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Autore: Unpinguinoperamico    10/04/2018    1 recensioni
{Prima arrivata al contest Una canzone, una storia II edizione, indetto da eleCorti sul forum di EFP}
☆☆☆
Dal testo:
«Will correva per il campo da un quarto d'ora e aveva il fiato corto e le gambe cominciavano a tremargli per la fatica e la testa pulsava in maniera dolorosa come se fosse stata un’incudine picchiata con forza dal martello di Efesto, ma non poteva fermarsi: aveva il costante terrore che se si fosse fermato sarebbe stata la fine.
E se avesse visto Nico precipitare da una finestra?
E se avesse assistito all'esatto momento in cui il suo corpo toccando il suolo si sarebbe sfracellato dalla forza dell'impatto?
Se fosse fondata o no questa paura, non ci teneva affatto a scoprirlo.
Era mezzogiorno di una calda giornata di luglio, ciononostante Will aveva freddo.»
☆☆☆
«Beh, figlio di Ade, allora buttati» mi sussurra Minosse.
Mi giro verso di lui sorpreso, ma ancora di più quando sento che le sue mani fredde e rigide mi stanno stringendo il polso destro: «C-come, scusa?»
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Nico/Will, Quasi tutti, Will Solace
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Di frullati e stupidi sogni

 

Avrei avuto tante cose da dirti questo pomeriggio, Will, e forse avrei anche potuto farlo davanti al frullato d'anguria e uva che prendiamo sempre dopo gli allenamenti di scherma; o forse mentrechiacchierando attraverso i campi di fragole che profumano d'estateci saremmo diretti verso il laghetto delle canoe, dove ci saremmo fermati per interi quarti d'ora a parlare con chi già si trovava lì; e quasi sicuramente, mentre parlavi, ti avrei tirato spazientito per un braccio, dicendoti "andiamocene, sono stanco, e fra poco si cena", quando in realtà ti stavo chiaramente supplicando per un po' di tempo da passare solo in tua compagnia. E plausibilmente tu avresti capito subito l'antifona, perché capisci certe dinamiche molto meglio di quanto riesca a farlo io: quindi mi avresti preso sotto braccio e mentre mi accompagnavi - quasi forse trascinandomi - verso le venti case semidivine e il Focolare di Estia, mi avresti chiesto con quella tua tipica preoccupazione da fratello maggiore se c'era qualcosa che mi preoccupava, che ero pallido cadaverico, cioè più del solito. Oh, Will! Forse ti avrei risposto subito, o magari avrei aspettato di vederti andartene in silenzio, ma veramente è più probabile che le cose che avevo da dirti te le avrei sussurrate nell'orecchio sull'uscio della Cabina 13, un attimo prima di scomparire al suo interno e lasciarti lì imbambolato a fissare il punto in cui mi trovavo fino a pochi istanti prima, e tutto ciò l'avrei fatto solo per non darti il tempo di convincermi a non farlo.

Avrei avuto tante di quelle cose da dirti, Will, che un pomeriggio non sarebbe neanche bastato. Non due, non tre, probabilmente nemmeno quattro.

Perciò ho aggirato il problema e ho deciso di saltare l'allenamento di scherma.

Per oggi niente frullato d'anguria e uva tu e dio, Will.

Per oggi l'unico evento degno di nota sarà ricongiungermi con mia madre, con i morti.

Ah, ho solo un'ultima cosa da dirti: non biasimarmi una volta che avrò fatto quello che ho intenzione di fare, e non essere triste quando pensandomi ti sentirai solo. Perché sappi che fino ad adesso sei stata l'unica cosa che mi ha trattenuto dal farlo.

Prenditi cura di Hazel per me.

 

Will correva per il campo da un quarto d'ora e aveva il fiato corto e le gambe cominciavano a tremargli e la testa pulsava in maniera dolorosa, ma non poteva assolutamente fermarsi. Aveva il costante terrore che se si fosse fermato avrebbe visto Nico precipitare da una finestra, oppure assistere all'esatto momento il cui il suo corpo toccando il suolo sarebbe stato fracassato dalla forza dell'impatto.



Da quando aveva annunciato le intenzioni di Nico agli altri semidei il campo era in completo subbuglio: stavano tutti cercando il figlio di Ade, chi qui, chi là, chi su e chi giù, ma il figlio di Ade non si trovava da nessuna parte.

Nella Cabina 13? Niente.

In infermeria? Nulla.

Nella Casa Grande? C'era solo il Signor D. che beveva tranquillamente la sua diet-coke e che quando gli avevano illustrato con agitazione il problema che li turbava si era bloccato un attimo, assorto, per poi esclamare: «Beh? Che cosa ci fate ancora qua? Su, andate a cercare questo Nicholas e ditemi se lo trovate.»

Era mezzogiorno di una calda giornata di luglio, ciononostante Will aveva freddo.

«Allora?» la voce di Jason fu come una secchiata d'acqua gelida alle sette del mattino, ma era stata più che abbastanza per riportare Will sulla terraferma. Il figlio di Giove lo stava guardando crucciato da un paio di minuti, e probabilmente si stava anche aspettando da parte sua una risposta.

Will scosse il capo: «Non è nemmeno in armeria. - replicò - a questi punti manca soltanto la foresta.»

Jason annuì debolmente: «E Piper?»

«Sta cercando di chiamare Annabeth, ma la connessione fa schifo. Con lei c'è Leo, stanno tentando di sistemare la linea.»

Jason si passò una mano tra i capelli biondi, imprecando in latino.
Ecco che cosa si stava facendo da un'ora a questa parte, si imprecava. In tutte le lingue che conoscevano: spagnolo, francese, greco, latino, strettissimo dialetto canadese... E se Dio con la D maiuscola fosse stato un tipo permaloso come gli dei greci, probabilmente sarebbe sceso da un pezzo sulla terra per "riportarli sulla retta via o qualcosa del genere" come aveva detto Chirone.

«Hanno già cercato nelle stalle?»

Will scrollò le spalle, cercando tra tutti la figura minuta di Nico, speranzoso, anche se una parte di lui era cosciente dell'inutilità di tal gesto: «Non penso.»

«Allora forza, Will: andiamo a cercarlo là.»



 
Say it for me, say it to me

And I'll leave this life behind me

Say it if it's worth saving me



 
 
L'aria mi accarezza dolcemente la schiena, agita la mia maglietta di lino facendomi rabbrividire ad ogni tocco. È una strana sensazione pensare che fra pochi minuti sarà tutto finito, e che si ridurrà al ricordo ingrigito di una vita lontana. Spero solo che ciò che adesso mi circonda rimanga impresso nei miei ricordi come se fosse un paesaggio suggestivo o un magnifico tramonto tra le dune di un deserto, catturato dai miei occhi come se fossero l'obbiettivo di una polaroid. Voglio mettere a fuoco nell'immagine di un ricordo il cinguettare degli uccellini sugli alberi, o il vento che insinuandosi tra i rami produce quel cupo brontolio che ha contraddistinto innumerevoli delle mie notti insonni, o ancora il vociare lontano dei semidei che nella mensa s’apprestano a cenare. Poi il profumo intenso delle fragole che riempie l'afosa aria estiva e i raggi di sole che questa sera battono timidamente sul Campo Mezzosangue proiettando ombre allungate sul selciato.

«Perché lo stai facendo?»

Mi giro con insofferenza verso lo spettro di Minosse, che è comparso proprio al mio fianco. Se il giudice dell’Oltretomba mi si fosse presentato così all’improvviso un anno fa, probabilmente avrei fatto un salto di tre metri. Adesso invece, ho abbastanza auto-controllo per non girarmi e tiragli un pugno sui denti. Gli lancio un’occhiata diffidente, ma lui non sembra impressionato. Sta fermo su due piedi proprio qui accanto e da come mi guarda (un misto di delusione e rammarico) sembra essere l'incarnazione perfetta dei miei demoni interiori: potrei quasi scambiarlo per l'immagine di tutto ciò che sto cercando di rimuovere da tempo – Bianca… il Labirinto… la morte… i morti… Forse è qui per ricordarmi che effettivamente soltanto gli spettri mi tengono in considerazione.

«Perché lo stai facendo? - mi ripete. – Non ne vale la pena…»

Ma io non gli rispondo nulla: non gli servono le mie parole, lo so io, lo sa lui. È una semplice domanda del cazzo buttata lì più per gentilezza che per altro unita ad un blando tentativo di persuasione, come un sorriso di circostanza, il "mi dispiace" dopo un tradimento o la parola "scusa" dopo aver rifilato uno schiaffo, senza alcuna sincera intenzione di dimostrare gentilezza. Mi sento improvvisamente pervaso dallo stesso sospetto che mi coglie ogni volta che qualcuno si comporta in modo educato con me – o almeno cerca di farlo: cosa accidenti vuole?

«Sei solo uno sciocco adolescente egocentrico con gli sbalzi d'umore e le crisi di nervi. - asserisce stizzito. - Non hai nessuna buona ragione per ammazzarti!»

A quest'affermazione non riesco a trattenere un grugnito seccato: «Davvero? E che cosa ne sai tu?»

«Più di quanto ti immagini, principe dei morti. – replica, quindi soggiunge: - Perciò, perché adesso non mi dici perché vuoi ucciderti e ne parliamo un po’ da re a re?»

«Si può sapere cosa vuoi?» domando.

A questo punto Minosse sembra stupito, quasi addolorato dai miei sospetti, ma forse è proprio per questo che il suo sguardo mi sa terribilmente di schernimento: «Ma come, figlio di Ade? Non è chiaro? Cerco di alleggerire il tuo carico di sofferenze!»



Nella stalla Will e Jason trovarono la stessa cosa che avevano trovato nella Cabina 13, nell'infermeria o nella Casa Grande.

Un fico secco.

Ma quando questa volta vide che Nico non c'era, Will non riuscì più a trattenere le lacrime: fosse il panico, fosse la rabbia, fosse il fatto che Nico non si trovava da nessuna parte, o fosse che ormai avevano cominciato tutti a prendere in considerazione l’idea che con un viaggio nell'ombra se ne fosse andato via. In quest’ultimo caso, poco sarebbero riusciti a salvare.

«Will, non è ancora la fine, - sussurrò Jason accarezzandogli dolcemente una spalla – C'è sempre la foresta, vedrai che lo troveremo lì!»

Will non si sentì affatto rassicurato.

Il punto non era trovare Nico, gli fece notare, il punto era trovarlo ancora vivo. E spiegare questo pensiero ad alta voce fu una delle maggiori difficoltà che gli si erano presentate nella vita, specialmente con quel groppo in gola che gli stava impedendo di formulare una qualsivoglia frase di senso compiuto. Ma nonostante i balbettii e i singhiozzi trattenuti, Jason dovette aver afferrato il concetto base, perché lo strinse più forte a sé.

«Nico è ancora vivo, Will – gli assicurò. – insomma, deve essere vivo. E se non è vivo lo uccido. Cioè, voglio dire... lo riporto in vita per ucciderlo di nuovo, ecco.»

«Jason, non sei bravo a consolare le persone.» gli fece notare.

Al che il figlio di Giove gli sorrise mestamente: «Hai ragione, Will, dovrei chiudere la bocca una volta per tutte...»

Anche se ciò non era riuscito a far calmare Will, almeno era servito ad alleggerire un po' la tensione che gli attanagliava in cuore. 

Il fatto è che aveva paura. 

Non voleva ammetterlo, non a sé stesso né a chiunque altro, né a Jason, e neanche al pegaso che stava ruminando accanto a loro del tutto ignaro di ciò che stava avvenendo: non avrebbe mai confessato che aveva paura della morte più di ogni altra cosa al mondo. Lui stesso si rendeva conto dell’ironia della cosa, non solo perché come medico aveva il dovere di allontanare la morte dalle persone, ma soprattutto perché essa era il regno in cui si muoveva di solito Nico. Rabbrividì. Il pensiero di osservarlo freddo e immobile disteso dentro una bara – immagine per lui inconcepibile – lo convinse una volta per tutte ad asciugarsi le lacrime e procedere nella ricerca.

«Jason, non voglio che muoia.» Lo sussurrò così debolmente che il figlio di Giove ebbe serie difficoltà a decifrare ciò che aveva sentito. 

«Lo so, Will, lo so: non lo voglio nemmeno io.» 

«Dobbiamo trovarlo. Se non lo troviam-»   

In quel preciso frangente, un grido di terrore bucò l'aria come un proiettile e costrinse Will a paralizzarsi sul posto, con gli occhi sgranati e la bocca parzialmente aperta nell'atto di finire la frase cominciata.

 
All I need is you 

Come please I'm callin' 

And oh I scream for you 

Hurry I'm fallin', I'm fallin'



 
«Giudicare un figlio di Ade... era da un po' che non mi capitava. - la voce di Minosse è piatta, monocorde. – Da quando è morta... com'è che si chiamava? Beatrice? No, no, Bianca. Sì, si chiamava Bianca. Tua sorella, giusto? Ti ricordi di lei?»

Ancora per una volta non rispondo. Sto guardando la strada che dà dietro la Cabina 13, una stradicciola sterrata e ben nascosta dagli aghi scuri di un paio di cipressi. Un luogo sicuro e poco frequentato. Plausibilmente, se adesso mi buttassi da qui, passerebbero almeno un paio di ore prima che qualcuno se ne accorga.

«Era una brava ragazza, tua sorella. - continua Minosse. – Coraggio, a me puoi dirlo: non ti piacerebbe rivederla? Ti stai uccidendo per questo?»

«Non potrò mai rivederla, lo sai. - gli rispondo atono, mentre continuo ad esaminare la strada isolata. - Bianca si è reincarnata.»

Minosse sospira: «Oh, lo so eccome. Però mi chiedo, se non è per rivedere Bianca, allora perché...»

«Perché non ce posso fare, okay? – sbotto, finalmente girato nella sua direzione. – Non ce la faccio più… ogni volta che chiudo gli occhi io… io vedo...»

Non mi rendo nemmeno conto che la mia voce si è incrinata, o forse faccio finta di non accorgermene e intanto mi prendo una pausa, un breve momento di silenzio ma che mi sembra lungo cent'anni.

Deve sembrare lungo cent'anni anche a Minosse, perché attende sulle spine il seguito della frase che ho lasciato a metà.

«Vedi cosa?» mi incalza.

Esito un istante, un solo istante: «Vedo il Tartaro.»

Ogni volta che chiudo gli occhi vedo il Tartaro, quella terra nera e brulla, il grigio, il fiume Flegetonte, il fuoco, i mostri, la pianura irta d'alberi che sembrano peli d'insetto... Lo vedo ovunque. Nei volti di Percy, di Will, di Jason, di Hazel, di Reyna, nel Focolare di Estia, nel cielo, nella terra, nel buio, nella luce, nel male, nel bene. Lo vedo dappertutto. Ho la sensazione che se in questo preciso istante chiudessi gli occhi, Lui sarebbe qui, accanto a me, come una tetra presenza che deve ricordarmi costantemente quello che ho passato negli ultimi tempi. La prigionia. Cupido. La battaglia contro Gea. Il pensiero fisso di uccidermi come unico compagno di viaggio, mentre solcavamo con l'Argo II i cieli dell'Europa. 

Il Tartaro che mi perseguita sia nei sogni che nella realtà è il vero motivo per cui questa sera sono sul tetto della Cabina 13, con un solo balzo che mi separa dalla strada.

«Beh, figlio di Ade, allora buttati» mi sussurra Minosse.

Mi giro verso di lui sorpreso, ma ancora di più quando sento che le sue mani fredde e rigide mi stanno stringendo il polso destro: «C-come, scusa?»

Il sorriso di Minosse mi inquieta. Si tratta di un sogghignare sghembo, crudele, doloroso quasi quanto la stretta che ha su di me. Che accidenti gli è preso? Faccio per ordinargli di andarsene e lasciarmi solo, ma una mano fredda e più… reale del previsto mi tappa la bocca. Stringe, mi fa male. È bollente.

«Un'anima per un'anima, ricordi? – mi sussurra nell'orecchio. - Quella volta, nel Labirinto, non sono potuto tornare in vita per colpa tua… ma questa, figlio di Ade, lo sento, è la volta buona.»

Una spinta leggera…

…e precipito. 

 
Come please, I'm falling


 
L'urlo che avevano sentito proveniva dalla stradina sul retro della Cabina 13.
 
Will e Jason non ci avevano messo nemmeno una decina di secondi a sopraggiungere, ma capire che cos'era successo era un altro paio di maniche.

Frank stava abbracciando Hazel, che singhiozzava senza riuscire a fermarsi contro la spalla del ragazzo. Questi aveva un'espressione sconsolata, quasi a disagio, come se avesse voluto dire qualcosa senza ben capire che cosa, e mentre la stringeva a sé lanciava rapidi sguardi verso il suolo. Will fu il primo a raggiungerli.

«Che succede?» chiese.

Hazel provò a spiegare, ma la sua voce fu subito troncata da uno scoppio di pianto: anche senza volerlo, il suo comportamento non aveva fatto che alimentare i tetri presagi di Will e Jason. Eppure non capivano che cosa stesse accadendo. In quella stradina non c'era nulla che potesse giustificare quella crisi di pianto, e se non ci fossero stati loro sarebbe stata persino deserta. Frank chiese aiuto con lo sguardo ma l'unico ad accorgersene fu Jason, dal momento che Will era troppo impegnato ad esaminare con raccoglimento la stradicciola sterrata.

«Frank?» gli chiese il figlio di Giove.

«N-non so cosa stia succedendo, - ammise il ragazzone canadese – stavamo cercando Nico qua dietro quando all'improvviso è scoppiata a piangere. Vi giuro, non so perché.»

Will corrugò le sopracciglia.
Per terra, parzialmente nascosta da un ciuffo d'erba, si trovava una scatolina di pastiglie vuota sul cui tappo era scritto in lettere azzurre un nome, un nome che gli era tristemente noto: doveva aver contenuto le pillole di un potente oppiaceo usato principalmente come antidolorifico. E sapeva fin troppo bene che qualsiasi farmaco, se usato in quantità eccessive, può portare alla morte per overdose. Will raccolse la confezione da terra, ma solo quando fece per stapparla si rese conto di star tremando.
Tremava.
Non sapeva perché, o forse si stava semplicemente auto-convincendo di non saperlo.
Era normale essere così terrorizzato solo per aver ritrovato una boccetta di antidolorifico dietro la casa di Nico?
Probabilmente era caduta dalle tasche di Austin o di Kayla mentre facevano una passeggiata dopo il turno in infermeria. O, chissà: magari qualcuno le aveva prescritte a Nico per un valido motivo, e il figlio di Ade le aveva prese nelle giuste dosi giorno dopo giorno. Non poteva essere così? 

No, Will sapeva che non era un caso, che non poteva esserlo: prima Nico gli aveva lasciato sulla scrivania un biglietto di addio, poi era scomparso e adesso Will aveva trovato dietro casa sua una boccetta vuota di pasticche. 

Dalla sua breve carriera da semidio, Will aveva imparato a comprendere che le coincidenze non esistono. 

Quindi non rimaneva altro da pensare che Nico avesse svuotato quella confezione, l’avesse buttata per terra e poi si fosse spostato in qualche altro luogo per non essere fermato.

Ma dove?

Quanto tempo fa?

Quante speranze c'erano che fosse ancora vivo?

Non molte, temeva. Anzi, davvero poche. 

«Ragazzi... - chiamò debolmente. – Dobbiamo trovare Nico. Dobbiamo trovarlo subito!»

Jason gli rivolse uno sguardo interrogativo: «Will ma-»

Probabilmente avrebbe voluto chiedere che cosa fosse successo, ma il sopravvento di Piper non gli lasciò il tempo di completare la frase. La ragazza era tutta sudata e aveva il fiato corto e dal colorito perlaceo del volto sembrava terrorizzata come mai prima d'ora. Non come Will, certamente, ma di certo ci andava vicino. 

«Venite, presto, abbiamo trovato Nico.»


 
Hurry I'm fallin',

I'm fallin'
  


Il figlio di Ade si trovava nell'unico posto in tutto il campo nel quale nessun semidio s'era sognato di cercare: nelle docce.
Era stretto tra le braccia di Reyna vicino ai lavandini con gli occhi semichiusi e la maglietta nera sporca di vomito, e il suo corpo era scosso di tanto in tanto da un tremito lieve.

Era talmente pallido... così immobile... Will trattenne a stento i singhiozzi.

Nel momento in cui arrivarono, Reyna era china su di lui. Gli stava parlando, continuava a raccontargli degli aneddoti divertenti sulla vita a Campo Giove (per esempio quando i figli di Mercurio avevano coperto Ottaviano di sterco bovino), e tra le suppliche di rimanere cosciente e di non mollare infilava qualche insulto affettuoso per aver fatto preoccupare l'intero campo. Leo e Calypso erano invece lì accanto, mano nella mano, ed entrambi guardavano sconvolti quello che stava accadendo accanto senza nessuna reale intenzione di intervenire. Calypso era quasi più bianca della maglietta che indossava.
Quando vide che cosa stavano facendo e come fissavano senza agire il corpo rigido del figlio di Ade, Will dedusse che nessuno dei tre aveva la più pallida idea di che cosa gli stava accadendo, e se ce l'avevano e quello era il loro tentativo di ammazzarlo una volta per tutte, allora stavano svolgendo un lavoro fantastico.

Il medico si fiondò verso di loro seguito a ruota da Jason, Piper, Hazel e Frank, e senza dire niente afferrò Nico sotto le ascelle prendendo a battergli con decisione la schiena. Nico tossicchiò debolmente, ma la sua reazione cominciava e finiva in quel punto.

«Che stai facendo?» esclamò Reyna indignata.

«Ha preso dei farmaci! - spiegò sbrigativo. - Aiutami a farglieli risputare!»

Mentre lui e Reyna tentavano di fargli vomitare le pillole di oppiacei (e gli altri guardavano paralizzati la scena), Nico tossicchiava debolmente ed esclusi dei singhiozzi sommessi o versi strozzati mal soppressi sembrava più dalla parte dei morti che dei vivi. Era cinereo, e Will temeva di non poter fare più di così. Intanto Piper gli sussurrava parole di conforto, promettendogli con la lingua ammaliatrice che sarebbe andato tutto bene e che il giorno dopo l'avrebbe portato a mangiare in una certa pizzeria italiana nel centro di New York o, se avesse preferito, in un'ottima gelateria vicino a Central Park. 

«Non gli sento più il polso!» pigolò Will.

Ma Reyna era poco disposta a lasciarlo morire: lo afferrò per il colletto della maglia e gli assestò un pugno così poco delicato che Nico si piegò in due vomitando tutto quello che aveva nello stomaco - poco e niente, a dir il vero, ma Will non nascose il suo sollievo quando vide che aveva risputato anche le piccole pastiglie bianche che aveva ingerito. I ragazzi lo osservarono affrancati mentre Nico si asciugava la bocca dalla bava, tossicchiando semi addormentato, e mormorando qualcosa che suonava come «I lemures non sono lemuri, coach» e poi «Solo un sogno» si accasciava tra le braccia accoglienti di Reyna e sprofondava in un sonno profondo, questa volta - Will ne era certo - senza il reale pericolo di rimanerci secco.

«Il respiro è regolare.» osservò Reyna.   

Will sospirò sollevato e oltre le gambe molli si sentì gli occhi di tutti puntati addosso: «Che c'è?» domandò.

Ma la risposta arrivò da sé quando Hazel gli saltò al collo e gli lasciò un grosso bacio sulla guancia lentigginosa. Will si toccò lo stampo del bacio con due dita, incredulo. 

«Ehi!» protestò Frank.

I semidei scoppiarono a ridere. 

 
ღღღ


Non sono caduto.

Non sono morto. 
 
Sono solo sospeso a mezz'aria.

Will mi sta stringendo con decisione la mano, mi sorride. I suoi capelli sotto il sole del tramonto sembrano chicchi di grano tostato, «Non farlo mai più, Nico - mi dice. - Sennò, poi con chi lo prendo il frullato d'anguria ed uva?»

Reyna, Hazel e gli altri mi sorreggono per l'altro braccio. Sorridono anche loro, mi guardano, sono felici. «Mi hai fatto prendere un colpo, ragazzo inquietante. - mi dice Leo. - E sappi che il mitico Leo Valdez non prende mai colpi.» «Non prendi mai colpi? - interviene ridendo Piper. - E quella volta che il coach ti ha colpito con-» «Abbiamo giurato di non parlarne mai più, Pipes!»  

Intanto Minosse mi guarda con astio dal tetto della Cabina 13, da dietro le spalle di Will, ma qualcosa mi suggerisce che non può più fare nulla: mi dà le spalle e, risentito, mi dice: «Non guardarmi con quel sorrisetto snervante, di Angelo: non hai vinto nessuna battaglia, è solo un sogno»

«È solo un sogno.» ripeto. «Sì, solo un sogno...» 

Sto sognando, mi dico, ma non cadrò nel Tartaro.

Non morirò.

Non oggi, almeno. 
 
Il Tartaro non mi spaventa. Non più, non come prima.

Perché finché avrò loro dalla mia parte, ogni volta che cado sarò in grado di rialzarmi. 




 
Hurry, I’m falling, I’m falling
   
 
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