Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: Dexter Bell    21/04/2018    0 recensioni
Perduta nel suo Inverno Nero, Caron sente solo un vuoto infinito divorarla completamente.
Ma quel vuoto sarà presto riempito dall'unica cosa che può nascere e prosperare in un simile gelo: un oscuro e ardente desiderio di Vendetta che non può essere racchiuso nell Parole.
Per questo Caron stessa comporrà per esse un Requiem Eterno.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Requiem Funebre di Caron'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ouverture

Finale

Requiem delle Parole

La luna è di nuovo nella fase giusta… Gli astri sono propizi… E i Signori dell’Inferno sono di nuovo in attesa… Pronti a ricevere le offerte e ad ascoltare la corrotta voce dei loro servitori…

Anche Caron è pronta, la celebrazione del rito ad un passo dal suo inizio… Anche questa volta è stata mandata al villaggio… Anche questa volta ha portato con sé una vittima per l’altare insanguinato…

Questa volta… Questa volta è stata lei a non poter distogliere lo sguardo dalla sua “vittima”… L’ha pregata, la ragazza… Le ha chiesto di non farlo, di non portarla a morire… Ma lei l’ha condotta lo stesso al maniero… Senza una parola… Ma senza mai smettere di guardarla… Senza mai smettere di Vederla… Di vedere Lei…

Ora, di fronte all’altare, Caron non parla… Fissa solo la ragazza e ascolta le grida imploranti… e Attende. Il padre è pronto… Le invocazioni recitate, ha bisogno del primo sangue per provare la sua devozione e attirare i demoni. Ma la vittima, come dice lui, è sempre così “noiosamente riluttante” a collaborare e a comprendere il suo ruolo in questo grandioso momento che si dibatte e rischia di rendere meno che perfetta l’incisione e quindi il rito. Così, la sua voce tenebrosa comanda la sua schiava di ghiaccio di tenere ben ferma la ragazza… Come ha sempre fatto… Come ha fatto con Amabel…

Caron rimane immobile… Gli occhi fissi sull’altare, la schiena rivolta al padre. L’ordine dello stregone viene ripetuto, cosa inaudita nel suo maniero. La disobbedienza ha un prezzo molto caro alla sua corte e Caron lo ha appreso con grande chiarezza e con grande dolore. Ma non si muove. Fissa solo l’altare e la ragazza… E cerca di sentirlo… E cerca di spiare… Dentro a quella fessura nel ghiaccio del suo cuore che non riesce a chiudersi… Là sotto… in quell’orribile vuoto che la divora… Là sotto, dove, con gelida determinazione, ha lasciato scorrere abbondante e letale il terribile veleno chiamato “Odio”, qualcosa esiste… E Caron attende… Sente… Sente che dal veleno e da quel vuoto qualcosa sta prendendo forma… E Caron attende… Attende quello che adesso sente solo come un rombo lontano… un tuono che riverbera in lontananza… Ma che prende sempre più forma… Sempre più viene ad assomigliare a quel proibito frutto che il padre ha tanto fatto per sradicare… Sempre più il tuono assomiglia ad un Desiderio… ad una Volontà… Che Caron aspetta… Per scoprire cosa deve fare di quella maledetta vita macchiata di sangue che le è rimasta…

Con disgustato disappunto, lo stregone osserva per un solo istante la sua indisponente schiava attendere per eseguire il suo chiaro ed inequivocabile ordine; poi, muta il disappunto nell’unica cosa che ritiene appropriata per chi non è adeguato ai suoi ordini: la punizione.

La mano, che porta con sé il gelo dell’oltretomba, si estende rapace fino alla spalla di Caron e, come l’artiglio di un avvoltoio vi si appoggia per scuotere la schiava da qualunque stupido ed inutile pensiero possa passare per la sua stupida e inutile mente e per punirla allo stesso tempo con quel freddo incommensurabile che solo la non-vita sa portare.

E quello è il segnale… E quello è l’inizio… quel tocco, quel gesto, quel richiamo all’obbedienza è ciò che rende quel rombo lontano un desiderio compiuto, ciò che rende limpido quel ghiaccio opaco sotto a cui Caron ora può vedere la sua Volontà…. È quell’ordine ciò che sembra rendere tutto chiaro…

…Caron non vuole più obbedire… E non obbedirà più.

Forte come l’acciaio in cui il padre l’ha trasformata, la mano di Caron ferma quella dello stregone schiacciando le tra loro le ossa cadaveriche e, con quel desiderio finalmente chiarissimo nella sua mente, si volta per mostrare infine il frutto maturo di ciò che il padre ha seminato con tanta crudeltà e freddezza. La gamba di Caron scatta potente e precisa e, mentre la mano impedisce allo stregone di allontanarsi, il calcio si schianta sulle vesti da cerimonia e sulle costole rose del cadavere che ospita il suo carceriere. Tale è la violenza e tanto l’impeto che il corpo del padrone viene sbalzato indietro fino a che lo stregone non riesce a dominare la sorpresa e a controllare le forze magiche per aggiustare la sua traiettoria e tornare a levitare. Ma quando le vuote cavità tornano a fissare la disobbediente schiava… Lei non è più lì. C’è il suo corpo, quello che lui ha forgiato con la magia, ci sono i suoi abiti, che lui le ha fatto indossare per la cerimonia… Ma Caron, la sua schiava, il suo braccio, quello non c’è più.

È venuto alla luce. Quel suo Desiderio si è premuto contro il ghiaccio e in quella fessura che il fiore di Amabel ha lasciato e ora… ora spacca quel ghiaccio con una forza che Caron non poteva nemmeno immaginare… E quando si libera dal vuoto e tocca il suo gelido Inverno, la neve nera che la ammanta prende improvvisamente fuoco, bruciando nel suo cuore, avvampando nei suoi occhi, diventando infine la Rabbia, la Furia che Caron ha bisogno per rinascere come una fenice. Grida il fuoco dentro di lei, scuotendo il suo corpo con quella forza feroce che la divora e la riporta alla vita allo stesso tempo: è una forza inarrestabile, non le si può resistere… E Caron non ha alcuna intenzione di farlo. Il Grido non esce dalle sue labbra; si ferma sui suoi occhi e si intreccia con la sua volontà. Non dice niente Caron, non vuole più dire niente Caron, non vuole più ascoltare Caron: vuole solo lasciar bruciare anche per una sola volta, per la sua prima e ultima volta, tutto il suo Inverno in quel fuoco di Rabbia che il Fiore di Amabel le ha lasciato come unica eredità dopo essere stato reciso. In quei pochi istanti in cui assapora quel lacerante e potentissimo calore dentro di sé, Caron serra i pugni, attivando gli incantamenti che il “fratello” le ha iscritto sul corpo… e il fuoco ora diventa reale: le fiamme danzano sul suo corpo ed intorno ai suoi pugni, senza bruciarla, ma pronte ad ardere il suo avversario, ad ardere suo padre.

Gli occhi cavi dello stregone indugiano sulla figura della figlia, troppo altezzoso per provare paura, troppo sicuro per pensare ad un tradimento, la fissa come si può fissare una cavia da esperimento che mostra segni imprevisti… Segni che bruciano intorno ai suoi pugni e dentro ai suoi occhi. Come ogni degno “uomo di scienza” non si lascia intimidire da un piccolo imprevisto e si solleva in tutta la sua statura, rivolgendo alla figlia indisciplinata uno sguardo che è allo stesso tempo quello di chi annuncia il più temibile castigo e quello di chi desidera conoscere il motivo di un gesto tanto stupido.

Come si può? Come si può chiedere? Come si può rispondere? Ha taciuto per tutta una vita Caron… e non ha mai avuto bisogno delle parole. Una sola cosa avrebbe voluto dire… Ad Amabel… Che le “Voleva bene”… E non lo ha fatto… E adesso… Adesso dovrebbe spiegare perché la Neve è nera, perché la Neve brucia. Dovrebbe spiegare perché si può disobbedire, perché si può scegliere e dovrebbe spiegarlo proprio a chi le ha voluto insegnare che in quel mondo non c’è scelta o desiderio. Come si può? Quante parole, quali parole sarebbero necessarie? In quale parola si può rinchiudere quel mare di fuoco che la sta riempiendo?

Che stupida domanda. Che inutile domanda. Lei lo ha imparato fin da quando il suo corpo era quello di una bambina: i cani non parlano, non si dà retta ai cani. E lei è solo un cane per lui, un mastino da guerra letale e utile, ma sempre e solo un cane. Non udirà una sola delle sue parole… e Caron non vuole più parlare.

La pietra sembra creparsi tanta è la velocità e la forza con cui le gambe di Caron spingono il suo corpo in avanti, verso il padre, prima che qualunque parola venga sprecata. La lotta ha inizio e il pugno di Caron vola veloce e preciso al viso del suo padrone; il suo corpo potrà essere solo un cadavere e il suo tempo speso nello studio dei rituali, ma il sacrificio di anime innocenti oltre che della propria non è stato senza ricompensa e i movimenti del padre sono sorprendentemente veloci. Anche se sono decenni che nessuno è così stupido da tentare di danneggiare il suo involucro, la sua prontezza e la sua potenza non sono venute meno. Rapido solleva la mano cadaverica e innalza la barriera magica, lasciando che la figlia sfoghi su di essa la sua potenza. Ma Caron è stata addestrata bene e non è in quel colpo che ha riposto tutte le sue speranze; con la grazia con cui uccideva nelle arene, cambia veloce il bersaglio, cercando di penetrare il costato del suo avversario con un montante che nasce dalla mano tenuta in guardia. Pressato, il padre intercetta anche questo colpo con l’altro arto; quella che affronta, tuttavia, è sua figlia, è la sua assassina, è la sua guerriera e non è stata cresciuta o addestrata per fermarsi. Lasciandosi scivolare in quei movimenti che tanto le appartengono, Caron comincia la sua danza; fulmineo, il suo corpo si avvolge in un turbine di flessuosi movimenti e, mentre gira su se stessa, le sue gambe si estendono dal vortice cercando di sorprendere l’avversario, cambiando bersaglio, traiettoria, invertendo la rotazione, per non essere mai uguali e mai prevedibili. E poi si trasformano: il turbine si ferma d’improvviso e i pugni che ancora bruciano si sostituiscono alle tecniche di gamba senza lasciare spazio ad alcuna replica. Quella è la danza che le arene le acclamavano, il letale ballo in cui la “Regina di Ghiaccio”, come la chiamavano, conduceva le sue vittime per portarle alla morte. Come nelle arene non si ferma mai, come nelle arene cerca la morte dell’avversario… Ma non è più nelle arene, Caron. La freddezza che la rendeva famosa è ormai in fiamme. Il suo solo pensiero, quello di eliminare l’avversario perché “doveva”, è ora un ben più feroce grido che la spinge con sempre maggiore furia ad assaltare le barriere magiche del suo carceriere.

Ma esso, benché costretto dalle tecniche della figlia all’insolita situazione di doversi difendere, non percepisce ancora quanto a fondo corra quell’incendio nel cuore della sua schiava… Né quanto possa ancora ardere. Convinto di aver raccolto dati sufficienti per comprendere quell’incidente di percorso, lo stregone rilascia una scarica cinetica che blocca come un muro l’assalto della figlia. Caron si ferma, come non è solita fare nemmeno di fronte a simili poteri. Si ferma, ma non è l’incantesimo del padre a sorprenderla, è realizzare quanto “sordo” lo stregone possa essere nella sua arroganza e nella sua onnipotenza. Come se nulla fosse, il padre le ha voltato le spalle, ignorando persino quel fuoco, non ascoltando nemmeno quell’ovvia ribellione… congedando persino quel suo unico, straziante desiderio, con una semplice frase “L’odio è un’encomiabile ed eccellente forza da coltivare… ma non per te. Devi ripulire da qualunque pensiero quell’inutile guscio che hai sopra le spalle: per quanto potente l’Odio possa rendere, ha il seccante contrattempo di far sorgere il dubbio che esista il suo contrario… Pensiero che è solo un inutile disturbo e che non voglio perdere tempo ad eradicare” Ma è ignaro lo stregone… Ignaro che il procedimento è già avvenuto… Ma nel senso opposto. Non è il principio del focolaio quello che ha mosso Caron alla sua ribellione, ma il terribile riflesso di quel suo primo puro sentimento che ora grida Vendetta… E che ancora non viene ascoltato dallo stregone…

È così che Caron lo scopre. È così che scopre che non c’è limite a quanto caldo possa diventare il suo cuore, a quanto il fuoco possa essere vorace e divorare ogni pensiero, ogni gesto e diventare più grande. E così Caron lo guarda voltarle le spalle come ha sempre fatto, rivolgendo lo sguardo altrove come se lei non esistesse.

Ma non questa volta…

È arrivato il momento. Il momento di non lasciare alcun dubbio. Risvegliandosi dalla contemplazione dell’arroganza del padre, Caron lascia che la magia che il fratello le ha iscritto addosso scorra potente come la rabbia che torna a sommergerla. In un solo istante la schiava raggiunge le spalle del padrone, ma non le basta colpirlo, non le basta sorprenderlo fuori guardia, vuole che lui la veda, che le veda gli occhi… Che ascolti la sua rabbia. Con un salto avvitato il corpo agile di Caron si proietta in aria oltre, davanti al padre e come una lancia distende la gamba con potenza esplosiva. Lo stregone torna per un istante con quello sguardo a metà tra il disappunto e la curiosità, ma questa volta dura solo un istante. Poi la tecnica si schianta sulla sua barriera magica… e la spezza. La furia della figlia investe lo stregone scaraventandolo violentemente indietro. Non è il danno in sé stesso che lo sorprende al punto di farlo addirittura cadere a terra, ma la percezione del suo involucro danneggiato che lo sconvolge fino a tanto. Al contrario, Caron non è nemmeno sfiorata dall’insolita visione e non ha posto per altro nel cuore se non quell’insaziabile voglia di far esplodere quel suo incendio. Mentre lo stregone richiama le energie per sollevarsi nuovamente in volo Caron gli è già addosso e falcia con un potentissimo calcio le braccia dello stregone impegnate nel tracciare arcani simboli. Senza fermarsi lascia che il suo corpo prosegua la traiettoria del calcio girando su se stesso acquisendo ancora più velocità e quando i suoi occhi tornano a fronteggiare il padre ancora fuori guardia le gambe di Caron spiccano un balzo portandosi all’altezza del teschio dello stregone ed investendolo con tutta la rabbia che arde nell’Inverno della figlia. L’istante in cui la sua tibia si schianta sul cranio del suo carceriere si dilata all’infinito per Caron inondandola di ancora più forza, di ancora più desiderio, di ancora più rabbia.

La sconcertante sensazione dell’impudente contatto della materia con il suo involucro sorprende lo stregone ancora di più della sensazione di non poter fare a meno di obbedire alle più semplici regole della natura rovinando a terra come pensava non sarebbe più stato possibile. Il lontano ricordo della sua mortalità gli viene in soccorso e anziché ricorrere alle complesse arti magiche cerca di riprendere il controllo e la distanza da terra con le semplici braccia, ma la figlia non ha alcuna intenzione di lasciargli ricordare altro e non appena discende dal suo balzo distende la gamba portandola in alto per poi farla cadere come un martello sulla schiena del padre. La perfezione tecnica trasformata ormai nel più semplice desiderio di uccidere, Caron lascia che l’altra gamba scatti infierendo sul corpo a terra con un semplice quanto efficace calcio al costato, scagliando l’involucro danneggiato del padre a diversi metri di distanza.

È troppo persino per la sua indole di “Uomo di scienza”: l’umiliazione a cui Caron lo ha sottoposto dà allo stregone la determinazione sufficiente per tornare in possesso dei suoi incantamenti e risollevarsi in volo in tutta la sua potenza di fronte alla disobbedienza della sua stupida servitrice…

Ma a Caron non importa… Anzi, le orbite fiammeggianti del padre non le incutono alcun terrore, non più… Anzi rendono ancora più chiaro quel suo desiderio, rendono ancora più chiaro cosa vuole davvero da quel suo fuoco… Mentre le flessuose e potenti gambe di Caron la lanciano nuovamente a distanza di scherma dal corpo del non-morto, i suoi occhi vedono con ancor più chiarezza… Non le basta ucciderlo di nuovo… Non è sufficiente per placare quella tempesta, per dare ragione a quel crepaccio nel fondo del suo cuore, non basta distruggere il suo corpo e scagliare la sua anima nell’aldilà…

…Lei vuole che lui sappia

Vuole che sappia che non obbedirà mai più, che non ascolterà mai più le sue parole. Vuole che sappia che tutto ciò che lui le ha dato in quella torre, quel corpo d’acciaio, quell’istinto omicida, quella potenza che la pone al di là di ogni mortale non vale nulla in confronto a quanto Amabel ha potuto darle su quel semplice prato. Lei le ha dato solo un briciolo di umanità, ma è l’unica cosa che ha riempito la sua vita… É quella cosa che lui le ha portato via… É quella cosa che ora le dà la forza di distruggerlo… Quell’insignificante debolezza che lui ha tanto disprezzato… É quella soltanto che ora le dà la forza di abbatterlo.

Ma Caron non ha mai saputo parlare… non ha mai imparato come si dicono le cose… non è mai stata cresciuta per questo. Le sue labbra sono state ammutolite dall’acciaio e dall’odio che le hanno solo insegnato a tacere per dimostrare la forza… E adesso mentre Caron scaglia le sue tecniche verso il padre, impegnandolo in un serrato scambio, sa come, pur morte le parole, potrà dire tutto questo al suo carceriere… Lui le ha sempre detto che lei non doveva parlare, che non le sarebbe servito, che doveva solo imparare ad uccidere. Lui le aveva sempre detto che l’aveva solo creata per combattere… e allora che sia.

Caron combatte… E i suoi colpi si trasformano uno dopo l’altro nei suoi ricordi, nei suoi dolori, nelle sue parole così che il padre possa capire, con l’unico strumento che le ha dato, cosa sente la figlia… La figlia che ha privato della voce… La figlia per le cui Parole lui stesso ha composto la trista Marcia Funebre.

I pugni di Caron che parlano di quanto troppo a lungo ha taciuto senza ribellarsi, di quanto la solitudine l’abbia abbracciata fino a renderla per sempre sua, di quanto le cicatrici che marchiano la sua anima siano tanto profonde da non poterle mai più né guarire né nascondere, tempestano la guardia dello stregone che tenta di contrastare con il potere magico la furia e la perizia della sua assassina. Lo scambio continua fino a quando la gamba di lei si solleva di scatto, tentando ancora di schiacciare come un martello il cranio del padre. Lo stregone scivola via un attimo prima dell’impatto grazie alla potenza magica che il sangue delle sue vittime gli ha portato, ma il calcio è solo un punto esclamativo di quel linguaggio che Caron padroneggia tanto bene. Quando il piede si schianta a terra sembra far tremare la pietra dell’intera torre e mentre una brevissima pausa si afferma nella serrata descrizione della sua sofferenza, gli occhi del padrone e della schiava si incontrano: è lì che la magia del linguaggio muto di Caron compie il suo miracolo. Il muro di fuoco che avvolge l’anima di Caron brucia uniforme per un istante, quanto basta per permettere al padre di penetrare fino al fondo del suo animo e scrutare in quel mare di ghiaccio in fiamme e di vedere… Di vedere il desiderio e di coglierlo in tutta la sua chiarezza. In quel momento lo sgomento dello stregone è completo perché per la prima volta si rende conto che la figlia Desidera… E anche le sue orbite vuote sono in grado di capire che non è la semplice rabbia animale quella che è maturata dentro la sua schiava… Ma è il compiuto e più bramato desiderio di ucciderlo ad ogni costo che quel calcio marchia con il più forte dei punti esclamativi.

E appena quel momento si spegne le fiamme di Caron tornano ad avvampare ancora più forti e il lungo e triste racconto che i suoi pugni hanno narrato diventa un feroce urlo che investe il padre portando con sé la condanna di Caron… La condanna che lei stessa deve subire… la condanna a portare un dolore che nessun tempo potrà guarire, che nessun luogo potrà alleviare. E mentre l’urlo di colpi investe il padre, sopra ogni cosa le tecniche di Caron gridano che questa volta… Per la prima volta… Per l’ultima volta… Lei non gli permetterà di ignorare i sentimenti umani che tanto disprezza… Non gli permetterà di ignorare la sua nuova “Voce”.

Tempestato dall’assalto della figlia e passato lo sgomento che questa disobbedienza gli ha causato, lo stregone ritrova il vero senso dell’ira che da tempo gli giaceva dentro sopito, da fin troppo confuso con il disappunto che la semplice mancanza di perfezione gli aveva causato. Ora invece la differenza gli diventa perfettamente chiara ed essa fa salire dal suo cuore nero e putrefatto la parola blasfema con cui ha stretto i patti con i Signori dell’Inferno. L’odio che la riempie è tanto forte da esplodere nel vero senso della parola, scagliando la sua assalitrice contro la parete di pietra della sala, fracassando il vetro degli alambicchi, incrinando persino la roccia. Deciso a cancellare lo sciocco errore che ha compiuto pensando che una cagna mortale potesse davvero servirlo, il padre di Caron comincia a recitare gli incantamenti con cui pretende ubbidienza dal fuoco e dal fulmine perché strazino i suoi avversari.

É il momento… Caron sapeva che la forza dello stregone non giaceva nella forza fisica, ma nell’infinita magia che brandiva… E lo sapeva anche suo fratello… Per questo sa che ora è il momento che tanto attendeva… Per questo il fratello ha incantato le lame con cui lei aveva fino ad allora servito il padre… Per questo le ha nascoste lì in quella stanza… E, veloce come l’acciaio le ha insegnato ad essere, Caron rotola sul fianco riprendendosi dall’impatto con la parete e raggiungendo la statua dietro cui le spade giacciono. Le impugna gustando la nuova sensazione che brandire l’acciaio le provoca ora che sa di usarlo per compiere i propri desideri e non più gli altrui ordini… Ora sì… Ora sì l’Acciaio è il suo unico compagno… E non più la sua Catena…

Le fiamme magiche si riversano nella stanza per consumarla, ma anche se non più potente, l’incantesimo del fratello è quello più adatto… É quello che permette alle spade di divorare la magia e di impadronirsi della sua forza. E così mentre l’aria intorno a lei si trasforma in un inferno, Caron volteggia le sue lame lacerando la trama magica che vorrebbe bruciarla, deviandola da sé con la furia di un uragano, con il fragore di un grido di rabbia e di liberazione che, anche se non urla con la sua voce, esplode con la forza di un ciclone in quel nuovo linguaggio che la sua danza di morte e i suoi occhi ormai conoscono alla perfezione.

É troppo tardi… Anche per l’intelligenza sovraumana dello stregone è troppo tardi per rispondere quando la figura illesa della figlia compare furiosamente dall’incantamento frustando con le spade… La mente impossibilmente rapida comprende subito quale complotto sia stato ordito da non uno, ma entrambi i figli e con un gesto ben calcolato tenta di aggirare la lama divora-incantesimi richiamando una runa sul palmo della mano scheletrica per imporla direttamente sul corpo della ribelle, oltre lo sbarramento dell’acciaio… Ma nessuno può toccare Caron… É stato proprio l’odio, la selvaggia istruzione senza posa tanto desiderata dallo stregone ad averla resa intoccabile dalle mani anche del più esperto combattente e lui… Lui è troppo tempo che non viene sfidato per poter davvero tentare… Ed è ancora troppo cieco, troppo preda del suo stesso orgoglio per pensare che la sua schiava possa davvero riuscire nella sua vendetta, per pensare a fuggire.

La prima lama intercetta il braccio scheletrico e la seconda lo recide in un istante, poi Caron gira su se stessa per acquisire forza centrifuga e lascia che il suo grido di acciaio si sfoghi con tutta la sua forza sul busto scoperto del padre infine falciando in due l’immondo corpo cadaverico. Le gambe ed il corpo vengono divise dall’impeto della fiammeggiante liberta che però non arresta il suo movimento: conosce fin troppo bene le creature dell’Oltretomba per non sapere che per molte di loro un colpo simile non è affatto letale e certo non può esserlo per lo stregone. Fermando il suo volteggio solo qualche passo più in là, Caron attende solo un attimo prima di caricare il suo ultimo colpo, il suo ultimo grido solo in quell’attimo rendendosi conto che quello è in verità il suo Primo colpo, il suo Primo Grido… Il Primo che lei abbia mai davvero sferrato e desiderato. Il busto del padre si solleva malfermo sulle braccia e distende la mano superstite verso di lei… Le mascelle putrefatte si aprono un poco… Forse vuole recitare un incantesimo, forse vuole dirle qualcosa, forse vuole maledirla… Ma non ha alcuna importanza: ora è lei che ha deciso che non ascolterà più e che non ci sono più parole da dire che possano cambiare quel suo desiderio, quel suo Inverno Nero che brucia come mai avrebbe creduto, che possano riempire quel crepaccio che la tortura e la morte di Amabel le hanno aperto nell’animo.

Senza esitazioni Caron volteggia due volte su se stessa per caricare un colpo, un grido ineguagliabile e quando l’acciaio fiammeggiante si abbatte sul corpo creduto immortale del padre esso frantuma il cranio dello stregone insieme alle menzogne, all’odio e al dolore che hanno ammantato le terre circostanti la torre…E insieme ad esse si sgretolano anche le catene che legavano Caron a quel maniero di morte.

Abbassando le lame sente che altre catene non spariranno mai, che mai potrà perdonare se stessa per aver spento il prezioso sorriso di Amabel, nemmeno se potesse uccidere suo padre mille volte… Ma non le importa… Sa di meritarle… E volgendo lo sguardo verso l’altare sacrificale su cui una ignara e confusa vittima sta ancora piangendo in preda al panico sa qual è la sua verità… Sa che sono state quelle stesse catene, quella stessa neve nera a dare alla luce quel fuoco che ancora le brucia dentro. Anche se, ora che la sua Vendetta è compiuta, non è più caldo, ma gelido come il suo Inverno, Caron sa che esso può ancora bruciare ogni cosa come ha bruciato lo stregone immortale… Guardando la ragazza che la morte del padre ha salvato, Caron sa che non potrà mai liberarsi da quelle sue catene, di quel fuoco… Perché non vuole… Caron lo porterà dentro di sé perché è il ricordo di Amabel… E perché con esso porterà il suo Eterno Inverno a tutti coloro che, come suo padre, hanno abbandonato la vita solo perché avevano odio di coloro che sanno amare… Anche se questo significasse scrivere con le proprie mani il proprio triste e inesorabile Requiem Funebre.




Segui i Racconti del Fiume Nero anche su Facebook per rimanere aggiornato su tutte le nuove pubblicazioni e per molti altri contenuti aggiuntivi
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Dexter Bell