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Autore: LaMicheCoria    16/04/2018    1 recensioni
“Come puoi non vedere?” lo canzona il suo doppio “Come puoi, oh Dio degli Inganni, non accorgerti del tranello di cui sei vittima e carnefice?”
[1.Battlefield][2. Tony Stark - Gemma Dell'Anima] [3. Doctor Strange - Gemma Del Potere] [Loki - Gemma Della Realtà]
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man, Wanda Maximoff/Scarlet Witch
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cause Nobody Wants To Be The Last One There :.'
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I Have But Two Faces,

One for the World, One for God

Loki – Gemma Della Realtà

 

Il profumo della carne e della pelle, del sudore che scintilla, occhieggia tra le gambe, la carezza dei capelli, delle ciocche che scivolano oltre le spalle, scendono sulla schiena, un movimento languido della spina dorsale che cresce e risale, solleva piano la nuca e mostra il lobo dell’orecchio, un palpito bianco della tempia.
Il corpo di lei si tende all’arrivo del sole e mentre i raggi le cadono piano sulle braccia, ecco, ne segue il percorso come se il mattino tirasse lentamente i fili dell’alba inanellati alle dita e ai polsi, allo collo niveo, alle ciglia scure, alle palpebre che tremolano e si increspano, smuovono la superficie immobile del sonno, si aprono, sorridono.
“Buongiorno, mio Re.”
Loki la osserva. I suoi occhi non lasciano la presa su di lei un singolo istante: la osserva mentre solleva le belle spalle e le braccia, mentre tende le dita al soffitto arabescato, osserva il respiro alzarle la curva del seno, il freddo irrigidirle i capezzoli scuri, il singulto del diaframma che fa sussultare l’ombelico e il ventre e solletica lo scuro incunearsi delle cosce, fino alle profondità ancora umide dell’inguine.
Bella, oh, splendida Sif, che ora passa le unghie e le mani tra i capelli neri e doma nodi e ciocche, li tira e li manovra come briglie, splendida guerriera.
“Buongiorno, mia Regina.”
Sif gli sorride e Loki si muove sotto le coperte bordate d’oro, la invita con una mano e lei acconsente, gli è sopra, quel suo corpo già caldo, il dolce peso del pube e del seno a combaciare con le sue gambe e col suo petto.
“Abbiamo questioni importanti cui rivolgere la nostra attenzione.” Sif cerca di farlo tornare alla ragione, ma non è che un gioco cui le membra rispondono con piacere non appena le passa le mani sulla schiena, contando le vertebre di lei con la punta delle dita.
“Quanto importanti?”
“Molto importanti.”
“Ah.” Esala lui, già proteso a cercare la sua bocca, le sue belle labbra ancora arse di rossi baci “Sarebbe un così terribile peccato se siffatte…Questioni attendessero ancora un momento, mio Regina?”
“Se il Re è d’accordo sul fatto che siffatte questioni attendano…”
“Il Re.” Sillaba lui, assaporando sulla lingua ogni più piccolo respiro che arriva gemendo dalla gola di lei “E’ decisamente d’accordo.”
Chi non è d’accordo, Loki, ahimè, è costretto a scoprirlo a proprio spese. Passetti di corsa lungo il corridoio, manine chiuse a pugno che battono e bussano, strilli piccati, infastiditi, arrabbiati, Padre! Lo chiamano Padre! E il Re sorride, divertito, e Sif gli regala un bacio sulle labbra e sulla punta del naso, prima di spostare il bel corpo affusolato e coprire la pelle nuda con una tunica color smeraldo e a piedi nudi raggiungere le porte di legno pregiato, poggiare le dita sulle maniglie d’argento e scostarsi, perché le due figurette urlanti possano saltare assai più agevolmente sul materasso e raggiungere il povere Re, in modo da renderlo edotto sulle loro improrogabili rimostranze.
“Padre!” urla il più grande, che porta il nome di Mòdi “Padre, Magni si è trasformato in un serpente gigante e mi ha spaventato!”
“Non è vero!” tuona Magni, pestando il piede a terra con fare stizzito “Non era enorme! E non è mia la colpa se sei solo un pavido cialtrone!”
“Pavido cialtrone?” domanda Sif “Magni, chi mai ti ha insegnato simili discorsi?”
“E’ stato Fandral!” Mòdi coglie al volo l’occasione di seminare zizzania “Quando non è con quel suo nasaccio tra i libri è con lui che trascorre il tempo! E parlano di sangue e di spade e di battaglie!”
“La tua è bieca gelosia! Vorresti discorrere anche tu con Fandral e Hogun, mentre il tuo amore per i pasticci di carne non ti fanno porgere orecchio e bocca che al solo Volstagg!”
“Molto bene, ora basta.”
Loki è quasi divertito dallo scambio di battute. È quasi nostalgico, avverte una punta di amaro rammarico gelare un momento il sangue nelle vene. Nel sollevarsi dal letto, ecco, deve un istante guardarsi alle spalle e alzare gli occhi chiari al soffitto, alla propria destra, quindi a sinistra. Ha la sensazione di essere braccato. Dura un istante, un attimo appena, eppure è lì, un peso gli si annida sulle spalle, gracchia parole di veleno e timore.
“Dunque qual è il motivo di tanta agitazione? E’ solo il serpente, Mòdi?” lo interroga il padre “O è come dice Magni e la vera ragione è il mostro della gelosia che ti morde le dita dei piedi?”
Mòdi gonfia le guance, è arrabbiato.
“Mi ha spaventato. Si è trasformato in un serpente e ha finto di volermi strappare la pelle dalla faccia.”
“Magni.”
A quel tono, il bambino si stringe nelle spalle. Cerca gli occhi chiari in quelli della madre, forse sperando in un suo intervento. Sif, però, contrae le labbra e alza le sopracciglia scure.
Nessun aiuto arriverà dall’algida guerriera.

 

Il corridoio è silenzioso.
La sempiterna storia di Asgard osserva il suo passaggio dalle pareti, dagli arazzi, dalle volte e dagli stucchi. Lo sfidano a far meglio. A superare i suoi eroi in coraggio, i suoi re in saggezza, i suoi sapienti in arti e magie.
Loki non teme il confronto. È destinato a percorrere il sentiero tracciato per coloro che appartengono alla genia di Odino e lui ne è degno, più di chiunque abbia percorso quei corridoi, calcando il passo sul pavimento marmoreo..
Lui, Loki figlio di Odino, è il legittimo Re di Asgard. Il sovrano degno di sedere su Hiloskjàlf, il trono di Padre Tutto.
Finisce di formulare tale pensiero, s’arresta.
Al principio del corridoio, una figura si staglia contro la luce che erompe dalle sale principali. E’ lui, Odino, avvolto in una veste da camera color borgogna. Loki fissa con sgomento la punta delle babbucce che s’arricciolano sotto l’orlo dorato; guarda il calice che Padre Tutto tiene nella mano inanellata e non può non interrogarsi su quel gusto pacchiano, sulla posa indolente e sul vestiario. Più che Odino pare un attore, anzi, un mascalzone travestito come tale con la pretesa di poter governare i Nove Regni con una corona di cartapesta sul capo.
“Padre.” Esala “Ti credevo in viaggio.”
“E io.” Risponde Odino, con un tono beffardo che certo non gli appartiene “Ti credevo capace di riconoscere un tranello, oh Dio delle Malefatte.”
Loki s’irrigidisce.
“Come osi—“
“E’ ciò che sei, no? Il Dio degli Inganni e delle Malefatte, Loki Lingua D’Argento…”
“Basta!” esclama il re, con occhi di ghiaccio “Questi tuoi titoli sono soltanto menzogne! Spoglie del passato ormai dimenticate! Io sono Loki, figlio di Odino! Il legittimo Re di Asgard!”
Una risata malevola è la sola risposta che il mascalzone travestito di Odino gli concede.
“Perché ridi? Perché ti burli di me?”
Con orrore, Loki assiste al tremendo trasfigurarsi della creatura: spariscono la veste da camera, gli anelli, la barba bianca; lunghi capelli neri cadono da sotto un elmo dorato, le cui corna si curvano alte sulla sommità della testa. Il naso si fa affilato, sottili le labbra. I piedi calzano ora pesanti stivali neri e non più comode babbucce. La scura tinta borgogna diviene verde come fiele.
E Loki si guarda, ora, occhi negli occhi con se stesso, contro un riflesso maledetto e decaduto, che ha l’aspetto del rancore, della sconfitta, della redenzione, del disfacimento.
“Cielo.” Commenta il suo doppio, volgendo gli occhi astuti e freddi al mantello rosso sangue, alle placche di metallo rotondo che gli sfavillano sul  petto “E’ proprio quello che abbiamo sempre desiderato, non è vero?”

 
Sif lo ha trovato che ancora aveva lo sguardo intrappolato in un vuoto abisso.
Gli è occorso del tempo per capire dove si trovasse, ma non sa dare una spiegazione a ciò che gli è accaduto. Vuole raccontarlo a Sif, ma non trova le parole per farlo. All’ultimo incespicano sulle labbra stupidamente socchiuse e non è più in grado di formulare frase alcuna.
La rassicura, le dice di non temere, non è stato nulla, solo un’idea, un pensiero più arduo degli altri da seguire, non ne è ancora venuto a capo, nulla di cui debba essere spaventata, nulla che debba turbarla più del necessario. Ai re, sostiene, capita spesso di perdersi tra i marosi della propria mente, ma solo i più accorti, continua, prendono il largo su un legno spesso e adatto a domare flutti e correnti.
La Sala di Hiloskjàlf è già gremita di postulanti quando fanno il loro ingresso; Magni e Mòdi, di nuovo riappacificati, li attendono ai lati del trono. Hanno l’aria già annoiata ancor prima di cominciare la querula litania di richieste e offerte, in trepida attesa della conclusione e sognano l’orizzonte che si tende fuori dalle mura del Palazzo. Non hanno la pazienza necessaria, così come Loki non l’ha avuta prima di loro e forse nemmeno Odino, quando le pareti all’intorno erano di pietra appena sbozzata e dalle dita dei cantori stillavano lacrime di rosso sangue.
Nel tempo che i postulanti s’inchinano sfilando dinanzi al trono, Loki si ritrova a pensare a loro, ai suoi figli, a Sif dai capelli neri, ai Tre Guerrieri, ad Asgard, ai Nove Regni che sottostanno alla sua autorità. Osserva i volti dei suoi sudditi, le pieghe della veste nel genuflettersi al suo cospetto, domandando grazia e pietà. Rialza gli occhi e con orrore scorge la figura che l’ha sorpreso nel corridoio fissarlo, lì, all’entrata della Sala: ora sfoggia un abito blu, le cui fasce di tessuto cingono dense il petto e i polsi; un mantello dall’interno dorato poggia pigramente sull’avambraccio sinistro; alti stivali chiudono i polpacci fin sotto al ginocchio.
Il suo sorriso è ferino, divertito. e Loki si scopre incapace di porgere orecchio ai postulanti, a Sif che tende il braccio ben tornito a sfiorargli la mano, la dolce carezza dei polpastrelli sulle nocche.
“Come puoi non vedere?” lo canzona il suo doppio “Come puoi, oh Dio degli Inganni, non accorgerti del tranello di cui sei vittima e carnefice?”
I suoi passi, ora che a grandi falcate superano la coda che attende ondeggiando il proprio turno, non producono alcun suono sul pavimento lastricato. Nessuno degli astanti si accorge della sua presenza, della sua orgogliosa avanzata. Osa addirittura passare accanto a Mòdi, rivolgendo a lui e a Magni una rapida occhiata, un istante di fiato trattenuto, un’espressione ferita, sale la scalinata che rialza Hiloskjàlf, e ritto lo sfida, troneggia su di lui e pare adesso che abbia manette ai polsi, un collare di spesso metallo a chiudere la gola.
“E’ tutto ciò che abbiamo sempre desiderato.” dice “Noi siamo Inganno e Malefatta. Noi siamo il caos naturale, l’entropia dell’esistenza, il disordine che permea ogni Regno e freme tra le fronde di Yggradsil. Noi sapremo sempre cosa è vero e cosa non lo è, cosa è Menzogna, cosa è Reale. Ascoltami. Ascoltaci. Ascoltati. Tu sai cosa è Inganno, Malefatta, Menzogna. Per questo io sono qui e ti parlo e tu mi vedi. Io sono la Chiave che apre la tua gabbia dorata, oh mio Sovrano.” Lo deride “La tua Salvezza “ sorride, ora, e la pelle si tinge di azzurro, gli occhi hanno il colore del sangue, volute e segni che paiono cordoni di cicatrici butterano il viso, la fronte, le guance. “Io sono il tuo peggior incubo. Io sono la verità.”

 

Il cuore gli toglie il respiro. Il sangue si ritira dalle tempie in un risucchio gorgogliante, quindi deflagra contro la fronte, l’arcata sopraccigliare, persino le orbite. Il dolore è tanto violento da lasciarlo istupidito per alcuni minuti e le orecchie ronzano, i suoni sono distorti, ragliano lungo la spina dorsale. Gela. Inorridito, intirizzito, inebetito.
La vista si appanna, si confonde, è come perdere la presa, non avere più appiglio, e il reale si straccia e si sfalda, un istante, un attimo, pezze di immagini intessuti di forme e colori. La nausea monta alla bocca, sulle guance seccano lacrime e polvere, le labbra riarse colano gocce di sangue—Le dita di Sif gli coprono la mano, i suoi occhi lo cercano, le spalle sono piegate in avanti, il bel collo è teso, occhieggia dalla ciocca di capelli scivolata sulla spalla.
Ora respira di nuovo.
Nessuna fantasmagoria, nessun incubo.
Unicamente due figure incappucciate attendono che gli vengano rivolte attenzione e parola. Non vede il loro volto, indovina appena i loro corpi sotto al tessuto ruvido; il più massiccio dei due trasporta un sacco sulle spalle. Non sembra intenzionato a posarlo.
Loki inclina appena il capo e avverte il sudore gelare in minuscole stille lungo la nuca. La stessa Sif è tesa mentre i due vengono annunciati come viaggiatori dei Nove Regni, venuti al cospetto del Re per omaggiarlo con un dono.
Una strana elettricità permea l’aria. Scintille d’attesa crocchiolano e crepitano nel silenzio, tra i nodi e le trame di quel sacco che, Loki lo vede, è in più punti rovinato da incrostazioni marroni, in altre da macchie ancora fresche che hanno il colore del sangue.
Un sospetto gli balza alla mente e non fa in tempo ad alzarsi, ad intimare ai due di andarsene, a dare l’ordine perché siano trascinati fuori da Asgard, quindi banditi per tutti gli anni che saranno loro concessi dalla Norne, non in tempo, ecco, il sacco viene rovesciato di malagrazia sul pavimento.
E gli occhi spalancati e sgomenti e vuoti di Odino fissano Loki con accusa, e la testa mozzata rotola sulle grandi piastrelle lucide, tracciando dietro di sé un cammino di sangue secco e nervi e liquidi e umori.
Una risata sguaiata accompagna il frusciare dei mantelli e Loki trasecola e gli astanti prorompono in un grido di paura, uno stridio acuto e Sif s’alza in piedi e richiama Mòdi e Magni tra le sue braccia e i Tre Guerrieri si fanno avanti e la Guardia avanza, armi in pugno, scudo alzato.
Thor è lì, accerchiato, e non cessa la sua risata.
Anni e anni sono trascorsi da quando Odino l’ha bandito e la sua figura s’è fatta selvatica, il suo sguardo selvaggio. Dei lunghi capelli e delle trecce che portava alle tempie non sono rimasti se non dei corti ciuffi arruffati; il bel viso è deturpato da una magrezza acida e maligna, sulle guance bianche cicatrici artigliano la carne stopposa e dura. L’occhio destro è stato cavato via. Il sinistro si posa vorace su Loki.
Meno brutale, anche la seconda figura s’è tolta il cappuccio e il mantello. È bianca come bianchi sono i cadaveri afferrati dalle mani scheletriche della morte; dalle orbite livide spiccano occhi astiosi, pallidi. Solleva le braccia inguainate in un sudario attillato e nero, le dita affondano tra i capelli scuri e dalle ciocche aggrovigliate si innalzano dieci affilati aculei, dalle tempie alla nuca. Un sorriso deliziato le arcua la bocca cerulea.
Ogni cosa, in lei, ogni tratto, ogni piega ha il lezzo della morte. La sua pelle ha il sapore di un avvelenato, le sue labbra il colore di un annegato, il collo i duri tendini dell’impiccato.
“Loki!” esclama Thor, allargando le braccia con fare festoso “Che piacere vederti fratello mio, oh mio Re!” mima un inchino, esagera la riverenza, china la testa fin quasi a toccarsi le ginocchia con la fronte “Il mio regalo è di tuo gradimento?”
E qui accenna alla testa di Odino, che ha terminato la sua lugubre corsa proprio davanti alla scalinata del trono.
“Sei un folle.” Sibila Loki “Hai ucciso Odino! Hai ucciso nostro padre e ti ripresenti qui—“
“Ah, no, mio caro fratello, qui io devo fermarti. Non è tuo padre, lo sai.” Un ghigno ed ecco, Thor indica la donna cadaverica al suo fianco “Al contrario Odino è nostro padre. Mio e suo e, oh, accidenti, in questi anni ho davvero scordato le buone maniere. Lascia che ti presenti Hela, Loki. La prima, sanguinaria, barbara figlia di Odino. La legittima erede al trono di Asgard.”
Tra gli presenti s’alza un brusio come di api impazzite.
Hela rotea gli occhi pallidi al soffitto e storce la bocca, forse per il rumore fastidioso, forse per le scene di pace e armonia che si rincorrono sulle volte.
“Non mi piace quest’atmosfera.” Decreta “Le riunioni di famiglia devono essere intime.”

 

Li uccide. Uno alla volta. Li massacra e rapida come la morte falcidia sudditi e soldati, vecchi e giovani, uomini e donne. Le guance si tingono di rosso, il sangue le imbratta le mani e i suoi occhi sono lucidi e febbrili, infuocati. Nemmeno i Tre Guerrieri possono qualcosa e le viscere di Fandral insozzano il pavimento e Volstagg vomita sangue e saliva e dal petto di Hogun trafitto un ultimo respiro fischia nell’abbandonare i polmoni.
Sif estrae la spada e strattona i due figli, via, i soldati le fanno da scudo, un’uscita secondaria dietro il trono, ecco il suo obiettivo.
Ma non lo raggiunge.
I soldati le cadono ai piedi, un muro di cadaveri dal cranio sfasciato le blocca la strada e Thor la guarda, brandendo un’ascia immonda, già grondante di umori.
“Lode a te, Prode Sif.” Mostra i denti in un sorriso da belva e gira la testa verso Mòdi e Magni, ancora stretti alle gambe della madre, impauriti oltre ogni dire “Salute a voi, figli miei.”
“No!” dalla cintola Loki estrae due coltelli e una copia di se stesso sfolgora dalle sue membra e per prendere tempo balza contro Hela, che ancora danza la sua immonda carola funebre “Fatti da parte, Thor! Non osare alzare un dito su di loro!”
“Ho pieno diritto su di loro!” tuona il fratello, le dita strette all’impugnatura dell’ascia “Ho potere sulla loro vita, se desidero! Sulla loro morte, se così voglio!”
Sif contrae la mascella e il petto si alza in un respiro ringhiante. In un lampo di armatura si getta su Thor e la spada fischia e saetta, assetata di sangue, bramosa di vendetta. Lui la tiene lontana, una, due, tre volte, avanti e indietro, feroci entrambi, col cuore che pulsa dentro le tempie e nel fondo degli occhi, finchè col piatto dell’ascia le colpisce la tempia e la bella Sif stramazza al suolo e la testa ruota sulle scapole e l’ultimo sguardo che mai rivolgerà al mondo si posa pietoso sui figli stretti nell’ombra dell’avversario.
Per Loki ogni istante è in incubo che ha principio, ma non fine. Per ogni passo che compie verso Mòdi e Magni, ecco che Hela arriva per sbranarlo e lui l’allontana e lei è lì di nuovo, lo rallenta, gioca, perché possa vivere ogni singolo attimo che lo separa dalla morte dei suoi prediletti. Non vuole ucciderlo, non ancora, vuole godere della sua sofferenza, vuole nutristi del suo insignificante, patetico tentativo di salvare le loro vite.
Le mani di Thor si posano l’una sul capo di Mòdi e l’altra sul capo di Magni, in una pantomima di carezza, di amore paterno; li guarda con un sorriso di bestia, preme le dita sui crani e loro urlano e si dimenano e la stretta si fa più forte.
“Sapete, mi ricordate Sif.” Narra, una stomachevole storia di tempi passati “Vostra madre aveva la stessa espressione quando l’ho violentata.”
E il rumore delle ossa che si frantumano e delle cervella stritolate tra le mani riempiono la Sala.
Hela ride, ride, ride, e Loki urla e grida e bestemmia e non vede altro, ora, che rosso e vendetta e pianto e morte e odio e ira e furore cieco. Si avventa su Thor, si avvinghia come Serpe al suo corpo, vuole spezzarlo, vuole strappargli la carne dalle ossa e il costato dal petto e la bocca e i denti e la lingua e sbranare le dita e le braccia e azzannargli lo stomaco nel tripudio bollente degli intestini che riempiono di sangue la bocca e gli occhi di lacrime.
E Thor ride, ride, ride, ulula, abbaia, è folle, è pazzo, gli chiude la gola tra le mani e sono solo loro, adesso, e Asgard è in fiamme e i Nove Regni rovesciati e il fuoco li divora e non c’è più scampo.
Non c’è più salvezza.
“E’ quello che volevi, no, fratello mio?” lo deride Thor “Questo è tutto ciò che hai sempre desiderato.”
E Loki alza lo sguardo e lo vede, lì, il suo doppio che lo fissa di rimando, intoccato dalle fiamme, dallo scorrere del tempo e degli eventi.
“Non è reale.” Sussurra e si guarda le mani e guarda il trono e il corpo di Sif e i resti dei bambini e il groviglio di membra che era il suo popolo “Non è reale.” Ripete e l’altro se stesso gli rivolge un sorriso che non è tale, è solo una rapida smorfia.
“Non è reale!”
E il respiro infine si spezza.

   
 
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