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Autore: Grell Evans    11/04/2018    1 recensioni
Artemisia, giovane infermiera, vive una vita tormentata da ricordi dolorosi dei quali non riesce a liberarsi.
Marco, infermiere anche lui, è perdutamente affascinato da quest'anima perduta.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Quando smontava dal turno di notte percepiva come il completamento di un ennesimo ciclo; aveva fatto il suo dovere con passione e responsabilità e questo lo rendeva orgoglioso di ciò che era diventato. Ora lo aspettavano due giorni liberi e non aveva ancora idea di come occuparli, quindi, una volta arrivato a casa passò la mattinata oziando sull’amaca fuori al terrazzo coccolando il suo gatto, Shinobi, leggendo un buon libro e, a volte, cadendo addormentato sfiorato dal vento tiepido.
-E se...- pensò mettendosi seduto con le gambe a penzoloni. - Andassi in giro per locali stasera? - infilò gli infradito evitando la palla di pelo che sonnecchiava vicino alle sue scarpe. -Magari la invito? – scosse la testa come a negare a priori questa possibilità. -Che palle- sospirò. -Ma che mi sta succedendo? – entrò dalla porta che dava verso la cucina preparandosi un toast con prosciutto e formaggio.
“Potremmo divertirci, passare una serata diversa in un locale dove suonano musica latina... non ho voglia di andare da solo.” disse rivolto al gatto bianco che rispose con un ‘miao’. Guardò l’animale che si strusciò contro il suo polpaccio e poi si andò ad accoccolare nuovamente all’aria aperta.
Addentò il toast rimuginando sul da farsi, indeciso ed insicuro. Era come se una crisi adolescenziale l’avesse colto in pieno investendolo con tutte le emozioni possibili tipiche di quell’età. Non sapeva come agire e si sentiva completamente smarrito in quel gorgo sentimentale che lo stava disorientando.
Non ricordava che al liceo si sentisse così quando voleva uscire con una ragazza: era molto più spavaldo, sicuro di sé e i rifiuti non lo spaventavano affatto. In quel periodo non era un ragazzo da relazione seria e stabile, voleva divertirsi e non prendere impegni con nessuna perché sapeva che non avrebbe adempito al ruolo di fidanzato modello. Nonostante questo, un esiguo gruppetto di ragazze, non si arrendeva a quest’evidenza senza badare a questo suo sentirsi inadeguato e lui continuava ad ignorarle sotto quel punto di vista. Tutti erano soliti pensare che fosse andato a letto, almeno una volta, con ognuna di loro e Marco non si preoccupò mai di smentire questa diceria. Avrebbe alzato un polverone inutile di pettegolezzi su quella storia e allora tanto valeva lasciarla così com’era; lui la coscienza l’aveva apposto. All’università poi la svolta; continuava ad andare a ballare e ad uscire la sera con gli amici ma cominciò a sentire dentro di sé l’esigenza di avere una donna al suo fianco, una donna che avrebbe percepito in tutte le sue sfumature e non solo come amante. Non era solo un bisogno fisiologico dettato dall’istinto ma un desiderio potete di legarsi a qualcuno con l’anima, con la mente e con il corpo.
Incontrò Celeste durante l’estate di cinque anni prima, sul lungomare dove era solito ritrovarsi al bar con i colleghi dell’università. La vide passare con il suo immancabile tubino e i sandali con il tacco alto, i capelli castani legati in una coda alta ed il trucco ben sistemato. Stava chiacchierando con una sua amica sotto braccio quando voltandosi incrociò i suoi occhi e lui le rispose con un sorriso. Da allora cominciarono a frequentarsi, dopo poco si scambiarono il loro primo bacio a cui seguì una nottata a casa sua che all’epoca gli sembrò il meglio che potesse capitargli. I primi mesi di una relazione sono quelli che fanno apparire il partner come il migliore al mondo; c’è il buon sesso, si parla e pare che ci si ami. Fino a quando iniziò a legarsi a lei più profondamente e in quel momento cominciarono ad emergere i difetti, le paranoie, le ossessioni e le possessioni, sulle quali lui aveva sorvolato per molto tempo, perché sentiva di amarla fortemente ma, allo stesso tempo, ebbe il sentore di essere privato della sua libertà. Dopo due anni, con un dispiacere immenso, decise di porre fine alla loro storia, ma non fu mai un capitolo chiuso. Continuarono a vedersi sporadicamente, facevano sesso e poi se ne andavano uno per la propria strada. Capì che lei accettava di incontrarlo perché non poteva ammettere di non aver più il possesso sulla sua vita, quindi quando si ritrovavano, lei godeva di questa sensazione mentre, per Marco, era diventato più uno sfogo fisico ormai e niente di più. Aveva poi deciso di mettere un punto a quella storia e di chiudere il libro definitivamente perché nel tempo i suoi comportamenti erano diventati sempre più invadenti e inoltre voleva interrompere questa sciocca dipendenza da una donna che l’aveva reso arido.
Afferrò il cellullare e chiamò Artemisia, così da poterle spiegare tutti i dettagli.
“Pronto?” rispose lei cordiale come a mascherare dello stupore.
“Ciao... come va?” domandò lui giocando con il tovagliolo ormai in brandelli sul tavolo.
“Beh, si tira avanti. Dimmi tutto.” disse con calma.
“Pensavo di andare a ballare e mi chiedevo se ti andasse di venire con me.” sorrise anche se lei non poteva vederlo.
Qualche secondo di silenzio calò tra i due interlocutori. “Perché no?” decretò infine lei.
“Fantastico! Allora vengo a prenderti alle ventidue.” cercò di limitare la contentezza il meglio che poteva.
“A dopo allora.” concluse la ragazza dall’altra parte entusiasta.
 
 

 
***



La vide uscire dal portone e guardarsi intorno; evidentemente si aspettava di vederlo in moto e non in macchina quindi suonò il clacson per attirare la sua attenzione. La sentì imprecare per lo spavento. Rise.
“Che Zeus ti fulmini!” disse Artemisia entrando in macchina e assicurandosi che il vestito le coprisse il fondoschiena.
“Buonasera anche a te.” rispose ridendo Marco non tanto per la frase ma tanto per l’espressione sul suo viso. Mise in moto e accese la radio per avere un piacevole sottofondo musicale durante il tragitto.
“Come mai hai deciso di invitarmi?” domandò lei curiosa, voltandosi leggermente sul sedile per guardarlo meglio.
Improvvisamente si irrigidì non aspettandosi quella domanda precisa. Prese tempo, adocchiando quale uscita prendere per arrivare al locale. Sentiva i suoi occhi scrutare ogni suo movimento.
“Pensavo potesse essere utile per il nostro ancora prematuro rapporto e consentirci di conoscerci meglio.” disse con tono aulico come ad imitare un lord inglese.
“Lei crede che in un locale dove si balla musica latina si possa incrementare una conoscenza?” rispose Artemisia restando al gioco.
“Lo credo signorina, perché la porto a scoprire un posto che mi piace frequentare e che magari potrebbe gradire anche lei.” rallentò e parcheggiò vicino un marciapiede sul quale la ragazza poté scendere in tutta sicurezza.
Camminarono per qualche metro illuminati dalla luce dei lampioni; entrambi i marciapiedi che delimitavano la strada a senso unico erano gremiti di gente che aspettava fuori dai locali fumando e ridendo allegramente. Artemisia era tutta concentrata sull’evitare le buche o le crepe dell’asfalto risultando parecchio goffa a causa dei tacchi alti mentre Marco, tranquillo nelle sue scarpe non troppo eleganti, avanzava adagio.
Una fila di dimensioni rilevanti scorreva fluida all’interno del locale ‘Sweet Mamba’. Aspettarono il loro turno con calma scambiando qualche parola e dopo circa una mezz’ora furono dentro.
La musica sparata ad un volume altissimo stimolava tutti i presenti a lanciarsi in balli energici e mosse voluttuose dividendo i ballerini amatoriali in due grosse categorie: coloro che assumevano pose soavi e seducenti, armonizzando le mosse del proprio corpo alla musica e chi invece risultava volgare, per nulla sensuale e scoordinato nei movimenti.
Il locale si espandeva su un unico piano parecchio ampio e, sui due lati, due piani rialzati ospitavano la console del dj e il privè, mentre la pista principale occupava la maggior parte dello spazio disponibile insieme al bar che era stato sistemato lungo un’intera parete.
Artemisia, vestita con un abito nero di merletto reso più voluminoso dall’anca a metà coscia da uno strato di tulle, camminava vicino a Marco cercando di non urtare nessuno per raggiungere il bar.
“Cosa prendete?” disse il barman strofinando un bicchiere per asciugarlo con un panno.
“Un mojito e ...” rispose lui cercando il nome del cocktail sulle labbra di lei. “Un Planters.” rispose la ragazza con un lieve sorriso scaturito dall’espressione apparsa sul volto di Marco. “Giù col rum.” aggiunse lui con un occhiolino. “Impazzisco per il rum.” disse infine prendendo il suo massiccio bicchiere di vetro e recandosi verso l’interno della pista.
Le luci intermittenti e colorate invadevano l’intero locale proiettando sui presenti in pista fasci di luce assumendo forme strane. Marco ballava tranquillo a pochi passi da Artemisia che, anche se impacciata e a disagio, cercava di non darlo a vedere. Non era abituata a quei luoghi chiassosi e pieni di gente ma stava cercando di ridimensionare la sua vita e, divertirsi in una discoteca, rientrava negli obiettivi. Era scontato che il suo cervello la stesse suggestionando facendole credere che tutti la stessero guardando per prenderla in giro e che perfino Marco si fosse unito a quelle persone. Fece una giravolta su sé stessa come per scacciare quei pensieri malevoli; non aveva più quindici anni, era ora di finirla.
Bevve un sorso del cocktail dalla cannuccia e ondeggiando si avvicinò a Marco mantenendo però una piccola distanza tra i loro corpi. Sentì le dita di lui stringerle la mano sinistra, attrarla verso di sé, farla piroettare e poi allontanare di nuovo muovendo sobriamente il bacino a ritmo di musica.
“Sotto una divisa bordeaux si nasconde un ballerino appassionato.” disse Artemisia il più vicino possibile all’orecchio di lui. Aveva un buon profumo, fresco ma avvolgente.
“Nascosta, tra quei vestiti gotici, c’è un’anima colorata, che pulsa.” rispose Marco guardandola negli occhi.
“Probabile, altrimenti sarei un cadavere.” aggiunse lei sorseggiando l’ultimo assaggio di rum rimasto sul fondo, nascondendo un sorriso.
Posarono i bicchieri sul primo tavolo apparentemente libero. Marco mandò giù l’ultimo sorso del cocktail e, prendendo entrambe le mani di lei, si trascinarono lungo la pista ballando facendosi trasportare completamente dalla musica.
“Ya no te escondas más que yo te encuentro mira que es el momento para lucir los sentimientos. Tus besos son mi delirio, sálvame de ese vacío, no jueges a las escondidas oh, oh. Espero que no estés perdida vida mía oh, oh. Yo no me cansaré de buscar este amor, yo sé que te hice daño y hoy soy preso del dolor.” Marco ricalcò sussurrando le stesse parole della canzone che stavano ascoltando in quel momento, prendendole il viso tra le mani poggiando la sua fronte sulla sua. Lei provò a comprendere quelle parole anche se non conosceva per nulla lo spagnolo, ma riuscì a intendere il concetto di quelle parole.  Un significato dolce, forse passionale che lui le stava trasmettendo con quel semplice tocco. Si lasciò coccolare da quel gesto e trascinare dal ritmo, sì travolgente ma allo stesso tempo riusciva a percepire al suo interno della malinconia.
“... ando buscando ...” ripeté Artemisia ciondolando con la testa il titolo della canzone che le era entrato nel cervello.
“Cosa cerchi?” tradusse Marco il più vicino possibile alla ragazza per farsi sentire.
Lei, dopo aver alzato lo sguardo, strinse la mano di lui girando su sé stessa, poi rispose. “Potenzialmente, la felicità.”
 
 

 
***



 Era calata la notte che portò con sé una gradita frescura e un cielo limpido gremito di stelle.
Aprì la portiera, osservando la strada deserta a quell’ora tarda e così silenziosa.
“Grazie Marco.” disse lei voltandosi verso di lui e baciandolo sulle guance per salutarlo.
“E di cosa?” rispose lui sorridendo sinceramente.
Ricambiò il sorriso e fece per scendere dall’auto. “Questa serata mi è stata molto d’aiuto, non mi divertivo da un po’.”
“Anche io ne avevo bisogno.” confermò tamburellando le dita sul volante.
Un silenzio che parve infinito scese tra di loro, interrotto solo dalla sirena di un’autoambulanza lontana chilometri e da qualche straziante miagolio. “Sali?” domandò piano, col viso volto verso la portiera semi aperta.
“È successo qualcosa?” ribatté Marco incuriosito da quella richiesta.
“Volevo offrirti qualcosa di fresco e fare due chiacchiere. Io e il sonno non andiamo molto d’accordo ultimamente.” confessò lei girandosi per cercare una risposta sul suo viso.
  “Ho ancora le pile cariche, reggo ancora un po’.” spense l’auto e la seguì.
Salirono due rampe di scale, poi varcarono la prima porta a destra. Un bel salotto ampio, con cucina annessa, si espandeva dall’uscio decorato in uno stile sobrio ma per niente banale.
“Accomodati.” lo invitò a sedersi mentre sparì per un attimo nel corridoio.
Scelse una poltrona bianca posta nei pressi di un divano dello stesso colore decorato con dei cuscini con diverse stampe damascate. Lo colpì la parete alla sua sinistra riempita di quadri e fotografie sulla quale si soffermò per diversi minuti; una foto resa quadro del ‘Ratto di Proserpina’ di Gian Lorenzo Bernini troneggiava al centro del muro, altre cornici, decisamente più piccole, circondavano la gigantografia.
“Cosa preferisci: succo alla pesca, thè, caffè, dimmi.”  disse Artemisia sorprendendolo assorto nel guardare le foto appese.
“Del succo va benissimo.” rispose disinvolto mentre ancora osservava quelle strane fotografie.
Si avvicinò con i due bicchieri colmi e poi si sedette sul divano, accavallando le gambe.
“Mi sembri sorpreso.” dichiarò schiettamente lei voltando lo sguardo nello stesso punto dove era poggiato il suo.
“Curioso.” la corresse lui ancora imbambolato. “Non avevo mai incontrato persone che incorniciassero foto di cimiteri.” aggiunse bevendo un po’ di succo.
“C’è sempre una prima volta.” commentò lei come a dichiarare un’ovvietà.
“È stranamente inquietante e affascinante allo stesso tempo.” si voltò verso di lei per poi appoggiare il bicchiere sul tavolino basso a un piede di distanza da lui.  “Come te.”
“Accetto il complimento.” rispose con un tono velato di ironia. “Non farti strane idee; mi piacciono i cimiteri e in ogni nuovo posto che visito li fotografo, mi affascinano.”
“Sicuramente sono posti inusuali nei quali fare foto artistiche, ma questo non le rende meno belle.”
Lei annuì, poi si portò una mano al viso. “Sono veramente maleducata! Vieni, ti faccio vedere casa mia.” si alzò senza fare un minimo di rumore e raggiunse la porta del corridoio.
Il primo posto visitato fu il bagno, mediamente grande, ordinato con una cabina doccia degna di nota. Passarono poi alla camera da letto, spaziosa dove ritrovò altre foto decorare la parete: un uomo e una donna intorno ai vent’anni sorridevano in un ritratto in bianco e nero, mentre nelle altre cornici a colori Artemisia aveva inserito stampe a colori di lei, con il suo ragazzo e la sorella. Una toletta piena di trucchi era affiancata ad un grosso armadio, sotto la finestra invece, spuntava una scrivania.
“Questo è il muro dei ricordi.” disse indicando il muro pieno di foto. “Ci sono i miei nonni materni, mia sorella, Vladimir e la mia migliore amica.”
Vide il suo volto impresso nelle foto decorato da un riso spontaneo, sano e contagioso che per il momento su di lei non aveva mai visto. In quelle immagini poteva definirsi l’emblema della felicità; quando faceva naso a naso con il fidanzato, mentre abbracciava l’amica e poi mentre se ne stava accoccolata sulla spalla della sorella. Come se non volesse dimenticare che anche lei, una volta, era stata felice, come per non voler ammetter di aver perso qualcosa di importante e di non poter viverla più.
“Ti aiuta vedere certe foto?” disse piano Marco avvicinandosi al muro.
“Ormai non ci faccio neanche più caso.” rispose carezzando il volto del ragazzo impresso nella stampa.
Notò un’aria rassegnata segnarle il viso e l’amarezza contagiare quelle poche parole pronunciate. Era come se ancora non avesse realizzato la loro scomparsa nonostante gli anni passati, come se il loro ricordo fosse vivo in quelle foto e non volesse abbandonarle.
“Tu ti rendi conto che loro non ci sono più?” domandò cercando di essere il più delicato possibile.
“Certo che lo so.” rispose quasi irritata lei, guardandolo storto.
“Allora perché continui a comportarti come se loro fossero ancora vivi?”
“Non dire cazzate Marco.” disse Artemisia voltandosi verso di lui.
“E tu non negare l’evidenza.”
“Non posso dimenticarli.”
“Non devi.”
“E allora cosa dovrei fare?”
“Dovresti imparare a ridimensionare il loro ricordo e devi cominciare ad elaborare il lutto e capire che la vita deve andare avanti. Non puoi fermarti nel passato a disperarti, altrimenti il tuo presente ed il tuo futuro non avranno svolte. Vivrai nel buio e niente cresce nel dolore se non sai rialzarti e ricominciare.” Marco le aveva detto ciò che pensava, forse troppo oggettivamente, perché il suo sguardo sembrava perso e i suoi occhi era sull’orlo di piangere. Seduta sul letto, con le mani a reggerle la testa si sforzava di non sembrare provata da quelle parole dure sebbene veritiere.
“In questi anni il dolore mi ha rovinata e logorata dall’interno, non sento più di essere la stessa di una volta.” fece una pausa, poi riprese con calma. “Ho passato molto tempo senza uscire di casa, sola, a piangere la mia vita miserabile e la loro morte. Non mi sono mai sentita così vuota dentro, mai. Andavo a lavorare e sembravo un automa senz’anima e agivo solo perché dovevo. Ai miei occhi niente aveva più senso, mi sembrava tutto arido, privo di vita e senza colori. Ad oggi riesco a passare alcune giornate senza che l’incubo della loro morte mi perseguiti ogni dannato giorno, senza che i loro fantasmi infestino le mie relazioni sociali e mi impediscano di sopravvivere. Ma non è semplice Marco. A volte la depressione ritorna e come ieri, dopo essere tornata a casa, la sensazione struggente di averli persi mi ha dilaniata; ho urlato, gettato tutto all’aria, preso a calci il muro e poi mi sono addormentata per terra in un lago di lacrime. Non mi libererò mai di tutto questo, fa parte della mia vita.” le sue guance erano umide, ma la sua voce non era rotta dal pianto.
“Niente fa parte della tua vita se non vuoi che ci sia.” dichiarò Marco accovacciandosi di fronte a lei per stare alla sua stessa altezza. “Devi lavorare su te stessa, altrimenti continuerai a soffrire e anche la cosa più bella apparirà ai tuoi occhi senza valore perché non puoi condividerla con loro. Non funziona così Artemisia, devi andare avanti perché sei ancora viva, nonostante tu non voglia fartene una ragione.” le carezzò le guance bagnate con i polpastrelli come per asciugarle. “Devi salvarti. Nessuno può farlo al tuo posto.”
  
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