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Autore: Shiki Ryougi    09/04/2018    3 recensioni
Dopo tanto tempo mi accingo a scrivere e specialmente a pubblicare un racconto più complesso e lungo del solito a cui vi ho fin ora abituati. Tutto questo nasce da un incubo che ho fatto alcune settimane fa; mi ha terrorizzato ma l’ho trovato anche affascinate per lasciarlo svanire nei meandri della mia memoria. Prendendo quindi ispirazione dalla serie TV Dark e dalle opere di Howard Phillips Lovecraft, cantandone le lodi, è nato quanto vi accingete a leggere.
Sperando che sia di vostro gradimento, vi auguro un buon viaggio nell’Incubo
Ancora prima di sapere cosa vi fosse alla fine, ero consapevole che avrebbe per sempre
dannato la mia vita. Mi sarei affacciata a una conoscenza senza pari, destinata a pochi eletti,
cadendo nel tormento fino al momento della mia morte. Lo sapevo ma non mi fermavo.
Stavo percorrendo la strada a cui fin dalla nascita ero stata destinata.

Link al PDF: https://drive.google.com/file/d/1BlS4rlOnW64FVKzWhcXkXcXwXb3vXZw9/view
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Dopo tanto tempo mi accingo a scrivere e specialmente a pubblicare un racconto più complesso e lungo del solito a cui vi ho fin ora abituati. Tutto questo nasce da un incubo che ho fatto alcune settimane fa; mi ha terrorizzato ma l’ho trovato anche affascinate per lasciarlo svanire nei meandri della mia memoria. Prendendo quindi ispirazione dalla serie TV Dark e dalle opere di Howard Phillips Lovecraft, cantandone le lodi, è nato quanto vi accingete a leggere. Sperando che sia di vostro gradimento, vi auguro un buon viaggio nell’Incubo.
 
 
 
Sic Mundus Creatus Est
 

Camminando lentamente lungo uno stretto corridoio sommerso nella semioscurità mi domandavo dove esso mi avrebbe condotta.
Fin dalla mia più tenera età avevo dimostrato un’indole curiosa; per ogni cosa che appariva priva di significato io dovevo trovare il modo di risolvere quell’intricato mistero, anche a costo di compiere atti inopportuni e guardare dove era meglio mantenere le palpebre serrate. I miei genitori mi avevano spesso rimproverata a causa di questo comportamento, dicendomi che non mi avrebbe portata a nulla di buono. Nella mia intera vita non avrei mai voluto disobbedire, arrecando a loro dolore e vergogna; io amavo i miei genitori, anche perché erano le uniche persone capaci di comprendermi e starmi accanto. Ma l’impulso dettato dalla sete di conoscenza mi martellava nella testa come un eco persistente; indomabile. Non c’era mai silenzio. Ogni cosa intorno a me dava vita a domande e misteri da risolvere; non potevo fermarmi. Ero nata come incarnazione del peccato.
Quindi continuavo a camminare in quel lungo corridoio che sembrava non finire mai. Non ricordavo né dove mi trovassi né come ero giunta lì, ma non aveva alcuna importanza. Con i piedi scalzi, quasi diventati insensibili per il freddo, saggiavo lentamente e con delicatezza il liscio pavimento di marmo; quasi come se contassi i passi che mi tenevano lontana dalla meta.
Sapevo che una volta raggiunta non sarei più potuta fuggire. Sentivo nel ventre un calore impossibile da descrivere e un forte dolore alla tempia sinistra. Il cuore mi batteva così forte da poterne udire i battiti spezzare un silenzio pesante come un macigno.
Ancora prima di sapere cosa vi fosse alla fine, ero consapevole che avrebbe per sempre dannato la mia vita. Mi sarei affacciata a una conoscenza senza pari, destinata a pochi eletti, cadendo nel tormento fino al momento della mia morte. Lo sapevo ma non mi fermavo. Stavo percorrendo la strada a cui fin dalla nascita ero stata destinata.
A questo punto i ricordi si fanno confusi e febbrili, ma rammento bene determinate cose: una cacofonia di suoni giunsero a me ancora prima di vedere lei, che urlava e piangeva in un angolo buio, in una stanza indefinita e indescrivibile. Rannicchiata a terra, con i lunghi capelli rossi che le cadevano sul viso, la bambina tremava e piangeva, alternando urla di orrore per qualcosa di terribile che solo lei poteva vedere. Era lì con me ma contemporaneamente si trovava altrove, in un altro luogo, in un altro tempo. Sapevo che non avrei potuto toccarla e interferire; non ne avevo il potere.
Osservandola nella sua disperazione, cominciai a tremare e caddi a terra perché il dolore alla testa e al ventre s’erano fatti insopportabili, ma fu proprio mentre mi contorcevo sul pavimento che vidi cosa c’era ai piedi della bambina: un libro. Era piccolo e bianco, leggermente sporco e rovinato. Giaceva vicino a entrambe, separate dall’imparziale barriera eretta dal tempo e dalle dimensioni. Ma quel libro, mi resi conto che avrei potuto toccarlo e prenderlo, perché esso esisteva ovunque.
Sulla copertina vi era scritto, in lettere nere e raffinate, una frase che distrusse per sempre la mia mente: “Sic Mundus Creatus Est”.
«E Poi Fu Creato Il Mondo» sussurrai quasi inconsciamente, mentre il dolore insopportabile mi trascinava nel buio.
L’ultima cosa che vidi furono quelle lettere nere, mentre un grido disumano mi trafiggeva la testa.

E così mi svegliai; nel mio letto, in un bagno di sudore e con le orecchie che sanguinavano leggermente.
 
 
Per mesi non sognai più nulla. Dormivo notti tranquille immerse nel buio oppure non riuscivo a chiudere occhio, passando le ore ad ascoltare il sottomesso respiro delle mie compagne di stanza mentre spesso la pioggia infuriava contro le vecchie finestre. Il vento incessante scuoteva le imposte come se sapesse che per me le notti di vero sonno e riposo erano oramai finite.
Le giornate proseguivano lente, scandite secondo dopo secondo dal forte desiderio di rivedere di nuovo quel libro. Desideravo sfogliarlo e consumarne le pagine, nonostante ancora non ne conoscessi l’effettivo contenuto. Il sapere era intriso in quel tomo così come il sangue irrora i tessuti del corpo ogni giorno, in ogni momento.
La morte e il tempo gli erano sconosciuti perché solo in seguito nacque il mondo. Non aveva epoca, non aveva inizio o fine. Era lì ed era ovunque.
Io lo avrei trovato; sapevo già che lo avrei cercato a ogni costo. Quella notte, in quel sogno, qualcosa mi era entrato nel ventre. Nessuna annunciazione come con la Vergine Maria; nessuna Grazia. Ero stata violata.
Senza praticamente alcun indizio, cominciai la mia ricerca; ogni momento libero era dedicato allo scopo di trovare anche una minima traccia, per darmi la conferma che non fossi solo semplicemente impazzita.
Trascorrevo le mie giornate, quando non c’erano lezioni o compiti a impegnarmi, nella grande e antica biblioteca della città. Avere ancora tredici anni e vivere in un prestigioso collegio femminile non aiutava. Tanto meno il semplice dato di fatto di essere nata donna e diventata orfana dopo l’incidente avvenuto ormai l’inverso scorso. Le uniche persone che mi avessero mai davvero amata erano morte e solo grazie al loro enorme patrimonio, di cui io ero legittima erede, come specificato dal testamento, potevo permettermi di vivere in una prestigiosa scuola per giovani donne.
Una volta svolti tutti i miei compiti della giornata avevo il permesso di recarmi in biblioteca fino a poco prima del tramonto. Sia le mie compagne che le docenti e il personale avevano smesso di farmi domande. Credevano che fossi un semplice topo di biblioteca. Che male era in grado di fare una giovane donna che passava ogni suo momento libero a leggere?
Se solo avessero potuto immaginare che cosa mi era capitato tra le mani circa un mese fa, mentre esploravo i lati più bui e dimenticati dell’enorme biblioteca…
Sommerso da tomi malandati e mangiati dalla muffa, pieno di polvere, con il titolo quasi cancellato dal tempo, vidi una delle rare copie esistenti del Necronomicon.
Fino ad allora ne avevo solo sentito parlare vagamente in altri vecchi libri ma mai avrei pensato di ritrovarmi tra le mani una delle poche traduzioni dall’arabo.
Non sapevo esattamente cosa aspettarmi quando iniziai a sfogliarlo. In breve tempo lessi ogni pagina avidamente; molti concetti sfuggivano alla mia mente perché erano talmente inumani per essere compresi o anche solo immaginati. Nonostante il terrore che mi penetrava le viscere man mano che andavo avanti, non potevo fermarmi. Sapevo di avere tra le mani il mezzo per raggiungere il libro che avevo visto in sogno mesi fa. Questo bastava per impedirmi di rinunciare o cedere alla paura.
Non avevo più niente. Nulla che appartenesse al calore umano; l’unica cosa che poteva nutrirmi era la verità.
Correva l’anno 1798 e l’inverno stava cedendo il posto alla primavera, quando trovai il modo di sognare ancora.
Il tempo, la realtà e la vita erano solo un frammento indefinito dove la vastità della vera conoscenza si annidava da anni.
 
Ecco le chiavi. Cerca le serrature; sii soddisfatto.
Ma ascolta ciò che dice Adbul Alhzred: per primo io le ho trovate: e sono pazzo.
(1)
 
Così mi ritrovai, finalmente, a ripercorrere quel lungo e semioscuro corridoio.
Camminai veloce, quasi correndo, mentre i piedi nudi mi diventavano insensibili a causa del freddo e la camicia da notte mi si incollava addosso perché il resto del mio corpo era impregnato dal sudore dell’eccitazione.
Prosegui per una quantità di tempo incalcolabile tanto che quando giunsi alla meta il mio petto era scosso dagli spasmi della corsa.
A quel punto un pungente odore metallico mi soffocò; intorno a me vi era la completa oscurità. Solo i deboli raggi della luna piena delineavano leggermente alcuni punti della grande sala in cui mi trovavo.
Quanto vidi nei successivi e pesantissimi secondi mi serrò il respiro e rischiai di svenire; un enorme macchia rossa e densa si allargava lentamente da un corpo ormai completamente irriconoscibile, tanto da farmi dubitare che fosse stato umano un tempo. Sembrava esploso dall’interno.
Evitai di guardarmi troppo intorno per risparmiarmi dal vedere altri spettacoli simili; nel frattempo il ventre cominciava a farmi sempre più male, mentre le tempie pulsavano senza sosta. Sapevo che il mio tempo lì stava per scadere. Dovevo sbrigarmi a trovare il libro.
Improvvisamente il silenzio di morte fu spezzato dalle imposte di una finestra che venivano spalancate. In piedi, sul bordo dell’abisso della notte, vidi la stessa bambina magra, dai lunghi capelli rossi.
Era sporca di sangue e in mano reggeva il libro!
Senza più paura e nessuna precauzione, mi affrettai a raggiungerla. Per errore pestai nella grande pozza di sangue; il denso calore mi si infilò tra le dita dei piedi ma lo ignorai.
Sapevo cosa stava per accadere, non avevo altro tempo. Era la mia unica possibilità per prenderlo.
La bambina, in piedi sul baratro con i raggi lunari che si infrangevano contro il suo esile corpo, non tremava più. Giusto pochi istanti prima che si sporgesse volontariamente verso la morte, io le sfilai il libro dalla mano.
Lei si voltò, poco prima di cadere, e mi guardò negli occhi.
Mi vide e stabilimmo un contatto. Quando stavo per svegliarmi sentii le sue ossa spezzarsi e urlai dal dolore.
 
 
Da allora sono passati tantissimi anni, ma ricordo ogni dettaglio perché ciò che vidi in quei minuti successivi al mio risveglio mi fa visita ogni notte, in vortici di ricordi e incubi orribili.
Posso ancora sentirne l’odore mente mi sveglio in preda a dolori inimmaginabili; l’olfatto è la via tramite cui le nostre esperienze vengono impresse più in profondità nella mente, nell’inconscio, fin dai primi secondi in cui riempiamo i polmoni di ossigeno. Tramite gli odori possiamo ricordare qualsiasi cosa a cui abbiamo assistito mentre lo sentivamo per la prima volta o durante un momento particolare; questo ci ritornerà in mente sempre, in qualunque momento e luogo, come una scomoda piega tra le pagine della vita.
L’odore metallico del sangue, quello sguardo vuoto, così innaturale sul volto di una bambina e il lacerante dolore della morte; quella notte ho continuato a riviverla, senza pace.
La cosa che allora mi rincuorò fu trovarmi il piccolo libro tra le mani. Quando me ne resi conto, allentai la presa delle mie dita diafane sulla copertina e ripresi a respirare. Il sangue tornò a irrorare i polpastrelli e il dolore che mi attraversava il corpo come una scarica elettrica andò pian piano ad attenuarsi. Anche il respiro e i battiti del cuore ritornarono lentamente alla normalità; non ho idea di quanto tempo passò prima che riuscissi a muovermi. Ero distesa nel mio letto, sotto le coperte, immersa nel buio della notte. Potevo udire solo il dolce respiro delle mie compagne che dormivano ignare.
Nonostante lo shock, sentivo dentro di me la febbrile eccitazione dettata da quella mia malefica curiosità; finalmente avrei potuto conoscere i segreti sulla creazione del mondo.
Feci trascorrere altro tempo prima di riuscire a sedermi senza tremare. Inspirai a fondo un po’ di volte e aprii il libro; grazie a un leggero raggio di luna, che filtrava dalla grande finestra alle spalle del mio letto, potei intravvedere cosa c’era scritto nella prima pagina di quel piccolo tomo senza tempo:
 
Come sopra, così sotto.
(2)
 
Questo fu tutto ciò che vidi, prima del disastro.
Accadde qualcosa quella notte, che ancora non mi è del tutto chiara, qualcosa che scosse per sempre la mia mente.
Ho vissuto tante vite da allora, ho sconfitto gli effetti del trascorrere del tempo sul mio corpo, ho acquisito conoscenze che un normale essere umano non potrebbe nemmeno immaginare, ma solo ora ho trovato il modo di ritornare a quella fatidica notte, in cui nella confusione il libro svanì nel nulla.
Non sono riuscita né a rintracciare altre copie né quella che mi svanì dalle mani. Dedicando la mia intera esistenza al conseguimento della conoscenza assoluta, solo una cosa ha mantenuto acceso il fuoco della mia anima; giungere al giorno in cui avrei finalmente potuto tornare a quella notte. Lo desideravo talmente tanto da immaginare in svariati modi il fatidico momento; atto che avrebbe coronato la mia vita secolare. Avrei accettato la morte. Non avevo freni o altro desiderio. Ogni mio respiro era dedicato al rivivere la notte che mi aveva distrutto la mente.
 
Ciò che restava di puro e fanciullesco morì quando il primo urlo disumano squarciò il silenzio.
Una delle mie compagne di stanza aveva cominciato a contorcersi sotto le coperte del proprio letto. Il suo ultimo gemito fu talmente terribile che rimane impossibile da descrivere. Subito dopo udii un rumore di ossa spezzarsi simultaneamente e la coperta volò via, insieme a parte degli organi interni della sfortunata.
Urlando, scesi dal letto per nascondermi in un armadio. Reagii di impulso, senza pensare perché la mia mente era come paralizzata. Al buio e rannicchiata nel mio rifugio sentii le mie compagne venire massacrate dal qualcosa che non potevo vedere; sfuggiva alla percezione dei normali sensi umani.
Urla di dolore che non avrei mai pensato di poter udire, ossa spezzate e, alla fine, silenzio.
Venni ritrovata il giorno seguente, ancora rannicchiata nel mio nascondiglio, sotto shock e sporca del sangue della prima vittima, quella che mi era morta davanti agli occhi.
Come seppi in seguito, nessun altro era sopravvissuto in quella piccola scuola per giovani donne e il libro era svanito nel nulla.
 
Mentre prendo coscienza di non trovarmi più nel mondo della veglia, finalmente ripercorro quello stretto corridoio; per passare devo proseguire china, appoggiandomi alle fredde e lisce pareti nere come la pece.
Ho compiuto atti orribili pur di poter continuare a vivere ancora e ancora, dopo secoli.
Non oso pensare a cosa mi attende dopo la morte ma non ne ho alcun interesse: sono pronta ad affrontare qualsiasi pena nell’orgoglio di essere riuscita a coronare la mia esistenza. Morire, avendo tra le mani le risposte alla creazione del mondo, sfogliando quelle pagine, carpendone ogni essenza mentre la vita avrebbe lentamente lasciato le mie carni. Secoli passati a dare senso al mio essere in questo mondo, tempo e universo; il motivo stesso, nonché prova, dell’esistenza. Morirò, stringendola al petto.
Riconosco subito l’odore di antico che trasudava dalle vecchie pareti della scuola. Nostalgia ed eccitazione mi stringono lo stomaco. Poi subentra la paura.
Sono nel dormitorio, è notte fonda, la luce della luna getta ombre pallide sul mondo immobile. Il respiro lento e leggero delle ragazze addormentate scandisce il passare dei secondi.
Ma io non posso muovermi.
Sono paralizzata da ciò che vedo sopra alla giovane me stessa di quell’epoca; un ammasso di carne, che ricorda vagamente una figura umana, cammina, dondola e fluttua davanti al mio letto.
Io nel frattempo sto sognando; dormo e mi agito leggermente, rimanendo ignara mentre vengo osservata da quell’Orrore. Sembra impaziente e molto divertito.
Io posso solo guardare e non ho il potere di interferire. Ma, nonostante questo, sono certa che quella Cosa sia in grado di vedermi. Sicuramente è già al corrente della mia presenza.
Ho il sangue gelato nelle vene mentre ogni momento che passa è così distorto da sembrare durare secoli.
La me stessa del passato si sveglia e, non potendo vedere né me né quella orribile creatura, si lascia trascinare, dopo essersi ripresa dallo shock, dall’eccitazione di aver finalmente il libro tra le mani.
Nel frattempo la Cosa mi guarda, sorride e poi entra dentro il corpo della giovane me stessa, la quale non si accorge di nulla.
Pochi secondi dopo l’essere riemerge, questa volta con le sembianze della me stessa adolescente, e ridacchiando si avventa sulla ragazza più vicina.
A questo punto ha inizio il massacro.
Osservo quella Creatura che ora ha il mio aspetto saltare sulle povere giovani ignare: morde, strappando brandelli di carne, spezza braccia, gambe e costole, ogni osso sembra frantumarsi come niente sotto la sua forza immane.
Finalmente io riesco a uscire dal mio stato di torpore e scatto, correndo a prendere il libro, prima che quella cosa, distratta della sete di sangue, si interessi a me.
Il volume è caduto di fianco al mio letto mentre la giovane me correva a nascondersi, terrorizzata.
Nel momento in cui lo tocco accade esattamente ciò che avvenne ormai troppo tempo fa; vengo come risucchiata e mi risveglio nel mio letto, nel mio tempo, nel buio del mio appartamento.
Lentamente riprendo a respirare regolarmente; quando finalmente penso di essermi ripresa dal tremendo sforzo e dallo shock ricevuto nello scoprire come sono realmente andate le cose quella notte comprendo quanto quel tomo sia maledetto.
Ha distrutto la mia vita e si nutre di sacrifici; è il male incarnato. La tangibile punizione agli esseri mortali che pretendono di poter comprendere il Divino.
Intenzionata a suicidarmi, dando fuoco a me e a quell’inferno incarnatosi in libro, mi siedo.
Ed è qui che sento che sto davvero per rinunciare a tutta la mia intera esistenza fatta di sofferenza e solitudine, folle ricerca e atti orribili.
Sono davvero disposta a farla finita prima di aver anche solo potuto dare un’occhiata?
Sento che la decisione giusta è che devo morire e non leggere nulla. Nemmeno provarci.
Ma io sono nata come la personificazione del peccato e non posso impedire alle mie dita di sfogliarlo.
Il sangue mi si gela all’istante, i muscoli si paralizzano e un fischio assordante mi dilania la testa.
Mi iniziano istantaneamente a sanguinare le orecchie e il dolore si fa insopportabile, mentre vedo quella Cosa, che ha il mio aspetto da adolescente e poi muta in quello della bambina dai capelli rossi vissuta in tempi remoti; oscillando tra queste due forme in maniera grottesca, mi osserva ridendo ai piedi del letto.
L’ultima cosa che riesco a sentire sono le sue unghie che mi scavano nella pancia, prima di cadere nel buio.
 

 
FINE
 
(1) Citazione del Necronomicon di Howard Phillips Lovecraft.
(2) Citazione dal testo che sarebbe inciso nella Tavola di Smeraldo, scritta da Ermete Trismegisto.


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