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Autore: veronica85    19/04/2018    32 recensioni
AU No Foresta incantata. Seattle, Settima stagione. Canon Divergence a partire dalla 7x04 inclusa. E se i ricordi che i personaggi hanno acquisito tramite la maledizione non fossero falsi? Se la Foresta Incantata, la magia, i portali non esistessero e Ivy, Jacinda, Victoria fossero davvero i nomi dei personaggi che conosciamo e non semplici coperture? Come sarebbero le loro storie? Henry, Ivy e Jacinda, ognuno coi propri problemi e fantasmi: come le loro strade potrebbero incrociarsi? E come potrebbero, Lucy e Anastasia influenzare le loro scelte?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anastasia Tremaine, Henry Mills, Ivy Belfrey/Drizella Tremaine, Killian Jones/Capitan Uncino, Lucy
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ciao a tutti! Pubblico per la prima volta in questo fandom, anche se mi ero ripromessa che avrei atteso di avere più capitoli scritti, ma non ce la posso più fare xd. Da quando la settima stagione di OUAT è iniziata mi sono appassionata al personaggio di Ivy/Drizella, adoro la sua storia e il rapporto che ha con gli altri personaggi, in particolare con Henry. Li vedo troppo bene insieme e, dopo aver letto una marea di fanfiction su di loro, in inglese, mi ero ripromessa di scrivere qualcosa anch’io, visto che, quando ho cominciato a pensarci, in italiano non esisteva ancora niente riguardo la settima stagione. Ma le mie fanfiction sono sempre lunghe e ho talmente tante idee per la testa che ne ho cominciate ben due, ancora ben lungi dal concludersi. Questa è la seconda che ho iniziato, ma quella di cui ho definito meglio trama e personaggi. Si tratta di un AU, ambientato a Seattle in cui sono reali SOLO le identità maledette dei personaggi. Tutti i ricordi creati dalla maledizione sono quindi veri e non esistono magia o portali o altri mondi. In questa storia, Anastasia è la sorella MINORE di Ivy, per mantenere inalterate le età dei personaggi, senza necessità di maledizoni varie.
 
Ho finito di annoiarvi, giuro, fatemi solo sapere cosa ne pensate. Se qualcosa non risulta chiaro, a meno che non l’abbia volutamente scelto, spiegherò tutto nelle successive note.

 
Halloween. Ogni anno, in quel periodo, tutte le città americane cambiavano aspetto, rivestendosi di un alone spettrale e facendo fiorire zucche ad ogni angolo della strada. Henry ricordava di averlo amato per molto tempo e di essersi divertito un mondo ad accompagnare Abigail di casa in casa per il classico trick or treat. Ma da quando lei non c’era più, quella festa per lui non era nient’altro che l’ennesimo modo in cui i negozianti riuscivano a fare soldi. Da tre anni non gliene importava più niente e, in quel preciso giorno, si limitava a starsene tappato in casa augurandosi che il tempo trascorresse il più in fretta possibile. Il giorno prima, però, qualcosa era cambiato: dopo troppo tempo era riuscito a ripassare al cimitero e a soffermarsi davanti alla tomba della sua bambina. Ed era stato lì che aveva capito: lei e Lauren sarebbero state molto deluse di vedere come stava reagendo. Di certo, se fossero state lì, lo avrebbero spronato ad uscire e a godersi la festa anche per loro. Ed era stato con quel pensiero in testa che si era ritrovato a vagare per le strade di Seattle, sbirciando le vetrine e osservando i preparativi e, in particolare, i costumi sfoggiati dai bambini che sciamavano per le vie brulicanti di vita. Individuò l’insegna del bar di Roni e fu quasi tentato di entrare a bere qualcosa… ma no. Non era questo che aveva sempre inteso con “godersi la festa”. Magari ci avrebbe fatto un salto alla fine della giornata: al momento, la cosa più urgente era fare una capatina in un negozio di dolci e saccheggiarlo, così da poter distribuire il suo bottino ai bambini che avrebbero incrociato la sua strada come un insolito Babbo Natale fuori stagione. E dato che quella festa era stata un vero e proprio culto per la sua famiglia per anni, non si sarebbe limitato a barrette di cioccolata scelte a caso: avrebbe selezionato solo il meglio. Come animato da una nuova energia, si avviò velocemente verso la sua macchina. Non era interessato ai grandi negozi che di certo sarebbero stati immediatamente presi d’assalto da centinaia di ragazzini urlanti e scalmanati. Lui ne conosceva uno speciale e fu lì che si diresse, certo di trovare esattamente quello che stava cercando. Mezz’ora dopo, usciva trionfante col suo bottino: bastoni di zucchero, cioccolato al peperoncino, cioccolato al latte, fondente, extra fondente, bianco, bianco e nero, alle nocciole… tutti di ottima qualità. La padrona del negozio era un’esperta cioccolataia che usava un ingrediente nella preparazione che dava quel qualcosa in più a tutti i suoi prodotti: tutti gli anni tentava di indovinare quale fosse e puntualmente, finiva con lo sbagliare. Ma adesso, non era quello l’importante: la sua prossima meta era la North Avenue, dove, generalmente si concentravano sempre pochissimi ragazzini poiché tutti conoscevano la taccagneria degli abitanti di quella zona. Non ci mise molto a raggiungere la zona, fare il tassista gli aveva permesso di conoscere un sacco di stradine secondarie e vie traverse. Come aveva previsto, non c’erano molti ragazzini. Uno era veramente strano, aveva un sacchetto in testa e sembrava discutere con l’adulta di fronte a lui. Henry si avvicinò curioso, non potendo fare a meno di origliare
«Uffa, non mi hai neanche voluto truccare il viso! Almeno possiamo andare nella parte sud della strada? C’è una magnifica casa stregata! Questo isolato è così noioso!» Ma quella non era… la voce di Lucy? Sì, in effetti sembrava proprio la sua…e guardando meglio, Henry riconobbe, nell’adulta che stava parlando con lei Ivy, la sorella di Jacinda. Ma perché Lucy girava con un sacchetto in testa?
«Saresti tu quella scontenta? Io mi sto perdendo il ballo in maschera perché la mamma vuole assicurarsi che la sua preziosa Lucy si diverta!» Sul serio? Chi era l’adulta tra le due? Stava davvero discutendo con una bambina? Henry affrettò il passo arrivando accanto a loro giusto in tempo per sentire la replica della bambina:                                                  
«Non mi diverto e tu non ti stai perdendo niente: non sei stata invitata quest’anno. Ti ho sentita mentre te ne lamentavi…» Prima che Lucy avesse il tempo di continuare, o Ivy di ribattere, Henry decise di intervenire:
«Ivy! Ehi, che ci fai qui in giro? Pensavo dovessi essere a lavoro…». Come in fondo avrebbe dovuto fare lui se non avesse deciso di prendersi un giorno libero. L’espressione della ragazza, fino a quel momento imbronciata, sembrò distendersi lievemente. «Henry! Ciao!» gli sorrise mentre Lucy si toglieva il sacchetto dalla testa spazientita, prendendo la parola.
«Dovevamo andare a fare trick or treat, ma lei non ha voglia: non ha voluto truccarmi, né andare alla casa stregata: mi sto annoiando a morte, questa giornata fa schifo!» Ivy avrebbe voluto strangolarla: che razza di figura le stava facendo fare? Ok, era tutto vero, ma… maledizione! A quella ragazzina era sempre tutto dovuto e toccava sempre a lei assecondare i suoi capricci. Avrebbe solo voluto….
«Beh… forse ho qualcosa che potrebbe farti cambiare idea…. guarda» propose Henry sollevando il sacchettino ed estraendone alcuni dolciumi. Li porse a Lucy con un sorriso e lei, al settimo cielo, gli gettò le braccia al collo, dopodiché scappò un po’ più avanti a rimirare il suo bottino. Ivy gli rivolse un’occhiata storta:
«Bene, Autore, hai fatto la tua buona azione quotidiana, il tuo senso del dovere sarà appagato fino a domani». Da dove diavolo le era uscita una risposta così acida? Come poteva pretendere di andargli minimamente a genio se…
«Ehi, datti una calmata! Stavo solo cercando di essere gentile. Che problema hai?». Ecco, appunto. Ivy sospirò, riponendo il cellulare e guardandolo negli occhi:
«Mi dispiace. È che sono… insomma… credo di essere un po’ nervosa. E se devo essere sincera, l’ultima cosa che mi andava di fare oggi, era portare Lucy in giro ad elemosinare. Ma Jacinda è in punizione a causa della vostra bella pensata dell’altra volta, quindi tocca a me starle dietro». Cosa che avrebbe anche potuto evitarsi: con tutti i soldi che aveva, sua madre poteva ben permettersi una babysitter, perché diavolo doveva essere sempre lei a rimetterci se Jacinda combinava casini? Ma, ovviamente, quello non era un problema di Henry:
«Intendi la petizione per il parco? Mi dispiace che abbia causato problemi, ma… era la cosa giusta. E sai? Lucy non sta elemosinando, non devi vederla così. Si tratta solo di un gioco: i bambini si divertono e la maggior parte degli adulti li asseconda volentieri. Sai, pagherei oro per avere ancora qualcuno da accompagnare…».  L’espressione di Henry a quell’ultima aggiunta era così triste che Ivy non se la sentì di ribattere. Uno strano silenzio calò tra loro, interrotto poco dopo, di nuovo dalla voce di Henry:
«L’ultima volta che ho fatto trick or treat è stato quattro anni fa: Abigail aveva cinque anni e io e Lauren l’abbiamo portata in questo negozio, quello in cui ho preso i dolci che ho dato a Lucy e la proprietaria le ha regalato tanti biscotti quanti ne entravano nel suo dito medio. Poi l’abbiamo portata in giro per le case e lei si è divertita un mondo a spaventare la gente col suo costume da Wicked Witch of the West. Lauren aveva anche trovato il modo di farle la faccia verde… Cavolo!» esclamò, rendendosi improvvisamente conto di quanto aveva appena detto «Mi dispiace. Di certo non sei qui per sorbirti una predica o per sopportare le mie paturnie. E comunque, non ha più importanza, ormai» concluse, scegliendo di rivolgere lo sguardo nella direzione in cui si era allontanata Lucy. Dal canto suo, Ivy era paralizzata. Si sentiva un’idiota: Henry aveva ragione, c’erano cose, nella vita, ben più importanti e più gravi di uno stupido ballo in maschera… ma lei aveva preferito fingere che così non fosse. E come avrebbe dovuto comportarsi, adesso? Normalmente, non le sarebbe importato, ma Henry era diverso: le era piaciuto subito, dal giorno in cui si erano conosciuti, anche se lui era sembrato interessarsi maggiormente a Jacinda… e forse cominciava a comprenderne il motivo. Fu sul punto di chiedergli maggiori chiarimenti, ma l’espressione di lui la trattenne: aveva la sensazione che fosse una questione delicata, come lo era per lei parlare di Ana. Sospirò tentando di trattenere le lacrime: le mancava ogni stramaledetto giorno ed erano già passati nove anni da quando l’aveva persa. Ad interrompere il corso dei suoi pensieri, intervenne Lucy:
«Possiamo andare? Sono stata in tutte le case di questo isolato». Anche Henry sembrò riscuotersi dal torpore e si rivolse alla bambina:
«Hai ottenuto tanti dolci? Posso vedere?» Lucy gli porse il sacchetto, al cui interno Henry individuò varie marche di cioccolata e altri dolci che avrebbero di certo causato alla bambina un colossale mal di pancia, se li avesse mangiati tutti quella sera. E comunque, nessuna di quelle barrette poteva rivaleggiare con quelli che aveva acquistato lui. Era ancora il miglior cacciatore di cioccolato, dopotutto. Cercando di non montarsi troppo la testa, tornò a rivolgersi alla bambina:
«Da cosa sei vestita?» Lucy fece una smorfia.
«Dovrebbe essere un costume da scheletro… ma senza trucco non si capisce e non spavento nessuno!» si lamentò lanciando un’occhiataccia ad Ivy. La giovane donna alzò gli occhi al cielo:
«Se hai finito di infastidire Henry con queste paranoie, andiamo». Non poteva farci niente, era più forte di lei: quelle feste la rendevano ancora più acida. Il pensiero che tanti bambini potessero divertirsi senza pensieri, mentre Ana… non riusciva neanche a concepirlo, figurarsi accettarlo!
«Non mi dà fastidio, anzi… che ne direste se mi unissi a voi? Il mio programma era starmene tappato in casa, ma… forse è meglio che eviti per oggi: mi metterei a scrivere e so già che non ne uscirebbe niente di buono. Magari fare un giro mi metterà dell’umore giusto… e almeno non starei per conto mio» concluse, guadagnandosi l’espressione sconcertata di Ivy:
«Sicuro di averne voglia? Pensavo…» Cosa? A dire il vero aveva smesso di pensare da qualche minuto, non era del tutto sicura che il suo cervello connettesse adeguatamente.
«Ne sono sicuro, grazie, non preoccuparti. Piuttosto…» continuò rivolgendosi a Lucy «…parliamo di cose serie: qual è la prossima meta?». La bambina sbuffò:
«Volevo andare alla casa stregata, ma così conciata sono ridicola! Senza trucco, nessuno si spaventa, meglio tornare a casa» Lucy aveva messo di nuovo il broncio: le era venuto in mente che Henry non poteva passare del tempo con Ivy. Lui doveva stare con sua madre, erano una così bella coppia, e lei desiderava così tanto che lui diventasse suo padre… ma se fosse uscito con Ivy, la mamma ci sarebbe rimasta male e non gli avrebbe parlato per un po’ e questo lei non poteva permetterlo.
«Beh, è un po’ difficile truccarti in mezzo alla strada e senza trucchi…». Tentò Henry.
«Ma lei ce li ha, i trucchi, la nonna glieli ha dati, e…» Lucy, che aveva interrotto Henry, venne a sua volta stoppata da Ivy.
«Ok, senti ragazzina, mi hai scocciato! Vuoi truccarti? Adesso troveremo un dannato bagno e ti truccherò, ma poi non voglio più sentirti fiatare, sono stata chiara?» Dannazione! Perché diavolo si era cacciata in quella situazione? Non ne poteva più, voleva andare a casa! Senza attendere oltre, si avvicinò a sua nipote, afferrandola per un braccio e incitandola a darsi una mossa, solo per essere, a sua volta, bloccata da Henry:
«Ok, tutte e due, calmatevi. Ho un piano, se mi state a sentire. Adesso troveremo un bar, magari vi offro anche qualcosa da bere e magari Ivy può truccarti lì. Che ne dite?» Ivy trasse un profondo respiro: era appena stata incastrata definitivamente ma… in fondo, poteva andarle peggio: la compagnia di Henry non le dispiaceva affatto e finché fosse rimasto con loro, come sembrava intenzionato a fare nonostante lei gli avesse dato la possibilità di defilarsi, la giornata sarebbe stata almeno passabile. E se perdere mezz’ora a truccarla avesse significato che Lucy si sarebbe risparmiata ulteriori capricci, era disposta a prestarsi.
«D’accordo, andiamo, forza!» accettò prendendo una direzione a caso alla ricerca di un qualsiasi bar. Furono fortunati: ne individuarono uno dopo appena dieci minuti di ricerca. E c’erano diversi tavoli liberi. Ne scelsero uno un po’ appartato: Lucy aveva rifiutato la cioccolata che Henry le aveva offerto e si era seduta accanto ad Ivy per agevolare il trucco. Voleva che i due adulti restassero ben concentrati su di lei, non dovevano avere il tempo di chiacchierare o diventare amici: era la sua personale missione giornaliera. Ivy osservò perplessa i trucchi che sua madre le aveva dato: doveva essere scritto da qualche parte, molto chiaramente, che fossero anallergici e quindi adatti anche ai bambini, ma non riusciva ad individuare la scritta da nessuna parte. Girò e rigirò il tubetto, controllò anche la scatola e il foglio illustrativo, ma nulla, non vedeva niente. Cavolo… sua madre si era sbagliata? No, non lei, ovviamente, una delle sue altre assistenti, magari. Chissà cos’avevano capito e ora lei si ritrovava con un prodotto quasi certamente sbagliato, impossibilitata a rimediare in tempo utile all’errore, dato che, per godersi tranquillamente la festa, quel giorno tutti i negozi che non vendevano dolci o qualsiasi altro genere di cibo avevano tenuto aperto solo mezza giornata. E se ora non avesse assecondato Lucy, dopo che gliel’aveva promesso, sarebbe stata di nuovo la zia cattiva e avrebbe scatenato altri capricci. Sospirò e prese un po’di cerone, cominciando a passarlo sulle guance della nipote e pregando che andasse tutto bene:
«Ti ricordo che non ho comprato io questa roba, non voglio responsabilità se ti viene un’irritazione, chiaro?». Henry, incuriosito, afferrò la scatola di fronte a lui: c’era scritto Cerone bianco. Osservò Ivy perplesso: qual era il problema? Ne esistevano anche per bambini: Lauren l’aveva comprato verde, per Abigail, quando la mascherarono da Wicked Witch. Intanto Ivy, continuava a passare il trucco sul viso di Lucy chiedendosi perché diavolo avesse assecondato quella follia. Se il giorno dopo, Lucy si fosse ritrovata completamente arrossata, tutti avrebbero dato la colpa a lei. Si impose di non pensarci e, un quarto d’ora dopo, aveva concluso: Lucy ora era un perfetto scheletro, col viso bianchissimo e gli occhi infossati al punto giusto. Henry sorrise:
«Stai benissimo, Lucy, sei uno scheletro perfetto! Dai, alzati, ti faccio una foto e poi andiamo» la invitò, mentre finiva rapidamente la sua cioccolata. Detto, fatto: pochi minuti dopo erano fuori, sulla strada per la casa stregata. Lucy saltellava impaziente, tirando Henry con sé:
«Dai, andiamo! Dicono tutti che è bellissima, non vedo l’ora di vederla!». Lo scrittore si lasciava trascinare sorridendo: gli piaceva l’esuberanza di Lucy, gli ricordava Abigail ed era disposto ad assecondarla in qualsiasi cosa. Raggiunsero presto la loro meta. Lucy saltellava di gioia: finalmente erano arrivati e c’era pochissima fila! Strinse forte la mano di Henry, tirandolo in quella direzione:
«Dai! Vieni! Andiamo!» Henry, già pronto ad assecondarla, si voltò verso Ivy, notando che non li stava seguendo:
«Tu non vieni?». Ivy, sorpresa, trasalì: a dire il vero odiava le case stregate con tutto il cuore, non le aveva mai sopportate, sarebbe rimasta lì volentieri. Eppure, c’era una parte di lei che voleva andare e non solo per passare ancora del tempo con Henry: per quanto la considerasse insopportabile e irritante, doveva assicurarsi che Lucy fosse al sicuro. Prima che avesse il tempo di rispondere, Lucy stava già tirando Henry in direzione dell’ingresso: a quanto pare, a sua nipote non interessava la sua presenza, le bastava quella di Henry. Poteva davvero rischiare? Prima di riuscire a prendere una decisione chiara, Ivy sentì se stessa dire:
«Andate voi, io vi aspetto qui. Però… Henry, tienila d’occhio, d’accordo? Non mollarla un secondo». Dio, era impazzita? Che diavolo le era saltato in mente? Stava consapevolmente permettendo a qualcuno di portarle via un’altra bambina da sotto gli occhi. Ok, questa era la figlia della sua sorellastra ed era una rompiscatole galattica, ma… se sua madre l’avesse sentita, l’avrebbe presa a ceffoni «Sono seria: se scappa, mia madre mi uccide». E, in ogni caso, non era solo quello a farle salire l’ansia: si stava fidando di Henry solo perché era lui, le era sembrato una persona pulita fin dal primo momento. E la storia che le aveva raccontato, senza che lei gli chiedesse nulla, l’aveva convinta che non avrebbe mai potuto fare del male a Lucy. Come in risposta a quei pensieri, Henry annuì:
«Non preoccuparti, andrà tutto bene. Anzi, facciamo così…» continuò, estraendo il cellulare dalla tasca «ti do il mio numero, così, se ci fosse un qualsiasi problema, saremmo subito in contatto. E poi, almeno potrò mandarti la foto che ho fatto a Lucy». Ivy sorrise: quello era un punto a suo favore, un ulteriore motivo per dargli fiducia. E una svolta decisamente inaspettata che non le dispiaceva affatto.
«Ok, aspetta… dimmi». Lucy li guardava orripilata: doveva fare qualcosa!
«Non serve, davvero! Prometto che starò sempre vicino ad Henry e sarò buonissima, lo giuro!». I due adulti la guardarono interdetti, decidendo di ignorare quell’ennesimo capriccio e lo scambio si concluse senza intoppi. Lucy non sapeva cosa fare: che stava succedendo? Non doveva andare così, quei due non dovevano scambiarsi addirittura i numeri di cellulare, non andava affatto bene! Henry, intanto, l’aveva presa per mano:
«Allora noi andiamo, ci rivediamo qui tra… direi un’ora, credo possa bastare…». Ivy annuì, osservandoli allontanarsi finché l’ingresso della casa stregata non li inghiottì. Solo a quel punto si chiese se davvero avesse fatto la scelta giusta: onestamente, non poteva dire di conoscere davvero Henry. Sapeva che Jacinda lo considerava un amico e si fidava di lui, ma lei non era esattamente il termine di paragone ideale, dato che si fidava di tutti. L’aveva fatto una volta di troppo e il risultato era stato una mocciosa di otto anni che ultimamente era costretta a sorbirsi troppo spesso. In ogni caso, Henry e Lucy non erano troppo lontani da lei, avrebbe potuto raggiungerli in qualsiasi momento. E Henry le aveva dato un tempo massimo. Inoltre aveva il suo numero e quello di Lucy (aveva sempre considerato una follia dare un cellulare ad una ragazzina della sua età ma forse, non era poi così fuori di testa, dopotutto) poteva chiamarli quando voleva. Avrebbe atteso la fine dell’ora che avevano concordato, poi, se non fossero tornati entro i successivi cinque minuti, avrebbe fatto squillare i loro telefoni senza pietà e, se nessuno dei due avesse risposto, avrebbe chiamato la polizia. Tranquillizzata da quella risoluzione, mise una sveglia sul cellulare, poi tornò a guardare le sue mail.
Nel frattempo, Henry e Lucy stavano esplorando la casa stregata: la bambina sembrava molto più rilassata e non faceva che trascinare il suo accompagnatore da un punto all’altro, senza sosta. Ed era eccitatissima perché, finalmente, con il costume completo, era riuscita a spaventare qualcuno. Henry non era in grado di starle dietro: era un vero vulcano e la prima metà del tempo era trascorsa con lui che la rincorreva. Poteva sentirsi vecchio a poco più di trent’anni? A quanto pareva, sì. O almeno, era fuori allenamento: Lucy stava mettendo a dura prova la sua resistenza. Ma doveva rimanerle appiccicato, o Ivy gli avrebbe cavato gli occhi. Non si era dimenticato il tono che aveva usato quando gli aveva chiesto di tenere d’occhio la nipote. E, ne era sicuro, a preoccuparla non era solo ciò che avrebbe potuto dire sua madre. Doveva esserci di mezzo qualcos’atro. Chissà se un giorno avrebbe scoperto di cosa si trattava. Lui invece, si era esposto più di quanto avesse mai fatto con chiunque. Non sapeva spiegarsi cosa gli fosse preso, forse aveva solo voluto che lei capisse che esistevano anche altri punti di vista. Ma probabilmente aveva esagerato e l’aveva messa in imbarazzo. Maledizione, era un vero idiota! Quando fossero usciti di lì si sarebbe scusato e magari, le avrebbe chiesto di dimenticarsi di quella storia. A proposito di chiedere…. Accelerò il passo, raggiungendo Lucy: gli era venuto in mente…
«Ehi, Lucy, aspetta! Devo chiederti una cosa». La bambina si voltò, regalandogli un sorriso che, con quel trucco, sembrava leggermente inquietante: Ivy aveva fatto decisamente un buon lavoro.
«Cosa c’è? Dai, vieni, abbiamo quasi finito il giro e quest’ultima parte deve essere fichissima!» esclamò, oltrepassando una serie di ragnatele e ragni che si calavano dal tetto. C’erano i tipici rumori che ci si poteva aspettare: l’ululato di un lupo, il fischio del vento, il tipico verso di un fantasma e la risata maligna di una strega. Più che spaventata, Lucy sembrava eccitata. Quella era una notevole differenza tra lei e Abigail, forse perché avevano anche due età diverse. Abby era scoppiata a piangere quando la risata della strega l’aveva spaventata e lui l’aveva stretta forte tra le braccia, assicurandole che lui non avrebbe permesso che le facessero del male. E poi… poi, solo qualche mese più tardi, era stato incapace di mantenere quella promessa. Scosse la testa: non ci doveva pensare, ora, doveva concentrarsi su Lucy e riportarla a sua zia sana e salva. E poi… ecco, avevano cominciato una discussione:
«Sono curioso. Ho visto che tu e tua zia non andate molto d’accordo. Come mai? Bisticciate sempre così quando state insieme?» Lucy mise il broncio:
«Dobbiamo proprio parlare di lei? Lei è cattiva, non mi piace stare con lei, ogni volta mi annoio. E oggi non voleva nemmeno portarmi qui, nonna l’ha dovuta costringere» Henry annuì: l’ultima parte corrispondeva a quello che gli aveva detto Ivy.
«Beh, da quanto ho capito, tua zia ha una visione un po’… distorta di questa festa, che non le permette di apprezzarla come si deve. Se poi litigate continuamente, capisco che nessuna delle due muoia dalla voglia di stare insieme un intero pomeriggio. Ma…» si interruppe, cercando di scegliere le parole giuste «…sai, Lucy, Ivy è pur sempre tua zia, è una parte della tua famiglia. E io sono sicuro che in fondo, vi vogliate bene. Lei deve essere di sicuro meno brusca, e questo è un fatto, ma tu… che ne dici se, quando usciamo di qui provi a coinvolgerla un po’? Da quando sono arrivato, le uniche volte che ti ho sentito rivolgerle la parola è stato per lamentarti. E sai, neanche io vorrei stare tutto il pomeriggio con una bambina lamentosa, specie se è qualcun altro a costringermi».
«Non sono una bambina lamentosa!» protestò Lucy indignata. Perché sbagliava sempre e solo lei? Veniva sempre rimproverata non era giusto!
«Infatti no, non lo sei» ammise Henry, nel tentativo di placarla, «ma con lei lo sei stata da quando vi ho incontrate. Non è stato piacevole, ascoltarti, te l’assicuro. E se l’avessi fatto con me, che non sono tuo parente e non sono costretto a stare con te, probabilmente me ne sarei andato e sarei tornato a casa. Ovviamente Ivy non può farlo, perché non è così irresponsabile da lasciarti da sola. E anche adesso, l’ha fatto solo perché c’ero io con te. E perché ha il mio numero di cellulare. Di sicuro se non avessi proposto io di darglielo, lei me lo avrebbe chiesto. È normale, sei sua nipote, si preoccupa per te». Lucy sbuffò: quel discorso non le piaceva, faceva sembrare Ivy una brava persona e lei non lo era.
«Lei si preoccupa solo di quello che penserebbe la nonna, non lo capisci? Le importa solo che la nonna la lasci in pace. E non è vero che mi vuole bene, lei non vuole bene a nessuno!». Henry sospirò: era inutile discutere, Lucy si era intestardita e non sarebbero state due parole a farle cambiare idea. Magari doveva solo crescere e imparare a guardare oltre le apparenze. E forse stava ad Ivy fare un primo passo e ammorbidirsi, dimostrando esplicitamente ciò che lui credeva di aver intuito durante la loro conversazione. Proprio in quel momento, il suo cellulare squillò: ecco, parli del diavolo… era già passata un’ora?
«Ehi, siamo ancora vivi. E abbiamo quasi finito, il tempo di tornare indietro e arriviamo. Ti passo Lucy? D’accordo, allora… tra poco siamo fuori» concluse riagganciando. Si voltò verso Lucy «Era tua zia, siamo in ritardo sull’orario che le avevo dato. Andiamo, forza, non facciamola preoccupare» la invitò, prendendola per mano. Mentre la conduceva fuori, Lucy mise nuovamente il broncio:
«Te l’ho detto, lei non si preoccupa! Non le importa di nulla, se non di quello che penserebbe la nonna». Henry scosse la testa: che razza di famiglia incasinata erano? Aveva sentito una nota di sincera preoccupazione nella voce di Ivy durante la chiamata e non voleva credere che fosse dovuta solo a ciò che gli altri avrebbero potuto pensare di lei. E cosa spingeva Lucy ad essere così convinta delle sue teorie? Varcò la soglia della casa stregata uscendo all’esterno e tenendo saldamente la mano della bambina. Ivy li aspettava non molto distante e andò subito loro incontro:
«Eccovi. Allora, ne è valsa la pena? Era davvero così magnifica questa casa stregata?» Henry le regalò un sorriso a cui lei istintivamente rispose e strinse leggermente la mano di Lucy spronandola in silenzio a seguire il suo precedente consiglio. La bambina annuì:
«Sì, moltissimo, c’erano un sacco di fantasmi, ragni, streghe…e tantissimi Jack o’ lantern appesi ovunque. E ho trovato altri bastoncini di zucchero. Ne porterò un po’ anche alla mamma». Lucy osservò l’espressione di Henry: andava bene? Era stata brava? Era questo che intendeva? Era tranquillo, non l’aveva guardata male, quindi doveva aver fatto bene.
«Ha ragione, sai, è stato divertente, saresti davvero dovuta venire con noi» Ivy strinse le labbra, scuotendo la testa:
«Fuori questione. Non sopporto le case stregate, mi mettono ansia, non ci entrerei nemmeno sotto tortura. Ecco perché non mi andava di portarcela». Tanto… quello sembrava il giorno delle confessioni, per lei ed Henry e quest’ultima non era stata poi così terribile… o almeno credeva… Henry la stava guardando come se avesse appena detto di venire da un altro pianeta. Sbuffò:
«Beh, che c’è? Mi è spuntata una seconda testa e non me ne sono accorta?»
«Ah… no… no, certo… è che… è tutto finto, sai, è un gioco…». Oh, fantastico, ora Henry la considerava una bambina fifona! Trattenne un ringhio:
«Ma davvero? Ci arrivo anch’io, grazie, non è quello il punto. Vuoi farmi credere che non è mai spuntato nulla dietro di voi? O non ci sono state grida improvvise? Io non sopporto gli agguati, mi sale l’ansia, d’accordo? E se volete considerarmi una bambina, fatelo, va bene? Non mi interessa!» Cavolo! Quella giornata andava sempre peggio! E ora ci si metteva anche Henry, l’unico che fino a quel momento era stato in grado di sollevarle l’umore con la sua sola presenza. Per fortuna erano già le 19, a breve Jacinda avrebbe finito il turno e avrebbe potuto riconsegnarle la sua ragazzina. Dopodiché sarebbe andata a seppellirsi in camera sua, tentando di dimenticare quella giornata. Afferrò bruscamente la nipote per mano:
«Forza, andiamo, ti riporto da tua madre, abbiamo un po’ di strada prima di arrivare da Cluck’s. Grazie della compagnia, Henry». Perfetto, ora aveva definitivamente bruciato ogni possibilità che lui le parlasse di nuovo… pazienza, sarebbe di certo sopravvissuta, aveva resistito a cose peggiori. Si mosse di buon passo… solo per essere bloccata da una mano adulta e una voce che credeva non avrebbe più sentito, almeno per quel giorno:
«Ivy, aspetta!» si voltò esasperata, incontrando gli occhi di Henry. Sembrava mortificato. Abbassò lo sguardo: perché diavolo non la lasciava in pace?
«Io… senti mi dispiace, oggi sono veramente un idiota, non ne faccio una giusta…» Ivy sospirò scuotendo la testa:
«Non importa. Ma ora dobbiamo proprio andare. Muoviti Lucy, su!» concluse liberando il braccio dalla sua presa e voltandogli le spalle, dirigendosi poi con la nipote verso la penultima tappa di quell’estenuante giornata. Henry le osservò allontanarsi per un po’ chiedendosi che diavolo avesse quel giorno in testa al posto del cervello: prima le aveva fatto la predica, raccontandole cose personali a cui magari, lei non era neanche interessata; poi l’aveva presa in giro, trattandola come una bambina. Non c’era da stupirsi che non avesse voglia di continuare a passare il suo tempo con lui. Eppure, si rese conto che avrebbe almeno dovuto insistere: si era fatta notte, non era sicuro lasciare una ragazza e una bambina da sole in una città grande come Seattle.
«Sei un deficiente, Mills» si insultò, dirigendosi da Roni: almeno lì non avrebbe fatto altri danni.
Un’ora dopo, Ivy aveva da tempo portato a termine la sua missione e riaccompagnato Lucy da sua sorella, dopodiché aveva girato i tacchi: per quel giorno, aveva chiuso con quella responsabilità. Ora sarebbe toccato a Jacinda occuparsene, lei voleva solo andare a casa, buttarsi a letto e dormire fino alla mattina successiva. E che tutti quanti se ne andassero al diavolo, Henry compreso. Guardava distrattamente le insegne dei locali intorno a lei, procedendo nella direzione che le avrebbe permesso di tornare a casa. Sbuffò: in realtà non aveva voglia nemmeno di tornare a casa, non voleva vedere sua madre, non voleva vedere nessuno, voleva solo starsene per conto suo. Da anni ad Halloween tendeva ad evitare i vicoli frequentati da ragazzini mascherati, preferendo feste riservate esclusivamente agli adulti. Era per quello che aveva desiderato così ardentemente partecipare al ballo in maschera, ma ormai non era più dell’umore. E poi, cosa ci sarebbe andata a fare? Lucy aveva ragione: nessuno l’aveva invitata, sarebbe stata lì a fare la bella statuina e ad annoiarsi a morte. L’ultima persona che le aveva voluto bene se ne era andata anni prima senza più fare ritorno. Maledizione! Ricacciò indietro le lacrime che sembravano intenzionate a sgorgare dai suoi occhi. Non avrebbe pianto, non si sarebbe commiserata, doveva solo andare a casa e… I suoi occhi trovarono l’insegna familiare del bar di Roni. Forse poteva aspettare ancora a rincasare. Magari le avrebbe fatto bene bere qualcosa, forse si sarebbe perfino ubriacata. Sì, decise, quella poteva essere una buona soluzione. Si sarebbe stordita d’alcol fino a non connettere più, fino ad avere difficoltà a tornare a casa. In fondo, a chi mai sarebbe importato se le fosse accaduto qualcosa? Proprio mentre raggiungeva la soglia del locale designato e si accingeva a varcarla, il suo telefono segnalò l’arrivo di un nuovo messaggio. E adesso chi diavolo era?! Doveva almeno verificare che non fosse nulla di importante. Estrasse il cellulare, facendo illuminare il display e osservando il nome di Henry invadere lo schermo. Sospirò: che diavolo voleva ancora? Aprì il messaggio, intenzionata a dargli solo un’occhiata veloce e poi cestinarlo. Il testo che comparve sotto i suoi occhi, però le fece cambiare idea. Erano solo poche parole, ma erano quelle giuste. Mi dispiace tanto. Sono stato un idiota. Perdonami. E, per favore, dimentica tutto quello che ho detto. Cavolo! Perché quell’uomo aveva il potere di farle cambiare umore in quel modo? Quelle parole erano state come un balsamo sulle ferite che lui stesso aveva contribuito a riaprire. Mentre fissava il telefono, incerta se rispondergli o meno, un altro messaggio si aggiunse al precedente, dallo stesso mittente. E per favore, quando arrivi a casa fammi uno squillo, non farmi preoccupare: non mi piace saperti in giro da sola di notte. Ivy si bloccò; doveva offendersi di nuovo? Henry non la riteneva in grado di cavarsela da sola? O magari le fece notare la parte posteriore della sua mente è semplicemente preoccupato come lo sarebbe per un’amica. E questo non è affatto terribile. Proprio in quel momento, si alzò un vento freddo che la fece rabbrividire: ormai erano in autunno inoltrato, forse non era più il caso di andare in giro in minigonna e giacca a mezze maniche… Rivolse una nuova occhiata al bar di Roni, decidendosi ad entrare: almeno si sarebbe scaldata.
   
 
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