Ouverture
Finale
Requiem delle Parole
La luna è di nuovo nella fase giusta… Gli astri sono
propizi… E i Signori dell’Inferno sono di nuovo in attesa… Pronti a ricevere le
offerte e ad ascoltare la corrotta voce dei loro servitori…
Anche Caron è pronta, la celebrazione del rito ad un
passo dal suo inizio… Anche questa volta è stata mandata al villaggio… Anche
questa volta ha portato con sé una vittima per l’altare insanguinato…
Questa volta… Questa volta è stata lei a non poter
distogliere lo sguardo dalla sua “vittima”… L’ha pregata, la ragazza… Le ha
chiesto di non farlo, di non portarla a morire… Ma lei l’ha condotta lo stesso
al maniero… Senza una parola… Ma senza mai smettere di guardarla… Senza mai
smettere di Vederla… Di vedere Lei…
Ora, di fronte all’altare, Caron non parla… Fissa solo
la ragazza e ascolta le grida imploranti… e Attende. Il padre è pronto… Le
invocazioni recitate, ha bisogno del primo sangue per provare la sua devozione
e attirare i demoni. Ma la vittima, come dice lui, è sempre così “noiosamente
riluttante” a collaborare e a comprendere il suo ruolo in questo grandioso
momento che si dibatte e rischia di rendere meno che perfetta l’incisione e
quindi il rito. Così, la sua voce tenebrosa comanda la sua schiava di ghiaccio
di tenere ben ferma la ragazza… Come ha sempre fatto… Come ha fatto con Amabel…
Caron rimane immobile… Gli occhi fissi sull’altare, la
schiena rivolta al padre. L’ordine dello stregone viene ripetuto, cosa inaudita
nel suo maniero. La disobbedienza ha un prezzo molto caro alla sua corte e
Caron lo ha appreso con grande chiarezza e con grande dolore. Ma non si muove.
Fissa solo l’altare e la ragazza… E cerca di sentirlo… E cerca di spiare…
Dentro a quella fessura nel ghiaccio del suo cuore che non riesce a chiudersi…
Là sotto… in quell’orribile vuoto che la divora… Là sotto, dove, con gelida
determinazione, ha lasciato scorrere abbondante e letale il terribile veleno
chiamato “Odio”, qualcosa esiste… E Caron attende… Sente… Sente che dal veleno
e da quel vuoto qualcosa sta prendendo forma… E Caron attende… Attende quello
che adesso sente solo come un rombo lontano… un tuono che riverbera in
lontananza… Ma che prende sempre più forma… Sempre più viene ad assomigliare a
quel proibito frutto che il padre ha tanto fatto per sradicare… Sempre più il
tuono assomiglia ad un Desiderio… ad una Volontà… Che Caron aspetta… Per
scoprire cosa deve fare di quella maledetta vita macchiata di sangue che le è
rimasta…
Con disgustato disappunto, lo stregone osserva per un
solo istante la sua indisponente schiava attendere per eseguire il suo chiaro
ed inequivocabile ordine; poi, muta il disappunto nell’unica cosa che ritiene
appropriata per chi non è adeguato ai suoi ordini: la punizione.
La mano, che porta con sé il gelo dell’oltretomba, si
estende rapace fino alla spalla di Caron e, come l’artiglio di un avvoltoio vi
si appoggia per scuotere la schiava da qualunque stupido ed inutile pensiero
possa passare per la sua stupida e inutile mente e per punirla allo stesso
tempo con quel freddo incommensurabile che solo la non-vita sa portare.
E quello è il segnale… E quello è l’inizio… quel
tocco, quel gesto, quel richiamo all’obbedienza è ciò che rende quel rombo
lontano un desiderio compiuto, ciò che rende limpido quel ghiaccio opaco sotto
a cui Caron ora può vedere la sua Volontà…. È quell’ordine ciò che sembra
rendere tutto chiaro…
…Caron non vuole più obbedire… E non obbedirà più.
Forte come l’acciaio in cui il padre l’ha trasformata,
la mano di Caron ferma quella dello stregone schiacciando le tra loro le ossa
cadaveriche e, con quel desiderio finalmente chiarissimo nella sua mente, si
volta per mostrare infine il frutto maturo di ciò che il padre ha seminato con
tanta crudeltà e freddezza. La gamba di Caron scatta potente e precisa e,
mentre la mano impedisce allo stregone di allontanarsi, il calcio si schianta
sulle vesti da cerimonia e sulle costole rose del cadavere che ospita il suo
carceriere. Tale è la violenza e tanto l’impeto che il corpo del padrone viene
sbalzato indietro fino a che lo stregone non riesce a dominare la sorpresa e a
controllare le forze magiche per aggiustare la sua traiettoria e tornare a
levitare. Ma quando le vuote cavità tornano a fissare la disobbediente schiava…
Lei non è più lì. C’è il suo corpo, quello che lui ha forgiato con la magia, ci
sono i suoi abiti, che lui le ha fatto indossare per la cerimonia… Ma Caron, la
sua schiava, il suo braccio, quello non c’è più.
È venuto alla luce. Quel suo Desiderio si è premuto
contro il ghiaccio e in quella fessura che il fiore di Amabel ha lasciato e
ora… ora spacca quel ghiaccio con una forza che Caron non poteva nemmeno
immaginare… E quando si libera dal vuoto e tocca il suo gelido Inverno, la neve
nera che la ammanta prende improvvisamente fuoco, bruciando nel suo cuore,
avvampando nei suoi occhi, diventando infine la Rabbia, la Furia che Caron ha
bisogno per rinascere come una fenice. Grida il fuoco dentro di lei, scuotendo
il suo corpo con quella forza feroce che la divora e la riporta alla vita allo
stesso tempo: è una forza inarrestabile, non le si può resistere… E Caron non
ha alcuna intenzione di farlo. Il Grido non esce dalle sue labbra; si ferma sui
suoi occhi e si intreccia con la sua volontà. Non dice niente Caron, non vuole
più dire niente Caron, non vuole più ascoltare Caron: vuole solo lasciar
bruciare anche per una sola volta, per la sua prima e ultima volta, tutto il
suo Inverno in quel fuoco di Rabbia che il Fiore di Amabel le ha lasciato come
unica eredità dopo essere stato reciso. In quei pochi istanti in cui assapora
quel lacerante e potentissimo calore dentro di sé, Caron serra i pugni,
attivando gli incantamenti che il “fratello” le ha iscritto sul corpo… e il
fuoco ora diventa reale: le fiamme danzano sul suo corpo ed intorno ai suoi
pugni, senza bruciarla, ma pronte ad ardere il suo avversario, ad ardere suo
padre.
Gli occhi cavi dello stregone indugiano sulla figura
della figlia, troppo altezzoso per provare paura, troppo sicuro per pensare ad
un tradimento, la fissa come si può fissare una cavia da esperimento che mostra
segni imprevisti… Segni che bruciano intorno ai suoi pugni e dentro ai suoi
occhi. Come ogni degno “uomo di scienza” non si lascia intimidire da un piccolo
imprevisto e si solleva in tutta la sua statura, rivolgendo alla figlia indisciplinata
uno sguardo che è allo stesso tempo quello di chi annuncia il più temibile
castigo e quello di chi desidera conoscere il motivo di un gesto tanto stupido.
Come si può? Come si può chiedere? Come si può
rispondere? Ha taciuto per tutta una vita Caron… e non ha mai avuto bisogno
delle parole. Una sola cosa avrebbe voluto dire… Ad Amabel… Che le “Voleva
bene”… E non lo ha fatto… E adesso… Adesso dovrebbe spiegare perché la Neve è
nera, perché la Neve brucia. Dovrebbe spiegare perché si può disobbedire,
perché si può scegliere e dovrebbe spiegarlo proprio a chi le ha voluto
insegnare che in quel mondo non c’è scelta o desiderio. Come si può? Quante
parole, quali parole sarebbero necessarie? In quale parola si può rinchiudere
quel mare di fuoco che la sta riempiendo?
Che stupida domanda. Che inutile domanda. Lei lo ha
imparato fin da quando il suo corpo era quello di una bambina: i cani non
parlano, non si dà retta ai cani. E lei è solo un cane per lui, un mastino da
guerra letale e utile, ma sempre e solo un cane. Non udirà una sola delle sue
parole… e Caron non vuole più parlare.
La pietra sembra creparsi tanta è la velocità e la
forza con cui le gambe di Caron spingono il suo corpo in avanti, verso il
padre, prima che qualunque parola venga sprecata. La lotta ha inizio e il pugno
di Caron vola veloce e preciso al viso del suo padrone; il suo corpo potrà
essere solo un cadavere e il suo tempo speso nello studio dei rituali, ma il
sacrificio di anime innocenti oltre che della propria non è stato senza ricompensa
e i movimenti del padre sono sorprendentemente veloci. Anche se sono decenni
che nessuno è così stupido da tentare di danneggiare il suo involucro, la sua
prontezza e la sua potenza non sono venute meno. Rapido solleva la mano cadaverica
e innalza la barriera magica, lasciando che la figlia sfoghi su di essa la sua
potenza. Ma Caron è stata addestrata bene e non è in quel colpo che ha riposto
tutte le sue speranze; con la grazia con cui uccideva nelle arene, cambia
veloce il bersaglio, cercando di penetrare il costato del suo avversario con un
montante che nasce dalla mano tenuta in guardia. Pressato, il padre intercetta
anche questo colpo con l’altro arto; quella che affronta, tuttavia, è sua
figlia, è la sua assassina, è la sua guerriera e non è stata cresciuta o
addestrata per fermarsi. Lasciandosi scivolare in quei movimenti che tanto le
appartengono, Caron comincia la sua danza; fulmineo, il suo corpo si avvolge in
un turbine di flessuosi movimenti e, mentre gira su se stessa, le sue gambe si
estendono dal vortice cercando di sorprendere l’avversario, cambiando
bersaglio, traiettoria, invertendo la rotazione, per non essere mai uguali e
mai prevedibili. E poi si trasformano: il turbine si ferma d’improvviso e i
pugni che ancora bruciano si sostituiscono alle tecniche di gamba senza
lasciare spazio ad alcuna replica. Quella è la danza che le arene le
acclamavano, il letale ballo in cui la “Regina di Ghiaccio”, come la
chiamavano, conduceva le sue vittime per portarle alla morte. Come nelle arene
non si ferma mai, come nelle arene cerca la morte dell’avversario… Ma non è più
nelle arene, Caron. La freddezza che la rendeva famosa è ormai in fiamme. Il
suo solo pensiero, quello di eliminare l’avversario perché “doveva”, è ora un
ben più feroce grido che la spinge con sempre maggiore furia ad assaltare le
barriere magiche del suo carceriere.
Ma esso, benché costretto dalle tecniche della figlia all’insolita
situazione di doversi difendere, non percepisce ancora quanto a fondo corra
quell’incendio nel cuore della sua schiava… Né quanto possa ancora ardere. Convinto
di aver raccolto dati sufficienti per comprendere quell’incidente di percorso,
lo stregone rilascia una scarica cinetica che blocca come un muro l’assalto
della figlia. Caron si ferma, come non è solita fare nemmeno di fronte a simili
poteri. Si ferma, ma non è l’incantesimo del padre a sorprenderla, è realizzare
quanto “sordo” lo stregone possa essere nella sua arroganza e nella sua
onnipotenza. Come se nulla fosse, il padre le ha voltato le spalle, ignorando
persino quel fuoco, non ascoltando nemmeno quell’ovvia ribellione… congedando
persino quel suo unico, straziante desiderio, con una semplice frase “L’odio è
un’encomiabile ed eccellente forza da coltivare… ma non per te. Devi ripulire
da qualunque pensiero quell’inutile guscio che hai sopra le spalle: per quanto
potente l’Odio possa rendere, ha il seccante contrattempo di far sorgere il
dubbio che esista il suo contrario… Pensiero che è solo un inutile disturbo e
che non voglio perdere tempo ad eradicare” Ma è ignaro lo stregone… Ignaro che
il procedimento è già avvenuto… Ma nel senso opposto. Non è il principio del
focolaio quello che ha mosso Caron alla sua ribellione, ma il terribile
riflesso di quel suo primo puro sentimento che ora grida Vendetta… E che ancora
non viene ascoltato dallo stregone…
È così che Caron lo scopre. È così che scopre che non
c’è limite a quanto caldo possa diventare il suo cuore, a quanto il fuoco possa
essere vorace e divorare ogni pensiero, ogni gesto e diventare più grande. E
così Caron lo guarda voltarle le spalle come ha sempre fatto, rivolgendo lo
sguardo altrove come se lei non esistesse.
Ma non questa volta…
È arrivato il momento. Il momento di non lasciare
alcun dubbio. Risvegliandosi dalla contemplazione dell’arroganza del padre,
Caron lascia che la magia che il fratello le ha iscritto addosso scorra potente
come la rabbia che torna a sommergerla. In un solo istante la schiava raggiunge
le spalle del padrone, ma non le basta colpirlo, non le basta sorprenderlo
fuori guardia, vuole che lui la veda, che le veda gli occhi… Che ascolti la sua
rabbia. Con un salto avvitato il corpo agile di Caron si proietta in aria
oltre, davanti al padre e come una lancia distende la gamba con potenza
esplosiva. Lo stregone torna per un istante con quello sguardo a metà tra il
disappunto e la curiosità, ma questa volta dura solo un istante. Poi la tecnica
si schianta sulla sua barriera magica… e la spezza. La furia della figlia
investe lo stregone scaraventandolo violentemente indietro. Non è il danno in
sé stesso che lo sorprende al punto di farlo addirittura cadere a terra, ma la
percezione del suo involucro danneggiato che lo sconvolge fino a tanto. Al
contrario, Caron non è nemmeno sfiorata dall’insolita visione e non ha posto per
altro nel cuore se non quell’insaziabile voglia di far esplodere quel suo
incendio. Mentre lo stregone richiama le energie per sollevarsi nuovamente in
volo Caron gli è già addosso e falcia con un potentissimo calcio le braccia
dello stregone impegnate nel tracciare arcani simboli. Senza fermarsi lascia
che il suo corpo prosegua la traiettoria del calcio girando su se stesso
acquisendo ancora più velocità e quando i suoi occhi tornano a fronteggiare il
padre ancora fuori guardia le gambe di Caron spiccano un balzo portandosi
all’altezza del teschio dello stregone ed investendolo con tutta la rabbia che
arde nell’Inverno della figlia. L’istante in cui la sua tibia si schianta sul
cranio del suo carceriere si dilata all’infinito per Caron inondandola di ancora
più forza, di ancora più desiderio, di ancora più rabbia.
La sconcertante sensazione dell’impudente contatto
della materia con il suo involucro sorprende lo stregone ancora di più della
sensazione di non poter fare a meno di obbedire alle più semplici regole della
natura rovinando a terra come pensava non sarebbe più stato possibile. Il
lontano ricordo della sua mortalità gli viene in soccorso e anziché ricorrere
alle complesse arti magiche cerca di riprendere il controllo e la distanza da
terra con le semplici braccia, ma la figlia non ha alcuna intenzione di
lasciargli ricordare altro e non appena discende dal suo balzo distende la
gamba portandola in alto per poi farla cadere come un martello sulla schiena
del padre. La perfezione tecnica trasformata ormai nel più semplice desiderio
di uccidere, Caron lascia che l’altra gamba scatti infierendo sul corpo a terra
con un semplice quanto efficace calcio al costato, scagliando l’involucro
danneggiato del padre a diversi metri di distanza.
È troppo persino per la sua indole di “Uomo di
scienza”: l’umiliazione a cui Caron lo ha sottoposto dà allo stregone la
determinazione sufficiente per tornare in possesso dei suoi incantamenti e
risollevarsi in volo in tutta la sua potenza di fronte alla disobbedienza della
sua stupida servitrice…
Ma a Caron non importa… Anzi, le orbite fiammeggianti
del padre non le incutono alcun terrore, non più… Anzi rendono ancora più
chiaro quel suo desiderio, rendono ancora più chiaro cosa vuole davvero da quel
suo fuoco… Mentre le flessuose e potenti gambe di Caron la lanciano nuovamente
a distanza di scherma dal corpo del non-morto, i suoi occhi vedono con ancor
più chiarezza… Non le basta ucciderlo di nuovo… Non è sufficiente per placare
quella tempesta, per dare ragione a quel crepaccio nel fondo del suo cuore, non
basta distruggere il suo corpo e scagliare la sua anima nell’aldilà…
…Lei vuole che lui sappia
Vuole che sappia che non obbedirà mai più, che non
ascolterà mai più le sue parole. Vuole che sappia che tutto ciò che lui le ha
dato in quella torre, quel corpo d’acciaio, quell’istinto omicida, quella
potenza che la pone al di là di ogni mortale non vale nulla in confronto a
quanto Amabel ha potuto darle su quel semplice prato. Lei le ha dato solo un
briciolo di umanità, ma è l’unica cosa che ha riempito la sua vita… É quella
cosa che lui le ha portato via… É quella cosa che ora le dà la forza di
distruggerlo… Quell’insignificante debolezza che lui ha tanto disprezzato… É
quella soltanto che ora le dà la forza di abbatterlo.
Ma Caron non ha mai saputo parlare… non ha mai
imparato come si dicono le cose… non è mai stata cresciuta per questo. Le sue
labbra sono state ammutolite dall’acciaio e dall’odio che le hanno solo
insegnato a tacere per dimostrare la forza… E adesso mentre Caron scaglia le
sue tecniche verso il padre, impegnandolo in un serrato scambio, sa come, pur
morte le parole, potrà dire tutto questo al suo carceriere… Lui le ha sempre
detto che lei non doveva parlare, che non le sarebbe servito, che doveva solo
imparare ad uccidere. Lui le aveva sempre detto che l’aveva solo creata per
combattere… e allora che sia.
Caron combatte… E i suoi colpi si trasformano uno dopo
l’altro nei suoi ricordi, nei suoi dolori, nelle sue parole così che il padre
possa capire, con l’unico strumento che le ha dato, cosa sente la figlia… La
figlia che ha privato della voce… La figlia per le cui Parole lui stesso ha
composto la trista Marcia Funebre.
I pugni di Caron che parlano di quanto troppo a lungo
ha taciuto senza ribellarsi, di quanto la solitudine l’abbia abbracciata fino a
renderla per sempre sua, di quanto le cicatrici che marchiano la sua anima
siano tanto profonde da non poterle mai più né guarire né nascondere,
tempestano la guardia dello stregone che tenta di contrastare con il potere
magico la furia e la perizia della sua assassina. Lo scambio continua fino a
quando la gamba di lei si solleva di scatto, tentando ancora di schiacciare
come un martello il cranio del padre. Lo stregone scivola via un attimo prima
dell’impatto grazie alla potenza magica che il sangue delle sue vittime gli ha
portato, ma il calcio è solo un punto esclamativo di quel linguaggio che Caron
padroneggia tanto bene. Quando il piede si schianta a terra sembra far tremare
la pietra dell’intera torre e mentre una brevissima pausa si afferma nella
serrata descrizione della sua sofferenza, gli occhi del padrone e della schiava
si incontrano: è lì che la magia del linguaggio muto di Caron compie il suo
miracolo. Il muro di fuoco che avvolge l’anima di Caron brucia uniforme per un
istante, quanto basta per permettere al padre di penetrare fino al fondo del
suo animo e scrutare in quel mare di ghiaccio in fiamme e di vedere… Di vedere
il desiderio e di coglierlo in tutta la sua chiarezza. In quel momento lo
sgomento dello stregone è completo perché per la prima volta si rende conto che
la figlia Desidera… E anche le sue orbite vuote sono in grado di capire che non
è la semplice rabbia animale quella che è maturata dentro la sua schiava… Ma è
il compiuto e più bramato desiderio di ucciderlo ad ogni costo che quel calcio
marchia con il più forte dei punti esclamativi.
E appena quel momento si spegne le fiamme di Caron
tornano ad avvampare ancora più forti e il lungo e triste racconto che i suoi
pugni hanno narrato diventa un feroce urlo che investe il padre portando con sé
la condanna di Caron… La condanna che lei stessa deve subire… la condanna a
portare un dolore che nessun tempo potrà guarire, che nessun luogo potrà
alleviare. E mentre l’urlo di colpi investe il padre, sopra ogni cosa le
tecniche di Caron gridano che questa volta… Per la prima volta… Per l’ultima
volta… Lei non gli permetterà di ignorare i sentimenti umani che tanto
disprezza… Non gli permetterà di ignorare la sua nuova “Voce”.
Tempestato dall’assalto della figlia e passato lo
sgomento che questa disobbedienza gli ha causato, lo stregone ritrova il vero
senso dell’ira che da tempo gli giaceva dentro sopito, da fin troppo confuso
con il disappunto che la semplice mancanza di perfezione gli aveva causato. Ora
invece la differenza gli diventa perfettamente chiara ed essa fa salire dal suo
cuore nero e putrefatto la parola blasfema con cui ha stretto i patti con i Signori
dell’Inferno. L’odio che la riempie è tanto forte da esplodere nel vero senso
della parola, scagliando la sua assalitrice contro la parete di pietra della
sala, fracassando il vetro degli alambicchi, incrinando persino la roccia.
Deciso a cancellare lo sciocco errore che ha compiuto pensando che una cagna
mortale potesse davvero servirlo, il padre di Caron comincia a recitare gli
incantamenti con cui pretende ubbidienza dal fuoco e dal fulmine perché
strazino i suoi avversari.
É il momento… Caron sapeva che la forza dello stregone
non giaceva nella forza fisica, ma nell’infinita magia che brandiva… E lo
sapeva anche suo fratello… Per questo sa che ora è il momento che tanto
attendeva… Per questo il fratello ha incantato le lame con cui lei aveva fino
ad allora servito il padre… Per questo le ha nascoste lì in quella stanza… E,
veloce come l’acciaio le ha insegnato ad essere, Caron rotola sul fianco
riprendendosi dall’impatto con la parete e raggiungendo la statua dietro cui le
spade giacciono. Le impugna gustando la nuova sensazione che brandire l’acciaio
le provoca ora che sa di usarlo per compiere i propri desideri e non più gli
altrui ordini… Ora sì… Ora sì l’Acciaio è il suo unico compagno… E non più la
sua Catena…
Le fiamme magiche si riversano nella stanza per
consumarla, ma anche se non più potente, l’incantesimo del fratello è quello
più adatto… É quello che permette alle spade di divorare la magia e di
impadronirsi della sua forza. E così mentre l’aria intorno a lei si trasforma
in un inferno, Caron volteggia le sue lame lacerando la trama magica che
vorrebbe bruciarla, deviandola da sé con la furia di un uragano, con il fragore
di un grido di rabbia e di liberazione che, anche se non urla con la sua voce,
esplode con la forza di un ciclone in quel nuovo linguaggio che la sua danza di
morte e i suoi occhi ormai conoscono alla perfezione.
É troppo tardi… Anche per l’intelligenza sovraumana
dello stregone è troppo tardi per rispondere quando la figura illesa della
figlia compare furiosamente dall’incantamento frustando con le spade… La mente
impossibilmente rapida comprende subito quale complotto sia stato ordito da non
uno, ma entrambi i figli e con un gesto ben calcolato tenta di aggirare la lama
divora-incantesimi richiamando una runa sul palmo della mano scheletrica per
imporla direttamente sul corpo della ribelle, oltre lo sbarramento dell’acciaio…
Ma nessuno può toccare Caron… É stato proprio l’odio, la selvaggia istruzione
senza posa tanto desiderata dallo stregone ad averla resa intoccabile dalle
mani anche del più esperto combattente e lui… Lui è troppo tempo che non viene
sfidato per poter davvero tentare… Ed è ancora troppo cieco, troppo preda del
suo stesso orgoglio per pensare che la sua schiava possa davvero riuscire nella
sua vendetta, per pensare a fuggire.
La prima lama intercetta il braccio scheletrico e la
seconda lo recide in un istante, poi Caron gira su se stessa per acquisire
forza centrifuga e lascia che il suo grido di acciaio si sfoghi con
tutta la sua forza sul busto scoperto del padre infine falciando in due
l’immondo corpo cadaverico. Le gambe ed il corpo vengono divise dall’impeto
della fiammeggiante liberta che però non arresta il suo movimento: conosce fin
troppo bene le creature dell’Oltretomba per non sapere che per molte di loro un
colpo simile non è affatto letale e certo non può esserlo per lo stregone.
Fermando il suo volteggio solo qualche passo più in là, Caron attende solo un
attimo prima di caricare il suo ultimo colpo, il suo ultimo grido solo in
quell’attimo rendendosi conto che quello è in verità il suo Primo colpo, il suo
Primo Grido… Il Primo che lei abbia mai davvero sferrato e desiderato. Il busto
del padre si solleva malfermo sulle braccia e distende la mano superstite verso
di lei… Le mascelle putrefatte si aprono un poco… Forse vuole recitare un
incantesimo, forse vuole dirle qualcosa, forse vuole maledirla… Ma non ha alcuna
importanza: ora è lei che ha deciso che non ascolterà più e che non ci sono più
parole da dire che possano cambiare quel suo desiderio, quel suo Inverno Nero
che brucia come mai avrebbe creduto, che possano riempire quel crepaccio che la
tortura e la morte di Amabel le hanno aperto nell’animo.
Senza esitazioni Caron volteggia due volte su se
stessa per caricare un colpo, un grido ineguagliabile e quando l’acciaio
fiammeggiante si abbatte sul corpo creduto immortale del padre esso frantuma il
cranio dello stregone insieme alle menzogne, all’odio e al dolore che hanno
ammantato le terre circostanti la torre…E insieme ad esse si sgretolano anche
le catene che legavano Caron a quel maniero di morte.
Abbassando le lame sente che altre catene non
spariranno mai, che mai potrà perdonare se stessa per aver spento il prezioso
sorriso di Amabel, nemmeno se potesse uccidere suo padre mille volte… Ma non le
importa… Sa di meritarle… E volgendo lo sguardo verso l’altare sacrificale su
cui una ignara e confusa vittima sta ancora piangendo in preda al panico sa
qual è la sua verità… Sa che sono state quelle stesse catene, quella stessa
neve nera a dare alla luce quel fuoco che ancora le brucia dentro. Anche se,
ora che la sua Vendetta è compiuta, non è più caldo, ma gelido come il suo
Inverno, Caron sa che esso può ancora bruciare ogni cosa come ha bruciato lo
stregone immortale… Guardando la ragazza che la morte del padre ha salvato,
Caron sa che non potrà mai liberarsi da quelle sue catene, di quel fuoco…
Perché non vuole… Caron lo porterà dentro di sé perché è il ricordo di Amabel… E
perché con esso porterà il suo Eterno Inverno a tutti coloro che, come suo
padre, hanno abbandonato la vita solo perché avevano odio di coloro che sanno
amare… Anche se questo significasse scrivere con le proprie mani il proprio triste e inesorabile Requiem Funebre.
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