Era stata una dura giornata di lavoro. Come le altre, del resto.

Applejack dovette distendersi prima di crollare. Non era stata come le altre.

Quel giorno ci aveva dato dentro, e probabilmente sia i suoi fratelli, sia sua nonna, sia i suoi amici se ne erano accorti. Non si era fermata nemmeno un attimo.

Sembrava avesse la lista delle cose da fare stampata in testa,

perché non si fermava nemmeno per pensare a cosa avrebbe dovuto fare dopo.

Non aveva concesso una parola a nessuno, l’importante era occupare la mente.

Di lavoro. Nient’altro che quello.

Qualunque altra cosa le avrebbe fatto tornare in mente che giorno era.

Non guardava mai il calendario per evitare di scoprire che, chissà per quale magia, il tempo era passato e quel giorno tanto speciale era tornato. Bè, un tempo non vedeva l’ora.

Ma ora, tremava a vedere quel numero e quel mese stampati su di esso.

E puntualmente, vi cadeva l’occhio. Quasi se lo sentiva, appena alzata, quando ancora era in quel libo sonno-veglia e il cervello non funzionava, che era tornato.

E le lacrime scendevano ancora prima di aprire gli occhi.

Ma lei, forte, non si lasciava sopraffarre. E ricominciava con i suoi doveri, più intensamente del solito, più frettolosamente, più confusionariamente.

Ma ora ogni lavoro era stato portato a termine, Princess Luna aveva fatto calare la notte, e lei era lì, faccia a faccia con la dura realtà. Sperava di addormentarsi come un sasso subito, ma per quanto fosse esausta, non ce la fece, ed il pensiero andò inevitabilmente a lui.

Tanto sforzo per niente.

Tutto per quella stupida promessa che gli aveva fatto da piccola.

“Papà, mi ricorderò sempre del tuo compleanno. Sarò sempre lì a farti gli auguri”

Non poteva venirne meno. Si alzò dal letto.

Si appostò davanti alla finestra. Guardò le stelle.

I pensieri inevitabilmente cominciarono a scorrere.

Non poteva farne a meno. Le lacrime cominciarono a scendere.

Guardava ora per terra. Decise di rialzare il viso verso l’alto.

“Auguri, papà” ma la voce le si spezzò, e questa volta si mise a singhiozzare rumorosamente.

Le sembrò di sentire la sua voce.

°°°

“Applejack, anche se è il mio compleanno, ho io un regalo per te oggi”

“Che cos’è?” chiese la puledrina.

Gli zoccoli del padre afferrarono il suo cappello, e lo posero gentilmente sulla criniera della giovanissima pony.

Big Mac si accigliò.

“Aspetta, perché lo dai a lei? Sono io il più grande!” gli fece notare, geloso della sorella.

Applejack era emozionatissima, e cominciò a saltellare fuori di sé dalla gioia.

Bright Mac si avvicinò al figlio e appoggiò la sua zampa attorno alle spalle del figlio.

“Guarda com’è contenta” disse, in sguardo di adorazione per la sua piccola.

Big Mac dovette ammettere a sé stesso che per lui quel cappello non avrebbe significato molto, in realtà. Ma per Applejack sembrava significare tutto.

Lui voleva molto bene al suo papà, ma tra lui e la sorella c’era un legame speciale.

Qualcosa che va oltre alle preferenze e alle gelosie.

Per lui Bright Mac ci sarebbe sempre stato, ma guardando bene nei suoi occhi capì perché avrebbe fatto meglio a lasciare le cose come stavano.

Bright Mac era innamorato di sua figlia. Non poteva esistere amore più grande.

°°°

Big Mac aveva sentito la sorella piangere, e decise di entrare nella sua stanza.

Capì subito perché stava così male. Il calendario era per terra, come se fosse stato gettato con rabbia. La casellina di quel giorno era scarabocchiata. Si accorse che Applejack era davanti alla finestra, come ogni anno a quell’ora di quel giorno.

“Applejack” la richiamò.

La pony si voltò verso di lui.

“Tu” gli disse brusca, con sguardo pieno di rabbia e disperazione.

“Come fai ad essere così sereno, non lo sai che giorno è oggi?”

“Certo che lo so” le disse. Si avvicinò a lei. Alzò la zampa esitante, poi la appoggiò intorno alle spalle della sorella.

“Guarda com’è triste, papà” pensò, col cuore straziato nel vedere la sorella in quelle condizioni.

“Perchè te ne sei andato?”

Ripensò agli occhi di Bright Mac mentre guardavano la piccola Applejack felice, e si immaginò il suo sguardo nel vederla così disperata.

Si rattristò anche lui, ma decise che due pony tristi erano già abbastanza.

“Tu non hai un cuore, Big Mac” disse lei “Non gli volevi bene”

Non erano cose che pensava, era solo in preda al nervosismo, e il pony lo sapeva bene-non si offese.

“Applejack.

Tanto tempo fa ho pensato che non dovevo essere triste per lui, che non dovevo piangere, che avrei dovuto solo ricordarlo con un sorriso. Perchè tra noi tutti, anche con la mamma”

Big Mac si sentì stringere il cuore. Tra lui e Pear Butter c’era stato lo stesso rapporto.

“tra la nostra famiglia non c’è stato solo il tempo trascorso insieme.

Noi siamo legati, Applejack. Papà non se ne è mai andato”

Applejack guardò il fratello negli occhi. “Non è qui” disse fredda.

“È qui, ed è felice quando tu sei felice. È triste quando tu sei triste.”

Indicò le stelle.

“Da lassù lui ti segue. Vede il tuo cappello e sa dove sei.”

Applejack prese tra gli zoccoli il copricapo.

Riuscì a concedergli un sorriso.

Spalancò la finestra.

La pony cominciò a sventolare il cappello.

Una lacrima scese dai suoi occhi.

“Sono qui, papà.

Torna qui con me”