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Autore: cliffordsjuliet    05/04/2018    2 recensioni
Era così, la Periferia. Io non ero Kendra Saint, non ero la figlia di Missi e Jackson.
Non c’erano nomi, in periferia. Eravamo tutti numeri, volti un po’ scambiati, copie sbiadite di chi, prima di noi, in quel posto ci era marcito.
Io non facevo differenza.
**
Me ne sarei tornata a casa, con calma, senza correre. Sarei arrivata lì e a quel punto non ci sarebbe stato Luke ad aspettarmi.
Pensavo che mi sarei sentita sollevata, invece mi sentivo solamente miserabile.

**
Pensavo che avrei smesso di odiarlo, di disprezzarlo con tutta la forza che avevo in corpo.
Pensavo che mi sarei abituata a quell'affetto sordo e un po' cieco che lentamente si stava facendo spazio in me.
Non mi abituai mai. In fondo io ero Kendra e lui era Ashton, ed era questo che sapevamo fare.
L'odio era l'unica cosa che non potevano toglierci.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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V. A chance to run away

Col passare del tempo Luke, Ashton e Michael iniziarono a sparire sempre più spesso.
Io mi ero lentamente adattata, avevo accettato quella situazione che non mi piaceva e l’avevo resa la mia quotidianità. Mi stava bene pur di non lasciarli andare.
All’epoca non lo sapevo ancora, ma sarebbe stato sempre così.

Io non avrei mai capito nulla di loro.
A volte andavano via solo Luke e Michael, e quindi io restavo con Ashton anche giornate intere. Ci facevamo compagnia e basta, anche a stare zitti per ore, ché tanto le parole non sarebbero servite a dar giustizia al caos che sentivo dentro, che mi avrebbe fatta scoppiare in lacrime se glielo avessi permesso.
Ashton lo sapeva, e accettava i miei silenzi.
Passavamo giornate intere in giro per la Periferia, o al canyon senza far nulla di preciso.
A volte studiavamo, ma a lui non piaceva e a me era passata la voglia, se non c’era Luke insieme a me non riuscivo a concentrarmi su altro che non fosse il vuoto allo stomaco, la sensazione che una parte di me mi fosse stata strappata brutalmente.

«Domani tornano, lo sai» mi diceva Ashton in quei momenti. Io annuivo, ma non rispondevo niente.
Certo che lo so, avrei voluto dirgli. Certo che lo so, ma questo non lo rende un po’ meno schifoso, non toglie il fatto che lui è il mio migliore amico ed è mio fratello, me lo sono scelta io, ci siamo contaminati per anni ed ora non so nemmeno dove sia. Non toglie il fatto che potrebbe morire stasera, e l’ultima cosa che gli ho detto è stata di andare via.
Non toglie il fatto che sono un mostro, Ashton, e dovresti andartene anche tu, prima di restare intrappolato.

Tenevo per me tutti i miei pensieri, mi lasciavo affogare da essi, lasciavo che mi facessero male. Io ero forte, pensavo. Io ce l’avrei fatta a non crollare, a restare integra nonostante le crepe, nonostante gli scossoni che mi squarciavano il petto e l’anima, e mi facevano credere di essere sul punto di morire. Ero solo una ragazzina con la voglia di andar via e dimenticare tutto, e non sapevo quanto mi sbagliassi. Col tempo l’avrei capito.
Non sarei mai stata abbastanza forte per scappare da me stessa.


A volte capitava che anche Ashton andasse via.
Partiva con loro, stava lontano tutta la giornata, e a me quella lontananza dava i brividi, mi soffocava. Mi ero così abituata a passare le giornate insieme a lui, alla sua tranquillità e ai suoi occhi verde sporco così impenetrabili, che non capivi mai cosa gli passasse per la testa, che stare senza mi mandava in astinenza. Come una droga, la mia rota era la sua assenza. I giorni in cui non c’era neanche lui io li sentivo dentro le ossa, scandivo i secondi con i miei respiri lenti, con il mio sguardo vitreo fisso sulle mura della mia stanza.

I miei non lo capivano, cos’avessi.
È una fase, dicevano.
Presto passerà, sta facendo l’adolescente.
Loro non lo sapevano, che non sarebbe passato niente, che la mia vita sarebbe scivolata giù nel baratro insieme a quelle di quei tre idioti che ormai erano la mia seconda famiglia.
Calum mi veniva a trovare, qualche volta. Si sedeva sul letto accanto a me, chiacchierava, cercava di distrarmi. Era bella la sua voce, calda e invitante. Avrei voluto potermi appropriare di un po’ del suo calore, mettermelo dentro, sentirmi viva di nuovo.
Come un parassita, mi sarei nutrita anche della sua, di felicità, se fosse servito ad anestetizzarmi i pensieri. E invece Calum era lì e sorrideva ed io non potevo sentire altro che paura sorda e terrificante, e la sua voce mi giungeva ovattata, i suoi abbracci non me li sentivo addosso.

Avevano fatto un bel lavoro, Ashton e Michael.
Prima s’erano portati via Luke e poi anche me, mi avevano incatenata a loro, alle loro vite perennemente a rischio.
Non avrei capito mai quanto realmente mi stessi facendo cancellare da loro.

 

Io a Luke avrei chiesto di tutto.
Se ricordasse quella volta in cui eravamo scappati di casa per tre giorni perché io avevo preso una nota a scuola e avevo paura della reazione di mia madre, anche se poi quando ci avevano trovati le punizioni erano fioccate comunque.
Se pensasse mai a quando da piccoli non andavamo a lezione se non c’era pure l’altro, e tutte le notti passate nel mio letto. Tante cose che ho sempre dato per scontato e che non avrei riavuto più, e il ricordo faceva male, era incandescente e bruciava più di ogni altra cosa. Io non avrei dimenticato niente, dei giorni in cui eravamo ancora Luke e Kendra e non facevamo niente che potesse separarci. Pensavo che saremmo andati avanti così per sempre e invece era stato lui a staccarsi, a tagliare il filo immaginario che ci univa.

Si era allontanato in silenzio, un po’ alla volta per non farsi notare, e alla fine m’ero ritrovata sola e non sapevo neanche perché.
Quanto ci stavo male io, quando pensavo a ciò che avevamo avuto, non avrei mai saputo spiegarlo.
«Vaffanculo, Luke...» mormorai tra me, e la mia voce sembrò innaturalmente rauca, fragile come non ero mai stata. Avrei pianto. Avrei pianto per liberarmi, e invece solo una lacrima era riuscita ad abbandonare i miei occhi, prima che la scacciassi via con le mie dita fredde. Neanche a piangere ero più brava, non sapevo più fare nulla.
Mi affacciai alla finestra della stanza, quella che dava sulla casa di Luke: le luci erano spente e non si sentiva un rumore, e in quei momenti sembrava quasi un quartiere normale, il nostro. Sembrava una vita come tante, quella della Periferia, quando non c’era nessuno a tirar su qualche casino da matti.

Eppure lo sapevo che non sarebbe durata. La gente della Periferia era così: a stare calma non era capace, nessuno sapeva andare avanti senza il casino e le grida e il dolore fisico. Era quello a cui c’eravamo abituati tutti, non sapevamo vivere altrimenti, non conoscevamo alternative. E se pure un tempo ne avevo sognate, io, di strade diverse, avevo perso i miei stupidi ideali tra un drink e l’altro, tra un bicchiere troppo vuoto per riempire l’assenza che mi urlava dentro e mi martellava contro la cassa toracica e una giornata passata così, a fissare il vuoto. Ad aspettare che qualcosa cambiasse.
Uscii di casa senza fare un rumore, scivolando dalla finestra. Pensai a quante volte Luke se ne fosse scappato dalla mia stanza alla stessa maniera e quasi non riuscii ad impedirmi di ridere. Era con me anche quando non lo volevo, il disgraziato, era dentro le mie abitudini più radicate, i gesti che componevano la persona che ero. Forse in fondo Luke era me più di quanto lo fossi io. Forse era guardando lui che io ero diventata quel che ero, senza neanche accorgermene.
Le strade della Periferia così vuote mettevano i brividi. Pensai che avrebbero potuto ammazzarmi, a girare così da sola, di notte. Pensai che non me ne importasse, che avrei goduto nell’incontrare finalmente una fine.
«Cosa fa la protetta di Ashton da sola in giro ad un orario del genere? Penso che se lui lo sapesse farebbe il diavolo a quattro»
Mi voltai di scatto, riconoscendo quella voce. Riconoscendo quegli occhi come buchi neri, quel volto pallido, il sorriso da diavolo. Riconoscendo Chester e la sua camminata molleggiata, il passo di uno che ha il mondo tra le sue mani o che almeno ne è convinto. Mi dava i brividi, ma non lo avrei mai dato a vedere, quello. Non avrebbe mai saputo quanto i suoi occhi mi terrorizzassero, così scuri da sembrare vuoti, vacui.
Sembrava sempre trapassarti da una parte all’altra, lui,e quella cosa mi faceva stare da schifo. Non le volevo, le sue occhiate insistenti.

«Non so se te l’hanno detto, ma Ashton non ha nessun cazzo di diritto su di me»
«Lui però questo non lo sa»
«Io credo proprio di sì» replicai, facendo per allontanarmi. Chester si era avvicinato e la sua espressione saccente mi faceva desiderare di prenderlo a schiaffi. Mi chiesi se fosse stata la sua faccia da stronzo a procurargli quel taglio che gli spaccava il sopracciglio a metà.
«Non puoi scappare, Kendra» riprese lui, mantenendo il mio passo veloce senza il minimo sforzo. «Tu ancora non l’hai capito che noi non ce ne andiamo?»
«Io non so di cosa parli e tu m’hai già scocciato»
«Io lo vedo, sai. Il tuo modo di fare da dura, tratti male tutti… vorresti solo andare via.
Sei come gli altri, tu»

Mi fermai. Forse Chester aveva colpito nel segno. Forse davvero volevo andarmene, ma non volevo che lui lo sapesse. Volevo che lui non sapesse nulla di me, in realtà, il pensiero di essere stata così semplice da leggere mi dava la nausea.
«Perché mi stai seguendo?» domandai, fermandomi di colpo. Si fermò con me, con la sua solita calma, con il suo sguardo vuoto e il suo mezzo sorriso accennato.
«Perché voglio offrirti un modo per andar via»

  
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