.

“Capo è pronto?”

Il suo secondo, il Dottor Kurt Hollander, lo guardava sorridendo sornione, comodamente seduto in una delle tante poltrone presenti nella stanza: James non smise di sorridere lasciando parlare l’eccitazione visibile del suo volto per lui. Conosceva quel ragazzo – perché di una matricola appena uscita dalla facoltà si trattava – da quando era nato ma non si stupiva della sua veloce ascesa, avere dei genitori potenti alle spalle l’aveva sicuramente aiutato ma il grosso del lavoro lo aveva fatto quel cervello svelto e l’abilità di decriptazione dei testi antichi: non c’era lingua anticamente parlata che Kurt non conoscesse a menadito. Conosceva anche i suoi genitori da una vita e li aveva parecchio rassicurati su questa spedizione a loro avviso pericolosa per il secondogenito: Gwen e Kahl Hollander erano stati entrambi suoi vicini di casa durante la sua infanzia e poi compagni di Facoltà, nonostante loro si fossero specializzati in economia spaziale, lei, e valutazione oggetti rari, lui.

Si allacciò le cinture di sicurezza mentre la navetta incominciava la sua discesa nell’atmosfera acida terrestre: piccoli e lievi scossoni intervallavano e spezzavano la tensione creatasi nella squadra, pronta a avverare l’alta aspettativa dell’Unione e del loro coordinatore, nonché capo della spedizione effettivo. Con un leggero tonfo l’astronave si ancorò al suolo, incominciando subito a rilevare dettagli dell’ambiente circostante e a suggerire possibili scelte per rendere il lavoro degli archeologi il più scorrevole possibile: avrebbero dovuto indossare delle maschere almeno fino al completamento del capannone abitativo.

Emozionato, James si coprì in fretta con la tuta, calando la maschera sul volto improvvisamente ringiovanito: finse di non sentire le risate di Kurt e i borbottii esasperati dell’esperta di macchinari Jhosha, borbottii praticamente incomprensibili data la conformazione dell’apparato fonico tipica di quelli della sua specie – Chiroptera, esseri comunicanti con impulsi sonici a bassa frequenza. Non badò neanche al Capitano e al suo braccio destro, ansioso di scendere su quel pianeta che aveva dato origine all’uomo: doveva scendere giusto per dirlo finalmente al mondo, per dire che lui era lì e non se ne sarebbe andato senza il suo prezioso tesoro.

“L’uomo è impaziente, quest’uomo osserva.”

Si voltò verso Hool, l’ultimo membro della sua squadra e uno dei pochi G’Haul rimasti nell’universo - decimati da una malattia autoimmune causata dagli incesti permessi nella loro cultura: erano stati degli ottimi scienziati un tempo ma purtroppo il voler preservare la purezza della specie si era ritorta loro contro.

“Vero ma non sono l’unico. Questa è la missione più importante della vita.”

“Quest’uomo conferma eppure il Capitano sembra non importarne della missione ma più del bottino.”

“Cosa vuoi farci? Il Soldato è l’unico essere vivente che ipoteticamente è sopravvissuto alla criogenesi a lunga durata ed è militarmente una futura pedina preziosa per l’Unione. Se dipendesse da me non vorrei risvegliare il mostro sanguinario che è in lui.”

Vide Hool annuire con il capo per poi incominciare a scendere verso la piattaforma che si era lentamente aperta davanti a loro: non aveva bisogno di maschere quel gigante, grazie a una pleura di naso e dei polmoni così sviluppata contro possibili patogeni o alterazioni chimiche da necessitare solo una concentrazione di anidride carbonica, il necessario per la sua sopravvivenza. Purtroppo per James invece, il corpo umano era limitato e richiedeva protezioni – a suo parere ingombranti per la ricerca e lo scavo ma di cui sapeva di non poter fare a meno.

“Stai tranquillo Capo, non scappa mica il nostro amico!”

Kurt lo affiancò ridendo: nonostante tutto era palese l‘emozione nella sua voce ed era comprensibilissima. La prima missione, il primo scavo importante ed era sul pianeta Madre alla ricerca di una leggenda vivente: molti avrebbero pagato, ucciso, fatto qualunque cosa pur di essere al suo posto e il giovane lo sapeva bene tanto da aver controllato più e più volte la sua attrezzatura, pronto a qualsiasi evenienza.
Scesero tutti e quattro in una landa desolata: il terreno era grigio, spaccato in più punti, arido ma completamente gelido. La desolazione più totale si spalancava davanti ai loro occhi, niente si muoveva o respirava, una calma piatta e talmente immobile da gettare un brivido freddo al Dottore: questo era ciò che rimaneva del loro antico pianeta, una palla di terra fredda e sterile dove l’unica vita presente – e pregava che fosse così in quel momento, doveva essere ancora in vita – era addormentata sotto chilometri di terra dura e ghiacciata. Ogni passo che facevano, ogni respiro e ogni movimento era assordante, un turbamento della quiete secolare: James si accorse dell’effetto disastroso dell’acido precipitato sottoforma di piogge e sentì un malessere avanzare al pensiero della penetrazione di quegli agenti così estremi della camera di criogenesi.

“Allora Dottore, che gliene pare?”

Il Capitano si era deciso a raggiungerlo, dopo un viaggio all’insegna del reciproco ignorarsi: non che avesse qualcosa di male in particolare contro il Capitano Fuq ma era un membro importante dell’Esercito dell’Unione e non intendeva immischiarsi troppo con loro.

“Desolante. Spero vivamente che la camera sia stata protetta a dovere, tenendo in conto di tutte le sicurezze: non voglio trovarmi solo un ammasso di piombo a difesa della più importante vita umana del momento.”

Vide l’uomo annuire, la cicatrice biancastra che gli percorreva il collo non dava proprio una sensazione di sicurezza ma avrebbe dovuto farci l’abitudine: avrebbero passato molto tempo in compagnia, tanto valeva collaborare subito.

“Siamo atterrati dove ci ha indicato, la famosa Alaska: i miei uomini si sono già messi in moto per innalzare il capannone abitativo e un perimetro difensivo. Appena finito ciò, vi daranno una mano nella ricerca, sotto direttive vostre naturalmente.”

Si congedò in fretta, lasciando una sensazione amara nella mente di James ma presto dimenticata con l’arrivo di Kurt e dei ragazzi: prima trovavano l’entrata della camera prima avrebbero potuto svegliare il Soldato e ricevere tutti gli onori compresi per la scoperta rivoluzionaria. Sapevano per certo che il cuore, dove stava la cella con il Soldato e le istruzioni per svegliarlo, era lì nella terra chiamata Alaska rivestito da lastre massicce di piombo antiatomico e chiuse da una serratura dotata di un’energia auto-rigenerante, preceduti da un corridoio indefinito.  Purtroppo i loro antenati avevano fatto un ottimo lavoro nel distruggere tutte le possibili informazioni per trovare il Soldato ma non erano stati abbastanza attenti, e quelle poche ma vitali informazioni gli erano giunte intatte e abbastanza veritiere: storicamente l’Alaska era stata un luogo freddo, ideale per non sprecare troppa energia nel mantenere il Soldato congelato.

Incominciava l’avventura della sua vita: era pronto.

҉҉҉

C’era voluto un mese per trovare e aprire quella dannata porta di lonsdaleite – uno dei materiali più duri e resistenti ai tempi della Quarta Guerra Mondiale – però alla fine ce l’avevano fatta: erano atterrati cento chilometri più a sud rispetto all’ubicazione della struttura ma poco importava, ora erano lì e avrebbero riportato alla luce il Soldato. Era stato un pensiero fisso, un mantra, un’ossessione ma alla fine era lui che aveva avuto ragione e questo bastava a placare il suo animo inquieto.

“Jhosha, calati di qualche metro con la corda e manda qualche impulso per vedere com’è orientato e se ci sono possibili danni alla struttura.”

Tempo qualche minuto e il suo traduttore all’orecchio sinistro lavorò per elaborare i suoni emessi dalla ragazza: la struttura era intatta, vecchia e potenzialmente pericolosa ma niente si era corroso o danneggiato da un qualsiasi incidente; aveva inoltre trovato la porta di accesso alla camera principale con un sistema di chiusura quantico, ma di che livello non riusciva a capirlo; il corridoio inoltre doveva essere lungo circa una cinquantina di metri, procedendo verso l’interno della Terra senza trappole di alcun genere. Annuì serio e informò il Capitano, giunto sul posto dopo una segnalazione da parte di un sottoufficiale: insieme concordarono che sarebbero scesi l’intera sua squadra, il capitano stesso e due soldati di scorta, in caso di problemi.

Calarsi e arrivare alla porta sbarrata, illuminati solo dalle torce al neon, fu l’esperienza più elettrizzante degli ultimi tempi: la tensione non faceva che aumentare e la cosa lo innervosiva parecchio, non era venuto fino lì per tornarsene con una delusione o peggio, un fallimento. Lasciò lavorare Hool e Jhosha, gli unici in grado di disattivare la sicurezza data dalla porta senza recare danni: sapeva che ci voleva tempo ma avrebbe voluto solo sfondare quella serratura ed entrare di forza, doveva vedere, doveva sentire. Kurt lo raggiunse e gli sorrise complice con gli occhi brillanti: osservando la galleria – perché di corridoio non si poteva parlare – illuminata solo dalle torce al neon, non poteva che chiedersi come avrebbe reagito il Soldato alla vista del suo pianeta distrutto e di un’intera nuova struttura politica e sociale a cui avrebbe dovuto necessariamente abituarsi. Chissà cosa avrebbe pensato o detto, chissà come avrebbe reagito: c’era rimasto dell’umano in lui? O avevano estirpato tutte le emozioni, rendendolo una macchina umana? Cosa si ricordava del passato, ne aveva ancora memoria? O gli avevano cancellato tutto per pietà? E se non era vivo? Se qualcun altro era già entrato prima di loro o, ancora peggio, se il Soldato fosse scappato secoli prima?

Assillato com’era dai dubbi, sentì a malapena il cigolio dei vari cilindri scorrere lenti ma costanti all’interno della porta, lasciando libero accesso al gruppo presente a ciò che custodiva.

“Nessun essere vivente è entrato o uscito da qua da almeno tre secoli, la porta era ancora sigillata con degli antichi codici alfanumerici, quest’uomo lo giura.”

“Entriamo allora.”

Piatto e incurante della tensione del momento, il Capitano avanzò fino alla porta, aprendola quel tanto che bastava per passare all’interno: James non se lo fece ripetere una seconda volta e lo seguì immediatamente con le gambe molli dall’emozione. Quello che vide lo lasciò senza fiato. Una camera depurante li separava da una modesta stanza, per metà occupata da un grosso cilindro in fibra di carbonio - appannato dove c’era la visuale per il Soldato - e dai cavi adiacenti; una scrivania marrone era alla loro destra, con plichi di fogli e cartelle colorate, mentre vicino a questa erano presenti due bauli sigillati ermeticamente. Incredibilmente l’apertura della porta aveva riattivato il circuito d’illuminazione della stanza e della galleria, permettendo di spegnere le torce; il computer di bordo inoltre li avvisò che l’aria stava raggiungendo livelli d’ossigeno standard, tolte tutte le sostanze corrosive.

Un trillo li avvisò che potevano addentrarsi nella sala e James fu calamitato dai fogli accuratamente sistemati mentre la sua squadra osservava il cilindro sperando di intravedere la forma del Soldato; anche il Capitano lo stava aiutando a decifrare i fogli, tutti con lo stesso layout ma con simboli e scritture diverse.

“Probabilmente dicono la stessa cosa: hanno stampato più fogli nelle lingue conosciute allora per dare un margine di possibilità a noi del futuro.”

James annuì febbrilmente: il linguaggio era troppo antico, dubitava che persino Kurt sapesse tradurre quei simboli. Nel mezzo però riuscì a scorgere una parola famigliare.

“Aspetti questo foglio sembra più recente – storicamente parlando – rispetto agli altri. Se non sbaglio dovrebbe essere Frnyano antico prima che la specie si unisse all’Unione e adottasse il linguaggio comune, circa seicento anni fa. Kurt, vieni qua e prova a tradurre! Non possiamo rischiare di mandare tutto all’aria per la nostra fretta.”

Il ragazzo si avvicinò svelto, lanciando una prima occhiata al testo e confermando la lingua. Si accordarono: Kurt li avrebbe guidati a passo a passo in modo da non commettere errori nel risveglio del Soldato mentre loro pregavano che andasse tutto bene. C’erano circa venti passaggi, di cui gli ultimi erano soprattutto indicativi per tranquillizzare il Soldato: scoprirono amaramente però che non era trascritta la sequenza vocale cui il soldato doveva obbedire, ma a questo avrebbero pensato più tardi. Con calma il gruppo incominciò a scongelare il cilindro: valvola dopo valvola, cavo dopo cavo, la pressione interna diminuiva sempre più mentre la temperatura si alzava, creando degli sbuffi di vapore gelato. Ci vollero circa cinque ore prima di raggiungere l’ultimo e definitivo punto ovvero l’interruzione dell’alimentazione iperproteica razionata e l’interruzione contemporanea dei sedativi criogenici: ancora la sagoma non si vedeva ma, stando al testo, nel giro di alcuni minuti il Soldato si sarebbe svegliato da solo e sarebbe uscito con le proprie forze; avrebbe dovuto passare qualche giorno in riabilitazione ma poi sarebbe tornato letale, degno della sua fama.

Con un sussulto sentirono dei rumori provenire dall’interno del cilindro: il Capitano fece uscire i due soldati, in modo da non agitare chiunque fosse uscito da lì, sicuramente confuso e spaventato. James quasi trattenne il fiato quando la parete superiore del cilindro si alzò di qualche centimetro, riversando nella stanza vapore acqueo congelato: la porta incominciò a scorrere verso sinistra, liberando il suo ospite ma ancora oscurato al gruppo dalla ventata di vapore gelido che s’innalzò.

Con un sorriso stampato sul volto che si trasformò in una smorfia d’incredulità, il Dottor James Kçasip, archeologo del Museo Generale, vide il Soldato d’Inverno osservare tutti loro con i suoi occhi grigi come il metallo: lo vide analizzare ogni elemento del gruppo mentre lentamente si allontanava da loro. Era indubbiamente il Soldato, si vedeva dalla tuta aderente in microfibra, dai piccoli lividi lasciati dagli aghi su polsi e gomiti, dalle goccioline di acqua scongelata sui capelli. Il problema non era l’incredibile giovinezza – a occhio avrebbe dovuto avere circa l’età di Kurt – ma un atro aspetto, non meno importante e sconvolgente: era una ragazza.

“E voi chi siete?”






 

ANGOLO AUTRICE

Dovrei essere beatamente nel mondo dei sogni ma l’ispirazione è arrivata ora e con lei la mia voglia di scrivere: perciò eccomi in una nuova avventura, la mia prima storia originale!
Chiarisco che prenderò spunto – soprattutto per i nomi – da altre saghe/fandom oppure da nomi che realmente esistono e hanno una qualche correlazione con il carattere o il fisico del personaggio: come avrete palesemente notato ho preso in prestito la nomea del Soldato d’Inverno dalla Marvel (e l’idea della criogenesi) oppure la specie di Jhosha – la Chiroptera – è in realtà una famiglia di pipistrelli mentre la lonsdaleite esiste veramente ed è un metallo superduro creato nel 2005 in laboratorio.

Sono molto emozionata, lo ammetto, e spero di fare un buon lavoro anche perché devo dare uno sfogo alla mia creatività e questa storia mi attira parecchio. Spero abbia attirato anche voi :) Lasciatemi una recensione, giusto per capire se vi fa piacere leggere e saperne di più, un bacio


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