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Autore: Ode To Joy    16/04/2018    9 recensioni
[Kageyama x Hinata]
"Le leggende narrano di una creatura oscura, solitaria. Dicono che le sue ali siano nere come quelle di un Corvo, che la sua bellezza sia pari a quella di un Cigno e che la sua forza possa essere superiore anche a quella di un'Aquila."
A poche settimane dal suo quindicesimo compleanno, Shouyou abbandona il nido di Corvi in cui è nato e cresciuto per rispondere al richiamo di una strana creatura che continua a vedere nei suoi sogni.
“A quindici anni è facile essere innamorati con la primavera che sboccia e l’euforia di essere finalmente adulti. Ciò che accade dopo, però, quando il fuoco dell’inizio viene domato… È lì che comincia il vero amore ma lo si può toccare solo dopo aver conosciuto l’oscurità dell’altro ed averla saputa accettare.
Tobio, però, non si rivela affatto essere quello che si aspettava di trovare sul suo cammino.
[Winged AU]
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Macchie sulla neve


 

-Alcune primavere prima...-




Prima del Grande Inverno, la guerra che permise a Wakatoshi e Tooru di unire la Foresta sotto un’unica corona scoppiò a causa di un mostro.

Tale creatura si macchiò della morte di decine d’innocenti appartenenti sia al popolo degli uomini che a quello degli spiriti.

Incapaci di trovare il vero colpevole, entrambi gli schieramenti finirono per accusarsi a vicenda. Ad approfittarne furono gli animi assetati di violenza da ambedue le parti, quelli in attesa di una scusa per massacrare l’antico nemico e farlo passare come un atto necessario.

Pur essendo gli unici veri mostri della vicenda, non furono loro a pagare il prezzo più alto di quel conflitto.

In pochi videro la creatura maledetta che diede inizio a tutto.

Il suo nome non venne mai rivelato, ma le piume corvine che ricoprivano il suo corpo e le sue grandi ali divennero leggenda.





La neve cadeva lenta, senza far rumore.

Il silenzio era innaturale, come quello alla fine di una lunga battaglia. Era il suono della morte e, suo malgrado, Wakatoshi lo conosceva bene. Respirava velocemente, l’aria fredda gli trafiggeva i polmoni.

Le dita della mano sinistra erano ancora salde sull’elsa della spada. C’era sangue sulla lama. C’era sangue dappertutto: sulle sue mani, sul suo viso e sulla neve.

Le macchie scarlatte sul terreno bianco creavano un contrasto tale da fare male agli occhi. Wakatoshi neanche le vedeva: era stato su troppi campi di battaglia per potersi impressionare. Tuttavia, non riusciva ad allontanare gli occhi dalla seconda macchia di colore di quell’affresco macabro.

L’ala ricoperta di piume corvine giaceva sulla neve, immobile.

Era cresciuto in un mondo in guerra, Wakatoshi, aveva visto la morte prendere molteplici forme ed ognuna di loro era impressa a fuoco nella sua memoria. Una collezione di ricordi maledetti, che aveva usato per liberarsi di una sensibilità superflua, scomoda per il suo ruolo.

Un Re non aveva bisogno di un cuore.

Era stata la più grande lezione di vita di sua madre e la prima che Tooru aveva messo in discussione. L’aveva avuta vinta, il suo bel Cigno dalle ali bianche e Wakatoshi lo comprese nel guardare quell’ala corvina recisa.

Nessun ricordo di guerra lo aveva mai tormentato, ma il Re Aquila sapeva che avrebbe rivisto quell’immagine nei suoi incubi per il resto della sua vita.

Captò un movimento con la coda dell’occhio. Sollevò lo sguardo e si accorse con che il mostro era ancora vivo. Sentì una morsa stringergli lo stomaco.

Non avevano mai avuto paura di uccidere, Wakatoshi. Lo avevano educato prima come guerriero e poi come Re, gli avevano insegnato che la corona sulla sua testa implicava doversi sporcare le mani. Nemmeno Tooru aveva potuto negare quella crudele verità.

Anche l’ultimo colpo che aveva inferto era stato per uccidere. Non c’era riuscito, aveva fallito e non era certo di avere la forza di fare un secondo tentativo.

C’era più sangue su quella neve di quanto il Re Aquila ne aveva mai visto su di un campo di battaglia. Una distesa di soldati caduti non lo aveva mai nauseato quanto quello che aveva davanti agli occhi.

C’era una differenza sottile tra un soldato ed un assassino, e Wakatoshi stava scoprendo quando poteva essere dilaniante.

Si costrinse ad affondare gli stivali nella neve, ad avvicinarsi alla figura scura del suo avversario. Era riverso sulla schiena ma il suo corpo non era più ricoperto di piume corvine.

Il mostro era tornato ad essere un giovane uomo.

Doveva soffrire terribilmente ma non lo dava a vedere. Gli occhi chiari erano fissi sul cielo grigio. Forse guardavano i fiocchi bianchi cadere, forse non li vedeva affatto.

Wakatoshi non poteva saperlo.

I capelli neri gli coprivano un lato del viso. I vestiti si erano strappati in più punti durante la trasformazione e la pelle nuda, toccata dalla neve, stava perdendo il suo naturale colore pallido.

Tremava, sì, e stringeva spasmodicamente i brandelli di stoffa che ancora ricoprivano la spalla sinistra. Era quella l’ala che la sua spada aveva reciso.

Era prossimo alla morte e non era terrorizzato nemmeno la metà del Re Aquila.

“Che cosa aspetti?” Domandò il mostro, guardandolo dritto negli occhi.

Wakatoshi trasalì.

L’ombra di una smorfia derisoria comparve sul viso della creatura dalle ali corvine. “Hai paura,” concluse. “Alla fine, sono riuscito a spaventarti. Assurdo che abbia questo potere solo ora che sono ad un passo dalla morte, Wakatoshi.”

Era atterrito, il Re dell’Aquila. “Il viso di un nemico non ha mai infestato i miei sogni.”

“Il mio lo farà?” Domandò il mostro con voce affaticata. “Avrai le mie ali ora, e assaggerai la sconfitta per mano mia per il resto della tua vita?”

Ogni parola di quella creatura dalle ali corvine suonava come una maledizione.

Wakatoshi non voleva altro che farla tacere ma la sua mano tremava ancora. “Non hai combattuto davvero.”

“E tu nemmeno volevi farlo, Wakatoshi,” disse il mostro.

Il Re Aquila alzò gli occhi verso il cielo. “Racconteranno questa storia come una grande impresa o una tragedia,” disse. “Nessuno saprà mai quanto tutto questo questo sia stato ridicolo.”

Il mostro emise una risata che si trasformò presto in un attacco di tosse. Wakatoshi lo guardò contorcersi sulla neve per il dolore e non poté fare a meno di provare pietà per quella creatura. Una parte di lui avrebbe anche voluto chiedergli perdono, ma era solo l’eco di quel cuore scomodo che batteva nel suo petto solo grazie a Tooru.

La macchia di sangue si espandeva sotto il corpo del suo nemico disegnando un’ala scarlatta sul terreno ricoperto di neve. Wakatoshi lo vide muovere le labbra e posò un ginocchio a terra per farsi più vicino. “La ferita non è mortale.”

“Non è proprio per questo che hai fallito, Re della Foresta?”

“Hanno reciso entrambe le ali del mio predecessore e…”

“Sii un Re, Wakatoshi,” lo interruppe il mostro. “Il tempo della pietà è finito. Mi hai tolto tutto, tranne le vita.”

Il Re Aquila guardò il suo nemico negli occhi per un lungo istante. La vera tragedia era che provava più rispetto per quella creatura maledetta che per la maggior parte dei nobile che avrebbero avuto salva la vita con la sua morte.

Wakatoshi dischiuse le labbra e chiamò il nome di quell’essere disgraziato col tono di un uomo che chiede vorrebbe chiedere perdono, ma non ha altra scelta che fare ciò che deve. “Vorrei che questo non fosse capitato a te.”

Il mostro ingoiò aria. “Non mi è capitato nulla, Wakatoshi,” disse. “Questo è quello che sono.”

Con espressione grave, il Re Aquila annuì e si alzò in piedi. La sua mano non tremava più. “Le tue ultime parole?”

La creatura strinse le labbra: stava divenendo bluastre per il freddo. “Il destino non crea mostri, Wakatoshi, non lancia maledizioni. Il destino chiude gli occhi e sceglie.”

Nella loro storia, era toccato a quella giovane Aquila nascere con quelle piume corvine ed un mostro nascosto sotto la pelle. Non lo aveva scelto, era accaduto e basta. Un crimine senza una colpa reale.

Il ruolo dell’eroe apparteneva a Wakatoshi. Aveva compito di sconfiggere il mostro, di punire un suo simile per essere quello che era.

“Lo so,” disse il Re della Foresta. “So come nascono i mostri.”

Ne aveva visti tanti nel corso di quella guerra e alcuni li aveva scorti negli occhi delle persone che gli erano più vicine.

Il mostro tornò a rivolgere gli occhi al cielo grigio e ai fiocchi di neve che continuavano a cadere.

Wakatoshi sollevò la spada sporca di sangue. “Per quel che vale, dopo questo giorno, saremo pari.”




Il vento si alzò. Ben presto, quella gentile nevicata si sarebbe trasformata in una tempesta.

Wakatoshi non si mosse nemmeno allora.

La neve impiegò parecchio tempo a ricoprire tutto il sangue ed anche quando il rosso venne seppellito dal bianco candido, la macchia nera dell’ala recisa continuò a creare uno spiacevole contrasto sotto gli occhi del Re della Foresta.

Wakatoshi se ne stava inginocchiato a terra, gli occhi vuoti fissi sul trofeo della sua eroica impresa. Non riusciva a muoversi, a fare un passo oltre quel momento.

Era rimasto in piedi fino alla fine e non aveva mai abbassato la testa, nemmeno quando la guerra aveva preteso da lui e Tooru il prezzo più alto che un Re ed il suo Consorte potessero pagare.

Ora, alla fine di tutto, nulla avrebbe potuto restituire loro la bambina che avevano perso e Wakatoshi si sentiva troppo stanco anche solo per fare un passo.

La Foresta era salva ed unita sotto un’unica corona. Lui e Tooru avevano dato inizio ad una nuova Era, avevano gettato le basi per un futuro di pace per loro e tutti i popoli su cui avrebbero regnato.

La loro era una vittoria grande… Enorme.

Eppure, il giovane Signore del Nido delle Aquile si chiedeva se ne fosse valsa la pena.

Wakatoshi!”

Il Re della Foresta trasalì. Come se quella voce lo avesse strappato da un incubo terribile, si voltò con il respiro bloccato in gola.

Le ali bianche di Tooru erano a stento visibili in tutto quel bianco, ma i suoi grandi occhi scuri erano erano una luce nel buio, come una stella per guidarlo sulla strada di casa.

Wakatoshi non credeva a quello che vedeva. “Tooru…” Non gli pareva reale.

Il Cigno si precipitò verso di lui e non si fece scrupoli ad inginocchiarsi nella neve fredda. Tremava, Tooru, il suo viso era terribilmente pallido ed i segni scuri sotto i suoi occhi lo rendevano quasi spettrale.

Eppure, per Wakatoshi era perfetto.

Il Cigno sollevò la mano tremante e sfiorò il suo viso. Quel leggero tepore fu sufficiente a sciogliere la morsa di ghiaccio che costringere il cuore del Re Aquila.

Con una disperazione che non aveva mai provato, Wakatoshi strinse quella mano e se la portò alle labbra. Tooru ingoiò aria dalla bocca, come se avesse trattenuto il respiro fino a quel momento ed esaurì la breve distanza tra loro.

Si lasciò stringere, il Re Aquila. Affondò il viso contro il petto del suo consorte ed accolse ogni carezza ed ogni bacio tra i suoi capelli come un soffio di vita.

Era morto, Wakatoshi. Quel giorno, sulla quella montagna, la vita lo aveva lasciato senza che il suo cuore avesse smesso di battere.

Sul ciglio del precipizio, Tooru lo stava traendo in salvo, tra le sue braccia.

“Sei vivo,” singhiozzava il Cigno tra i suoi capelli. “Sei vivo.”

Più tardi, tra le mura sicure del Nido delle Aquile, Wakatoshi sapeva che avrebbe trovato modi meno gentili per esprimergli il suo sollievo.

“Tooru…” Si allontanò da quell’abbraccio solo per poterlo guardare negli occhi.

Lo sguardo del suo Consorte, però, si era posato sull’ala recisa che giaceva tra la neve.

Wakatoshi sprofondò di nuovo nell’incubo ma non ebbe paura di guardare quello che aveva fatto, non con le mani di Tooru strette tra le sue dita. “È finita,” disse. “È tutto finito.”
Gli occhi di Tooru erano atterriti. Nemmeno lui vedeva una vittoria in quello che vi era di fronte ai suoi occhi.

Wakatoshi strinse le labbra per un istante. “Vorranno vederla,” disse. “Servirà una prova o la pace non potrà mai esserci.”

Nel guardarlo, gli occhi di Tooru si fecero ancora più grandi. “Vuoi portarla con te?”

“Non ho altra scelta.” Wakatoshi cominciava ad odiare quel ritornello.

Il Cigno strinse le labbra ed ingoiò a vuoto. “Se la consegni ai Cacciatori, ne faranno un trofeo.”

“Non lo permetterò.” Replicò il Re Aquila. “Tutti avranno la prova che abbiamo rispettato la nostra parte del patto e disporrò delle sue spoglie in modo dignitoso.”

Tooru lo guardò preoccupato. “Wakatoshi…”

“Starò bene, Tooru,” lo rassicurò il Re.




Il giovane signore dei Nido delle Aquile fu di parola.

L’ala del mostro che aveva terrorizzato tutti i popoli della Foresta e che aveva scatenato quella guerra sanguinosa venne mostrata nel Palazzo del Consiglio di Seijou. Fu la prova che costrinse tutti i regni coinvolti nel conflitto a firmare la pace.

Attraverso quel trattato, Wakatoshi chiese ed ottenne dai leader degli uomini che venissero create delle leggi per impedire ai Cacciatori di far del male agli spiriti della Foresta.

Quella primavera, Wakatoshi e Tooru vennero ufficialmente incoronati Re di un regno unito, forte e fiero.

Fu al tramonto di quello stesso giorno che il Consorte reale rivelò al sovrano il dolce segreto che custodiva da un po’.

Da principio, il viso di Wakatoshi rimase inespressivo come al solito. “Ne sei sicuro?”

Tooru alzò gli occhi al cielo. “Non posso credere che tu me lo abbia chiesto.”

“La prima volta è accaduto all’improvviso, senza che tu fossi consapevole di quello che ti stava accadendo,” si difese Wakatoshi.

“La prima volta non ero preparato!” Esclamò il Cigno imbarazzato. “Non ho avuto una madre che mi potesse preparare a… A quello! Anzi, sei fortunato che nessuno mi abbia educato a dovere in materia o avrei preso le mie precauzioni! Oh, sì, che le avrei prese! Al diavolo la dinastia e tutte quelle sciocchezze!”

“Tooru.” Wakatoshi lo riportò all’ordine prendendogli il viso tra le mani. “Sei sicuro?” Lo disse con una strana inclinazione nella voce.

Tooru decise di definirla speranza ed un sorriso commosso gli illuminò il volto. “Diverrai padre, Wakatoshi,” disse.

Il Re della Foresta lo baciò.

Proprio quando temeva che non sarebbe più riuscito ad essere felice, schiacciato dal peso delle sue colpe, Tooru gli faceva il dono più grande che potesse esistere.

“Nostro figlio sarà il primo capitolo di una storia tutta nuova,” disse Tooru.





Non aveva idea di quanto avesse ragione.





Poco più di sei mesi dopo, durante la calamità naturale che sarebbe stata ricordata da tutti come il Grande Inverno, Wakatoshi e Tooru ebbero un bambino dalle ali corvine.


 

-Oggi-




“Vostra Maestà…”

Wakatoshi riprese i sensi lentamente.

Da principio, non ricordò che cosa era successo e si chiese dov’era, per quale motivo non era al Nido delle Aquile.

Il ricordo del fuoco che divorava ogni cosa arrivò sotto forma di una fitta dolorosa che gli attraversò il capo da parte a parte. Strinse gli occhi e serrò i denti sul labbro inferiore.

Tutto il suo corpo era un fascio di dolore. Aveva i polsi costretti sopra la testa. I suoi piedi toccavano il pavimento ma erano le catene a costringerlo in piedi.

Non riusciva a muovere le ali.

“Ben svegliato, Vostra Maestà.”

La stanza era buia e Wakatoshi non riusciva a tenere la testa sollevata e guardare di fronte a sè.

“Chi siete?” Domandò, sebbene avesse la gola secca ed ogni parola fosse una tortura.

“La vostra punizione,” rispose la voce. Era sarcastica, derisoria.

“Dovrai essere più preciso, chiunque tu sia,” disse il Re. “Chi porta la corona ha molte colpe.”

“Aprite gli occhi, Maestà.”

Wakatoshi avrebbe voluto rispondere che stava cercando di farlo. “Avete dato fuoco alla mia casa…” Strinse i pugni sulle catene che gli legavano i polsi.

“Era solo questione di tempo, non trovate?” Domandò il suo carceriere. “Tutti i luoghi più sicuri cadono, prima o poi. Sembra sia una condizione necessaria per raccontare le grandi storie. Dopotutto, senza un luogo a cui tornare diviene tutto più divertente.”

A Wakatoshi non servì altro per capire che era finito nelle mani di un pazzo. Provò a sollevare le palpebre ancora una volta e non fu terribile come la precedente.

“Così, mio Re,” lo incoraggiò il mio carceriere. “Vedete il fascio di luce? Vorrei che guardaste che attenzione quel punto.”

Accecato dallo stordimento e dall’oscurità, non fu difficile per Wakatoshi trovare il punto della stanza a cui l’altro si riferiva. Non sapeva da dove entrava la luce ma dedusse che doveva esserci una finestra in alto, vicino al soffitto.

Cercò di riflettere, di ricordare se era mai stato in un luogo simile ma aveva ancora troppi pochi elementi per fare un’ipotesi. Non appena riuscì a capire che cosa illuminava quel fascio di luce, però, scoprire dove si trovava divenne un pensiero secondario.

La sorpresa fu tale che persino il dolore scomparso ed un terrore che non provava da sedici anni gli spezzò il respiro.

“Non è possibile,” disse. “Non è possibile…”

Eppure, l’ala nera che aveva reciso dalla schiena del mostro anni addietro era lì, su quel pavimento di pietra. “L’ho bruciata,” disse. “Ho bruciato quell’ala con le mie mani.”

“Un gesto molto rispettoso nei confronti di un mostro. Avreste potuto farne un simbolo di forza, oppure permettere ai Cacciatori di renderla una trofeo. Avrebbero narrato ai loro figli che nemmeno il sanguinario mostro dalle ali corvine aveva potuto niente contro il potere della giustizia... O qualche altra sciocchezza simile,” disse il suo carceriere. “Fu un’ingenuità da parte dei nobili firmare quella pace di fronte ad una prova tanto misera.”

“Misera…” Ripetè Wakatoshi in un sibilo. Fissò gli occhi di fronte a sè ma non riuscì a vedere chi gli stava parlando. “Hai idea di cosa significa privarci delle nostre ali?”

“So che non significa per forza la morte,” replicò il suo carceriere. “Ma erano tutti molto stanchi a quel tempo, vero? Nessuno dei due schieramenti si decideva a perire, ma si era messo in gioco e perso troppo per poter firmare la pace senza l’atto finale, non è così?”

“Hai combattuto quella guerra?”

“Sono io che faccio le domande, Re della Foresta,” rispose il suo carceriere. “E vorrei sentirvi confessare il vostro tradimento senza sporcarmi ulteriormente le mani, non so se mi spiego…”

Il viso di Wakatoshi era tornato ad essere una maschera inespressiva. “Mi stai punendo per quello che ho fatto durante la guerra?”

“Vi sto punendo per quello che non avete fatto, Maestà.”

“Ho fatto tutto quello che dovevo.”

“Oh, davvero? Avete ucciso il mostro e siete divenuto un eroe?”

Wakatoshi non avrebbe mai raccontato quella storia in quel modo. “Ho fatto ciò che era necessario per proteggere il mio popolo,” disse. “E non esiterei a farlo ancora.”

“Che strano,” disse il suo carceriere, muovendosi nel buio. “Eppure, il mostro dalle ali corvine sembra volare ancora tra gli alberi della Foresta, e casualmente sembra che la sua zona di caccia sia intorno al vostro Nido delle Aquile.”

“Tutti i Cacciatori morti in quel territorio sono fuorilegge che hanno attentato alla vita della mia gente,” replicò il sovrano. “Vi sono delle leggi a regolari i rapporti tra il mondo degli umani e quello degli spiriti e chi non le rispetta deve pagare il prezzo.”

“E che mi dite del mostro?” Domandò il carceriere. “Quell’abominio non doveva pagare alcun prezzo?”

“Ha pagato,” affermò Wakatoshi con freddezza. “L’ho ucciso con le mie mani. Ho fatto a pezzi il suo corpo e ho presentato quell’ala come prova al cospetto di tutti i popoli della Foresta.”

Seguì un lungo istante di silenzio.

“No,” la voce dello sconosciuto aveva perso l’inclinazione derisoria per assumerne una più oscura. “Non lo avete fatto, Vostra Maestà ed entrambi sappiamo che il prezzo da pagare per un tradimento è molto alto.”

Wakatoshi non si fece toccare da quella minaccia. “Non avete la mia famiglia. Non potete usare nulla per piegarmi.”

“Oh, no,” concordò il suo carceriere. “Persino il piccolo Corvo ci è sfuggito, che disdetta!”

Wakatoshi raccolse quell’informazione velocemente. Chiunque avesse attaccato il Nido delle Aquile, non aveva Shouyou.

Se il piccolo Corvo era salvo, c’erano buone probabilità che Tobio non facesse qualche sciocchezza. Era lui che stavano cercando, Wakatoshi non ne aveva dubbi.

Era accaduto quello che lui e Tooru avevano temuto di più: qualcuno stava usando l’esistenza di Tobio per accusarli di tradimento e rendere nullo l’accordo di pace tra tutti i popoli della Foresta, compresi gli umani.

Wakatoshi non sapeva chi aveva davanti, ma se aveva qualcosa per provare la vera natura di Tobio o se era abbastanza influente da insinuare il dubbio in altri nobili potenti, nulla li avrebbe salvati da una nuova guerra.

“Tuttavia, non mi serve minacciare la vostra famiglia per privarvi del vostro potere.”

Wakatoshi inarcò un sopracciglio.

“Non siete solo un Re molto amato, Maestà. Siete un simbolo di forza ed orgoglio. Fin tanto che restate in piedi, il vostro popolo si sente al sicuro.” Il carceriere si fece avanti, ma nemmeno allora Wakatoshi riuscì a vedere chiaramente il suo viso.

Era giovane, però. Molto giovane, forse quanto Tobio.

“Un Re come voi è da stimare. Tuttavia, rende le cose decisamente più semplici: basta fare a pezzi voi per distruggere tutti gli altri.” Il carceriere si sollevò sulle punte per liberargli un polso, uno solo. “Letteralmente….”

Il braccio ricadde lungo il fianco di Wakatoshi come inanimato e l’Aquila urlò per il dolore. Il giovane sconosciuto si ritrasse velocemente nell’ombra.

“Comprendete la vostra punizione, Maestà?”

Wakatoshi recuperò il controllo del braccio velocemente, ma il dolore lancinante dietro la spalla non si acquietò: dovevano avergli rotto un’ala.

Istintivamente, allungò un braccio all’indietro per rendersi conto dell’entità del danno ma le sue si chiusero sul vuoto.

Il Re Aquila gelò.

Il suo carceriere rise. “Oh, sì… Sì, ora comprendete.”

Wakatoshi portò lo sguardo sull’ala recisa: ad una prima occhiata, le piume che la ricoprivano gli erano sembrate nere, ma erano marroni.

Era la sua ala quella che giaceva sul pavimento di pietra di quella cella.

“Nessuna pietà per i mostri, Maestà.”

Il Re della Foresta urlò.



 
Fine







Note conclusione:

Vi ricordo di aver già detto altrove che questa non sarebbe stata una storia autoconclusiva ma, perdonatemi, non rammento se l’ho fatto in qualche nota o solamente sulla pagina di FB. Tuttavia, penso che dopo questo finale spalancato, non ci siano dubbi in merito.
Dunque… Questo è volutamente un finale che lascia più domande che risposte dal punto di vista dell’intreccio ma che vuole mettere il punto su quello che la condizione di Tobio ha realmente rappresentato per Tooru e Wakatoshi. La loro storia è un’altra ed in futuro verrà raccontata ma questo epilogo voleva un po’ chiudere quel circolo vizioso di paure e maledizioni che si autoavverano che è cominciato con la scena iniziale, quella della nascita di Tobio.
Sul lato pratico, è stato esposto un quadro a grandi linee dei motivi per cui quella di Tobio viene considerata una maledizione. La cosa più crudele che avevo previsto all’interno di questa storia era appunto il fatto che Wakatoshi si ritrovi ad essere padre di una creatura maledetta come quella ha ucciso, a suo dire, perchè non aveva altra scelta.
La scena di chiusura non era pianificata, è venuta da sè… E vi confesso che la cosa mi spaventa un poco.
Finita la parentesi da confessionale, qualche informazione di ordine pratico. Sì, l’ho detto e lo ripeto: la storia di Tooru e Wakatoshi è ancora da raccontare ed è nata praticamente in parallelo a questa. L’originalissimo ed inaspettato titolo di questo Prequel dovrebbe essere ”White Feathers”.
Quando avverrà tutto ciò? Non lo so… Sto cercando un modo per ottenere giornate di 36 ore ed una vita regolare (soprattutto quest’ultima), ma ancora non ho avuto successo. Nell’immediato futuro vorrei riprendere questi dieci capitoli e rivedere un po’ di cose, poi si vedrà!
Nel frattempo, volevo ringraziare tutti, dai recensori appassionati, ai lettori silenziosi e mi scuso perchè questa storia sarebbe dovuta essere completata già qualche mese fa.
Doppio ringraziamento per la pazienza di chi è rimasto nonostante i miei ritardi.
Alla prossima.


 
Marta



 
   
 
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