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Autore: apeirmon    21/04/2018    1 recensioni
"- Credo che possiamo vivere in ogni corpo, se lo desideriamo davvero. D’altronde, noi non siamo i nostri corpi o le nostre personalità. Abbiamo vissuto ognuno la vita dell’altro come se fosse nostra senza nessuna finzione. Ormai io sono anche te e tu sei anche me, in un certo senso.
Il treno si ferma. Un’importante destinazione è stata raggiunta. Ci alziamo per scendere."
[Storia partecipante al contest “Di Lune, Torri ed Eremiti” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp.]
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Memorie di Itomori

 
Mi sembra un altro sogno. Sono quasi nove anni che non tornavo in questo magico paesaggio.
Osservando dalla stazione degli autobus il doppio lago, i monti, il villaggio e i boschi, torno a vivere in un posto che sento sicuro e che mi regala tutta la libertà che si possa desiderare.
- Allora, vuoi andare subito da mio padre o facciamo una passeggiata, prima?
- Perché no? Questo posto è talmente bello che non mi stancherò mai di visitarlo. E poi è passato così tanto tempo…
Non che l’abbia dimenticato. Anzi, da quando ho recuperato i ricordi, Itomori è rimasto vivido nella mia mente. Anche prima, i suoi paesaggi erano impressi nell’immaginazione che avevo in qualche modo conservato dalla mia esperienza.
Iniziamo a camminare sulla stradina, verso lo specchio d’acqua.
- Sai, mi sono riavvicinata a mio padre, il giorno del funerale di mia nonna.
- Be’, allora immagino che il suo carattere si sia addolcito.
- Sì, infatti. Ha anche capito che gli scambi di corpo sono reali. Si è ricordato di quello che ha detto la mamma il giorno che se n’è andata.
Le immagini mi corrono nella mente al sentire il racconto di Mitsuha.
 
Lei e suo padre sono seduti a un tavolo, su lati opposti.
- Hai detto che sai qualcosa sulla mamma che la nonna non sapeva. Cos’è?
- Sì, giusto. Il giorno in cui tua madre se n’è andata, ecco, era uno di quei giorni in cui si comportava diversamente, in cui era… qualcun altro. È svenuta, quindi l’ho portata a casa di Hitoha per assisterla e, mentre le stava preparando qualcosa, lei ha ripreso i sensi. Sembrava Futaba, ma mi ha detto qualcosa che per me non aveva senso. Ha detto che lui era caduto da un ponte, che l’aveva ucciso. Voleva che verificassimo se si poteva salvare.
- Ma perché? Il suo corpo era a posto, no? Doveva continuare a vivere!
- Negli ultimi tempi me lo sono chiesto anch’io. Forse… Incredibile, mi sembra di pensare come Hitoha… Forse la sua anima stava già staccandosi da un corpo e non era più capace di rimanerci. Tua nonna diceva che il musubi è molto difficile da recuperare quando viene annullato.
 
- La mamma è morta perché è morto l’uomo con cui si scambiava. Vorrei tornare a quel giorno e salvarlo, in qualche modo. Se impedissi quell’incidente, la mia famiglia sarebbe rimasta unita.
- Magari possiamo di nuovo cambiare il flusso del tempo. Però, forse… se il mondo in cui Itomori viene colpita senza che gli abitanti vengano avvertiti fosse lo stesso in cui sono vissuto per sedici anni e poi la mia coscienza si fosse spostata in questo?
- Mi sembri Tesshi. Stai dicendo che non credi di essere più nel tuo mondo? Che quando hai bevuto il mio kuchikamisakè hai cambiato dimensione?
- Ovviamente sono contento che tu sia viva, però... voglio che tu sappia anche quali sono i rischi, prima di desiderare un altro cambiamento del passato.
Mitsuha riflette qualche secondo prima di rispondermi.
- E se cambiassimo dimensione ogni attimo senza che ce ne accorgessimo? D’altronde, il tempo non è una serie di situazioni diverse in cui ci troviamo? Potremmo anche spiegarci i cambiamenti casuali con leggi fisiche e princìpi di causa ed effetto, restando di solito sullo stesso filo.
Accarezza il kumihimo arancione che porta sui capelli, prima di continuare.
- Andare su un altro filo potrebbe richiedere molta volontà, ma non è un rischio. Non credo sia molto diverso da spostarsi nello spazio. Se ci fosse la possibilità, vorrei andare in un mondo in cui la mamma si è salvata.
Di colpo mi viene un’idea.
- Allora andiamo al tempio sulla montagna. Potrebbe succedere qualcosa.
- E come? Ormai i nostri scambi sono finiti. Magari Yotsuha potrebbe riuscirci, ma noi…
- Anche quando avevo provato io, gli scambi si erano interrotti.
Lei si ferma a guardarmi.
- Hai ragione. Forse possiamo davvero riuscirci. Avviso il papà.
E così, camminiamo per tutto il tragitto che separa il villaggio da quel luogo sacro che la sacerdotessa chiamava “kakuriyo”. È meraviglioso tenerla per mano immerso nel posto in cui è vissuta per quasi tutta la vita e io per troppo poco. Ormai ho il massimo della felicità e non sento che mi serva fare altro se non aiutarla. D’altronde, aiutarla è sempre sata l’azione che ho voluto dedicarle di più, dalla scuola alla cometa. Che sia l’altruismo la chiave per generare gli scambi?
Finalmente raggiungiamo il cratere che contiene la piccola grotta sacra vicino all’albero. Dopo aver attraversato il torrente, entriamo e ci fermiamo davanti al piccolo altare in pietra.
- I kuchikamisaké! Senza non possiamo usare lo stesso metodo che ho usato io.
- Deve averli presi la nonna quando sono finite le cerimonie per il dio di Itomori.
- Mi dispiace. Speravo davvero che potessimo fare qualcosa.
- Be’, forse doveva andare così. Torniamo al villaggio.
Rifacciamo tutto il percorso inverso, e all’arrivo alle sponde del lago è già pomeriggio inoltrato.
- Allora, è stato piacevole come volevi, tornare qui? - mi chiede.
- Se passo del tempo con te sono sempre dei momenti stupendi.
- Però sarebbe stato lo stesso se li avessimo passati a Tokyo?
Non riesco a risponderle, perché un cumulo di tronchi rotola dalla strada sovrastante la nostra sopra le nostre teste. Spingo Mitsuha cingendola con un braccio per toglierla dalla traiettoria. Le mie scarpe scivolano sul terreno in pendenza che forma la riva del lago. I nostri corpi si inclinano e vedo i suoi capelli seguire la nostra caduta nell’acqua. Quando la mia faccia entra sotto la superficie, sento il liquido entrarmi nella bocca e nel naso. Poi, la mia pelle comincia a non sentire più il bagnato e la mia vista si affievolisce. L’ultima cosa che vedo è l’arancione della sera.
 
Un rumore acuto e ripetitivo mi sveglia. Sento delle coperte sopra il mio corpo. Sporgo la mano per spegnere la sveglia del telefono. Ma non lo trovo. Le mie dita, invece, toccano una superficie liscia e piatta. Improvvisamente, il rumore si interrompe. Sento il letto sotto di me muoversi.
Apro gli occhi.
Nella semioscurità, capisco di essere in una stanza che non ho mai visto. Mi volto verso la parte del letto che si è mossa di più. Lo spavento mi sveglia completamente.
Accanto al letto matrimoniale su cui sono sdraiata, un uomo si sta infilando dei pantaloni. Inspiro velocemente e l’uomo si volta verso di me. Prende qualcosa dal comodino. Alla poca luce che penetra dalla finestra mi accorgo che sono degli occhiali. Li inforca.
- Buongiorno, Hilja. Scusa se ti ho svegliata. Non posso farci nulla.
Hilja? La comprensione di quello che sta accadendo mi fulmina improvvisamente: sono nel corpo di qualcun altro. Ma non si tratta di Taki-kun. Perché? Chi è questa Hilja?
Quello che probabilmente è suo marito si infila una camicia. La sua voce e la sua faccia mi sembra di averli già conosciuti in qualche modo, ma non ricordo dove.
Esce dalla camera, lasciandomi a riflettere su questa nuova situazione.
Ricordo vagamente che è successo qualcosa all’improvviso e che Taki-kun mi ha spinta. Ricordo di essere entrata in acqua. Era l’acqua del lago. Che sia stato il materiale della cometa disciolto nell’acqua a scatenare di nuovo lo scambio? Taki-kun mi aveva detto che quel materiale ha provocato i nostri scambi, secondo un fisico che ha conosciuto.
Ad ogni modo, finché sarò in questo corpo, mi conviene capire dove mi trovo e perché sono qui. Mi alzo e accendo la lampada accanto a me. L’oggetto che avevo toccato cercando il telefono è un libro: “Come risanare la vita di coppia”.
Forse sono finita in questo corpo per aiutare questa Hilja a migliorare il suo matrimonio.
Guardo fuori dalla finestra: ormai non mi sorprende più vedere i grattacieli della città circondati dalla luce dell’alba. Non sono sicura di essere a Tokyo, ma credo di sì.
Sento una porta chiudersi. Il marito della donna di cui controllo il corpo dev’essere uscito. Decido di esplorare la casa, quindi spengo la lampada ed esco dalla stanza.
Mi ritrovo in un corridoio con varie porte, una aperta che dà una vista sulla cucina. Mi sembra di aver già visto questo posto, ma ancora mi sfugge il quando. Apro una porta per vedere che cosa ci sia all’interno e trovo un piccolo bagno. Entro e mi metto davanti al lavandino.
La specchiera riflette una donna dai capelli neri non molto lunghi e gli occhi azzurri. La pelle è più chiara di quella di una giapponese e i tratti del viso mi sembrano più europei. Anche il nome “Hilja” è sicuramente occidentale. Eppure l’uomo che ha dormito con lei parlava giapponese.
- Mamma, come mai sei già in piedi?
Sobbalzo e mi volto contemporaneamente verso il corridoio. Dopo aver visto chi mi ha parlato la mia sorpresa non diminuisce.
A guardarmi è un bambino di meno di dieci anni con capelli castani e gli stessi occhi azzurri che ho appena visto riflessi.
- Taki-kun!
Anche se molto più piccolo di quando l’ho conosciuto, è inconfondibile. Cerco di riprendermi dalla sorpresa. Cosa ci faccio nel corpo della madre di Taki-kun? Dovrò dirgli quello che gli succederà in futuro? No, meglio di no: lo spaventerei soltanto. Devo cercare di recitare il ruolo che mi è stato assegnato dagli dei.
- La mamma non si sente molto bene, oggi, Taki-kun. Puoi aiutarmi a fare le cose?
Gli occhi del bambino si riempiono di apprensione. Non riesco a guardarlo, lo sto facendo soffrire. Ed è ancora più innocente che da adulto.
- Va bene, mamma, non ti devi preoccupare. Ti aiuta Taki a fare tutto.
Mi stanno lacrimando gli occhi.
- Gra...Grazie, Taki-kun.
E così prepariamo la zuppa di miso, avvolgiamo il riso nelle alghe nori e cuciniamo dei tamagoyaki1.
Lo vedo completamente assorto in quello che fa, non molto diversamente da com’è nel mio tempo.
Arrivata l’ora di colazione, mangiamo insieme. Mi sento davvero fortunata a poter condividere una giornata con il Taki-kun di quell’età. Forse è questo il motivo di questo scambio.
Eppure ho un sospetto. Nell’ultima giornata che ricordo ho desiderato di tornare al giorno in cui mia madre è morta. Mentre Taki-kun esce dalla stanza per cambiarsi, cerco un calendario. Ne trovo uno appeso ad un chiodo. Guardo il mese: settembre 2007. I miei sospetti erano giusti.
Ma ora cosa faccio? So di dover cercare l’uomo con cui si scambiava la mamma, ma non so dove devo andare, né che aspetto abbia. È straziante avere l’occasione per salvarla e non riuscirci lo stesso.
- Riesci a guidare per andare a scuola? - mi chiede il bambino.
- Sì. Sì, amore, ma ho bisogno che mi indichi la strada, se ce la fai.
 
- Amore! Amore, svegliati! Tra poco dobbiamo aprire.
Sì, devo aprire gli occhi: Mitsuha è in pericolo. Appena lo faccio, mi ritrovo una donna dai capelli castano-scuri chinata su di me. Con un sussulto mi sveglio del tutto.
- Forza, oggi devi anche ritirare le merci a Tokyo. - dice la sconosciuta allontanandosi. Poi esce dalla stanza, lasciandomi alla mia confusione.
Mi tocco i capelli e mi guardo le braccia. Questo non è il mio corpo. È un corpo maschile, quindi non mi sono scambiato con Mitsuha. Ma allora dove sono finito?
Mi alzo nella stanza illuminata e con lo sguardo trovo uno specchio a muro. Mi ci avvicino per vedere il mio nuovo volto. È quello di un uomo sui quarant’anni, più muscoloso di me. Mi sembra di averlo già visto, ma non ricordo quando.
Ragioniamo: Mitsuha ha espresso il desiderio di tornare al giorno in cui sua madre è morta. E se fosse per questo che ho un nuovo corpo? Allora anche lei dev’essere qui da qualche parte.
Apro i cassetti dell’armadio che ho vicino e prendo i primi indumenti che mi ritrovo in mano. Li infilo, poi esco dalla camera e scendo una rampa di scale in legno. Mi ritrovo in un salone con vari tavoli separati da me tramite un bancone. Dev’essere un bar o qualcosa di simile.
Noto la moglie dell’uomo che impersono posare una pentola sui fornelli e accenderne uno.
- Io… devo fare una cosa importante. Scusami.
Corro alla porta dietro il bancone e la apro.
- Ma… Aspetta! Cosa devi fare!?
Chiusa la porta, mi ritrovo nel luogo in cui avevo immaginato di essere. Anche se sono passati anni da quando percorrevo queste strade sopraelevate che si sovrappongono seguendo le colline, il ritorno della memoria avvenuto con il riavvicinamento a Mitsuha mi rende questo villaggio nitido in tutti i suoi particolari. Ora quello che mi serve è la posizione della casa dei Miyamizu.
Corro per le strade di Itomori, cercando il torii2 del tempio secondo quello che ricordo del tragitto per la scuola superiore. Mitsuha dev’essere in uno dei corpi dei suoi familiari. Forse in quello di sua madre.
Finalmente scorgo la coppia di edifici che sto cercando. Aumento l’intensità della corsa, fino a ritrovarmi sulla scalinata che sale verso il tempio. Camminando la risalgo, cercando di immaginare un modo per riconoscere Mitsuha e farmi riconoscere da lei. Forse posso dire una parola che simboleggia il nostro rapporto di scambi, come “katawaredoki”.
Quando arrivo alla casa, sento una voce di donna, quindi poso una mano sullo shouji3 d’ingresso e lo apro di poco. Scorgo una bambina di circa dieci anni a gambe incrociate davanti a un chabudai4 e ad una donna mora nella sua stessa posizione. Sembra che stiano giocando a dama cinese.
- Certo che sei proprio imbattibile in questo gioco. - sento dire alla madre di Mitsuha.
- Ma cosa dici, mamma? Sei stata tu a insegnarmelo!
Capisco subito la situazione: in questo momento è in corso uno scambio tra la madre di Mitsuha e un uomo a me sconosciuto. Resta da capire se la Mitsuha del mio tempo sia in qualcuno degli altri corpi. Dev’essere così, non ha senso che ci sia solo io.
Aspetto qualche minuto che finiscano la partita, poi vedo Mitsuha mangiare. A un certo punto sento dei passi dietro di me e mi volto. Si tratta della sacerdotessa Miyamizu, appena uscita dal tempio.
- Jirou-chan! È bello ricevere una tua visita. Ma non hai lavoro, oggi?
- Ecco, in effetti sì… Solo che…
- Oh, non importa. Entra e stai un po’ con noi.
L’anziana apre del tutto lo shouji e mi invita a entrare. Saluto Mitsuha, che ha preso una ciotola di riso e la sta mangiando, e sua madre, poi ci sediamo.
- Allora, com’è andato il matrimonio di tua cugina, Jirou-chan? Avete fatto valere il cibo di Itomori rispetto a quella spazzatura che vendono in città? - mi chiede la sacerdotessa.
- Ah… Sì. Siamo stati bene.
Passano dei secondi di silenzio in cui mi innervosisco per la situazione in cui sono finito. Per fortuna viene interrotto dalla mamma di Mitsuha.
- Mamma, puoi pensare tu a portare la bambina a scuola?
Lo sguardo dell’anziana si indurisce.
- Allora hai accettato di assecondare le idee di tuo marito. Be’, il tempo è il tuo e decidi tu come impiegarlo. Ma ricorda che potrebbe finire improvvisamente e gettarlo via per le ambizioni di qualcun altro non è una scelta saggia.
L’espressione della donna più giovane è prevedibilmente spaesata. Sua madre si alza e si avvicina a Mitsuha. La bambina finisce di mangiare e porta la ciotola al lavello della cucina.
- Andiamo, Mitsuha. Prendi lo zaino.
Dopo un minuto circa, le due Miyamizu escono dalla casa, salutandoci.
- Ascolta: sono anch’io nel corpo di un altro. So cosa stai passando.
La madre di Mitsuha, o meglio, lo spirito che occupa il suo corpo, mi guarda con occhi sgranati.
- Anche tu…? Sai cosa mi sta succedendo? Per favore, dimmi tutto!
A quella richiesta mi fermo: mi chiedo se sia un bene fargli sapere che probabilmente in quel giorno la sua vita sarebbe finita. Ripenso a tutti gli anni che ho trascorso tra le sensazioni che mancasse un importante tassello della mia memoria e un’importante persona nella mia vita. Se scegliessi di mentirgli, gli toglierei la possibilità di capire cosa gli sta accadendo e magari di trovare un modo per salvarsi, lasciandolo nell’ignoranza fino alla morte. Ma è anche vero che non ci sarebbe molto che possa fare in questo breve tempo, perché sono sicuro che si tratti della giornata in cui lui e la madre di Mitsuha avrebbero incontrato quello che la sacerdotessa chiamava “kakuriyo”. Se gli annunciassi la sua morte, probabilmente lo riempirei di angoscia senza ottenere nulla di costruttivo. Inoltre, so di essere venuto in questo tempo per impedire la sua morte e non so se sia possibile. Come si può dire il falso su qualcosa che si crede incerto?
Decido di mentire solo in parte: gli spiego quello che mi disse anni fa sugli influssi della cometa caduta su Itomori il professor Oshiro, il fisico che ho conosciuto, gli dico che gli scambi si interromperanno, a un certo punto, e che deve continuare fino a quel momento senza preoccuparsi.
Allo stesso tempo, decido di agire. E per farlo, ho bisogno di un’informazione.
- Ho bisogno di parlare con la donna di cui stai usando il corpo. Dove potrebbe essere il tuo?
- Be’, io lavoro nel quartiere di Chuo, a Tokyo. Vendo crostacei al mercato ittico di Tsukiji.
- E che aspetto ha il tuo corpo?
Mi descrive un uomo robusto, con capelli neri corti e occhi nocciola. Dubito che questa descrizione mi possa servire a trovarlo più di un certo tanto, ma meglio di niente.
- Grazie. Mi sei stato davvero d’aiuto. Spero di poter ricambiare il favore.
Mi alzo, ma prima di poter uscire, qualcuno apre la porta. Anche se più giovane di vari anni rispetto all’uomo che ricordo, riconosco il padre di Mitsuha.
- Salve, Jirou-san. Che sorpresa trovarti qui! Futaba, noi abbiamo quell’impegno di lavoro, ricordi?
- Oh… Sì… Certo. Jirou-san stava per andare via.
Se non fossi stato già in piedi, l’affermazione sarebbe suonata come una scortesia.
Saluto i padroni di casa e mi dirigo alla stazione degli autobus: ormai sono sicuro che Mitsuha sia finita in un corpo vicino a quello che controlla sua madre. Non so come, ma ritroverò lei e quel corpo. Questa volta non ho un piano come quando avevo in mente di salvare gli abitanti di Itomori dal disastro, ma ho fiducia che il dio Musubi o chiunque ci abbia concesso di tornare a questo giorno, ci abbia preparato la strada per raggiungere l’obiettivo che ci siamo fissati.
 
Sono ore che vago per la capitale alla disperata ricerca di una sensazione, un segno che mi permetta di riconoscere mia mamma quando vedrò il corpo che ha in prestito.
Vorrei che Taki-kun fosse qui ad aiutarmi. Quando era lui a gestire la mia vita faceva diventare tutto semplice. Invece io ho avuto difficoltà nel gestire la sua.
Eppure lui non ha bisogno di metodi precisi per riuscire in quello che fa. Ricordo ancora la mia sorpresa quando mi ha raccontato di aver cambiato il tempo bevendo il mio kuchikamisaké. Credo che abbia le risposte già dentro di sé, intuitive, come se avesse un legame con la verità. Un musubi.
Adesso mi trovo al mercato ittico di Tsukiji, dove molta gente si riunisce per fare compere. Inizio a guardare i gruppi di persone, i negozianti e i clienti che parlano con loro, ma non ho nessuna impressione particolare.
Sto per terminare la strada, quando attira la mia attenzione una bancarella vuota. Il robusto negoziante sta ripiegando l’ombrellone per andarsene. Mi sento improvvisamente vicina a quel giovane e ho l’impulso di avvicinarmi.
- Mi scusi. - gli dico, incerta. Lui mi guarda intensamente con gli occhi nocciola. Poi ricomincia a sistemare gli oggetti piegando la sedia.
- Mi dispiace, signorina, ma per oggi ho venduto tutto. Torni domani.
- No, non sono venuta per comprare. Vorrei aiutarLa a mettere a posto, se per Lei va bene.
Mi osserva sorpreso, ma non riconosco tracce di diffidenza sul suo volto.
- Certo, grazie. È molto gentile.
Così io prendo la sedia e l’ombrellone, mentre lui porta la bancarella. Usciamo dalla strada del mercato e proseguiamo in quella principale.
- Io mi chiamo Nakajima Nobu. Piacere.
A quel punto, decido di usare l’impulsività che mi piace tanto di Taki-kun, e rischio.
- È questo il tuo vero nome? O è quello dell’uomo di cui vivi la vita?
Il tavolo ripiegato gli cade sul marciapiede.
- Ma come…?
Avevo ragione. Ho fatto bene a rischiare: finalmente ho l’occasione di riparlare con la mamma. Mi sento invasa dalla gioia.
- Succede anche a me. Ora ti spiego tutto. Ma prima saliamo sul furgone. Se parliamo mentre siamo in moto non c’è il rischio che qualcuno ci ascolti.
Depositiamo gli oggetti sul retro del suo veicolo e ci sediamo nell’abitacolo. Mia madre accende il motore e inizia a guidare.
- Come hai fatto a capire che non mi trovo nel mio corpo? - mi chiede.
- Ho come sentito che eri una persona speciale. C’è un legame molto forte tra di noi. Sono Mitsuha.
Perde il controllo del volante. Il furgone sbatte violentemente contro una macchina e il contraccolpo ci fa sbattere all’inferriata di un ponte. Lo sportello del guidatore si apre e il corpo di Nobu scivola giù dal sedile. Gli afferro una mano prima che cada, ma mi scivola tra le dita.
 
Sento la sirena di un’ambulanza avvicinarsi, mentre mi dirigo al mercato. Allora mi affretto a percorrere le poche strade che mi separano da esso. Scorgo un ponte. C’è stato un incidente.
Poi vedo mia madre che piange mentre parla con degli uomini, evidentemente appena scesi dall’ambulanza. Cosa ci fa qui mia madre? No, non si tratta di mia madre.
Mi avvicino di corsa senza preoccuparmi di non interrompere il dialogo e abbraccio Mitsuha. Le sussurro: “Sono io.”
- Taki-kun!
- Scusate, è sicura che non sia riemerso, signora?
- Sì. È tutta colpa mia! Ho voluto prendere io il furgone!
- Chiameremo la Guardia Costiera per ritrovare il corpo. Medicate il ferito. - ordinò l’infermiere ai suoi colleghi riferendosi a un autista che guidava l’auto coinvolta nell’incidente.
Ci lasciano soli. Io la guardo negli occhi.
- Mitsuha… è caduto da questo ponte. Non sarà mica… Cos’è successo?
- L’avevo trovata. Quando ha saputo chi sono davvero si è spaventata e… - singhiozza per qualche secondo. - Perché, Taki-kun? Se siamo tornati qui per salvarla, perché sono stata proprio io a farla morire? Non ha nessun senso.
Osservo le isole immerse nella Baia di Tokyo. È stata un’ingiustizia portarli in quel momento per far avvenire l’avvenimento opposto a quello che avevano desiderato. Eppure...
- Forse era l’unico modo per fortificarti abbastanza. - le dico. Lei mi guarda confusa. - Se non avessi vissuto la morte di tua madre, forse non avresti retto alla caduta della cometa. È la sola spiegazione che mi viene in mente.
Le guance di mia madre vengono asciugate con la manica.
- Penso che tu abbia ragione. Sarebbe stupido pensare che mi abbiano fatto tornare a questo giorno per prendermi in giro. Ora, però, come facciamo a tornare nel nostro tempo?
- Immagino che finirà tutto quando ci addormenteremo. Io devo prendere della merce qui a Tokyo per non creare problemi all’uomo che mi sta prestando il corpo.
- I tuoi genitori stavano avendo dei problemi in questo periodo. Vuoi che faccia qualcosa per riconciliarli? Anche se solo per un giorno?
- No, lascia stare. Quando hai cercato di aiutarmi con Miki-chan, quando sono tornato in me è rimasta delusa dal cambiamento.
- Miki-chan?
- Tu l’hai conosciuta come Okudera-senpai. È vero che siamo diventati amici, poi.
Passano secondi di silenzio.
- Nonostante tutto, ho potuto riparlare con la mamma. Grazie per avermi riportata a Itomori.
Sorrido. Restiamo ancora qualche minuto sul ponte. Poi, ci salutiamo.
Io prendo di tasca il biglietto con la lista delle merci da reperire e le trovo in un supermercato. Riempito lo zaino, prendo un Super Espresso per riavvicinarmi a Itomori, almeno nello spazio.
 
Acqua. Ovunque acqua. Non quella di un tempio né di una cascata5. Inconfondibile acqua.
Sento un rumore basso provenire da sopra di me. Agito le braccia per cercare di tornare in superficie, nonostante non abbia mai imparato a nuotare. Ma una mano mi cinge la vita e mi tira su.
 
Aria. Finalmente aria. Respiro l’aria di montagna che mi mancava tanto. Che tanto mi piace.
Riesco a portare Mitsuha vicino ai tronchi di legno che ci stavano per colpire. Ne afferriamo uno. Guardo verso la riva e vedo affacciarsi un uomo piuttosto anziano.
 
- Scusate. Non so come, ma si è tolto il blocco di sicurezza e i tronchi sono scivolati dal carro. - ci spiega il padre di Tesshi aiutandoci a risalire a terra. Una terra che mi ha supportato in tutti i momenti difficili che ho vissuto e che è rimasta anche dopo l’impatto della Cometa di Tiamat.
 
- Ma tu sei Mitsuha-chan! Sei tornata in visita qui, eh? Allora, come ti va a Tokyo? - chiede, mentre i raggi del sole ci riscaldano come fuoco. Un fuoco simile alle forze che ci hanno fatto vivere un ultimo sogno. Un fuoco che, sebbene sarebbe stato dimenticato dalle nostre menti…
 
...avrebbe continuato a fornire energia ai nostri spiriti per tutte le nostre vite. Sento le lacrime mischiarsi all’acqua del lago sulle mie guance. Ma sono lacrime di gioia, perché ormai noi due…
 
...ormai noi due…
 
...abbiamo lo stesso nome.
   
 
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