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Autore: queenjane    08/04/2018    0 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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“Hanno ricevuto delle lettere” La prima all’inizio di giugno, che enunciava che gli amici non dormivano, attendevano l’ora della liberazione, la rivolta dei cechi scuoteva il potere dei bolscevichi .. Stare attenti e vegliare, ecco le istruzioni, seguì una risposta con la pianta della casa e la annotazione che Alessio era sempre a letto, che non si poteva muovere.  La seconda lettera si diffondeva a descrivere un piano di salvataggio, era necessario che una finestra fosse senza sigilli, per poter calare tutti..
La terza lettera giunse nel delirio, la guardia era stata rafforzata.
Se gliele avevano mandate i bolscevichi, ecco la scusa per ammazzarli.


Dopo che eri arrivata Cat la risposta fu fredda, non potevamo e volevamo fuggire, solo la forza ci avrebbe portato via, come con la forza ci avevano portato via da Tobolsk, non avremmo dato alcun appoggio attivo
Il 5 luglio la guardia era cambiata, il giorno avanti era giunto un nuovo comandante Jurovskij, che aumentò le misure di sicurezza, una nuova mitragliatrice e di mettere delle sbarre alla finestra da cui dovevamo calarci, la  sola che era aperta per cambiare l’aria.
Era scostante e gelido,  pignolo fino alla nausea, fece inventariare i gioielli che la famiglia aveva addosso, facendo quindi apporre dei sigilli. Ignorando che la zarina e le granduchesse avevano i corsetti imbottiti di pietre preziose.
“Non potete entrare, ordini superiori”
“Come volete, ma questo latte chi me lo paga?”alzando la voce.
..nella strada c’era silenzio,una breve pausa dai  rumori mattutini,  sia Marie che Anastasia riconobbero la tua voce, che discutevi come una iena, in collera che quel giorno non potevi consegnare il latte.
Non eri venuta per sicurezza e se ti ammazzavano sia noi che i tuoi figli ne avremmo avuto un ben  misero risultato.
Cat. Catherine .. non me lo ero immaginato. “Alessio, se .. succede qualcosa, ogni cosa, promettimi che avrai cura di lei”
“.. ma che blateri Olga..” scherzava? Era impazzita? Intanto mi cambiava, a quasi 14 anni ero peggio di un infante, confinato a letto “Cat è forte solo in apparenza.. ha bisogno di te, per non impazzire”
Già, la violenza sia fisica che verbale, un surrogato di inferno, eri diventata grande tra le botte e le parole cattive.
“Alessio, promettimelo, di non mollare, che non la lascerai sola”
“Lo prometto” Allora non avevo idea del prezzo che avrei pagato, pensavo che fosse un discorso come tanti.
COME NO.
Insieme a Jurovskij giunsero dieci uomini, indicati genericamente come soldati lettoni e prigionieri di guerra ungheresi, che sostituirono le guardie precedenti. Cenavano con J. e il suo assistente, creando malcontento con chi vi era stato in precedenza.
Poco dopo giunse una quarta lettera che prometteva soccorso.  Furbescamente non fornivano nomi e informazioni precise su chi fossero, l’ora della liberazione era vicina ..
 
Al principio dell’estate 1918, come già ripetuto,  la guerra tra l’armata rossa dei bolscevichi e i bianchi favorevoli alla monarchia aveva coinvolto tutto il paese, la pace di Brest-Litonsk aveva consegnato la Crimea, l’Ucraina e molto altro ai tedeschi, che avevano prontamente occupato quei territori. In parallelo, in Siberia era scoppiata la rivolta dei cecoslovacchi, vi erano circa tra i 40.000 e 50.000 prigionieri che i rossi avevano cercato di arruolare con scarso esito, la maggior parte voleva andarsene.  Il 14 maggio 1918 era scoppiato a Celjabinsk uno scontro tra cechi  e ungheresi, i bolscevichi arrestarono i cechi. Tempo di tre giorni, l’esercito ceco aveva invaso la città, liberato i prigionieri e scacciato i rossi. Si unirono all’armata bianca, iniziò l’offensiva in Siberia, il sette e l’otto di giugno i cechi avevano occupato importanti centri bolscevichi, come Omsk e Samara.
I rossi persero  il controllo della ferrovia Transiberiana,  del Volga e di tutte le linee ferroviarie dagli Urali dirette a est. Ekaterinburg  rimase in contatto con Mosca solo con le linee telegrafiche.
Si combatteva, una battaglia senza regole o lealtà.
Lenin, il cui fratello maggiore era stato assassinato per avere tentato di uccidere lo zar Alessandro III, era della linea di pensiero che, ove si fosse presentata l’occasione, era basilare per la politica sterminare la famiglia imperiale.
La prima, reale azione fu la fucilazione del granduca Michele, il fratello dello zar, che venne prelevato il 12 giugno a Perm, ove era agli arresti domiciliari in un albergo. Preso assieme al suo segretario, furono condotti in un angolo isolato di una foresta alla periferia cittadina, fucilati e i corpi distrutti nella fornace di una fabbrica.  Dissero poi che era scomparso, una tecnica di confondere le acque. In parallelo circolarono voci che lo zar e i suoi erano stati uccisi, per saggiare la eventuale reazione della Russia e dei governi stranieri dinanzi a questa ipotesi. La risposta fu il SILENZIO.  
Emblematico quando venne scritto sul giornale “The Times” di Londra il 3 luglio, in ogni occasione in cui veniva fuori l’ipotesi di cui sopra, le persone ritenevano che fosse successo qualcosa  di grave, i bolscevichi erano impazienti, vi era la questione “dell’opportunità di definire il destino dei Romanov, in modo da liberarsi di loro una volta per tutte”.
Domenica 14 luglio venne detta la messa a casa Ipatiev, dopo la funzione tutti i Romanov baciarono la croce.
Il tempo era estivo, caldo e afoso fin dal mattino. Il 16 luglio 1918  passarono la giornata come di consueto, uscirono in giardino nel pomeriggio. La zarina lesse il Vecchio Testamento con sua figlia Tatiana, i libri dei profeti Amos e Abdia. “In questo giorno – oracolo del Signore Dio- farò tramontare il sole a mezzodì e oscurerò la terra in pieno giorno. Cambierò la vostra festa in un lutto e tutti i vostri canti in lamenti .. ne farò come un lutto per un figlio unico e la sua fine sarà come un giorno di amarezza” [8,9-10]
E la sera, dopo cena,  giocarono a carte, andando a letto verso le dieci e trenta.
Gli spari di una vicina postazione di artiglieria ruppero il silenzio, appena scese la notte.


Il 17 luglio, molto presto, un contadino che abitava in viale Voznenskij nelle  stanze a pianterreno di una dimora che sorgeva dinanzi a casa Ipatiev uscì in giardino per un bisogno.  Sentì  degli spari soffocati che provenivano dalla cantina della dimora di cui sopra, il rumore di un furgone Ford in moto, tornò dentro subito. Il suo compagno di stanza gli chiese se avesse sentito, lui rispose che aveva udito delle detonazioni, entrambi avevano capito. Non parlarono oltre, poco tempo dopo i cancelli di casa Ipatiev si aprirono e un furgone  piombò fuori a gran velocità.
   
Il ragazzo stava ora  sperimentando  solitudini indicibili, dentro di lui era come un  freddo che  gelava le ossa, le foreste fitte, il fango  che entrava in ogni pertugio, la tensione, l’essere feriti, l’attesa di combattere. E ricordava, anche se non voleva, non ne parlava come sua sorella, due testimoni dell’orrore sopravissuti. Lei lo guardava, azzurro su azzurro, il colore delle loro iridi, una sfumatura rara e inusitata, innocente al pari di loro, lui ricambiava, poi distoglieva gli occhi.
 Perché ? Quella parola gli rotolava dentro come un rombo di guerra, la ragazza, espletate le attività quotidiane dormiva, o fingeva, giaceva a occhi chiusi, il buio delle palpebre come un conforto. E  lui si fissava le  mani e .. smontava e rimontava le armi, in quello era bravo, gli era piaciuto, nella vita di prima, come il tempo passato con LEI e con LUI. Soprattutto con lei.
Gli piaceva anche ora, stare con LEI. E si sentiva protetto e al sicuro. Che paradosso,  dopo che era successo lo avevo avvolto tra le braccia, serrato addosso facendo attenzione alla sua gamba lesa, incurante del sangue, dello sporco e del sudore, forse voleva  trasmettergli  tutta la sua voglia di vivere, la  rabbia, lo aveva stretto come a non volerlo più lasciare. 
Un privilegio. 
E la rabbia. In primo luogo ce la aveva con LORO, ma soprattutto con se stesso. 
Per quanto storpio, invalido, debole,  era sopravissuto. 
Che sarcasmo atroce. 
 
 
… Quando mi aveva riconosciuto, aveva cercato di mettersi in piedi,a fatica,  ero volata da loro, ci eravamo stretti, tutti e tre, senza parole, così forte da farci male. Dopo, lui mi aveva buttato le braccia sul busto, la testa sul petto, sentendo le mie spalle che sussultavano mi aveva baciato una guancia, asciugato le lacrime con le mani, già non era il momento per quello... Io altrettanto, dovevamo calmarci e andare via.
Una radura, eravamo in quella maledetta parte di foresta, e il buio e la disperazione mi stavano sommergendo.
E sentivo Olga a un battito, vicina, anche se sapevo che era morta, solo quello, che mi era vicina, che sarebbe rimasta sempre, nei ricordi e nella memoria. E ancora non era il momento, avrei pianto dopo, per loro e mio padre, come per Alessandra, vite spezzate in nome di nulla..  
Olga e il suo sorriso.
Tatiana, il lampo grigio del suo sguardo che raccontava quello che non diceva... e mille e mille cose, petali e frammenti, ricordi e risate, una vita da vivere anche per loro. E la speranza era il bagliore di quei grandi occhi, ora come allora, una delicata sfumatura di azzurro come quando sorge l'alba, era un miracolo che fossero scampati all'eccidio, altro prodigio che avessimo lasciato Ekaterimburg  senza farci ammazzare. 
Ma che inventare, se non mi parlavi .. Anzi, non parlavi con nessuno, siamo giusti, ci intendevamo a gesti, ti facevi  accudire solo da me, di pura malavoglia,  e tanto eri furioso. Con la vita, la tua debolezza apparente, con me e tutto il mondo. Tralasciando che se mi assentavo un’ora, mi cercavi con gli occhi, “Non te ne andare” e appena ricomparivo mi serravi il polso, possessivo. E il sollievo ti si  dipingeva sul viso, guai a me se volevo cambiare aria, ubriacarmi o che.. Eri una mia responsabilità, era amore al principio, come ora, tranne che ero ghiaccio, neve e brina, la mia freddezza era solo apparente ..  fino a quando non ne combinasti una delle tue, a stretto giro, dopo le mie solitarie isterie del lutto.
Mi hai tirato addosso tazze, asciugamani, e via così, la rabbia di una vicenda terribile.. E comunque, avevi reagito, tranne che ti avrei appeso per le orecchie.
Oddio. Mi facevi ammattire, come quando eri piccolo, sempre.  Dicevo, mi allontanavo e .. non volevi, mi lanciavi certe occhiate da incenerire, e tanto non mi avresti mai implorato di rimanere, o portarti con me, la notte mi volevi stare vicino .. appena facevo un movimento mi eri subito addosso, le dita sul mio braccio, mi allungavo per metterti comodo, ci disponevamo in posizione di arrocco, difesa e scongiuro, tesoro, che dovevo fare con te se ero la prima a non sapere cosa fare con me stessa. Mi mancavi, Alessio, mi mancavi tanto, anche se eri vicino, mi mancava la tua voce, i tuoi sorrisi, la tua vivacità. E tanti che dovevo pretendere, eri scampato alla morte per un soffio, il trauma quando si sarebbe risolto.. Forse mai.
Mi sfogavo con Andres, il sesso era il mio sfogo, in quelle settimane ci allontanavamo pochi minuti e .. Era la voracità di vita, un gesto di sfida e guerra, da puttana e sopravissuta, lui taceva, mi desiderava fino a stare male, da quando stavamo insieme ne avevamo passate troppe insieme, la realtà superava la fantasie.
I particolari, immagini e frammenti, vivevamo sdoppiati, una specie di doloroso trance.
E poi ..
“Alessio, vieni qui” le sue braccia sul collo, il  viso posato contro la sua clavicola, lo serrai addosso.
“SSt .. basta, Cat” una pausa “Don’t cry” Non piangere, sfiorandomi  “Non voglio” singhiozzai ancora più forte “E’ colpa mia quello che ti è successo.. che vi è successo” singhiozzai di nuovo “Non dire balle.. quello che è successo in cantina.. tu non c’entri nulla, davvero” il tono aspro, deciso, mi asciugò le lacrime, un movimento solenne “E non voglio che mi lasci, intesi?”
“Non .. quando vorrai, se vuoi dimmelo” Lei me lo aveva detto, avevo appurato, mancava lui ..
Alexius vir es..” Alessio, sei un eroe, un vero uomo, capì all’impronta, il latino glielo avevo insegnato a sufficienza per tradurre quanto sopra“Proprio, Cat” Compresi, lui intendeva l’eroismo con atti eclatanti, io con la sopravvivenza, il non mollare mai la vita, con le unghie e i denti, giorno per giorno come lui. Ed ero così rintronata che manco mi ero accorta che era venuto, sommersa come ero a compiangermi<, forse era strisciato, osservai che le maniche erano sporche di fili d'erba e polvere. 
“CAT” si divincolò dopo un ultimo bacio “Hai ragione, sono troppo appiccicosa” cercando la mia leggendaria ironia “Come si fa?”
“Al solito.. un passo alla volta…”
Affermato da lui che non camminava era un ossimoro totale, ma io non colsi ironia nelle parole di Alessio, quanto una nuova sfida.
 “Ce ne andremo via.. starai bene..” mi ero ripresa, lui non parlava, già tanto che mi avesse raggiunta,e detto quelle frasi, “starai bene” era appena un sussurro, una profezia altisonante, che sentì, magari pensava che lo sfottessi alla grande ma in qualcosa dovevamo credere.. E  quella sera lo vegliai per ore, la trama delle palpebre, i pugni chiusi. Aveva camminato, aveva strisciato.. come aveva fatto.. Ora si reggeva in piedi, sostenuto,  non piegava il ginocchio, la lesione del suo ultimo attacco.  Che aveva  inventato .. Boh.. “Hai camminato?”Manco mi rispose. "Cammini, se vuoi"


Ripensai a un frammento di quel mattino avvelenato,  sarei potuta andare a cercare il furgone, ammazzare qualcuno e rimanere eliminata a mia volta. Mollare tutto e andarmene .. Potevo anche sopprimermi. “Aspetta..  posso sollevarti?”Lui aveva sbuffato, lo avevo  già fatto, mentre il mio cervello bacato si perdeva nelle sue ipotesi, mi ero già mossa. Barcollando un poco sotto il suo carico, era diventato alto e per quanto i recenti attacchi di emofilia lo avessero debilitato, facendogli perdere peso e colorito, pesava. “Che si fa?” le sue braccia allacciate sul collo, a cercare calore e riparo, avevo soppresso una mia imminente crisi isterica. Due sopravissuti che cercavano conforto da una disperata..
E l’istinto di sopravvivenza era il sedativo più potente, che li portava avanti.
Sbuffai, mi misi sul fianco, a circa un palmo da lui, senza sfiorarlo, mi riuscì a dormire fino un poco, inutile aggiungere che mi era già accanto, il palmo  contro il mio, una guancia che mi sfiorava il gomito, sulla schiena il calore di Anastasia.
Un momento di  quiete.
 
..non era tempo perso, annotava Andres, il lavoro che faceva Catherine con lui era puro amore, e pazienza, e viceversa, Catherine se non avesse avuto lui sarebbe andata in completo tilt. Entrambi sbuffavano, era impensabile che fossero così in simbiosi, lui si svegliava, il busto inarcato, teso, Cat lo stringeva,  accostandoselo vicino “Sst..” quando non lo vegliava a ore nella notte, come faceva Alessio, il viso accostato contro la spalla di lei. Io lo sapevo che parlava, a rate, ma parlava, almeno con me, poche frasi, “Ho fame”, “Dove siamo”, giusto alle sue sorelle non dava l’onore. E tanto che .. ce ne saremmo fatti di quei due ragazzini sopravvissuti a una strage, silenziosi, guardinghi.. Gli occhi color acquamarina, zaffiro e indaco..Lo sapevo. E lo sapeva anche Catherine, erano i suoi fratelli, due combattenti, come lei.
Ahumada..  La rocca dei Fuentes, la mia casa.  Magari sarebbe stata la loro casa. E pensavo a mio figlio Xavier, nel 1918 avrebbe avuto 17 anni, sarebbe stato un uomo.. E tanto viveva solo nei miei ricordi.. Era morto a una settima dalla nascita, il mio primogenito, il mio infinito rimpianto.
E pensavo.. non se ma quando, vivrete.. ad Ahumada sarete liberi.
E pensavo ai miei figli, Sophie, la mia piccola principessa, generata per caso con Erszi di Asburgo, i figli che avevo avuto da Catherine
Ed i sopravissuti celebrano il caso di essere sempre vivi, riti inventati e pronti sul momento.
Al diavolo i morti, sul giornale  “Le Matin” a Parigi, del 20 luglio 1918, si parlava della fucilazione dello zar, che lo zarevic e sua moglie erano stati portati via, nessun accenno alle figlie, le voci di terza e quarta mano che raccolsero i bianchi, quando espugnarono Ekaterinburg furono che erano tutti morti, la famiglia e quattro servitori, la casa era vuota,  la cantina piena di sangue e buchi dei proiettili. Vennero condotte delle inchieste. Informazioni di terza o quarta mano li davano tutti deceduti, al Pozzo dei Quattro Fratelli gli investigatori rinvennero  resti bruciati di scarpe, vestiti, schegge di gioielli e altro ancora che vennero ricondotti alla famiglia imperiale.
E non solo loro, se possibile la fine della sorella della zarina e di chi con lei era stata ancora più terribile. Nell’aprile del 1918, un gruppo di bolscevichi aveva portato Ella dal suo convento di Mosca a Perm. Vedova dal 1905, si era dedicata alle opere di fede e carità, prendendo i voti. La accompagnava una delle sue consorelle, Barbara. A Perm, oltre a loro due imprigionate vi erano anche il granduca Sergio Mihajlovic, Igor, Ivan Costantino, i figli del granduca Costantino, ed il principe Vladimir Palej, figlio del granduca Paolo, nato dalle sue seconde nozze morganatiche. Da Perm li trasferirono poi a Alapaevsk, una città che distava 60 chilometri da Ekaterinburg, il 18 luglio 1918 vennero prelevati e portati via, fino a un pozzo isolato nella foresta, scortati da una divisione armata fino ai denti di rossi. E…
 “Scusami, Alessio” … si può sapere che hai, Cat? Mi scosto, e intanto continui a stringermi, mia sorella appare ancora più spiritata del solito,  che avete? Andres sta imprecando in spagnolo, presumo parolacce, pare sgomento, annichilito. E intanto mi baci i capelli, un attacco di possessivo affetto e costernazione. Ma che è successo mentre dormivo? Non è da te svegliarmi a meno che non sia qualcosa di grave, abbia  un incubo e te ne sia accorta o che tu sia spaventata da qualcosa o qualcuno“Non è possibile” ti interrogo con gli occhi “Abbiamo parlato con dei soldati bianchi che vengono da Alapaevsk e .. “ Dove sta zia Ella, l’hanno liberata, come sta? Sospiri, incerta se dirmelo o meno. Parla, le cose me le hai dette sempre quando ero piccolo, ora voglio sapere, a  maggior ragione.
Li avevano gettati vivi nel pozzo, tutti, per sicurezza avevano gettato delle granate.
“… non sono morti subito, per alcuni giorni è sentito un canto che proveniva dalle viscere della terra, non li hanno soccorsi per tema che i rossi tornassero e ammazzassero pure loro” la voce mi resta conficcata in gola, ti obbligo a guardarmi, come lo avete appreso che il decesso non è stato immediato? “E’ giunta l’armata bianca, hanno estratto i corpi e fatto l’autopsia. Ella Feodorovna ha usato un pezzo del suo velo  per bendare una ferita di Ivan Costantinovic, suo fratello Costantino  ha mangiato la terra..” Dopo ore o giorni erano scomparsi tutti, per l’ipotermia, le lesioni o la fame.
Deceduti.
Iniziai a agitarmi appena lo realizzai.
Non era possibile.
Agitazione per dire, respirava forte, le guance arrossate, gli occhi lucidi, mi tese le braccia, un gesto di conforto del passato, ora volontario. “SSt”
“Cerca di calmarlo”mi disse Andres in spagnolo, quelle morti avevano sconvolto anche lui, ne aveva sentite e vissute tante, definirlo basito, schiumante di rabbia era un eufemismo. Io ero annichilita, Ella Feodorovna era stata un modello di grazia e virtù, bellissima e pia, aveva dedicato il resto dei suoi giorni e delle sue opere, rimasta vedova dopo la morte del granduca Sergej, alla fede, alla carità.
“Vieni, tesoro”
 “Ci ha svegliato il Dr Botkin”aprì e richiuse i palmi, realizzai che mi stava parlando, mi scostai a guardarlo, le ginocchia raccolte sotto il mento “Saranno state le una e trenta, il comandante gli aveva chiesto di avvisarci che la situazione era insicura, dovevamo vestirci e passare la notte in cantina, era più facile proteggerci” la voce  era sarcastica, amara, il tono adulto “Abbiamo fatto con calma, siamo scesi verso le due, Papa mi portava in braccio” Entrambi vestiti con le loro uniformi, cappello, mostrine e stivali “Dopo me e lui, mia madre, le mie sorelle”In gonna scura e camicia chiara, Tata portava tra le braccia il suo cagnolino, la domestica due guanciali, al cui interno erano cucite delle scatole che contenevano gioielli, quindi il medico, il valletto e il cuoco. “.. ci portarono in quella stanza, ho contato ventitre gradini, per scendere” Sussurrai il suo nome, era perso in quell’orrore senza ritorno o rimedio, non osai confortarlo a vuoto.
Alexei.
Amore.
“Non avevamo idea, sai. Il locale era vuoto, mia madre chiese se era proibito sederci, portarono due sedie, su una si mise lei, sull’altra Papa, sempre con me in braccio” Le nostre sorelle e i domestici rimasero in piedi, di fianco e di lato.
Venne acceso un furgone in cortile per coprire i rumori.
Il plotone di esecuzione era composto da dieci membri, oltre che da Jurovskij e il suo assistente Nikulin.
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro.
 
Cat,  raccontami una storia senza fine, al termine forse ci crederò.
   
 
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