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Autore: mystery_koopa    06/04/2018    13 recensioni
Stalingrado, 1943
La morte è in ogni angolo, proviene da ogni direzione, dei ricordi lontani emergono tra le macerie.
✠ Terza classificata al contest "Solo Cenere" indetto da molang sul forum di EFP.
✠ Quarta classificata al contest "Test your Might" indetto da _Akimi sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Stalingrado, 1943, un cumulo di macerie
 
La polvere sollevata nell’aria dall’ultima esplosione ha raggiunto perfino l’ultimo piano del fatiscente palazzo dove gli ultimi esponenti del Reggimento Volontario Lituano si sono rifugiati; in quel luogo tu, Dominikas Jonaitis, siedi solo, rifugiandoti dietro al muretto innalzato nel mezzo di quella che, una volta, era stata una stanza da letto. Tieni tra le mani un fucile ormai vecchio, il seme della distruzione che distrugge questo mondo, il simbolo del vuoto che respiri nell’aria. Afflitto dalle privazioni, ti sei sporto per guardare fuori dalla finestra, per cercare un segno di vita e hai visto, in quel grigio scenario di desolazione, una donna correre tra le macerie, come un simbolo di vita tra la morte: veste un’ampia gonna, un tempo colorata, forse identica a quella che Angelika, la tua Angelika, indossava quel giorno di primavera di ormai cinque anni fa.
 
Ricordi che era Pasqua.
 I rintocchi del campanile del paese diffondevano nel paese un’aria di festa, una lieve brezza correva tra i rami degli alberi: il mostro della guerra era ancora lontano. L’anziano parroco, all’interno della chiesa, aveva appena iniziato a pronunciare la parola del Signore, ma tu, all’esterno, sedevi appoggiando la schiena al grande portone; la dolce e fresca aria stagionale ti scompigliava i capelli, biondi come una spiga di grano, mentre nell’antico edificio risuonavano i gioiosi canti dei fedeli. Ma non eri solo: vedesti qualcuno, una ragazza, seduta sul ramo di un albero: ti avvicinasti a lei, cercando di non farti vedere… era raro vedere qualcuno di nuovo nel villaggio. Guardando verso l’alto non ti accorgesti di uno scalino, che ti causò una repentina caduta al suolo (mentre adesso, nel suolo polveroso, vivi ogni attimo della tua vita); lei ti sorrise dolcemente, con quei suoi occhi di diamante. Dall’interno della chiesetta proveniva una melodia di lode, che conoscevi da quando eri in fasce:
 
“Gloria in excelsis Deo
gloria, gloria, in excelsis Deo
et in Terra pax hominibus bonae voluntatis.
Laudamus te, benedicimus te, adoramus te.
Glorificamus te…”
 
Con tutto il tuo cuore e con tutta la tua voce avresti glorificato il Signore ogni giorno della tua vita, ogni volta che avresti rivisto quell’angelo sceso dal cielo per te, Angelika, la tua Angelika.
 
Ricordi, ora ricordi, che la gonna che indossava quel giorno era rossa, rossa con dei fiori bianchi, coi petali vellutati come le ali di un angelo. A quel giorno ne seguirono altri, in cui i suoi occhi coincidevano con i tuoi, le vostre labbra erano unite, i vostri corpi fusi in un'unica sostanza: furono gli anni più belli della tua vita, la spensieratezza della tua gioventù, la realizzazione dei tuoi sogni. Ma poi emergono dalla tua mente ormai frantumata come un cristallo in terra anche i momenti più bui, la guerra alle porte di Vilnius, la tua partenza, verso la Russia, per combattere contro un futuro inevitabile. Tu le giurasti che saresti tornato, che l’avresti sposata, in quella chiesa, con i fiori bianchi, con la sacra melodia, con in braccio la vita che lei da poco portava in grembo. Poi salisti su quel carro diretto verso l’ignoto, guardandola un’ultima volta al calar della sera: da quanto eri partito, in quei pochi istanti, la sua bellezza era svanita. I suoi capelli castani, lunghi e lisci come seta, ti erano sfuggiti tra le dita, trasformandosi in lana grezza; i suoi occhi, diamanti lucenti, erano diventati ghiacci opachi, incapaci di esprimere emozioni, congelati dalle fredde lacrime che le scendevano lungo le pallide gote. Lei, finché non saresti tornato, non avrebbe più sorriso.
 
Ma ora tu senti, in fondo al tuo cuore devastato, che nessuno la vedrà più sorridere; sai che non potrai uscire da quell’inferno, sai che la tua vita verrà presto recisa come canne in un canneto¹. Nonostante ciò, però, non vedi l’ora di rivederla: riesci già a immaginare il momento in cui la rivedrai, provi una nostalgia per quel futuro inesistente, che non vivrai mai ma che aspiri dall’interno.
Ti volti e osservi le tue mani, due pezzi di terra emersi dalla polvere, due protesi di un ferro arrugginito, la morte che ti porti dietro; dietro di te crollano edifici, cadono colonne, pilastri e vite: la donna con la gonna scolorita, nella sua folle corsa, è scomparsa dietro il tuo orizzonte, forse per sempre.
Non riesci più ad andare avanti, riesci solo a capire che la tua vita non continuerà a lungo, che non rivedrai mai Angelika, che non conoscerai mai tuo figlio, che soffrirai senza ragione. Prendi quel vecchio fucile, te lo porti alla tempia, sfiori il grilletto. Un colpo.

La porta della stanza sbatte contro il muro e un proiettile, uscito da un’indefinita uniforme, ti penetra il petto: così, sospeso tra questo mondo e un altro, risenti la sua voce che ti chiama, indefinitamente.

 
Intanto, in un villaggio lituano, un cuore smette di battere.

 
***
 
Note:
1 Epopea di Gilgamesh, tavola X
  
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