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Autore: pattydcm    09/04/2018    1 recensioni
“Quelle quattro scatole accuratamente nascoste sotto un mobile fanno da tomba al cuore di un uomo brillante e geniale. John le rimette al loro posto pensando a quanto gli sarebbe piaciuto scoprire una scatola che contenesse le prove del suo amore per lui”. Scopre, invece, che Sherlock ha collaborato con un team di giornalisti investigativi madrileni. Questi rivelano a John la verità sul ‘suicidio’ di Sherlock e lo invitano ad unirsi a loro per salvare il consulente investigativo dal pericolo nel quale si è cacciato. Verranno a galla verità sul passato di Sherlock, sui piani di Moriarty e sul rapporto tra i fratelli Holmes. Questa avventura vedrà crescere e consolidarsi il rapporto tra il dottore e il consulente investigativo, intenzionati a percorrere insieme il cammino che li porterà fino alla verità, sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Ciao a tutti :-)
Questa è la mia prima fanfiction e ovviamente questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Sir Arthur Conan Doyle e la BBC nella trasposizione realizzata da Steven Moffat e Mark Gatiss. Ho sempre scritto romanzi, fumetti e libri illustrati e, dopo aver letto un buon numero di ff qui su Efp, ho deciso di cimentarmi in una fan fiction. Non mi sentivo a mio agio, però, a scrivere di personaggi non miei e ho chiamato in aiuto i personaggi di un romanzo scritto nel 2011 e che prima o poi pubblicherò anche qui. Questo vuole essere un finale alternativo che parte dalla conclusione della seconda stagione. Ho inserito delle citazioni tratte dalla serie e che sicuramente riconoscerete. Non ho il dono della sintesi, credo che ogni storia abbia bisogno del suo tempo. Attualmente ho abbozzato i primi 9 capitoli che pubblicherò, salvo imprevisti, a cadenza settimanale. Per le citazioni tratte da altre fonti provvederò a indicarle con un’apposita nota a piè di pagina.
Ovviamente questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma per il puro piacere di scrivere e di raccontare. Mi farà piacere leggere le vostre recensioni e spero la storia vi piaccia
Buona lettura
Patty
 
<< Ouch! Maledizione! >>.
Il libro cade a terra dopo averlo colpito alla fronte e si apre su un’illustrazione del sistema nervoso centrale. John borbotta qualche imprecazione massaggiando la testa. I suoi libri di medicina lo guardano divertiti dagli ultimi ripiani della libreria. Relegati lassù per permettere a lui di avere a portata d’occhio e mano i dossier relativi ai casi e i suoi libri.
<< Non vorrai mica che perda tempo prezioso cercandoli per tutta casa, vero John? >>.
Quella voce profonda gli rimbomba nelle orecchie, come fosse lì al suo fianco a ribadirgli quel concetto ovvio anziché al cimitero sotto due metri di terra.
Ha dovuto richiamare a sé tutto il coraggio del soldato per rispondere all’ennesima telefonata della signora Hudson con un cordiale << Va bene, passo domani per un the >>. Dal giorno del funerale non ha messo piede a Baker Street. Gregory gli ha offerto il divano del soggiorno senza battere ciglio, prestandogli vestiti puliti e l’occorrente per mantenere in piedi la facciata di << Sto bene, sto bene! >>, che continua a ripetere a chiunque lo guardi.
 L’idea di tornare nel loro appartamento gli ha chiuso lo stomaco avvolgendolo in una poco piacevole sensazione di nausea. Continuare a ignorare le telefonate della loro padrona di casa, però, non sarebbe stato corretto. La signora Hudson soffre quanto lui se non addirittura di più, dal momento che quel ragazzo era per lei come un figlio.
<< Non hai idea del guaio dal quale mi ha tolta, John >>, gli aveva sussurrato mentre raggiungevano il cimitero per la funzione laica. L’anziana donna, però, non può immaginare quanto altrettanto grande fosse il guaio dal quale John è stato tolto da quella stessa mente brillante dalla lingua tagliente.
Si era detto che aveva bisogno di qualcuno dei suoi libri e per questo si è arrampicato sulla libreria ricavandone un bernoccolo. Il libro riverso sul pavimento sembra davvero ridere di lui.
<< Maledetto >> borbotta afferrandolo. Un foglietto sguscia fuori dalle pagine chiuse bruscamente e vola sotto la libreria. << Grazie tante >> sospira, inginocchiandosi per recuperarlo ed è allora che le vede. Quattro vecchie scatole da scarpe spinte bene infondo contro il muro. Nascoste alla vista in modo eccellente.
Non si fa, Johnny!” lo richiama sua madre intuendone le intenzioni. Concorda con la voce della donna nella sua testa, peccato sia sempre stato un tipo curioso e incline al mettersi nei guai con le proprie mani.
“Cosa mai potrà contenere, poi, una scatola da scarpe se non delle scarpe?” tenta di giustificarsi mentre afferra la prima della fila, che viene fuori da sotto la libreria in compagnia di una notevole quantità di riccioli di polvere. La soppesa tra le mani e dal rumore che ne ricava non sembra per nulla contenere un paio di scarpe.
“Non sta bene aprirla, non è roba tua!” lo rimprovera la donna e John si trova nuovamente d’accordo con lei. Il concetto di privacy, però, era del tutto assente da quella mente brillante ed è quasi un dovere, per John, vendicarsi delle troppe volte in cui ha violato la sacralità del suo laptop.
Colmo di curiosità toglie il coperchio alla scatola. Un forte odore di pelle sale a investirgli le narici. Proviene da un vecchio collare di un rosso sbiadito largo due dita e da un lungo guinzaglio marrone. Sotto ad una pallina da tennis smangiucchiata intravede una fotografia.
<< Oddio >>, sussurra divenendo pallido. Il ragazzo ritratto nella foto ha gli occhi stanchi cerchiati di nero. Occhi infinitamente tristi che guardano affranti il vecchio cane che stringe tra le braccia sottili. Sono entrambi troppo magri e dall’aspetto malato, ma in qualche modo sembrano sostenersi a vicenda e amarsi infinitamente di un amore sincero e innocente.
John trattiene un singhiozzo. Non sopporta quello sguardo e il senso di disperata tristezza che si propaga dalla foto. La prende con dita tremanti e si accorge che ce ne sono altre. Ritraggono sempre la stessa coppia, che, foto dopo foto, ringiovanisce. L’ultima ferma l’istante in cui un bambino pallido di circa sei anni stringe tra le braccia un cucciolo dal pelo rossiccio. Lo guarda con occhi colmi di gioia mentre il cagnolino gli lecca il viso. John sorride commosso accarezzando con un dito incerto i ricci del bambino.
Tredici foto. Una per ogni anno, scattate all’incirca nello stesso periodo. Tredici foto che raccontano di una lunga amicizia e di due vite che crescono insieme.
<< E insieme muoiono >> sussurra John, che si ritrova tra le mani quella prima foto, tornata in cima al plico. << Tipico di te >> pensa asciugando distrattamente una lacrima dalla guancia. Una qualsiasi altra persona avrebbe messo le foto in ordine inverso, dalla prima e più vecchia all’ultima e più triste. Lui, invece, ha fatto l’esatto opposto. << Per ricordarti che i sentimenti sono inutile prerogativa del lato che perde. Eppure li hai provati anche tu >> dice al ventenne di quell’ultima foto, che deve aver già conosciuto la cocaina, le sigarette e chissà quali altre diavolerie capaci di fermare la sua mente << e il dolore che la sua perdita ti avrebbe inflitto >>, singhiozza portando una mano al petto.
Respirare diventa difficile e il coperchio di quella scatola è pesantissimo. La ripone accanto a sé e si allunga ad afferrare la seconda. È più leggera. Un insolito timore si impossessa di lui mentre piano solleva il coperchio. Da dentro un sacchetto di plastica trasparente un orsetto beige vestito da aviatore lo guarda con occhi vitrei e un sorriso eterno. Lo prende tra le mani incredulo. Benchè le fotografie precedenti testimonino di come anche lui sia stato bambino, non se lo immagina per niente in compagnia di un peluche simile. Sotto le dita avverte la presenza di qualcosa di solido all’interno dell’orso. Nella tasca della giacchetta di pelle trova un tocco di cera e una lettera. La cera sembra essere la stessa che lui era solito usare sull’archetto del violino. Dentro la lettera, invece, trova un foglio bianco ripiegato e una fotografia, tenuti insieme da due elastici per capelli rosa confetto. Due bambini di circa cinque anni, un maschietto e una femminuccia. La bambina regala all’obiettivo un sorriso gioioso che le illumina gli occhi di un grigio chiaro impressionante. Stringe forte il bambino tra le braccia e lui risponde al suo affetto con un  bacio sulla guancia.
Avesse trovato tempo prima quella foto non ci avrebbe pensato due volte a sventolargliela sotto il naso dicendo: << Non avevi detto che non erano il tuo campo? >>. Lui avrebbe risposto con qualcosa di solenne, mettendo su l’espressione arrogante di quando si sentiva scoperto, e avrebbe, poi, tentato di strappargli la foto dalle mani. Avrebbero iniziato ad inseguirsi per tutta la casa, come due bambini, lanciandosi imprecazioni e provocazioni, finchè la signora Hudson non sarebbe salita incuriosita dal baccano. John ridacchia tra sé e gira la foto trovando scritta in alto a sinistra la data 6 gennaio 1981.
<< Il tuo compleanno. Quindi questo peluche è davvero tuo? >>. Guarda esterrefatto l’orsetto aviatore svettare allegro tra i due bambini stretti nell’abbraccio. Oddio, lo avrebbe preso in giro a vita!
Nota per caso che i codini della bambina sono stretti da due elastici rosa molto simili a quelli che tenevano il foglio e la foto insieme. Non sa perché ma c’è qualcosa che non gli torna.
Posa la foto ai suoi piedi e prende il foglio piegato in due che scopre essere uno spartito. << Una canzone? >>. Scorre le note complesse sotto le quali, in una scrittura da bambino, sono riportate parole in francese. << Le hai scritto una canzone in francese? Dovevi essere proprio cotto! >> ride fino alle lacrime. << Avevi solo cinque anni e non solo sapevi già scrivere, e per giunta in francese, ma anche comporre delle canzoni e sono sicuro che l’hai cantata accompagnandoti col violino. Fantastico! >>, singhiozza, sicuro che sarebbe stato soddisfatto dei suoi complimenti. Ripone foto e spartito nella busta e insieme al pezzo di cera lo conserva nella tasca del giubbotto dell’orsetto, che chiude nella busta.
Il coperchio di questa scatola è ancor più pesante da riporre. L’oppressione al petto è aumentata, insieme alla curiosità e alle mille domande che non potrà mai porre. Si accuccia a guardare le ultime due scatole chiedendosi se abbia senso continuare con quella tortura. Ancor prima, però, che possa trovare una risposta le sue mani prendono la terza scatola, più pesante delle precedenti. La apre e vi trova dei libri tenuti insieme da una fascetta di stoffa nera. Chimica applicata, biologia, anatomia umana e fisica. Solleva il libro di chimica e da questo cadono dei fogli. Appunti scritti con una calligrafia che non appartiene a lui. Apre il libro e lo scuote per vedere se nasconde altri segreti, ma non cade nient’altro. Fa la stessa cosa con gli altri e solo dal libro di anatomia ricava un foglio ripiegato più volte. Lo apre senza farsi più problemi riguardanti la privacy. E’ uno scambio di battute tra la sua scrittura e quella di chi ha preso gli appunti. Una voce nella testa di John si chiede se sia il caso, ma non la ascolta e si tuffa nella lettura.
 
Sei un idiota! Come tutti gli altri! Non so che farmene del tuo dispiacere, Victor!
Non puoi chiedermi questo.
Cosa non posso chiederti? Di essere te stesso? Di dire la verità?
Se i miei lo scoprono scoppia un casino, Sher!
E’ questo il motivo, Vic? E’ per i tuoi stupidi genitori bigotti e perbenisti?
Mi sbattono fuori di casa, ne sono sicuro. E che facciamo a quel punto? Mi ospiti e mantieni tu?
Smettila con queste scuse! Se una cosa la si vuole davvero si lotta per ottenerla. Io penso che semplicemente tu non voglia! Finchè era un gioco andava bene, ma ora che la cosa è diventa seria allora meglio lasciar perdere.
No, stai sbagliando! È seria anche per me, non è un gioco. Solo … è pericoloso, Sherly, dannatamente pericoloso. Perché non pensi alle conseguenze? Cosa ti costa continuare così?
Così come? Nascosti come due malviventi? Non ho nulla di cui vergognarmi e non sto facendo niente di male, non stiamo facendo niente di male.
Per me e per te no, ma per il resto del mondo sì.
Chi se ne frega del resto del mondo, Vic? È solo di noi due che mi importa, il resto si fotta! Tutto il resto! I tuoi genitori, i nostri insegnanti, i compagni a cui tieni tanto: vadano tutti a farsi fottere!
Ti prego! Io non sono come te! Non sono intelligente come te e non ho una famiglia influente come la tua, perché devi essere così egoista!
Quindi sono egoista … io sono quello egoista! Io, invece, credo di essere l’unico sinceramente interessato.
Non è così!! Quello che ti ho detto ieri  è vero!
Certo, come no! Se lo fosse non staremmo qui a parlare di quanto è difficile. Ma a quanto pare i ‘sentimenti’ di cui tanto mi hai parlato sono una fregatura e tu me ne stai dando una prova più che tangibile.
No, non voglio questo! Io non capisco perché non possiamo continuare come abbiamo fatto fin’ora?
Forse perché voglio anche io qualcosa di ‘normale’, non ci hai pensato? Essere come gli altri almeno in questo, dal momento che non lo sono per tutto il resto.
Capisco Sher … solo che anche questo non è normale … cioè … non … non so come spiegartelo, cazzo!
No, no, lo hai spiegato benissimo, invece. Non ho chiesto io di essere così. Se tu riesci a vivere nell’ombra buon per te, io non ci riesco. Come non riesco a non dedurre chiunque mi capiti a tiro.
 
Solo quando conclude la lettura John si rende conto di essere senza fiato. Rilegge più volte quella conversazione accorgendosi appena dei sudori freddi che gli imperlano la fronte. Lo ha visto spesso preda della noia, del disgusto, della rabbia dinanzi all’idiozia dei comuni mortali. Si è ritenuto anche fortunato per aver assistito ai suoi rari momenti di relax, per averlo sentito ridere di una risata divertita e non cinica. Lo ha pure visto spaventato in preda al dubbio a Baskerville e divorato dal dolore per aver perso La Donna. O almeno così pensava. Questo piccolo scambio di battute, però, sta gettando ora lui nel dubbio. Pensarlo innamorato di Irene aveva causato un turbinio di emozioni dentro di lui che ancora sente vorticare e come allora si sforza di ignorare. Gli aveva però anche permesso di normalizzarlo: un giovane uomo innamorato di un’altrettanto giovane, attraente e disinibita donna. Questo Victor spuntato dalle pagine di un vecchio libro ora sta incasinando quell’ordine che ha creato faticosamente nella sua testa. Potrebbe anche negare l’ovvietà dell’argomento che i due stanno trattando. Peccato che lui gli abbia insegnato a leggere in un testo scritto molto più di quanto non dicano le parole. E John, guardando il foglio nel suo insieme, si accorge di come la sua scrittura diventi più scombinata e il tratto più pesante verso la fine della conversazione, segno inequivocabile di rabbia trattenuta. Le parole di Victor, invece, diventano via via più leggere, quasi le abbia scritte poggiando appena la penna sul foglio, segno di senso di colpa e ricerca di una via di fuga.
<< Vigliacco >> ribatte John, mandando giù quello stesso magone che lui deve aver inghiottito quel giorno. << Come hai potuto >> sussurra passando il dito sulle parole frenetiche e pesanti che gli trasmettono una profonda sofferenza. Lo immagina ragazzo, seduto accanto a questo Victor durante una lezione di anatomia. Scrivere velocemente per poi passare il foglietto, trattenendo l’istinto di urlargli contro, e chi se ne frega dei compagni di classe e della docente. E lo vede poi appallottolato su se stesso sul suo letto, come tante volte John lo aveva trovato nei suoi giorni di broncio sul loro divano.
<< Credo di non aver capito nulla di te >>, singhiozza riponendo i fogli e i libri nella scatola che allontana da sé. L’amore chiuso in tre scatole, ecco dove lo teneva. Chiuso lì a testimoniare la sua esistenza e allo stesso tempo quanto sia meglio non lasciarsene sopraffare.
John asciuga il viso e si accuccia a guardare l’ultima scatola. << E tu cosa conterrai? Altro dolore? Un altro amore finito male? >>. La estrae lentamente da sotto la libreria e toglie il coperchio senza pensarci due volte. Trova diverse pagine di una rivista scritta in spagnolo, lingua che ha imparato da soldato. L’articolo riportato nella rivista parla di un’inchiesta portata avanti dal team di giornalisti investigativi della testata madrilena ‘El mundo’. A quanto pare dietro agli spogliarelli di aitanti giovani palestrati si cela un losco giro di sfruttamento della prostituzione.
John ricorda quel servizio. Lo aveva visto proprio in compagnia del commilitone spagnolo da un pc che perdeva spesso il segnale, in una notte di relativa calma nell’ospedale da campo. Alejandro se la rideva di gusto. << Abbiamo sbagliato tutto, mi lindo[1]! Il futuro è un perizoma di pelle, altro che le nostre  mimetiche >>, diceva guardando con interesse gli statuari uomini che si esibivano sul palco, catturati dalla telecamera nascosta.
<< Cosa ha a che fare, però, tutto questo con te? >> si chiede John sfogliando le pagine. Il team di giornalisti investigativi di ‘El mundo’ si è guadagnato gli onori della ribalta grazie ai suoi metodi poco ortodossi ma molto efficaci. << Vuoi forse dirmi che hai collaborato con loro? >>.
In risposta alla sua domanda, trova al fondo della scatola una busta da lettera gialla piena di fotografie. Il cuore gli batte forte mentre inizia a guardarle una dopo l’altra. Sono, però, scatti che gli dicono ben poco, dal momento che lui è solito guardare ma non osservare. Impronte nel fango, dettagli e particolari di luoghi a lui sconosciuti. È possibile siano prove di una scena del crimine del 2005, a giudicare dalla data riportata in caratteri gialli sotto ogni foto. Sembrano insignificanti e John si chiede perché mai lui abbia deciso di conservarle.
La nuova foto che si ritrova tra le mani, però, gli toglie il respiro. Occhi verdi su un viso pallido cosparso di efelidi e circondato da capelli ricci e rossi. Lo scatto lo sorprende mentre sta guardando qualcosa con attenzione e John rivede in quel ragazzo la stessa espressione che era solito assumere lui quando qualcosa catturava il suo interesse. Quando deduceva, osservando ciò che gli altri si limitano a guardare.
<< E tu chi sei? >> si chiede John. Gli risulta difficile distogliere lo sguardo da quel viso bello e sconosciuto. Gira la foto ma non trova nulla scritto sul retro. Morde nervoso il labbro avvertendo una strana sensazione di fastidio attanagliargli il ventre.
La foto seguente è stata scattata ai piedi di un palcoscenico. Ritrae due ragazzi sui 25 anni, simili al punto da poter essere fratelli. Gli stessi capelli biondissimi, lisci e lunghi fino alle spalle. Occhi chiari che ammiccano all’obiettivo in una posa provocante e ambigua. Troppo vicini. Troppo nudi. Troppo lucidi d’olio.
John deglutisce e passa alla foto successiva. Un primo piano degli stessi ragazzi in una posa più spontanea e sorridente. << No, aspetta, non può essere! >> esclama avvicinando la foto agli occhi. Riprende quella precedente e le confronta tra loro. Il team madrileno è conosciuto per l’abilità con la quale i suoi componenti si travestono e cambiano del tutto fisionomia per infiltrarsi tra ignari malavitosi ai quali sottrarre informazioni. << Qui devi essere tu al naturale >>, dice John battendo un dito sulla foto del rosso, << e qui sei tu truccato >>, picchietta sul ragazzo di destra dell’ultima foto.      << E questo … oddio non puoi essere tu >>, sospira accarezzando con l’indice l’altro ragazzo. Scorre veloce le foto dove trova altre coppie: due barboni dall’età indefinibile, due muratori dalla pelle bruciata dal sole d’agosto, due studenti con zaini in spalla e libri sotto le braccia. Età diverse, volti diversi, capelli e barbe di colori diversi. Solo gli occhi sono sempre gli stessi: verdi quelli di uno, di un colore indefinito tra l’azzurro e il grigio quelli dell’altro.
<< Così sei stato a Madrid e hai collaborato con dei giornalisti investigativi >>. A conferma della sua deduzione, John trova un foglio piegato in due sull’ultima foto. Eccoli nuovamente insieme, privi di alcun travestimento. Ricci neri vicini a quelli rossi. Uno scatto rubato durante una pausa tra una missione e l’altra, forse. Il rosso indica col dito qualcosa sullo schermo di un pc e lui lo guarda con una strana luce negli occhi. Una luce che colpisce John allo stomaco. Lascia cadere la foto nella scatola e apre il foglietto, stupito di trovarlo scritto in inglese.
 
         Billy, maledetto idiota!
Sapevo che non avresti accettato l’offerta di Grey e penso che infondo sia meglio così.
Tu  hai  la  tua  Londra  nel  cuore  e  un  sogno  da portare avanti. Torna da
Lestrade  e  stagli  addosso  finchè  non  ti  coinvolgerà  in  un caso interessante. Trova
qualcuno  che  ti  assista,  però,  altrimenti saresti capace di farti ammazzare mentre sei
perso  nel  tuo  Mind  Palace!  Che  sia  uno  fidato,  mi raccomando.  Ti ho insegnato a
riconoscere  la  verità, fanne  buon  uso.  E  sta  lontano  dalla droga. Molto lontano! Se
ti pesco  anche  solo a pensare  di tornare a usare quella roba ti faccio a pezzi con le mie
mani   e   sai   che   ne  sarei  capace.  Piuttosto,  se  ti  annoi  fammi  un  fischio:  qui  il 
divertimento  non  manca  mai  e  sarò  felice  di  condividerlo  con te. Sì, penso proprio
che mi mancherai, mi hermano.
Hasta la verdad, siempre!
                                                                                                   FireFox

 
<< Billy? Perché ti chiama Billy? >> sussurra. La quantità di informazioni scoperte grazie a questa lettera gli rallenta i pensieri. Troppe cose tutte insieme! John lascia cadere il foglio e porta le mani alla testa, affondando le dita nei capelli arruffati e trascurati.
<< Sei una macchina! >> gli aveva urlato, sconvolto dalla sua incapacità emotiva. Un freddo computer che scandaglia le informazioni alla ricerca della soluzione, indifferente agli ostaggi, ai feriti, agli esseri umani che ne restano coinvolti.
<< Dio, hai ragione, hai sempre avuto ragione: sono un idiota! >> singhiozza guardando i suoi occhi osservare adoranti il giornalista. Sono chiari ed evidenti i sentimenti che prova nei confronti del ragazzo e John scommette che non ha rinunciato all’offerta solo per tornare nella sua Londra.      
<< Questo FireFox ti ha fatto soffrire, non è vero? >>, sussurra provando un moto di rabbia nei confronti del giornalista. Gli pare di ricordare che i componenti di quel team madrileno fossero soliti usare nomi di battaglia. << E questo nome è abbastanza stupido da esserlo >>, sbotta furente all’idea di come questo tipo sia riuscito a far breccia nel cuore del consulente investigativo.
“No, non è rabbia questa” gli sussurra la voce di Irene cogliendolo di sorpresa. “E’ geloso, dottor Watson”, aggiunge con una nota di malizia che lo infastidisce.    
<< Oh, sta zitta! Non avrei mai potuto competere con uno così >> si ritrova a risponderle, restando stupito di quelle parole. Sì, è geloso. Geloso di uno sconosciuto che lui ha incontrato molti anni prima che si conoscessero. Geloso della bellezza di questo ragazzo che lo adombra e umilia.
<< Come potrei >>, sospira. Lui stesso si sente attratto da quello sguardo intenso, << e anche da tutto il resto >>, sussurra sbirciando la foto che li ritrae mezzi nudi e ammiccanti.
Lui non è gay, è vero. Non è, però, nemmeno etero. Dondola in quella sottile linea di confine che lo porta a sospirare allo stesso modo per le donne così come per gli uomini. Se lui non gli avesse detto di essere sposato col suo lavoro, se avesse scoperto prima il suo interesse per quelli che ha sempre definito essere una fastidiosa incrinatura sulla lente, non si sarebbe fatto problemi.
<< Hasta la verdad, siempre >> sussurra riprendendo in mano la lettera. No, loro la verità non se la sono mai detta e adesso è morta con lui. Quelle quattro scatole accuratamente nascoste sotto un mobile fanno da tomba al cuore di un uomo brillante e geniale. John le rimette al loro posto pensando a quanto gli sarebbe piaciuto scoprire una scatola che contenesse le prove del suo amore per lui. << Ci sono stati momenti in cui ho pensato fossi interessato a me >> sussurra. << Dal modo in cui mi guardavi in silenzio, da alcuni gesti che mi è piaciuto interpretare come carichi di attenzione e di cura. Penso, però, di essere stato solo un buon amico per te. Il tuo unico amico >>. Si rende conto che questo non gli basta. Ella gli aveva chiesto di dare voce alle parole che non gli ha mai detto. Anche adesso, con ancora addosso il turbinio delle emozioni scatenato dalla scoperta di quelle scatole, la stessa morsa gli chiude la gola rendendogli impossibile non solo parlare ma anche pensare.
<< Devo andare via da qui! >> dice sentendo il panico invadergli lo stomaco. << Perdonami, ma non posso più vivere in questo posto >>, sussurra rivolto alla sua poltrona. Afferra la giacca e scappa via. Corre giù per le scale, aggredisce la maniglia del portone e si fionda fuori. Una pioggerellina sottile e gelida gli bagna il viso bollente. Alza gli occhi al cielo, grigio coperto di nuvole.
<< Via da qui! >> ripete tra sé prima di iniziare a correre, correre, correre.
 
[1] Mio caro
   
 
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