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Autore: Dexter Bell    12/04/2018    2 recensioni
Cresciuta nella "Gloria di Amryza" Drusinua è una giovane Elfa Oscura che lotta per dimostrare il proprio valore.
L'obbedienza alla Volontà della Dea Madre è ciò che più crede possa guidare un vero guerriero, ma quando la strada si fa più difficile, ecco prospettarsi una domanda che non si era mai fatta "Che cosa voglio davvero?"
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le Profezie di Amryza'
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Le Lacrime degli Angeli

Se c’è un tratto che certo non è un luogo comune tra ciò che si dice a proposito degli elfi oscuri, di sicuro è quanto in loro sia marcato l’orgoglio. Creati dalle mani di Amryza per essere i suoi figli, furono donate loro le forme più perfette, le pelli più morbide, i capelli più fluenti, i movimenti più aggraziati. Il loro spirito sublime quasi traspira dalle loro carni. Ma in un mondo in cui non domina il solo spirito, ma anche la cruda materia, anche il cranio più perfetto si spezza sotto la mazza più primitiva. E la pietra e il ferro non sono ormai certo più segreti nemmeno per le più infime razze di uomini lucertola o gnoll. Per questo la possibilità che un essere inferiore prevalga su un elfo oscuro è più di una remota ipotesi.

Non è sufficiente essere stati prescelti dalla Grande Madre per essere creature perfette, è necessario che ogni elfo oscuro impegni la sua vita per dimostrarsi degno di tale onore.

Disonorare il nome di Amryza compiendo un errore è spesso una condanna a morte per uno dei suoi figli, ma il marchio dell’infamia a volte ricade su taluni che non possono discolparsi, né possono essere al tempo stesso ritenuti colpevoli. Sono coloro che sono figli di un errore. Sono coloro che sono nati senza una famiglia che li volesse riconoscere. Sono gli orfani.

Ancor più che sugli altri giovani membri di questa razza, sugli orfani degli elfi oscuri grava il peso dell’orgoglio ferito. Essi non possono rimediare all’errore che li ha macchiati e devono dimostrare che, sebbene vergogna dei loro stessi genitori, essi sono stati chiamati in questo mondo dalla Grande Madre in persona per servirla. Se essi possono dimostrare di essere degni di servire la Madre, allora significa che sono da lei benvoluti. E la benevolenza di Amryza non può essere messa in discussione nemmeno dai tetrarchi che governano la nazione elfica. E’ così che un orfano si conquista il diritto ad essere un vero Elfo Oscuro.

Drusinua cominciava a disperare di poter ricevere tale benevolenza e si chiedeva se davvero non fosse indegna di servire la Madre Oscura. Nata senza genitori aveva affrontato insieme ad altri come lei le difficili discipline che i funzionari avevano studiato per far emergere solo chi sarebbe stato utile per la propria razza e per poter eliminare senza rimorsi gli altri. Il suo corpo agile e i suoi buoni riflessi la convinsero che avrebbe potuto primeggiare nelle arti della battaglia piuttosto che in quelle dello studio e quella sua impavida irruenza la portò a preferire il cammino della spada piuttosto che quella dell’arco o del pugnale nell’ombra. Ma ora il tempo sembrava sul punto di scadere. Quando ancora era una ragazzina, prima ancora cioè che il vecchio istituto fosse arso e raso al suolo da un saccheggio orchesco, allora sembrava poter diventare una tra le migliori. Ma ora non era più abbastanza.

Le inette e le incapaci erano già da tempo state allontanate o avevano provato altre strade e così, senza quelle peggio di lei, da “una tra le migliori” ora era lei a trovarsi tra le “peggiori”. I suoi colpi erano certo precisi, ma spesso prevedibili, i suoi attacchi coraggiosi, ma scarsamente pianificati. Troppo spesso finiva i suoi allenamenti a terra, sconfitta dalle compagne più abili, lo sguardo di disappunto degli insegnanti sferzante sulla sua schiena più di qualunque scudiscio. Benché nei giorni della sua infanzia fosse stata affascinata dalla rigidità e dall’intransigenza che governavano quei luoghi, ora che ne provava giorno per giorno sulla pelle le asperità non poteva fare a meno di esserne ferita e avvilita.

Era cresciuta nella gloria di Amryza… Fin da quando poteva ricordare, qualcuno le aveva detto di quanto ogni suo respiro dovesse essere a Lei dedicato… Ogni giorno gli insegnanti le avevano ricordato che gli Elfi Oscuri erano i figli della Dea e che dovevano essere il suo orgoglio e il suo vanto… ogni giorno le avevano detto che ogni suo fallimento era un affronto alla Grande Madre… E lei non aveva mai voluto dispiacerla. Le grandi statue di Amryza troneggiavano ovunque in quell’ampio dedalo sotterraneo che doveva chiamare “casa”. Lo sguardo austero delle raffigurazioni era proprio come Drusinua si immaginava la Madre Oscura: una madre dall’immenso potere pronta a elargire i suoi doni a coloro che la rendessero felice, ma senza alcuna pazienza o amore per coloro che non sapevano essere all’altezza delle sue aspettative.

Quando era stata lei a primeggiare sulle sue avversarie, non le aveva mai schernite, non le aveva mai umiliate… In cuor suo era veramente convinta che fosse davvero inutile… Dispiacere Amryza era già una pena sufficiente da sopportare… Non credeva vi fosse alcun merito o piacere nel dimostrare a un suo fratello che non era degno… era solo un gravoso compito che doveva espletare… Perché era il volere di Amryza…

“Se verrà il mio momento – aveva pensato guardando le sue compagne sconfitte – sarà perché qualcuno che più di me ha la Grande Madre nel cuore a lei più si è votato” Pensava quindi che avrebbe sempre ammirato le sue compagne che la precedevano nelle graduatorie e più di lei primeggiavano nelle varie prove e competizioni. Ma da quando invece il suo gruppo si era assottigliato ed era lei rimasta ad occupare la coda delle graduatorie, la sua certezza non era più tanto limpida… Per quanto tentasse di tenere il passo, per quanto tentasse di impegnarsi negli esercizi, la sua abilità non era all’altezza delle altre. E queste sembravano gioire della cosa. Non gioire di essere abili: lo avrebbe compreso. Ma gioivano della sua sfortuna, dei suoi fallimenti… Era diventato per le sue compagne una specie di divertimento… e tutt’altro che disapprovato dai suoi insegnanti, che anzi sembravano pienamente condividere lo scherno che le riversavano addosso.

Tra tutte, una sua “sorella” in particolare sembrava prendere diletto nel renderla misera. Le avevano assegnato il nome di Lelenia e, benché fosse orfana proprio come tutte loro, nessuno, insegnanti compresi, faceva mistero del fatto che la sua abilità nell’arte della spada le avesse già riservato le attenzioni della stirpe degli Eldoryl che probabilmente l’avrebbero adottata alla fine del suo addestramento e le avrebbero dato un rango nella società degli Elfi Oscuri. Non era perciò raro sentire che la chiamassero già con il nome completo del casato che l’avrebbe accolta. Tra loro che nulla possedevano, un Nome era già più di quanto il fato non avesse loro assegnato facendole nascere orfane. Un nome completo aveva quindi un Potere quasi tangibile… Un Potere che affascinava tutti quanti gli “allievi” di quel luogo.

Un tempo anche Drusinua aveva subito quel fascino… Ma era ormai sparito da tempo. Proprio quel fascino aveva stretto attorno a Lelenia un folto gruppo di compagne che la seguivano quasi fosse uno dei funzionari che le addestravano. E inebriate da quello stesso fascino, tutte le sorelle, che avrebbero dovuto essere anche sorelle sue, accortesi del disprezzo che la loro ispiratrice nutriva verso di lei, non avevano esitato a fare a gara a chi le riservava le meschinità più avverse. Oramai Lelenia non aveva più nemmeno bisogno di impartire gli ordini, come faceva all’inizio; erano le sue compagne stesse che immaginando i desideri della sorella si prodigavano a eseguirli.

Più il suo distacco di abilità rispetto alle più dotate del corso diventava marcato, più le cattiverie che le riservavano diventavano frequenti e meschine, al punto che quando, durante il tragitto dalle mense alle camerate, un gruppo di assalitrici la costringeva con il volto nel fango, non chiedeva nemmeno più loro il perché. Né nelle notti d’inverno chiedeva chi fosse stato ad averle inzuppato completamente il giaciglio di acqua gelida… quando non era qualcosa di peggio…

Ma il perché Drusinua lo chiedeva a sé stessa… Mentre si ripuliva il viso o si cercava un posto riparato dove passare la notte.

Perché una prescelta di Amryza doveva comportarsi in tal modo? Oppure la domanda sembrava potersi capovolgere: perché Amryza aveva scelto una simile sorella? E quando la risposta che le avevano insegnato fin da bambina si faceva largo nella sua mente (“perché Lelenia è più forte e più abile e meglio può servire la sua razza”) allora ecco che si poneva delle altre domande: Perché non riusciva a diventare altrettanto forte? Non desiderava altrettanto servire la Grande Madre? Non voleva con altrettanta forza mettere la sua spada al servizio di Amryza?

Per un umano gli infami tiri che Lelenia e le sue sorelle le riservavano sarebbero stati insopportabili, ma per Drusinua, che era nata tra gli elfi oscuri, ciò che veramente la bruciava nel profondo era vedere che qualcuno che non credeva degno servisse la Madre Oscura meglio di lei… E ancor di più il fatto che, per quanto si impegnasse, non fosse in grado di superare una sorella che riteneva indegna…

Fu nel tempio di Amryza che tentò di sciogliere questi dubbi chiudendosi in preghiera. Al principio il tempio era il suo rifugio solo perché sapeva che lì gli affronti delle compagne non l’avrebbero seguita, ma presto, vedendo che il suo impegno non era in grado di portarle l’ispirazione cercata, si trovò china di fronte all’altare implorando la Madre Oscura per una risposta, per un’illuminazione… E, sebbene la fredda pietra in cui l’effige della Madre era scolpita non le restituisse alcun consiglio, per quanto intensamente le rivolgesse le preghiere, il grembo del tempio fu per lei luogo di immenso conforto… e di immensa meraviglia.

Lì infatti le capitò di udire la cosa più sublime che avesse mai avuto modo di sentire… Era una melodia… La cantava una voce così pura e armoniosa che sarebbe potuta appartenere a un dio. Le parole della melodia erano tristi e malinconiche e le sue note erano pacate come fosse una ninna nanna. Era diversa da ogni cosa avesse mai sentito fino ad allora… Tanto tempo era trascorso ricevendo gli ordini, subendo i rimproveri, assorbendo le aspre lezioni di dottrina che non pensava più che la voce potesse produrre un suono tanto gradevole… E tanto triste…

Tornò così sempre più spesso al tempio per udire quel canto e cullarsi sulle sue note… Così come nelle sere dopo gli allenamenti passava l’unguento sul suo corpo per lenirne i traumi e i dolori, così quella voce sembrava poter fare altrettanto per il suo spirito…

La voce però non era di natura magica (e forse era questa la cosa più stupefacente), ma apparteneva a un Figlio di Amryza che prestava servizio al tempio… Drusinua lo osservava da lontano, mentre rimaneva china nel tempio, sbirciandolo con gli occhi appena socchiusi, mimando la concentrazione di una preghiera. Era un elfo già adulto, dal volto bellissimo, ma altrettanto triste, un’altra cosa a cui lei non era abituata, conoscendo degli adulti solo il volto severo e giudicante dei funzionari. Ma per quanto quel giovane la riempisse di curiosità non riuscì mai a trovare il coraggio sufficiente per avvicinarlo, temendo che il rivelare la sua presenza e il fatto di ascoltare quelle parole avrebbe potuto spezzare una specie di incantamento.

Fu il caso, se una simile cosa esiste, a darle l’occasione che non era mai riuscita a trovare.

Un giorno qualunque, giunto il momento di lasciare il tempio, Drusinua trovò proprio nel cortile antistante le “seguaci” di Lelenia che parevano ormai avere capito dove si nascondesse il loro bersaglio preferito e, sebbene troppo ben indottrinate per solo pensare di portare le loro malignerie nel tempio della Madre, non avevano trovato nulla di discorde nell’attendere fuori dalle sue porte per portarle un po’ di meschinità. In quel momento Drusinua sospirò profondamente, la sua tristezza rivolta al pensiero di aver perso anche quel piccolo angolo segreto, più che per il sapore dello scherno che già pregustava. Ma proprio mentre si dirigeva verso le sue sorelle, pronta ad affrontare il loro disprezzo con l’orgoglio che la sua razza le aveva insegnato, senza distogliere lo sguardo e senza fuggire, la voce che fino a quel momento aveva cantato nel tempio le tristi melodie abbandonò le rime e si fece sentire fuori dalle mura del tempio.

Appena sulla soglia, l’Elfo le disse di rientrare, poiché ancora non aveva terminato con i suoi doveri al tempio… Alle altre disse di entrare nel tempio a rendere grazie alla Madre, oppure di tornare a rendere Amryza orgogliose di loro, ma che non le voleva mai più vedere perdere tempo nel cortile della cattedrale… E questo comando, più simile a quello dei funzionari, sembrò fare il suo dovere, facendo allontanare velocemente le giovani elfe costringendole ad accantonare i loro meschini propositi.

Se il canto l’aveva stupita, quel gesto quasi la stordì.

Il suo misterioso cantore dovette ripetere l’ordine una seconda volta, prima che la giovane Drusinua lasciasse la sua attonita posa nel mezzo del cortile. Non era la prima volta che udiva un adulto mentire… Ma mentire per lei… Mentire per aiutarla, questo aveva davvero un gusto sconosciuto.

Riparati nuovamente dal tempio, l’elfo tornò al suo seggio, silenzioso come lo era sempre stato quando non intonava il suo canto. Drusinua attese un poco… Forse aspettandosi che qualcos’altro di incredibile capitasse… Ma quando le fu chiaro che non sarebbe successo, non le rimase che raccogliere tutto il suo coraggio e parlare… Ma anche così non fu in grado di fare altro che presentarsi, prima che l’emozione le stringesse troppo la gola. Il giovane a udire quella scarna introduzione si voltò a guardarla, ma ancora non disse nulla. Maledicendosi per quella sensazione che non aveva provato di fronte neppure al più severo maestro adirato, Drusinua cercò qualcos’altro da dire, ma il tempo le sfuggì di mano e l’elfo distolse lo sguardo tornando di nuovo alla sua quieta contemplazione.

Con un sospiro, Drusinua abbassò il capo e mosse il suo primo passo verso le porte della cattedrale… ma la voce dell’elfo scrisse un finale diverso all’episodio che lei già pensava chiuso…

“Non è saggio che tu esca così presto… E’ meglio che tu rimanga qui ancora un poco. Vuoi ascoltare una storia, per ingannare il tempo?”

Fu l’entusiasmo con cui corse accanto al giovane che rispose al posto della sua voce ancora intrappolata dall’emozione… E al vederla così entusiasta, l’elfo sorrise, anche se sempre con quell’aria stanca e un po’ triste. Drusinua, non sapendo come comportarsi in una simile circostanza, provò ad imitare il giovane e flesse con una certa difficoltà le labbra in un sorriso imbarazzato.

Quello era il primo sorriso che le avevano mai rivolto… Quello era il primo sorriso che il suo viso avesse mai cercato di regalare a qualcuno.

Incantata da quelle nuove sensazioni che la pervadevano, Drusinua rimase in silenzio ad ascoltare il racconto del suo ospite… Fu un racconto strano come tutto il resto di quel giovane… Non era un racconto sulle innumerevoli battaglie del suo popolo contro gli elfi alti con cui da immemore tempo erano in guerra, né la storia di quanto terribile fosse il potere di Amryza, né di come la Grande Madre avesse creato i suoi figli tanto potenti e superiori alle altre razze. Ma una storia semplice, un racconto come quelli che si narrano ai bambini prima di andare a dormire… La storia di due innamorati e di un Angelo che li aiutò a trovare la felicità.

Drusinua non aveva mai sentito parlare degli Angeli… Aveva udito molteplici storie sui demoni e su come i grandi cavalieri della sua razza li avessero affrontati o come gli stregoni li avessero comandati, ma degli Angeli… non aveva mai udito nulla. La curiosità spezzò il nodo che aveva alla gola e riuscì a chiedere al giovane che cosa fossero quegli “Angeli” di cui parlava… Ci fu un altro stanco sorriso, poi lui le disse che ora il momento era opportuno per lasciare il tempio…
…Ma l’avrebbe attesa il giorno dopo, per raccontarle ancora degli Angeli, se avesse voluto.

E il giorno dopo Drusinua tornò, così come il giorno dopo e quello dopo ancora. Il giovane elfo ogni giorno la accoglieva nel tempio e senza che lei lo chiedesse le narrava una storia con la sua voce tranquilla e delicata come un ruscello di montagna. Alle volte la storia racchiudeva una poesia, o una canzone e lui la intonava per lei… Drusinua si chiese se il giovane non fosse in realtà un mago, perché quelle parole e quei suoni avevano su di lei un potere che avrebbe pensato proprio solo di un incantamento… Il suo cuore, che i funzionari avevano addestrato a rimanere calmo anche di fronte all’avversario che caricava o alla fatica di una corsa interminabile, ora, lì, seduta, senza muovere un solo muscolo e senza minacce incombenti, si agitava nel suo petto come un pesce appena catturato tra le mani del suo pescatore. L’elfo era certo un narratore abile, ma erano le storie che sceglieva di raccontare che la pervadevano di meraviglia… Come la prima che aveva udito, non avevano nulla a che fare con la dottrina che i funzionari le avevano impartito fino ad allora… Le sue storie parlavano di amore e di innamorati… Di amori persi, ritrovati, sognati, rincorsi… A volte divisi, a volte ricongiunti… E poi narravano di questi Angeli… Creature divine che aiutavano i figli degli dei nel momento del bisogno, che erano il conforto di chi soffriva, che sotto le loro ali accoglievano chi non aveva altro rifugio. E nei suoi racconti, che non dimenticavano la Madre Oscura, Amryza era però diversa da come i suoi istruttori la cantavano… Era diversa da quello sguardo che avevano le statue che aveva sempre visto torreggiare su di lei… Era sì una Madre severa, ma era una Madre dal cuore sofferente, diviso tra l’amore per i suoi figli e il desiderio di lasciarli liberi perché potessero crescere con le loro forze. Le prove che la Grande Madre poneva sul cammino dei protagonisti di quei racconti erano aspre e a volte crudeli, ma erano fatte così che solo i puri di cuore e di intenti, i coraggiosi e i valorosi potessero passarle. E sì, era una Madre la cui pazienza non doveva essere messa alla prova, ma era castigatrice e dispensatrice di un’inappellabile punizione per coloro che male usavano la loro forza, non per i deboli, nemmeno i più stolti.

Il contrasto di quelle storie si faceva tanto più forte quanto più tempo passava lontana da esse. Infatti fuori da quel tempio le cose non erano invero cambiate… Lelenia e le sue compagne erano sempre altezzose e crudeli nei suoi confronti. Le loro angherie erano tutt’altro che cessate: anche se le sue visite al tempio avevano loro sottratto molte occasioni, fecero tutto il possibile per fare in modo che quelle che rimanevano loro fossero le più infide e spietate… Ma soprattutto, quelle nuove prospettive nulla fecero per migliorare la sua arte della spada. L’unica cosa che sentiva con sempre crescente forza era il disprezzo per quelle che dovevano essere le prescelte della Madre e la convinzione che il volere di Amryza non potesse essere quello… Ma la vittoria continuava a sfuggirle… E troppe volte Lelenia stessa si divertiva nell’umiliarla nei duelli o nelle prove di forza o abilità… Eppure Drusinua era convinta di non essere indegna della Grande Madre, era convinta di avere nel cuore tutti i desideri di Amryza…

     


Ne era tanto convinta che quando venne per l’ennesima volta sconfitta e il funzionario si chinò su di lei sprezzante, per chiederle se il suo non fosse un aperto insulto alla Grande Madre, visto con quale pervicacia lei continuava a recarle disonore con la sua debolezza, lei rispose senza esitazione di no. E quando allora quello si chiese se lei sapesse che cosa si aspettava Amryza dalle sue figlie, Drusinua non ebbe esitazione… Raccontò di una Madre Oscura severa, ma saggia, raccontò di una Madre che voleva il valore in battaglia, ma sopra di esso voleva l’onore e un cuore puro e impavido. Rispose che la Madre preferiva vedere un figlio retto e onorevole che cadeva, piuttosto che uno meschino che vinceva.

Se a queste parole, che non si erano mai udite in quel luogo, il funzionario avesse risposto con la più violenta percossa o la più prolungata reclusione, probabilmente Drusinua avrebbe patito la punizione, ma il suo spirito si sarebbe rinsaldato, la sua fede temprata… Ma all’attimo di incredulo silenzio che la sua affermazione fece calare, non seguì né un urlo iracondo, né lo schiocco di un bastone…

Tutti si misero semplicemente a ridere…

…Ridevano di gusto, ridevano quasi sguaiatamente… Ridevano di lei… e della sua fede… Fu questo a farla vacillare. Fu questo a farla scappare. Fu questo a farla correre via verso il tempio, mentre quelli tanto ridevano che nemmeno più si curavano di dove andasse quella ridicola ragazzina. Drusinua era stata addestrata bene, a sopportare il dolore e ad odiare la debolezza e le avevano insegnato che il segno della massima debolezza erano le lacrime… E fino a quel momento, Drusinua era stata forte. Forte più di ogni umiliazione. Ma quella volta, per la prima volta, pianse. Pianse perché si sentì ingannata: ingannata da quelle melliflue parole che il giovane elfo le aveva pronunciato nel tempio. Erano suonate vere, quando le aveva dette lui! Perché ora nella sua bocca non avevano la stessa forza? Perché avevano riso di quelle sue parole?

Il suo singhiozzo frantumò il silenzio del tempio, quando irruppe dalle sue porte e poi la sua voce gridò il nome della Grande Madre, inginocchiata di fronte alla sua statua… Ma ovviamente la statua non rispose… Un senso di frustrazione piegò in due la giovane Drusinua che strinse i pugni e digrignò i denti, tentando di ricacciare in fondo alla gola quel nodo insopportabile che la faceva comportare in modo indegno. Ma se la statua non si mosse, fu qualcun altro ad udire il suo richiamo… Senza abbandonare la sua calma tristezza, il giovane elfo le si fece appresso e si chinò su di lei, ma prima che potesse rivolgerle qualunque parola di conforto, il volto della ragazza scattò ad incrociare il suo sguardo, gli occhi flessi nel difficile tentativo di dominare quelle nuove emozioni che la travolgevano

“Voglio sapere!” Proruppe lei quasi ruggendo quel comando “Voglio sapere chi ha ragione!”

Il giovane, che non poteva che intuire vagamente quale fosse il tormento della sua giovane interlocutrice, nemmeno questa volta si scompose né lasciò quello sguardo triste. Fu come sempre calmo nel chiederle “Ragione su cosa, giovane allieva?”

“Da quando faccio visita al tempio – fu subito pronta lei a replicare – Mi avete parlato della Grande Madre come nessuno aveva mai fatto! Ma è vero ciò che mi dite?! E’ così che è la Madre Oscura?! O mi avete mentito?! O era solo un’altra favola?!”

Finalmente edotto del vero senso di quella furia, il giovane si risollevò, meditando la risposta che, al contrario della domanda, era tutt’altro che semplice. Senza fretta, prese posto a sedere tra gli scranni della cattedrale e, ancora in silenzio, alzò lo sguardo sulla grande statua di Amryza. Proprio quando Drusinua non avrebbe atteso un istante di più per avere la sua risposta, il giovane gliela porse.

“Ascolta Drusinua… Io… Come te, in questo tempio sono un visitatore… In cerca di un poco di pace… Un tempo ho servito la Grande Madre con la mia spada… Ho combattuto molte battaglie… Ma forse ho perso più di quanto avessi mai pensato si potesse perdere su un campo di battaglia… In cambio, mi hanno detto che ho ottenuto il favore della Dea… Ma nonostante questo, io ho perso la voglia di combattere” Tacque per un istante, distogliendo il suo sguardo dalla statua per posarlo sulla giovane “Già alla tua età, sai che un guerriero che non vuole combattere, non è più di alcuna utilità alla nostra razza… o alla Madre… E come tale non ha posto in questo mondo. Ma la mia spada ha servito persone potenti tra i casati dei nobili… E qualcuno di loro deve, in qualche modo, aver pensato di farmi un favore trasformando la mia condanna a morte in un confino lontano dalla capitale. Così mi hanno concesso di ritirarmi in questo luogo sperduto… Forse nella speranza che ritrovi il senno… O forse in attesa di trovare il coraggio di uccidermi… Ma in ogni caso, qui io, come te, non sono che un ospite sgradito… Messa da parte la mia lama, forse qui posso essere un cantastorie, o un eremita… ma non sono un sacerdote di Amryza…” Benchè le parole usate dall’elfo non fossero state poche, a Drusinua parve di udire davvero solo quelle che avevano chiuso quella strana presentazione. Prendendole per una confessione della mendacità di quanto aveva raccontato, la giovane fece per alzarsi, stringendo il pugno, la tristezza che si mutava in disprezzo.

“Ma allora voi…”

“Tuttavia…” La smorzò sul nascere il suo interlocutore, anticipando le sue rimostranze e alzandosi in piedi, andando a porsi proprio sotto la fredda statua della Madre “…Se chiedessi io a te dove credi si possa cercare la verità sulla Grande Madre… Tu cosa risponderesti?” Colta alla sprovvista da quella strana domanda, Drusinua non fece in tempo a riflettere, che già il giovane la incalzava “…Diresti forse che è qui? Che è questa la Grande Madre? Questa statua di pietra?” Non capendo bene il significato di quel discorso, la giovane aggrottò le sopracciglia, cercando di intendere dove l’elfo volesse condurla. Vedendo che, in effetti, egli sembrava attendere una risposta scosse infine lentamente e leggermente il capo in segno di diniego, ma senza abbandonare il suo sguardo sospettoso “…Allora dove? – chiese ancora lui – Dove si trova la nostra Madre? Può essere nelle mie parole? Posso io contenere la Grande Madre anche in tutto il fiato che ho e mai avrò in corpo?” Ancora un cauto segno di diniego giunse dal capo di Drusinua “…E può allora farlo un funzionario? Possono le parole di un funzionario contenere la Grande Madre più di quanto non possano farlo le mie?” Fu un breve istante quello in cui l’elfo sospese le sue parole per lasciare che affondassero nella sua interlocutrice, poi chiuse il cerchio “E possono farlo forse quelle di un sacerdote più di quelle di un funzionario?”

“I sacerdoti compiono miracoli grazie all’intercessione di Amryza” Fu svelta ad obiettare Drusinua.

“Ed è lì quindi la Grande Madre? E’ lì, dentro a un miracolo? Dentro a una ferita che si chiude? Dentro a delle gambe che tornano a camminare? Dentro alle fiamme sacre che bruciano un nemico del nostro popolo?” Fu l’altrettanto pronta replica dell’elfo “Persino il più grande miracolo non è che una frazione del potere della Grande Madre… Perché anche il più grande sacerdote non può che ripetere che una frazione del Verbo di Amryza…”

Ormai conscia di quale fosse il senso delle parole del giovane, Drusinua non era comunque soddisfatta… Voleva una risposta al suo quesito

“Ma non è comunque possibile che nessuno conosca la vera volontà di Amryza! La Grande Madre, la sua vera essenza, deve pur trovarsi in qualche luogo!”

A quell’affermazione, con calma, il giovane lasciò la statua e tornò verso di lei, ancora china nel miscuglio di emozioni che l’avevano costretta a terra.

“In qualche luogo?” Ripetè lui sollevando una mano “Certo che la volontà della Grande Madre si trova in qualche luogo… Si trova qui” Disse portando la sua mano sulla guancia della ragazza e carezzandola dolcemente. Disorientata da quel contatto, abituata al tocco degli altri solo per punirla o combatterla, Drusinua vacillò incerta nel cuore e nella mente

“Che… Che signifca?”

“Amryza ci ha creato per essere suoi figli… Nel nostro cuore ha messo tutto ciò che dovevamo sentire… Nella nostra mente tutte le parole che dovevamo pronunciare… Nelle nostre braccia tutte le battaglie che dovevamo combattere e nelle nostre gambe tutti i passi che dovevamo fare. Tu sei Amryza, Io sono Amryza. Tutti noi siamo la sua volontà. Tutto quello che senti nel più profondo del cuore, tutto quello che sai essere vero, tutto quello in cui credi… Tutto questo è lì perché lo ha posto la Grande Madre. Ogni cosa che è vera, è la Verità della Madre… Ed è già dentro di te. Non nelle parole di un sacerdote, né in quelle di un funzionario… Né nelle mie”

“Ma… Ma… E se così non fosse? Se La Grande Madre favorisse i forti, nonostante la loro meschinità? Se fosse questo quello che vuole la nostra Madre per i suoi campioni, per il suo popolo? Se per lei fosse più importante essere forti che onorevoli?”

“Allora ascolta – le replicò subito lui, senza scostare la mano dal suo volto, ma facendosi più serio di quanto non lo avesse mai visto – Ti rivelerò un segreto… Amryza, la Madre Oscura… Non è che un’invenzione. Non esiste nessuna dea a guardarci dall’alto e ciò che tu chiami miracoli non sono altro che incantesimi come quelli degli stregoni sotto una diversa forma. Siamo soli su questo mondo, senza nessuno a guidarci!”

“E’ una menzogna!!” Gridò lei quasi disperatamente, scacciando la mano e sollevandosi in piedi per confrontare quelle blasfemie. Lui per tutta risposta la riafferrò per la mano, cingendola per il polso e per la prima volta i suoi occhi si colmarono di un ardore che non avrebbe mai sospettato in un tanto pacato cantastorie, lasciandole intravedere sotto il velo il guerriero che una volta doveva essere stato.

“E se invece fosse vero?” Sibilò lui avvicinando il capo.

“No! Non può esserlo!”

“Ma se lo fosse? Se scoprissi che tutto quello che ti hanno detto sulla Grande Madre, sulla sua volontà, sui suoi desideri, fosse Menzogna? Se scoprissi che l’unico vero Dio è in realtà la divinità primitiva e selvaggia della più sperduta tribù di goblin? Se scoprissi che l’unica divinità che ha potere su questo mondo è un laido batrace che desidera che i suoi figli spargano terrore e odio e sofferenza uccidendo alle spalle e baciando i piedi dei vincitori per salvarsi la vita, allora cosa faresti?! Strisceresti dai Goblin per chiedere di servirli? Rinnegheresti l’onore e l’orgoglio in cui hai creduto fino ad oggi perché sono menzogne insegnate da un falso dio?!”

“Mai!!” Replicò lei tentando di divincolarsi da quella presa che oltre che la sua mano sembrava cominciare a cingere il suo cuore

“E se invece scoprissi che non è un laido batrace a volerti schiava di un cuore codardo, ma fosse la Vera Volontà di Amryza, allora ti piegheresti?!” Con ancora più forza Drusinua tentò di sfuggire a quella stretta, che oramai trovava insopportabile come quelle infamie che stava udendo.

“Non è questa la volontà di Amryza! E non lo sarà mai! Io ne sono certa!!” Gli gridò di rimando, senza alcuna esitazione nel cuore.

“Perché?! Perché te l’ho detto io?! O perché te lo ha detto un sacerdote?! O perché credi di sapere Tu meglio di tutti che cosa la Grande Madre ritiene giusto?!” Gli occhi di Drusinua, ancora umidi per le lacrime, si aprirono improvvisamente, come se la risposta a quella provocazione, che sentiva salirle con la massima chiarezza dal cuore, fosse anche una luce visibile che sorgesse all’orizzonte, meravigliosa. Il suo dibattersi cessò e le sue labbra si schiusero piano piano…

“No… Perché… Perché non è quello… che Io… ritengo giusto” Bisbigliò un poco alla volta, quasi intimorita da quella rivelazione. Vedendo che le esitazioni nella voce della ragazza non erano più nate dall’incertezza del cuore, ma dalla meraviglia di quelle verità, l’elfo tornò alla sua espressione calma e un po’ triste di sempre, lasciandole la mano e tornando ad incrociare le proprie dietro la schiena…

“Allora adesso sai che non è la Grande Madre ad essere la Verità… Ma è la Verità ad essere la Grande Madre… Amryza non è una creatura più o meno grande, più o meno potente con la quale io e te possiamo essere d’accordo o dissentire… Essa è ciò che noi siamo, ciò che nel profondo del cuore nessuno di noi può negare essere giusto. Questo significa essere una Dea… E la vera grandezza di una Dea non la vedrai in un suo sacerdote che risorge i morti, o nel suo fuoco che brucia i nemici del suo popolo… Ma nel dono che fa ai suoi figli di poter distinguere ciò che è giusto o sbagliato… che Lei esista o meno”

Drusinua barcollò un poco incerta sulle gambe, tentando di metabolizzare quella verità in cui si era letteralmente tuffata, seguendo quella specie di trappola che il giovane le aveva teso. Ma mentre le sue stesse parole facevano presa sul suo cuore, fu la sua mente a trovare ancora dei nodi da sciogliere e, distraendola da quella dissertazione filosofica, la riportò a domande ben più pratiche.

“Ma… Ma allora perché?!” Riprese scuotendo il capo come se avesse timore che davvero le parole dell’elfo fossero un incantesimo che tentava di impadronirsi di lei. Lo sguardo di lui che si posava interrogativo sul suo volto le fece precisare il suo dubbio “Se è vero che sono nel giusto e che seguo il vero sentiero della Grande Madre, perché non riesco a prevalere su chi non l’ha davvero nel cuore?! Perché non ho il favore di Amryza?”

A sentir pronunciare la natura dell’inquietudine della ragazza, l’elfo non potè trattenersi dal sorridere un poco, sospirando e scuotendo appena il capo

“Ah ah… Drusinua… ma tu, dimmi, che cosa desideri?”

“Io voglio servire la Grande Madre!” Rispose immediatamente lei, così come era sempre stato giusto rispondere a quella domanda. L’elfo la fissò per qualche istante, poi ripropose

“E… Questo ha in qualche modo a che fare con il risultato che hanno i tuoi duelli di allenamento?” Drusinua prese fiato per rispondere, ma si trovò colta di sorpresa a sentire persino quella granitica certezza messa in discussione dal suo interlocutore.

“Ma… Sì, solo se sconfiggerò Lelenia e le altre potrò dimostrare che posso servire Amryza meglio di loro!” Buttò fuori tutto d’un fiato, cercando di non lasciarsi distrarre da quelle strane domande che l’elfo le stava facendo. Lui ascoltò senza fiatare quella sua convinta dichiarazione, poi attese un poco, come per vedere se volesse aggiungere o correggere qualcosa, ma, quando fu chiaro che il pensiero di Drusinua era compiuto, non fece altro che scuotere le spalle e pronunciare con estrema noncuranza

“Allora qual è il problema? Dormite nella stessa camerata, no? Sorprendile nel sonno e taglia loro la gola” La naturalezza con cui lo disse spiazzò persino lei, che pensava di aver ricevuto un addestramento rigido e scevro di inutili moralismi

“N… No!!” Proruppe quasi disgustata

“E perché? Se credi veramente a quello che mi hai detto, non è la soluzione perfetta? Ti assicuro che non sarai nemmeno punita: secondo i rigidi schemi della dottrina, se un figlio di Amryza è tanto stupido da spargere odio e dissenso tra i suoi fratelli senza avere l’accortezza di prendere precauzioni contro un tanto semplice assassinio, è certo che non è all’altezza di sopravvivere… E quindi non è degno di servire la Madre Oscura… E quindi avresti fatto un piacere a tutti, eliminando un simile scarto”

“Ma… Ma… io non voglio sconfiggerla così! Voglio batterla in duello!”

“Allora temo che il servire la Grande Madre abbia ben poco a che fare con il tuo desiderio… Tu non desideri davvero sconfiggere le tue avversarie in battaglia… Tu desideri dimostrare che hanno torto… che non conoscono davvero il valore della Madre… Ma in che modo questo si riflette in un duello?”

“Non… Non è così? Non è il prescelto di Amryza che trionfa in uno scontro? Non è così che i guerrieri provano chi ha ragione?” Ancora una volta l’elfo sospirò e le si fece innanzi, ripetendo quel gesto sulla sua guancia che tornò a farle palpitare il cuore

“Cara la mia giovane Drusinua… Ancora non hai affrontato una vera battaglia e già parli come un cavaliere. Che magia hanno le dottrine di Amryza… Sì, in effetti è così che i veri guerrieri difendono le loro ragioni… Ma che due guerrieri combattano per difendere non le loro vite, non i castelli dei loro signori, non le terre e non i tesori, è davvero una cosa assai rara… E di certo non succede tra due allieve che si battono con armi finte, in cui si rischia poco a parte qualche ammaccatura. Quello che fate voi qui è solo misurare la destrezza nel maneggiare uno strumento. E’ solo una prova di tecnica. Ma non è la tecnica che vince le vere battaglie, non è la tecnica che vince la Verità di Amryza. E’ il Cuore. Quando tu e le tue avversarie vi batterete con lame vere, con l’intento di uccidervi, allora forse il vincitore sarà il guerriero che ha combattuto col Cuore. Fino ad allora, non farete altro che cercare trucchi per superare l’una la guardia dell’altra: magari domani scoprirai che quella Lelenia solleva sempre un po’ troppo il braccio prima di quei suoi velocissimi fendenti e allora riuscirai a fare un affondo in quella sua guardia, poi il giorno dopo forse lei avrà imparato dal suo errore e sfrutterà uno dei tuoi per batterti… Ma questo non cambierà nulla… Sarete solo due Figlie di Amryza che misurano le loro astuzie, non i loro cuori…”

Anche se disarmata ancora una volta dalla chiarezza con la quale il giovane le aveva proposto un concetto tanto complesso, Drusinua non potè fare a meno di distrarsi con un pensiero un po’ più pragmatico, non riuscendo a evitare di commentare, anche se tra i denti e distogliendo un poco lo sguardo, con un “Già sarebbe qualcosa, essere in grado di mettere a segno qualche colpo con qualche tecnica nuova… A me sembra davvero di non riuscire a combinare un bel niente… A parte stare qui ad ascoltare le vostre pur affascinanti melodie…”

“Ah, suvvia – respinse lui i dubbi senza troppe cerimonie – Per quello ci sarà sempre tempo! Imparerai come centrare le stoccate, come deviare e rispondere, sono solo delle finezze tecniche! E poi, non disprezzare così il tuo desiderio di musica! Anche quello può essere una tecnica di combattimento: non ti ho forse detto che i migliori schermidori del nostro popolo sono coloro che sanno letteralmente “danzare” sul campo di battaglia?”

“Sì, ma…” Riprese lei con rinnovato interesse, come se da tempo desiderasse confidarsi con qualcuno “…Ho anche provato a fare come nelle vostre storie! Ho Provato a “sentire” il ritmo della battaglia, ma non c’è verso! Mi distraggo soltanto!” Un nuovo sospiro giunse dal giovane

“Ma certo, giovane allieva… Ma è solo perché cerchi di “sentire” la musica…”

“E invece?” Lo incalzò subito lei

“Drusinua…” L’elfo fu sul punto di dire qualcosa, ma poi scosse il capo e lasciò cadere quel pensiero per riprendere ciò che di importante voleva dirle “…Non importa… E’ solo che sei ancora giovane… E quella è una tecnica estremamente raffinata… Non è cosa che si possa semplicemente “imparare”… specie senza aver mai visto una battaglia vera… Ma quello che è importante che tu capisca è che in uno scontro, sia esso con la spada o con le parole, devi sempre sapere che cosa desideri… Devi sempre chiederti che cosa vuoi davvero… solo quando lo saprai con certezza, sarai in grado di batterti con tutta te stessa. Non sprecare il tuo tempo e la tua felicità nel tentativo di raggiungere obiettivi di cui non ti importa davvero… Magari solo perché qualcuno ti ha detto che sono quelle le cose che devi desiderare…”

“E voi?” Disse improvvisamente Drusinua, quasi quelle parole fossero uscite da sole dalla sua bocca

“Io?” Chiese di rimando il giovane, essendo questa volta il suo turno di essere sorpreso da una domanda

“S…Sì. Voi che cosa desiderate?” Precisò la ragazza con un po’ di imbarazzo, forse accortasi di essere stata un po’ impudente “Sembrate sapere molte cose sulla Via della Grande Madre e sul Codice dei guerrieri… Ma allora perché dite di aver perso il desiderio di combattere? Non volete più servire Amryza?”

Comprendendo le perplessità di Drusinua, l’elfo mosse la testa in segno di assenso e riprese posto a sedere come gravato da un peso “Vedi giovane Drusinua… Io ho a lungo combattuto per raggiungere ciò che desideravo e l’ho desiderato con tutto il cuore. Nel fare questo, sono certo di aver seguito la Volontà di Amryza… Ma quando ho tentato di portare questo desiderio al nostro popolo… mi sono reso conto che nessuno vedeva in esso la Volontà della Madre come invece la vedevo io… A causa di ciò ho perso quello che più ritenevo prezioso e ho capito che non sarebbe stato possibile servire la Madre così come era giusto… In questo ho perso la voglia di combattere”

“Ma… E la Grande Madre allora?” Chiese subito Drusinua che, pur non avendo compreso i dettagli di quella vicenda tenuta volutamente nel vago, comunque non gradiva affatto il finale di quella storia “…Davvero non capisco! Perché la Grande Madre dovrebbe lasciare solo un suo devoto servitore come voi? Perché se siete nel giusto non interviene per far sapere a tutti qual è la strada che vuole che seguiamo? E, se chiedere un Suo gesto è troppo per noi che non siamo che insetti al suo confronto, perché non manda in nostro soccorso dei suoi emissari? Magari quegli “Angeli” di cui mi avete tanto parlato?”

A quelle domande, il volto dell’elfo tornò profondamente triste. Tornò a quella espressione triste e rassegnata che Drusinua gli aveva visto fin dal loro primo incontro e che per qualche momento, con le sue domande che a lui dovevano essere parse ingenue, era svanita dal suo volto

“Gli Angeli, Drusinua… Non fanno più visita al regno dei mortali… In un certo senso, l’unico luogo dove li puoi incontrare è dentro alle storie di qualche narratore un po’ nostalgico… E la Grande Madre… Amryza… Cosa credi tu voglia Amryza per il suo popolo? Per i suoi figli?” La domanda era certo un po’ intimorente, ma le lezioni dei funzionari sembravano univoche sul punto, quindi Drusinua non pensò molto prima di rispondere

“Che primeggino su tutto il creato?” Chiuse in forma interrogativa giusto punta da un dubbio sul finire

“E allora perché non ci ha creato immortali e invincibili? O perché non stermina tutti coloro che non si sottomettono? Credi che le manchi il potere per l’una o per l’altra cosa?”

“N… No, no di certo. Ma allora…”

“Credo che l’unica risposta sensata sia che la Grande Madre per noi desidera solo che noi si possa ottenere ciò che vogliamo. Ci ha creati liberi su questo mondo, perché noi si possa perseguire i nostri desideri, nel modo che riteniamo più opportuno e ci ha creato limitati perché la fatica di superare i nostri limiti ci sia misura di quanto desideriamo una cosa… Se fossimo immortali, o onnipotenti, non potremmo distinguere ciò che vogliamo davvero, perché nulla sarebbe difficile da ottenere. Ciò che desideriamo davvero è invece solo ciò per cui più siamo disposti a sacrificare.”

“Ma... se così si può dire che cosa voglia un singolo… Come si fa a dire che cosa voglia davvero un popolo, il nostro popolo?”

“E’ per questo che Amryza non può intervenire tra i suoi figli nel dire chi ha torto o chi ha ragione… Non è la Sua Volontà che vuole vedere realizzata… Ma la nostra… E sono solo quindi le nostre azioni a dire in che direzione noi tutti vogliamo andare… Se alcuni del nostro popolo indicano una via da seguire fatta di odio e meschinità e nessuno di noi si alza a dire che non è giusto, non sarà la Madre a farlo… Perché significa che nessuno desidera perseguire quella strada pur dovendosi scontrare con i suoi fratelli… E se anche qualcuno pur si alza ma tutti lo ignorano e preferiscono seguire parole di odio… Allora è sempre quello il desiderio del nostro popolo… E se così hanno deciso i suo figli… Una Saggia Madre non interferirà con quanto essi hanno scelto…”

“Anche … Anche se non è ciò che Lei ritiene giusto? Anche se questo la disonora?”

“Anche…” Rispose stancamente il giovane “…Molti credono che la Fede di cui si parla nelle scritture sia quella che noi tutti dobbiamo avere nei confronti della Grande Madre… Ma invero credo che la vera Fede sia quella che ha Amryza in noi. La Fede che, nonostante tutto ciò che ci ostacola, alla fine saremo abbastanza coraggiosi da scegliere la Verità e non di annientarci con le Bugie… Anche se forse non è ora, non è oggi, che il nostro popolo sceglierà questa strada. Anche se oggi chi parla di odio e sangue sarà applaudito… Anche se ora il nostro Popolo non vuole udire storie di Angeli…” Concluse l’elfo tornando a fissarla.

Drusinua, intendendo ormai che in quelle parole doveva esserci molta di quella storia non detta che lo aveva condotto all’esilio, distolse lo sguardo, forse per non dare a vedere che le parole l’avevano commossa, sentimento che, ovviamente, le avevano sempre insegnato essere inappropriato per una guerriera. Alla fine ricacciò indietro quei pensieri tristi e risollevò il capo verso di lui, e, con uno sguardo fiero che tentava di vincere l’imbarazzo gli disse

“Io vorrò sempre sentire le vostre storie sugli Angeli! Se me lo permettete, tornerò anche domani!”

“Ma certo...” Rispose lui, con quel suo sorriso che finalmente sembrava avere un poco di calore, forse un poco divertito dall’imbarazzo della ragazza

“Allora… Allora non voglio disturbarvi oltre… A… A domani!”

Con un gesto elegante, l’elfo le fece un inchino e la congedò, lasciandola arretrare mentre tentava, non senza difficoltà, di distogliere lo sguardo dal giovane e al contempo raggiungere l’uscita del tempio senza inciampare, avvolta ancora da quella strana sensazione di palpitazione che aveva nel petto.

Lasciando il tempio quella sera, Drusinua si rese conto di quante cose nuove avesse scoperto nelle parole e nei gesti di quel cantastorie a cui ancora non aveva osato chiedere nemmeno il nome. Era cresciuta in un mondo che pensava fosse tutto contenuto nelle parole della dottrina dei funzionari, un mondo che quindi pensava di conoscere perfettamente, i suoi meccanismi tutti racchiusi in quegli schemi tanto semplici e brutali che persino una bambina come lei aveva potuto imparare in fretta… Ma ora le sembrava che le cose non fossero più tanto semplici… E non era del tutto male: la brutalità e la sofferenza a cui l’avevano abituata a rassegnarsi, la sua inferiorità ereditata dalla qualità di orfana che sembrava essere un marchio di infamia impossibile da cancellare… Tutte queste cose ora sembravano appunto… meno certe… Sì, sarebbe forse stato anche più difficile: la rassicurazione che dava una guida divina e onnipotente, la promessa di una ricompensa certa per chi serviva il Volere di Amryza, racchiuso ovviamente nelle dottrine dei funzionari… anche quelle cose sembravano meno certe… Ma quel mondo che aveva scoperto nel tempio, un mondo sì incerto, ma in cui si poteva essere liberi, in cui si poteva essere felici, in cui si potevano incontrare gli angeli, le sembrava preferibile alla granitica certezza che fino ad allora le avevano imposto e che aveva più l’aspetto di una prigione che di un rifugio. Per tutta la sua vita le avevano insegnato quali erano le risposte giuste… Ora invece cominciava a pensare che fossero le domande ad essere davvero importanti.

E quella domanda continuava a ripetersi mentre lasciava la cittadella sotterranea per risalire alla superficie “Che cosa desideri davvero?”… Non lo sapeva, ma per lo meno ora era almeno conscia di ciò… Mentre per una vita si era ingannata di saperlo con la massima chiarezza. In quella passeggiata notturna che desiderava fare c’era tutto il bisogno di respirare una nuova aria, di ricominciare un po’ tutto… Forse davvero aveva scelto male nel voler usare la spada… Forse le scritture di Amryza sarebbero state più interessanti… o forse niente di tutto questo… forse solo qualche semplice impiego… “Magari al servizio di un nobile in esilio, come attendente” si sorprese a fantasticare mentre sentiva il vento notturno passarle tra i capelli e i suoi piedi risalivano un pendio erboso… Non sapeva cosa sarebbe successo di lì in avanti, ma di certo sapeva che la attendevano grandi cambiamenti.

…Ma i cambiamenti raramente ci raggiungono quando siamo pronti per loro o nella forma in cui ce li aspettiamo… E il momento di Drusinua la aspettava proprio quella notte, proprio in cima a quella collinetta erbosa… aveva l’aspetto dei suoi fratelli elfi oscuri… Uno era l’alto funzionario incaricato del loro addestramento e intorno a lui altre figure più giovani in cui era facile riconoscere i suoi più eminenti studenti, tra cui Lelenia e alcune delle sue “compagne”. Il suo momento aveva il suono di una voce roca e sporca, quella di un orco… A Drusinua avevano insegnato i rudimenti della loro lingua, per riconoscere gli ordini che avrebbero gridato sul campo e per condurre gli interrogatori, ma quelle che uscivano gutturali dalla bocca dell’orco non erano parole di supplica, come sarebbe giusto aspettarsi da una creatura tanto inferiore di fronte a un drappello di fratelli che tanto “rendevano orgogliosa” la Madre… Erano parole di mercante… Sembrava quasi rimproverare il funzionario perché erano “anni che non facevano un buon affare come quello là”.

Ma il suo momento aveva anche la voce del suo istruttore, che con una pronuncia certo meno corretta di quella primitiva lingua, ma sicuramente a lei più comprensibile rispondeva che doveva rendersi conto che “Non si può dare alle fiamme un orfanotrofio ogni giorno” avrebbe dovuto accontentarsi….

Quante cose potevano significare quelle parole? Quante spiegazioni potevano esserci? Quante più credibili del fatto che un insigne istruttore, devoto di Amryza, insieme a coloro che più avevano dimostrato di essere degni di lavare l’onta del disonore in quel momento stessero trattando un tradimento della loro stessa razza? In realtà, molte. Tanto tutti loro erano cresciuti all’ombra di quella cieca devozione che anche le spiegazioni meno plausibili sembravano preferibili all’idea che un fratello tradisse Amryza e il suo popolo. Fu per questo che esitò, che non si nascose, che non si acquattò per spiarli… Per questo quando il funzionario voltò il capo la vide perfettamente in piedi sul pendio… O forse era solo perché quello era il suo momento… Ma fu l’istruttore a infrangere i suoi dubbi… Alzando il braccio minaccioso e indicandola, urlando il comando di inseguimento… E come una muta di mastini da caccia, i suoi fratelli scattarono al comando a cui erano stati addestrati a rispondere. E anche le sue gambe risposero senza chiedere al cervello, solo la voltarono e cominciarono a correre prendendo a prestito tutto il fiato che aveva in corpo per dirigersi all’ingresso del complesso sotterraneo.

Conservò solo il respiro necessario ad urlare l’allarme mentre si lanciava oltre l’ingresso e le guardie la afferravano, reagendo all’improvvisa irruzione di una giovane allieva che gridava senza risparmiarsi. Ma ebbe il tempo solo di urlare un paio di frasi in cui era difficile costringere una situazione tanto improbabile e complicata, poi Lelenia e i suoi fratelli recuperarono il distacco e le furono addosso trascinandola a terra, strappandola alle guardie. Furiosa e disperata, anche se confusa, Drusinua ne colpì alcuni al volto per toglierseli di dosso, temendo che in quel corpo a corpo avrebbero cercato lo spazio per pugnalarla e chiuderle così la bocca, ma non fu così. Nessuno estrasse alcuna lama, limitandosi a strattonarla a destra e a manca, fino a quando le guardie non li divisero come avevano sedato altre volte delle semplici zuffe tra ragazzini.

Ma con il fiato corto per la corsa, la paura e la colluttazione, Drusinua capì solo troppo tardi quante di quelle “finezze tecniche” le mancassero, di come per lei il campo di battaglia fosse ancora il limitato cerchio in cui duellava con armi finte. Lo capì quando vide che la zuffa aveva dato il tempo al funzionario di raggiungerli… Raggiungerli prima che lei avesse detto alcunché di decisivo. E al suo arrivo, fu a lui che le guardie chiesero spiegazioni, non a lei. E lui fece ciò i traditori fanno meglio: mentì. Mentì dicendo che avevano sorpreso lei a trattare con un orco affari oscuri e che l’avevano inseguita. Che erano usciti appunto perché un’allieva problematica si era allontanata in modo sospetto e così…

Drusinua capì che rimanere nei ranghi non aveva più senso e gridò per coprire la voce del funzionario, gridò quello che aveva visto, anche se era poco, gridò che era lui che concordava uno scambio con un orco. Una guardia gridò più forte di lei per riportarla all’ordine e comandandole di lasciar parlare un superiore; i ragazzi urlarono più forte che era una traditrice e una bugiarda, l’altra guardia gridò più forte ancora, dicendo di fare silenzio… Ma la voce che risuonò più forte, quella che mise tutti a tacere, fu quella che non disse nemmeno una parola. Fu quella dell’istruttore, che senza proferire alcunché la fissò negli occhi e sollevò la testa dell’orco, nettata dal collo con un colpo di spada, ancora grondante di sangue. Tutti tacquero. Gli occhi di Drusinua si sbarrarono, mentre il fiato già corto le mancò del tutto e sentì il suo cuore che pur battendo all’impazzata le affondava nel petto.

Impossibile replicare a quell’esibizione… Sì, forse se non l’avessero cresciuta per essere poco più che una spada pronta a trafiggere i nemici del suo popolo, forse avrebbe potuto dire che il funzionario aveva sacrificato una pedina per coprire un commercio, una collusione più grande… O anche che… Ma che importava? Chi avrebbe mai ascoltato un’allieva incapace mentre accusava uno stimato funzionario del suo popolo? Anche se fosse stato tutto evidente… Lei era comunque la disgrazia del suo corso, quella che non era capace di rendere Amryza orgogliosa di lei, quella che ovviamente odiava il suo popolo perché non sapeva essere all’altezza… Era così inutile che quasi anche lei stessa avrebbe creduto più facilmente a quella storia piuttosto che Lelenia Eldoryl, regina del suo corso, prossima Sentinella di Amryza, celebrità tra i suoi compagni fosse al fianco di un traditore mentre contrattava con uno spregevole orco.

Drusinua pensava questo mentre le guardie eseguivano l’ordine di rinchiuderla e cercava di capire che cosa le sarebbe successo ora… Ma quando fu chiusa in quella cella non ci furono singhiozzi, né urla per dichiarare innocenza o lanciare accuse, solo un catatonico silenzio stupefatto… Tradimento… Come avevano potuto? Persino lei, con il viso nel fango, con le risate di scherno nelle orecchie, MAI aveva pensato ad altro se non a servire Amryza meglio di quanto facesse. Persino in quel momento pensava a come fare in modo che Amryza fosse servita nel migliore dei modi… Mentre alcuni dei più acclamati e rispettati fratelli… avevano tradito. La convinzione che Lelenia non fosse degna di Amryza l’aveva supportata per molto tempo, ma questo… Questo era davvero incredibile… Come poteva Amryza lasciare che accad… E la domanda riaccese le parole dell’elfo nella sua mente… Riportandole viva e forte l’espressione di quieta tristezza che sempre portava… “Una Saggia Madre non interferirà con quanto essi hanno scelto…” …era questo che il suo popolo aveva scelto? Aveva ragione l’elfo… era davvero triste…

Nella sua cella Drusinua sedeva in silenzio, quella rivelazione l’aveva disarmata e ammutolita, rendendola improvvisamente incurante di cosa sarebbe successo a lei. Il pensiero la teneva lontana dalla paura di essere giustiziata per un crimine che non aveva commesso, ma sarebbe stata comunque una preoccupazione inutile… Perché aveva ragione. Agli occhi di tutti in quella struttura era un’inutile incapace: al di là di quell’allarme che stava per lanciare gridando a pieni polmoni, quale danno avrebbe potuto provocare a un piano ben ordito, a delle perfette coperture blasonate da posizioni di rilievo e cariche onorevoli? Lei da sola era poco più che un fastidio e l’accusa di essere l’ideatrice di un simile tradimento avrebbe sollevato ilarità se non dei sospetti a doppio taglio. Accusarla e ucciderla per tapparle la bocca era davvero un gesto da dilettanti… Come lo sarebbe stato accoltellarla davanti alle guardie. Ma lasciarla libera sarebbe stato ugualmente impensabile… Avrebbe comunque potuto parlare… E magari qualcuno le avrebbe creduto… Magari qualcuno di adulto, che l’allieva incontrava spesso, che aveva una simpatia per lei, che un tempo aveva ricoperto cariche importanti, magari un “ospite sgradito”, magari qualcuno che aveva ancora il “favore” di qualcuno alla capitale che gli aveva evitato la condanna a morte convertendola in un ritiro di contemplazione… e a sua volta questo cavaliere in declino avrebbe potuto essere creduto da un nobile altolocato… E allora sì che le cose si sarebbero messe male… E allora sì che forse quella stupida allieva poteva non essere del tutto inutile… Se solo da improbabile orditrice di complotti si fosse mutata in circuita pedina, sedotta e usata da un più credibile traditore… Più credibile e più utile da togliere di mezzo…

Drusinua ovviamente non immaginava nulla di tutto questo… era troppo giovane e ingenua per immaginare un meccanismo così meschino. Eppure le bastò intravedere il viso del cavaliere oltre le sbarre, mentre lo conducevano in cella con i polsi legati per capire tutto. Incrociò lo sguardo per un solo secondo… e se lo avesse visto triste come sempre non avrebbe davvero capito… Ma invece sorrideva… E lei lo capì

Capì che era felice perché sapeva che per uccidere lui avrebbero lasciato vivere lei. Capì che non avrebbe negato, non avrebbe tentato di sfuggire alle accuse… Perché anche se lui aveva probabilmente capito cosa stesse succedendo, essendo più versato in cosa il tradimento significasse, non amava quella sua vita svuotata di significato abbastanza per non scambiarla con il sorriso sulle labbra per quella di una giovane elfa che poteva ancora trovare la sua strada…

E allora quella sua catatonica contemplazione della natura dei suoi fratelli fu spezzata. Lanciandosi contro alla porta, aggrappandosi alle sbarre, tentando di vedere dove lo portavano gridò il suo grido più forte; un “NO” più lungo di qualunque urlo di battaglia, pieno di una disperazione che non si prova nemmeno davanti alla spada del proprio nemico mentre ti colpisce a morte. Urlando di lasciarlo andare tese il braccio tra le sbarre come per riuscire a toccarlo, la voce già rotta da quel disonorevole pianto, le sue implorazioni già rese tanto inquiete da sembrare quelle di una pazza rinchiusa con la sua peggiore paura immaginaria. E quando il cavaliere svanì dalla sua vista, lanciandole un ultimo sguardo che sembrava dirle di calmarsi perché tutto sarebbe andato bene, lei non si calmò: continuò a piangere, a gridare, disperata, che non era vero, che lui non ne sapeva niente, che confessava, che era stata lei, che aveva tradito la Grande Madre, che era lei che dovevano punire, che dovevano uccidere. Li implorò addirittura, li supplicò… Ma non c’era davvero nessuno ad ascoltarla, forse solo una guardia in fondo al corridoio che la trovò troppo patetica anche solo per batterla per farla star zitta… E se anche ci fosse stato qualcuno… Chi avrebbe mai creduto a un’inutile allieva incapace?

Tacque solo quando la condanna a morte fu eseguita… non vi fu alcun avviso… nessun suono che la annunciasse… Nessun corpo che passasse davanti alla sua cella per farglielo capire… Ma lei lo seppe al di là di ogni dubbio… Fu qualcosa nell’aria… che era cambiato… Come se tutto quello che c’era di gentile nel mondo fosse sparito per sempre… Come se il mondo fosse improvvisamente diventato un posto ancora più cupo, ancora più freddo… E per lei era esattamente così… Il senso di vuoto la prosciugò di ogni forza… Di piangere, di reggersi in piedi, di proclamarsi colpevole, di dirsi innocente, di mangiare, di bere, di pensare ad alcunché se non a quel freddo che era improvvisamente calato.

Tornata seduta al centro della sua cella accasciata su se stessa, non faceva che chiedersi se era così che si erano sentiti i mortali quando gli Angeli se ne erano andati.

Svanita qualunque preoccupazione per la sua sorte, se mai l’aveva provata. Svanito anche lo stupore per il tradimento. Svanito persino il pensiero di come servire Amryza perché fosse orgogliosa di lei… Rimaneva solo quella domanda… l’unica eredità di un cavaliere di cui non conosceva nemmeno il nome: “Che cosa desideri davvero?”… E una canzone… Quella canzone bellissima e triste che l’aveva catturata in quei giorni che già le parevano gli unici che avesse mai vissuto sul serio… Fu quella a spingere di nuovo il fiato che non voleva trovare nella sua gola. Fu quella melodia che prese il posto dei singhiozzi o delle urla… E ora sì… Ora sì che assomigliava a quella del cavaliere… Ora sì che aveva la stessa tristezza… ora sì che il cuore e l’aria vibravano come nel tempio… Ma ancora non era la stessa cosa.

Quelle ultime parole… Quella parte in cui la melodia parlava di un giorno in cui tutto sarebbe andato bene, in cui parlava di una vita che poteva essere felice… Lì non assomigliava affatto alla canzone che aveva ascoltato… Forse perché per lei… non assomigliava affatto alla verità.

Anche quelle parole erano svanite quando, dopo giorni di prigionia, le guardie vennero a riprenderla. Senza che opponesse alcuna resistenza la condussero fuori dalle caverne, verso l’Altare dei Giudici. Se l’indagine e il processo al cavaliere furono resi celeri nel tentativo di non lasciare che sorgessero troppi dubbi, la notizia della sua morte, giunta per necessità burocratiche alla capitale, non doveva essere passata inosservata. Qualcuno doveva aver chiesto che sulla vicenda fosse fatta “piena luce”, sul luogo inviati degli emissari perché udissero e vedessero da osservatori esterni, imparziali, cosa fosse successo. Ed eccoli lì, sui troni dell’Altare dei Giudici, sui seggi coperti che la tradizione aveva loro assegnato, mentre la pioggia cominciava a scendere insistente su quella inutile allieva che veniva trascinata al loro cospetto perché spiegasse.

Ma oramai, era tutto inutile. Era solo una formalità. Il tradimento non era ordito da dilettanti. Ciò che doveva essere fatto, ciò che doveva essere nascosto, era stato fatto in fretta e al di sopra di ogni sospetto. Il cavaliere aveva confessato spontaneamente, pur di salvarla, la testa dell’orco era stata presentata ai Giudici, lo stato di servizio impeccabile declamato e confermato da tutti quelli che contavano. I pezzi erano tutti al loro posto. Lei doveva solo fare un cenno del capo, dire di sì, che era andato tutto così e quella “inchiesta ufficiale” sarebbe stata chiusa per sempre. Lei sarebbe stata castigata, ma sarebbe vissuta. Se avesse contraddetto tutto, avrebbe solo dimostrato di essere una traditrice consapevole e che non prova vergogna nel tentare di ribaltare una realtà tanto evidente o che li riteneva abbastanza stupidi da credere alle sue puerili menzogne. Una incapace arrogante non degna di Amryza. E l’avrebbero giustiziata.

Come ogni momento della sua vita, anche quel giorno non era che una inutile pedina.

“Conosci le accuse, allieva Drusinua?” Le domandò l’Alto Giudice. Conosceva la risposta giusta.

“Sì” Disse solo senza la forza o la voglia di alzare lo sguardo

“Abbiamo una dichiarazione d’onore” così la chiamano la firma su una condanna a morte, pensò Drusinua “del Cavaliere Quarion Siannodel su quello che è successo. Ne sei a conoscenza?” Chiese rivelandole per la prima volta il nome che non aveva mai avuto il cuore di chiedere. Conosceva la risposta giusta.

“Sì” Proferì con la pioggia che le cominciava a solcare il volto come le lacrime che non aveva più animo di piangere

“Sai quanto è in esso descritto?” domandò come da procedura il Giudice. Conosceva la risposta giusta.

“Sì”

“Confermi quindi quanto illustrato? Confermi di essere stata da lui circuita e ingannata perché fornissi informazioni ai nemici del nostro popolo, allo scopo di ordire e tramare contro i Figli di Amryza?” Conosceva la risposta giusta. Quella che i Giudici volevano sentire per chiudere quel noioso e banale teatrino che la pioggia rendeva ancor più sgradevole. E conosceva anche quella che volevano sentire il funzionario e le sue “care” sorelle e fratelli di corso, chiamati su quella stessa piazza perché il processo fosse regolare e che da sotto i cappucci e i mantelli che li riparavano dalla pioggia le rivolgevano il sorriso e lo sguardo più compiaciuto, consci che quello era, in assoluto, il tiro più bello che avessero mai giocato a quella spregevole nullità. E conosceva persino quella che le sentinelle e gli altri convenuti volevano sentire per avere finalmente qualcuno di adatto e certo da disprezzare che rinfocolasse la loro fede in Amryza e nei suoi campioni.

Ma in quel freddo che era calato sul mondo, in quel silenzio che la voce del cavaliere aveva lasciato, in quel vuoto che le era rimasto quando la voglia di vivere era fuggita da lei… C’era tutta la quiete che non aveva mai avuto… Tutta la quiete per sentire chiara più che mai la Domanda… “Che cosa desideri davvero?”… Tutta la quiete per sentire infine che, privata di tutto, ora che non le era rimasto altro che quel quesito, quella risposta le rimbombava da lungo tempo nel profondo del cuore.

Non la risposta giusta.

La sua risposta.

No” Pronunciò mentre i suoi muscoli si tendevano nervosi, nell’ondata di energia che quella certezza le portava.

“Affermi quindi che ha mentito e che hai una diversa versione da proporre a questo consiglio?” Chiese l’Alto Giudice solo lievemente destato dalla noia di quella procedura, forse più per fastidio di dover prolungare la cosa che per interesse

No” Ripetè Drusinua mentre i suoi occhi si alzavano verso i suoi Giudici carichi di una forza, di un desiderio che era quasi percepibile nell’aria di quel giorno di pioggia “No, io affermo un vigliacco come l’Istruttore Amakiir non ha alcuna autorità di muovermi alcun tipo di accusa” Pronunciò quasi digrignando i denti.

Un po’ più interessato agli sviluppi della vicenda, l’Alto Giudice si risistemò sul suo seggio sul quale la noia lo aveva un po’ troppo adagiato. Persino il funzionario, attorniato dai suoi fedeli allievi ebbe una vaga reazione, anche se più di ilarità che di sorpresa: in fondo aveva sempre saputo quanto fosse stupida

“Allieva Drusinua, devo ricordarti – cominciò l’Alto Giudice – che in quanto tuo istruttore, egli è perfettamente nella posizione per…” Ma non riuscì a concludere la frase

“E rifiuto anche la vostra di autorità di giudicarmi” Osò interromperlo la ragazza, il cambiamento nel suo animo ormai visibile nella forza che il suo intero corpo aveva preso, ora eretto come in segno di sfida verso tutti i presenti.

Questo sì che fu inaspettato. Tutto si fermò per qualche istante come se tutti volessero accertarsi di aver capito bene.

E avevano capito benissimo.

“Ragazzina – la ammonì il Giudice, sollevando un dito minaccioso – Tu forse non comprendi…” Ma nemmeno questa frase fu completata

“Non accetto il giudizio di nessuno di voi! Solo la Grande Madre potrà dirmi se L’ho delusa e ho mentito, o se ho il Suo Favore e sono degna di servirLa! Chiamo Amryza a essermi Testimone e Giudice!” Gridò spazzando l’aria davanti a sé con un braccio, come se lanciasse con essa quella sua sfida sprezzante!

Sotto il cappuccio l’istruttore rise un poco, perché quella scema doveva essere davvero uscita di senno e la cosa sarebbe diventata ancora più divertente di quanto fosse patetica. Ma l’Alto Giudice non rise affatto. Quello che la ragazza aveva invocato era una tradizione ben precisa e molto grave. Chiedeva di essere messa alla prova davanti alla Madre. L’aveva invocata in quel Tribunale. E un giudice non ride di fronte alla Madre.

E c’è un solo modo in cui un guerriero può provarsi degno di fronte alla Madre.

“Datele una spada” Disse solo freddo il Giudice. A loro volta divertiti, gli splendenti allievi si adeguarono alla folle volontà della ragazza e sguainarono le spade, mentre, con il sorriso sulle labbra che faticava a trattenere, l’istruttore rivolse uno sguardo al giudice e si fece qualche passo più indietro, lasciando intendere che non avrebbe voluto rendere inutile quella scenata, gettando sul piatto anche la sua spada che era davvero fuori questione quanto valesse. Il giudice comprese subito, ma acconsentì solo con un gesto della mano, ora troppo intrigato dallo sguardo di quella presunta traditrice che sembrava ardere in un modo inquietante.
Quando le dita di Drusinua si strinsero sull’elsa dell’arma che le consegnarono il suo sguardo volse verso i suoi giovani avversari ghignanti che, avendo diritto di attaccarla tutti assieme, si aprivano a ventaglio come un branco di lupi e uno di loro, vincitore di un tiro a sorte la puntava diretto con il privilegio di cominciare la sua umiliazione.

La pioggia batteva, ma lei non aveva freddo. Non per quello. Il freddo era per quello che aveva perso per sempre. E, sì, sembrava che il mondo fosse più freddo, ora che non c’era più lui. E, sì, il Paradiso sembrava davvero non essere mai stato così lontano… Ma la Dea, La Grande Madre, Amryza, quella che lui le aveva detto essere dentro di lei, la Verità, lei stessa, la sua Risposta… Quella non era mai stata così vicina!

Ora che l’acciaio era nella sua mano, ora, mentre il suo avversario si avvicinava, i suoi stivali non facevano rumore nel terreno infangato. Tutto quello che Drusinua sentiva era il suo cuore che batteva veloce. No, non forte. Veloce. Batteva la base veloce e ritmata di una musica. E il peso della spada che le oscillava in mano erano le note di una melodia che le stava salendo dal cuore, come un’onda di marea che aspetta di schiantarsi sulla spiaggia ripeteva un arpeggio in crescendo mentre il suo respiro che saliva e scendeva ritmico era il fruscio di una spazzola d’acciaio che vibrava su un piatto di ottone, caricando la tensione.

Quando il giovane arrivò da lei i loro occhi si incrociarono per appena un istante, il suo cuore battè tre volte più forte e potente, dando l’attacco e con quello suonò il gong della battaglia!

La lama rispose subito chiamata da quella melodia, frustò veloce in alto verso la testa dell’avversario che rapido sollevò la sua in parata e quando le lame si scontrarono, ecco che la sua musica esplose! Volteggiando sul fianco dell’avversario seguì i passi veloci e di quella musica violenta, fatta da uno strumento che non conosceva e che forse non poteva esistere: gridava melodico come il cembalo più accordato, ma bruciava e rombava come se fossero spade le sue corde e il petto di un drago la sua cassa. Le loro spade. Il suo petto. E ascoltare la musica e combattere erano la stessa cosa. Vorticava la musica, vorticava il suo corpo che si avvolgeva su quello del ragazzo la cui spada era completamente fuori tempo. Sorpreso, fermo sui suoi piedi, non riuscì a seguirla mentre gli danzava alle spalle velocissima; il braccio libero di Drusinua avvolse quello armato di lui e lo trascinò nel vortice. Senza fermarsi lasciò che la spada suonasse per lei, andando a cercare le sue sorelle in mano agli avversari, mentre lei girava su se stessa trascinandosi appresso il malcapitato che aveva intrappolato facendogli perdere definitivamente il controllo. La lama le rispose come se non fosse creata per fare altro, impegnando quelle degli avversari che, passato lo stupore iniziale, tentavano di ingaggiarla in gruppo. Ma la Danza guidava le stoccate, violente come la sua furia, rapide come la base che batteva il suo cuore e li teneva lontani mentre Drusinua finiva il suo volteggio, portando in leva il polso della sua goffa preda costringendola a lasciare il suo strumento d’acciaio e a rovinare a terra. Con tutta la rabbia di quella melodia, ma con tutta la precisione delle sue note armoniche, Drusinua colse al volo la lama che cadeva armandosi di un’amica in più con cui ballare mentre la Danza la trascinava ancora intorno al suo cadente avversario per frapporlo agli altri che cercavano di colpirla e calciarlo nella loro direzione costringendoli a seguirlo nella sua rovinosa caduta. Senza paura seguì i passi scritti per lei da quell’arpeggio violento in mezzo agli altri sull’altro lato, infilandosi tra due di loro, rompendo la loro formazione, quasi come non fossero lì, pronti a ucciderla. Ma non era possibile: il corpo della ragazza si contorceva con una armonia e rapidità impossibile da seguire per chi non danzasse con lei. Una sua lama volteggiava intorno al suo corpo deviando anche di un solo soffio quelle dei suoi nemici, l’altra frustava e si dimenava come fosse viva rispondendo al battito del suo cuore, mirando quello degli avversari, costringendoli a ritrarre le lame per difendersi. E le spade che non danzavano con le sue non sapevano stare al passo mancando il loro appuntamento con il bersaglio anche se solo di un istante.

La musica, la sua musica. Ecco che cosa era la Danza della Battaglia che aveva cercato di imitare! Ora la sentiva! No, era proprio come le aveva detto lui: non si poteva ascoltarla, bisognava crearla, danzarla, Esserla. Nessuno spettatore l’avrebbe mai potuta cogliere. Nessuno avrebbe mai potuto afferrare il cuore di una battaglia senza mettere il suo cuore, il suo desiderio nella battaglia. E ora per lei non c’era altro. Altro che quella Battaglia. Altro che il suo desiderio.

Abbandonandosi all’ultima battuta di quel primo tempo, Drusinua tornò di scatto verso i suoi avversari, sorprendendoli per l’audacia e sempre girando su se stessa in quel ritornello senza fine si richiuse di nuovo tra due di loro impegnandoli con la sua coppia di lame. Ascoltò affascinata mentre conduceva le spade dei suoi avversari nella sua melodia mettendo alla prova la loro velocità nell’intercettare i suoi assalti, ma senza che potessero rispondere, poi, quando la lezione la stancò, proprio un istante prima che il ritornello diventasse troppo lungo, con un guizzo sulle corde d’acciaio sfuggì a entrambi uscendo dal mezzo passando sotto un fendente pieno d’odio, ma scarsamente efficace di uno dei due. E con le ultime due note lasciò che le sue lame respirassero una traiettoria più ampia nel suo volteggio, baciando il suo avversario prima sotto il braccio e poi l’altra sulla schiena, chiamando il primo sangue.

Prendendo finalmente le distanze il ritmo incalzante si calmò, mentre i ragazzi rotolati a terra riprendevano posizione sporchi di fango, il ferito si ritraeva tenendo il braccio che non riusciva più a sollevare e gli altri un po’ increduli cercavano di capire cosa fosse successo a quella incapace allieva che pensavano di avere già in pugno. Ma Drusinua non aveva smesso di ballare. Ergendosi fiera davanti a loro stava solo assaporando la sua musica che si era acquietata per farle assaporare l’agrodolce ricordo del suo cavaliere, lasciandole ricordare la sua triste espressione e le sue parole più dolci.

Tra i suoi avversari c’era chi era troppo arrogante per ammettere che era cambiata, così fu proprio Lelenia a decidere di darle l’ennesima lezione prendendo l’iniziativa e andandole incontro con lo stesso ghigno spavaldo di sempre, lasciando indietro i compagni. Senza timore le si fece incontro, disturbando quel suo dolce pensiero. Ma andava bene così: era giusto, era nel ritmo della canzone. Drusinua aveva bisogno di lei per fare sì che la musica fosse completa. Perché il suo desiderio venisse davvero alla luce.

Appena fu a distanza utile, Lelenia alzò la spada, stuzzicando la sua guardia con dei piccoli affondi, per innervosirla. Ma mentre con un abile gioco di polso Drusinua intercettava la lama che subito si ritraeva per schernirla con l’ennesima finta, sentiva che quello che la stava colmando non era nervosismo o impazienza. Era il suo desiderio che stava sbocciando come un fiore. Il suo cuore lasciò il sussurro agrodolce del ricordo e cominciò a pompare al ritmo delle spade che cozzavano tra loro, ogni battito più vicino a quello precedente, ogni battito più forte, ogni battito più chiaro non solo nel battere il tempo della danza, ma portando da lontano, come una valanga, l’ultimo pezzo della sua melodia.

Era la Voce, era il Canto. Erano le Parole che avrebbe voluto dirgli. Era quello che avrebbe voluto gridargli così forte da farglielo sentire fino in cielo. Ma la sua voce non sarebbe uscita dalle sue labbra, avrebbe parlato con la forza di quella battaglia e quel grido lo avrebbero sentito tutti.

Le stoccate della arrogante compagna batterono gli ultimi tre colpi del crescendo del suo cuore, con la stessa spocchia di un gatto che gioca con il topo, come aveva fatto cento altre volte.

Ma questa volta non era un gioco.

Sull’attacco del suo grido gli occhi di Drusinua avvertirono dell’errore la compagna con uno sguardo che aveva in sé il più puro e potente desiderio, poi con la guardia dell’elsa andò a cercare la lama che ancora giocava, colpendola come con uno schiaffo, con una mossa che a Lelenia parve senza senso, perché non avrebbe mai potuto rispondere con la lama prima che lei tornasse in guardia. Ma Drusinua non voleva tentare l’affondo, voleva rullare i tamburi per dare più forza alla sua voce che stava per esplodere e caricando il peso in avanti lasciò partire la sua prima nota con un pugno violento come il dolore che provava nel cuore. La mano guantata dell’elsa della spada si schiantò sulla faccia di Lelenia fracassandole il naso e facendola ruzzolare per terra mentre la voce silenziosa delle spade spingeva Drusinua alla carica degli altri compagni urlando loro quello che le era stato tolto. Quello che non poteva riprendersi. Quello che loro avrebbero pagato.

Ed eccole. Eccole le parole che del suo canto! Ecco le sue rime! Ecco quello che avrebbe voluto dirgli. Ecco la sua risposta cantata con la forza di cento affondi e mille fendenti!

Mentre le sue gambe seguivano i passi della danza ora le sue spade seguivano quelli dei suoi pensieri, senza fermarsi, tra le guardie e le tecniche dei suoi avversari.

Confessavano con un urlo disperato e rabbioso che lui era l’ultimo romantico e il suo cuore era trafitto da un dolore che lei avrebbe voluto accudire. Avrebbe sopportato volentieri le stesse ferite d’amore se fosse stata con lui. E ora che non c’era più… Solo ora aveva la Risposta, solo ora sapeva cosa desiderava davvero.

Lei voleva solo trovare ciò che rimaneva degli Angeli.

Quella dolcezza, quel calore, quel mondo in cui non si è solo schiavi, in cui si può essere deboli, in cui si può amare. Quel mondo che lui custodiva nel cuore.
E ora che gliel’avevano portato via per sempre, ora che anche la Reminiscenza degli Angeli se ne era andata, lei non era altro che una bambina romantica senza una mano da stringere, con un cuore di ghiaccio.

E con quel cuore di ghiaccio avrebbe bruciato ogni cosa.

Un desiderio di dolcezza trasformato nel più ardente desiderio di distruzione, ora non conosceva ostacoli. Ora che la sua danza era completa anche di una voce, non la fermava la paura del dolore: non parava per non farsi male, ma per poterli colpire. Non la fermava la paura di sbagliare: il suo errore più grande era già alle sue spalle.

Non la fermava la paura della morte: non combatteva per salvarsi la vita, combatteva per ucciderli tutti.

E quel canto disperato e spaventoso non era fatto di parole, ma lo sentirono tutti comunque. Quando la guardarono negli occhi mentre volteggiava fra loro capirono che stava già vedendo il modo in cui li avrebbe uccisi. Quando videro che le finte non la distraevano più, capirono che non le interessava che la ferissero, né che la uccidessero. Più del suo sangue, più della sua vita, desiderava il loro. Nessuno di loro voleva morire. Nessuno di loro avrebbe rinunciato nemmeno alla parte più piccola del proprio corpo per sconfiggerla. Ma in una Vera Battaglia, sono i Cuori che si confrontano e chi non è disposto a perdere nulla, nulla potrà mai ottenere. E fu chiaro quando le corde della musica suonarono la melodia ancora più forte e Drusinua raggiunse il suo primo bersaglio trafiggendo uno dei traditori che erano stati a guardare, mentre ciò che di più nobile era rimasto al mondo sacrificava la vita per lei. E mentre il timore che quell’incapace potesse davvero togliere loro ciò che più avevano di prezioso, colei a cui avevano già rubato quel che di più prezioso aveva trovato non si saziò di quel piccolo tributo.

Il suo cuore di ghiaccio continuava a bruciare. La sua canzone continuava a suonare.

Tuffandosi tra i codardi che cominciavano ad allontanarsi da lei sperando che un altro di loro la combattesse, ripetè il suo urlo disperato scostando brutalmente una guardia con una spada per poi affondare l’altra sanguinaria per bruciare un altro traditore. Sperandola scoperta qualcuno tentò di porre fine al suo incubo, ma il suo affondo trovò la danzatrice evanescente come il vento, mentre ruotando sul fianco gli apriva una porta invisibile oltre la quale lo lasciava cadere per trafiggerlo tra le scapole appena oltre la soglia.

Con la rabbia di un orgoglio ferito Lelenia si costrinse ad ignorare l’umiliazione e il dolore rialzandosi dal fango in cui quella che doveva essere una divertente bambolina da rompere l’aveva scagliata, ma quando si riavvicinò all’avversaria, oramai dei suoi “complici” non ne era rimasto che uno. Sentendo che qualcun’altro voleva danzare con lei, Drusinua incrociò le spade sotto a quella del ragazzo per poi spingersi contro di lui costringendolo a sollevarla e lasciarle spazio per danzare attorno a lui, frapponendolo tra lei e Lelenia. Liberando la lama il giovane si preparò a replicare, ma finì in realtà per essere travolto dall’irruenza della sua compagna che sopraggiungeva. L’impatto lo sbilanciò leggermente, quanto bastava per distrargli la guardia… e lasciare che il desiderio di Drusinua bruciasse anche lui con un affondo che lo passò da parte a parte. Pur sempre la prima allieva del suo corso, Lelenia percepì le vere intenzioni della sua nemica e si ritrasse un istante prima che la lama spuntasse dal corpo del compagno per trafiggere anche lei per poi subito cercare di lavare quel suo disonore con il sangue di quella incapace.

Drusinua la accolse nei passi della sua danza ardente, sentendo il desiderio diventare ancora più chiaro davanti a lei, riempiendole gli occhi di una luce davvero sinistra. Le corde d’acciaio delle spade suonarono mille note rabbiose mentre le loro lame si incrociavano a più riprese.

Mai. Mai. Mai e poi mai avrebbe lasciato che quell’inetta la battesse in un duello! Lei era cento volte più brava, conosceva tutte le tecniche per vincere, tutte le parate per non farsi toccare! Ma ancora non afferrava la Verità

Drusinua non stava duellando con lei, stava Danzando la Danza della Morte. I passi di quella danza non si imparano in un cerchio sterrato per allenamenti. Nascono solo da un Cuore ardente.

Sentendo il momento della sua canzone essere giunto Drusinua si lasciò cadere a terra, evitando un fendente dell’avversaria e rotolando sul fianco oltre di lei. Lelenia si voltò veloce: avendo affrontato già altre volte una simile situazione in allenamento si preparò a colpirla quando avrebbe dovuto rialzarsi. Ma in allenamento sono marcati punto solo i colpi al busto o alla testa. Qui non erano in allenamento. Drusinua non aveva bisogno di fare alcun punto. Drusinua non aveva bisogno di rialzarsi. E se non aveva paura di morire, non aveva certo paura di rotolarsi nel fango. Danzando sull’ultima nota di quella strofa, contorse il suo corpo come quello di un serpente, facendo sibilare le sue lame appena un soffio sopra il terreno, dove Lelenia non aveva mai avuto bisogno di alcuna parata. Le caviglie trafitte della ragazza cedettero subito facendole lanciare un grido di dolore acuto. Con un colpo di reni Drusinua fu in piedi e con un ultimo volteggio mise a tacere quella nota stonata trafiggendole la gola.

Un momento di contemplazione la colse mentre il suo cuore suonava un assolo rapido, trionfante, ma allo stesso tempo ancora non sazio, preparandola per quello che doveva venire, rinfocolando nel suo cuore il ricordo così caldo e gelido che l’aveva spinta a quel massacro. Il canto riprese ancor prima che il Giudice potesse annunciare la sua vittoria e Drusinua non ebbe altro desiderio che seguirlo. Voltandosi verso il suo allibito istruttore, non risparmiò alcuna energia nel caricarlo. Quello, ancora più sorpreso estrasse veloce la spada e rapido tentò di prendere il ritmo della danza della ragazza.

La sorpresa mutò presto in quel suo solito ghigno divertito. Quella stupida poteva pur aver vinto contro i suoi altrettanto inetti fratelli bastardi, e, invero, se si fosse lì fermata le cose si sarebbero messe davvero male per lui, ma ora, a dimostrazione di quanto giusto fosse il suo disprezzo per lei, aveva voluto esagerare e attaccare anche lui. L’avrebbe uccisa come meritava e tutto sarebbe andato a posto.

Lasciando che l’esperienza di battaglie vere che aveva affrontato lo guidasse attraverso i pur incredibili progressi dell’allieva, il funzionario la fronteggiò con parate esperte e schivate tempestive, studiandola accuratamente e cercando di capirne la tecnica. Dopo un ennesimo affondo, decise che era il momento di chiudere i giochi.

Ma dopo quell’ennesimo affondo a vuoto, Drusinua sentì il suo cuore bruciare all’impazzata e ardere ogni cosa, ogni pensiero, ogni altra idea se non quella di raggiungere il suo desiderio.

Con uno scatto indietro l’istruttore prese spazio dall’allieva e le tese un tranello che aveva funzionato con guerrieri ben più esperti. Vedendola avanzare per continuare l’assalto, come si aspettava, tese la spada di fronte a sé per tenere la distanza, lasciandole volontariamente dello spazio per schivare sulla destra. Non appena avesse tentato lo scarto avrebbe aperto la guardia e lui l’avrebbe colpita. Doveva solo essere rapido e anticiparla, partire un poco prima del tempo. Così tolse la lama un istante prima che la ragazza ci finisse sopra, preparando subito il colpo per abbatterla subito dopo l’inutile schivata.

Ma non ci fu alcuna schivata. Drusinua si buttò contro la sua lama senza alcuna esitazione incurante che il suo cuore ormai gelido venisse trafitto. E, preparando quel colpo costruito con tanta arguzia e sicurezza, nemmeno il suo istruttore si avvide della differenza di chi combatte per sopravvivere e chi invece inseguendo un desiderio più grande della vita.

E Drusinua voleva affondare quel colpo più di quanto volesse vivere.

La lama dell’istruttore rimase a mezz’aria, pronta per un colpo mortale che non sferrò mai, mentre quella di Drusinua affondava precisa nel petto di chi le aveva sottratto tutto ciò che le avesse mai riscaldato il cuore…

Mentre guardava il suo sogno realizzarsi sotto la pioggia, la sua musica suonò le ultime note insieme al suo grido. Tragiche come solo un sogno tanto violento poteva essere. Intense come solo la sensazione di riscatto che solo chi ha perso tutto può provare.

Estraendo la lama dal corpo esanime del funzionario lo osservò cadere a terra come un oggetto qualsiasi, mentre la musica svaniva insieme al palpitare inquieto del suo cuore e la pioggia tornava a risuonarle nelle orecchie con il suo tamburellare simile a una ninna nanna. Drusinua si volse a guardare i cadaveri che il suo cuore aveva lasciato davanti all’Altare dei Giudici e poi sollevò lo sguardo verso il cielo che non smetteva di riversare su di lei quella pioggia battente, in silenzio.
Stupefatto, come tutti i presenti, dall’esito dell’ordalia, l’Alto Giudice sapeva però di non essere lì in veste di semplice spettatore e solennemente accolse il verdetto che le lame avevano emesso per lui.

“Allieva Drusinua..” Cominciò “Amryza ti ha giudicata. Sei degna di servirla. E ti porgo i ringraziamenti a nome dei tuoi fratelli per averci impedito con il tuo coraggio di commettere l’errore di assolvere dei traditori e di condannare una guerriera così valida” Per diversi istanti Drusinua non fece altro che tenere il suo viso esposto a quella pioggia lavando via il sangue e la terra. Poi si volse verso i suoi giudici

“Come fate a essere certo che non sia io la traditrice? Non ho fatto altro che trucidare i miei accusatori…”

“Ho visto come ti muovevi su quel campo: ho visto i tuoi occhi. Il tuo desiderio di servire la Madre è stato più grande del loro… e più grande del desiderio di continuare a vivere. Per questo Amryza ti ha scelta per essere la vincitrice. Noi ci rimettiamo solo al suo Giudizio.”

Un poco di quel sarcasmo triste che era stato del suo cantore, le scivolò dentro costringendola a un amaro sorriso: proprio dimenticando nel modo più totale i suoi incompleti desideri di obbedienza e di fedeltà, proprio ora che aveva capito quanto fosse inutile dimostrare di avere ragione brandendo una spada… Ecco che ci era riuscita.

Lei era degna di Amryza. Lei era la più abile. Lei era nel giusto. E Lelenia giaceva in una pozza di fango sconfitta… no: morta.

Ma non c’era alcuna felicità ora. La vendetta non le aveva scaldato il cuore, aveva solo bruciato i suoi nemici. E il mondo non era tornato caldo ora. Era ancora lo stesso posto freddo e crudele che le aveva portato via l’unica persona gentile che avesse mai conosciuto. Era lo stesso posto dove gli Angeli non avevano casa se non nel cuore di elfi costretti all’esilio dai loro fratelli. Dove la gentilezza era considerata una debolezza… e invece era l’unica vera forza. La stessa forza che aveva permesso di danzare come i grandi guerrieri a un’allieva incapace.

Amryza non aveva nulla a che fare con tutto ciò… o forse sì… In fondo era quello che le aveva detto lui: Lei era Amryza. La Verità era Amryza. Quel suo terribile Desiderio in fondo al cuore era Amryza.

In fondo al cuore dove giaceva quel tenero bagliore che lui aveva piantato. Quello più di tutto era Amryza. E non era scritto in nessuna dottrina, non era raffigurato in nessuna statua. Non era pronunciato in nessuna invocazione. Ed era quello… era quello tutto ciò che era rimasto degli Angeli. Incastonato dentro la tristezza che la sua perdita le aveva lasciato. Una lacrima così fredda che bruciava più del fuoco. L’unica lacrima… L’unica lacrima che sarebbe stata versata per quel cavaliere… Tutti provavano il freddo che quel mondo grigio che avevano creato spargeva nei loro cuori: Giudici, funzionari, allievi, sacerdoti… E tutti loro si sarebbero avvolti in cerca di un po’ di sicurezza in una grigia coperta che chiamavano così impropriamente “La Gloria di Amryza”. Ma di quell’ultimo frammento di Angeli di cui avevano fatto tanto in fretta a sbarazzarsi, nessuno si sarebbe accorto… Nessuno si sarebbe accorto che lei non aveva vinto, ma che tutti quanti avevano perso… Nessuno avrebbe pianto per quella sconfitta… A parte lei… A parte Amryza, forse… A parte gli Angeli che se ne erano andati per lasciarli crescere con le loro forze…

“Date un mantello a quella ragazza” ordinò infine il giudice, vedendola ferma in piedi in mezzo alla pioggia immersa nei suoi pensieri “Non lasciate che la pioggia la bagni ancora” Le sentinelle di guardia furono leste ad obbedire e a portarle quel riparo di stoffa… Ma lei le fermò. Con il viso rivolto al cielo, la pioggia che le rigava il volto trascinando con sé anche le sue fredde lacrime, Drusinua voleva rimanere sola con gli unici che condividevano quel suo pianto, quel suo dolore.
“No….” Disse “Non voglio ripararmi… Questa non è pioggia… Queste sono…
…Le Lacrime degli Angeli
 



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