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Autore: MarcoMarchetta    21/04/2018    0 recensioni
Fra storia e racconto
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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L'  ORDALÌA      
(542)                                                   
    
"Come, lesa maestà?" urlò Valdemir e le pareti della sua casa sembrarono tremare. Indicò la moglie. "È stato lui o chi a tenersi sotto la mia Urgrid?"
Dalleh, fido compagno di tanti scontri armati, cercava di calmarlo:
"Valdemir, Tòtila è il re."
"E questo gli dà il diritto di abusare della donna di un guerriero?"
"Assolutamente no ma è successo; e, per questa sua mancanza, come guidrigildo ti ha fatto consegnare un bel po' di argento. Tu il guidrigildo l'hai accettato."
"Sì. Ho fatto vendetta, forse?"
"Tu l'hai insultato, amico. Hai detto che per quanto ci abbia provato per un'intera notte con Urgrid non sia riuscito a fare niente."
"Io non c'ero, Dalleh. Se l'ho detto è perchè lei non mi ha nascosto niente di quello che è successo: Tòtila ha approfittato della mia ebbrezza per prendersi Urgrid contro la sua volontà. Questo è sembrato a chi c’era quando l'ha condotta via.
Me l'ha restituita e mi ha indennizzato: siamo pace così. Se poi non è riuscito ad approfittarne, come dice lei, meglio per me e peggio per lui. Perchè non dovrei dirlo in giro?"
"La versione di Tòtila è che Urgrid ha riferito il falso; e di tua moglie ne rispondi tu. Lui si sente diffamato dal sospetto di non essere stato maschio con questa donna."
"E allora?"
"Chiede l'ordalìa com'è suo diritto. C'è la parola sua contro la tua. Chi ha ragione? Tu l'hai provocato e la prova la fai tu."
"Quale?"
"L'erba della cagna. Questo vuole il re. Se Urgrid ha detto il vero Dio ti salverà."   
"Va bene, andiamo a berci questa prova, amico caro e ti dico addio. Alle divinità e alle stregonerie non ho mai creduto; al veleno sì.
Si vede che avevo vissuto già troppo."
 
Il giorno dopo era l'abitazione di Tòtila a tremare per le urla:
"Come? L'erba non ha funzionato? Valdemir è ancora vivo e si sta riprendendo?"
"Tòtila" lo ragguagliò lo zio Balthu, uno dei più valorosi fra gli Ostrogoti e suo fido consigliere oltre che amico, "hanno preparato il filtro in mia presenza.
Dio lo ha salvato e non pensare di dargli un'altra morte perchè nessuno del nostro popolo te lo perdonerebbe."
"Non ferirmi, Balthu. Non ci pensavo affatto. Pensavo invece che, per quanto io sappia com'è andata con Urgrid, tutti adesso sono convinti che con lei non sia stato più valente di un vecchio o di un bambino.
D'altronde sono stato io ad appellarmi al Giudizio di Dio e devo accettarne il responso.
Sai che ti dico? Non c’è nessun Dio a giudicare ed ora ne sono convinto: quella donna ha detto il falso e nessuno è mai uscito vivo da quella prova."
"No, mai a memoria d'uomo, Tòtila."
'L'erba di cagna ha ucciso chissà quanti innocenti, ed ora un colpevole si è salvato' rimuginava il re. 'A proposito di cagna, Urgrid mi invitava a cenni e con lo sguardo quella sera e recalcitrò appena giusto per salvar la faccia. Ha fatto in modo da entrare nel mio letto e portare avanti quella recita per la sola voglia di restare vedova... .'
"Balthu" concluse poi, "sono contento che Valdemir guarisca. Fallo vigilare strettamente da famigli nostri; di' ch'è un ordine del re.
Io sono pronto a sostenere la mia verità accusando io quella donna di falsità, a rischio di subire io l'ordalìa. Il marito sarà ragguagliato pubblicamente e, se vorrà consentire, proverò con lei nuovamente la mia virilità in presenza di chiunque voglia. Allora Valdemir potrà vendicarsi, com'è suo diritto, contro chi desiderava davvero la sua morte; e per farlo non avrà bisogno di ulteriori prove: gli basterà la spada.
Circa l'ordalìa, serve solo a far dei cadaveri innocenti e non credo che eventuali divinità, seppure esistono, vogliano immischiarsi in queste cose. Ne parlerò in Consiglio perchè è tempo di abolirla e con la mia verità appurata voglio vedere chi se la sentirà di considerarla ancora una cosa giusta.
Nel frattempo proteggiamo quel valoroso. Non vorrei, zio, che prima di riuscire a recuperare le forze, salvato dalla 'benevolenza divina' venga ucciso dalla malvagità di un demonio."
 
Marco Marchetta
 
 
 
BEETHOVEN     
(1809)                                                 
 
Nel recarsi dal suo maestro di tanti anni prima Ludwig cercava di sfogare l'insoddisfazione verso il mondo intero concentrandolo nell'insofferenza verso quel pomposo individuo.
Non gli doveva niente. Fosse stato per l'impegno e la cura che Haydn aveva impiegato per migliorare l'educazione musicale del suo allievo, il giovane Beethoven avrebbe fatto meglio a dedicarsi ad altro.
Che cercava da lui? Provocarlo forse; mettere in dubbio la validità effettiva dei suoi successi. Ci si fosse provato!: gli avrebbe tolto la pelle a urli e fatto capire a tutti in quale considerazione tenesse quel monumento vivente.
Il famiglio di Haydn gli aveva riferito che il padrone desiderava un incontro con lui e che la vecchiezza lo impossibilitava a uscire.
“Vi prego, siate generoso, accontentatelo” aveva supplicato; “non penso abbia ancora tanto da vivere.”
Si era incuriosito e si augurava per lui che davvero non lo avesse convocato ingiustificatamente.
Trovò il vecchio in poltrona in uno stato di salute davvero pietoso.
"Caro Beethoven" lo ragguagliò dopo un'accoglienza festosa, "l'imperatore Napoleone sarà qui il mese prossimo e ho ricevuto un invito. Mi è stato detto che questo onore è stato riservato anche a voi. A noi due soli in tutta la città, lusinghiero, non è vero? Ci considera gli unici musicisti degni di essergli presentati.
Allora, carissimo, veniamo al dunque. Io ho un inedito, una sonata breve per pianoforte e gliel'ho dedicata. Volevo fargliela sentire io stesso ma non ce la faccio più a muovere neanche un passo. Mi dovrò scusare e volevo che in mia assenza la presentaste e la suonaste voi unitamente al vostro programma. Che ne dite?"
Il maestro era parzialmente in ombra. Dalle labbra in movimento e dai pochi suoni afferrati Ludwig aveva capito solo una parola su tre.
"E parlate, quindi!" insistè Haydn. "Che siete ... sordo? Ditemi pure di no se la cosa vi guasta tanto!"
L'allusione alla sua sordità Beethoven l'aveva afferrata.
Irrigidito e dimèntico della cordialità iniziale stava per raccogliere tutta la rabbia repressa da tempo quando quello scandì forte ponendosi in luce a mostrar le labbra:
"Compatitemi, caro Ludwig. Sono un vecchio asino calzato e vestito. Il vostro male non mi ha colpito ancora ma per il resto non mi manca alcuna infermità compresa, certamente, una certa tardezza mentale. Sono ricco d'anni. Mi perdonate?"
Da orsaccio intrattabile con un cuore grande così Beethoven si avvicinò e gli chiese di ripetere la richiesta.
"Maestro" si scusò quando tutto gli fu chiaro, "io non posso soffrire Napoleone. Pensavo che lui i tiranni li avrebbe abbattuti, non sostituiti!
Però vi servirò ugualmente: presenterò e suonerò in vostro nome il pezzo che dite; poi accuserò anch'io un malore e non mi tratterrò oltre."
"Ludwig, vi conosco bene per sapere che come avete detto così farete. Ma pensateci; ve lo dice chi non ha fatto altro che chinar la schiena pur di poter presentare il proprio lavoro a chi conta.
Sono convinto da tempo che in futuro con Bach, Haydn e Mozart ci sarà solo Beethoven nel mondo musicale ascoltato. Però perchè non farsi osannare il più possibile anche nel presente?
L'imperatore vi aiuterà se gli dimostrerete un po' di deferenza."
Salutato il pallone gonfiato di una volta, ormai del tutto sgonfio, Beethoven pensò che già recarsi alla presenza di gente odiosa per favorirlo, fosse più di quanto Haydn meritasse e aveva ben presente come si sarebbe comportato alla presenza di colui.
All'inchino, nel rispetto dell'etichetta, non avrebbe potuto sottrarsi; ma incensare e ossequiare erano cose incompatibili col suo orgoglio a cui non avrebbe mai rinunciato.
Lui non aveva famiglia cui badare ed, eventualmente, sacrificare l'amor proprio e, per fortuna, viveva agiatamente.
Come si sarebbe considerato se si fosse reso opportunista e servile secondo i suggerimenti di quel vecchio che continuava a non essergli di alcuna utilità? Lui non aveva che sè stesso e con sè stesso unicamente avrebbe fatto i conti in ogni attimo dell'esistenza; gli eventuali rimproveri della coscienza li avrebbe sentiti sempre chiaramente, eccome.
 
Marco Marchetta
 
 
 
SENNACHERIB     
(690 a.C.)                
 
"... per tutto Assur, da Karkemish agli Elamiti, sia posto il bando a Merodachbaladan, già re del Paese del Mare" dettava lentamente il sovrano agli scribi che imprimevano tutto sulla creta coi legnetti. "Il signore che ce lo condurrà vivo, riceverà dalla città reale cento schiavi siri, con un minimo di venti giovani donne fra essi."
Alla fine del proclama Hodamenec chiese umilmente di parlare.
"Parla pure."
"Senza formalismi e senza orecchie estranee, mio re."
Hodamenec era un po' tutto per Sennacherib: suo braccio destro a palazzo, eunuco capo dell'harem, consigliere, amico fidato e amante se ne aveva abbastanza delle femmine.
"Qui puoi parlare liberamente" concesse il re quando si furono ritirati negli alloggi privati.
"Mio adorato Sennac e mio re, tu ti preoccupi e ti affanni troppo. Perchè non prendi fiato?"
"Non posso Hoda, tutti mi guardano."
"E tu non te ne curare; sei il re."
"Non sono i mortali a osservarmi. No, Hoda, non è così semplice.
Cosa dicono di noi i popoli assoggettati?: 'Gli Assiri ammassano le teste dei nemici e nuotano nel sangue'. Siamo noi a farglielo credere e così ci temono; perchè sappi che quando perderanno quel timore ci sommergeranno.
I re di Assur non possono vivere fra mollezze e pigrizie perchè sarebbe la fine. Ma tu vorresti che passassi il tempo fra le tue braccia.
Io sul mio trono sto cavalcando una tigre e devo pensare a lasciare per la posterità una numerosa discendenza oltre che un paese sicuro."
"Sennac, era necessario quel bando? Hai scacciato Merodach da Babilonia, non è sufficiente?
E poi hai già una città-palazzo: l'ha appena costruita tuo padre. Perchè Nìnive, allora? Cos'ha Dur-Sharrukin che non va bene? E ancora, non hai già troppo da fare? perchè progetti un'incursione a Gerusalemme? cos'è quest'altra novità?"
"Smetti, Hoda, finchè hai la testa!"
"Certo, re. Però io voglio che tu viva non che muoia di strapazzi."
"Hoda, tu parli per il mio bene lo so e per questo voglio che tu capisca.
Merodachbaladan ha tradito Tiglatpileser cui era soggetto poi mio padre occupando Babilonia. Morto lui che lo aveva costretto a più miti consigli si è rifatto signore di quella città. È insopportabilmente arrogante e ribelle ed è riuscito a sfuggire alla cattura. Bisogna lasciargli la vita e dargliela vinta? Nessuno l'ha tolto ancora di mezzo e devo farlo io, per vendicare i miei ascendenti a cui tale compito non è riuscito!
In questa città-palazzo quel che non va bene è che l'ha fatta mio padre, non io! E sempre mio padre, Sargon, ha raddoppiato le terre di Assur.
Quando gli Dei mi domanderanno che cosa ho fatto nella mia esistenza cosa potrò rispondere?"
"Tu sei giovane, mio re, e finora hai fatto più che Tiglatpileser, Salmanasar e Sargon nello stesso periodo iniziale del regno. Tu sei un grande sovrano e hai tutta la vita per superare i tuoi illustri predecessori.
Non hai alcun motivo di invidiarli, nè di sentirti continuamente osservato e giudicato da loro o dagli Dei."
"Hodamenec" sibilò Sennacherib, "tu mi sei amico e lo sento. Sono io che non sono più certo di esserlo nei tuoi confronti!
Ritirati e saprai domani se avrai conservato la mia benevolenza e la testa al suo posto."
Con atteggiamento reverente e falsamente intimorito Hoda si allontanò contento in cuor suo perchè aveva percepito compiacimento, non soltanto giusta irritazione, nella voce del suo signore.
Comunque fosse andata non si rimproverava alcunchè, dato che aveva operato secondo il suo dovere di fidato consigliere.
Inoltre, guardando al passato tante volte il suo adorato Sennac aveva minacciato di decapitarlo e poi gli aveva rinnovato il suo affetto. Quelle minacce non lo intimorivano più ma il suo re, questo, non doveva saperlo. Lui era giusto si ritenesse di quelli che le teste le accumula, pronto a nuotare nel sangue...
 
Marco Marchetta
 
 
 
L’ AMANUENSE   
(1430)                               
 
Nel monastero fra’ Crispo sovrintendeva a tutti i gruppi di copisti. Al momento erano in lavorazione sei tomi di contenuto mistico commissionati dalla Santa Sede.
“Mantenendo le caratteristiche di base secondo le direttive che vi ho impartito” enunciava in uno degli stanzoni più luminosi e adatti per la copia “ognuno dei fratelli amanuensi è pregato di impiegare la propria  fantasia negli svolazzi e nei disegni miniati. Desidero, in particolare, che la lettera iniziale di ogni facciata sia sempre diversa e ridondante. I frati non còpino l’uno dall’altro, altrimenti lo scopo di cui ho parlato è col fischietto che lo raggiungiamo.
Punirò, come al solito, i pigri e i disubbidienti: se non volete che vi privi dei pasticcini al miele delle Figlie della Corona Insanguinata che vi spettano, fate come vi si dice; sapete che sono capace di farlo!”
Finito il giro di ispezione anche fra’ Crispo si rimise al suo banco a copiare. Così lo trovò il famiglio del cardinale don Alonso Borja per convocarlo dal padrone.
Mentre con passo svelto si recava nell’ala destinata all’illustre ospite amico dell’abate, fra’ Crispo pensava che quel prelato doveva aver messo le radici nell’abbazia dato che da due mesi ci stava facendo i funghi.
Non c’era da supporre che volesse ritirarsi dalle piacevolezze del mondo: si dedicava unicamente alla caccia nei dintorni e, fra le sue prede, recava spesso qualche procace contadina allettata da un compenso e dalla voluttà di giacere in un soffice letto.
Il frate si accorse di essere stato ingiusto: dai tanti tomi in giro don Alonso doveva leggere molto e, probabilmente, era per questo che non si decideva ad andarsene.
“Sto qua, eminenza” si annunciò perché il cardinale lo lasciasse entrare.
“Fra’ Crispo, il monogramma su questa copia della vita di san Callisto è il tuo?” e lo mostrò. Ricevuto l’assenso continuò:
“Questa è un’altra copia della stessa agiografia fatta da un altro confratello. Sono notevolmente diverse. Come mai? Chi ha copiato giusto e chi sbagliato?
È facile, una volta a Roma, verificare sul tomo originale tornato nell’archivio pontificio.”
“Non è necessario, eminenza. Sono io il copista infedele.”
“Sei stato infedelissimo, fratello. Hai inventato che Callisto ha combattuto nell’arena contro l’imperatore Còmmodo; questi, sconfitto e graziato, avrebbe voluto vendicarsi; il gladio impugnato per uccidere Callisto si trasformò miracolosamente in un pesce, simbolo dei cristiani di allora; l’imperatore, rimasto così disarmato, finì vittima di Narcisso, vendicatore di tutta la romanità oppressa…
Questa è una delle tante fantasticherie che ti sono passate per la mente e per la penna.
Come ti sorge tanta inventiva? Vuoi commentare, prego?”
“Eminenza, io a ricopiare sempre le stesse cose mi intristisco mortalmente; e poi ho voluto scrivere qualcosa che mi sarebbe piaciuto leggere da devoto qual sono.
Comunque so di essere venuto meno ai miei doveri e capirò se vorrete rimuovermi dai miei incarichi.”
“Tutto qui?”
“Eminenza, visto che mi date licenza di parlare, ritenete che quel tomo originale che avete citato dica il vero su san Callisto? A quei tempi  non si scriveva e le storie si tramandavano oralmente. Raccogliere tali racconti dopo dopo otto o dieci secoli e metterli finalmente per iscritto, pensate sia avere arrecato un buon servizio alla verità? E allora, fantasia per fantasia…”
“Tu, fra’ Crispo, dovrai venire a Roma con me.”
“Eminenza, non vorrete che finisca al rogo!
Fatemi la grazia di raccogliervi in preghiera per una sola ora, vi supplico, e mi dileguerò per le campagne.”
“Che sciocche preoccupazioni da parte di un uomo d’ingegno.
Taci oppure al rogo ti ci mando per davvero!
Ti farò bibliotecario col compito occulto di creare maggiori fasti per la mia famiglia. In effetti sarai un mio segretario con tutti i vantaggi che ne derivano. Accetti?”
“E ne dubitate, eminenza? Non vi ringrazierò mai abbastanza.
Se ho ben capito trasformerò alquanto, nel ricopiare, le storie dei vostri ascendenti ampliandone i meriti, o creandone all’occorrenza.”
“…così come hai fatto diventate più santo san Callisto.
No, non mi sbagliavo nel considerarti quel che mi abbisogna. A volte è grazie a tipi come te che tipi come me diventano papi.
Magari col nome di Callisto Terzo, chi lo sa?”
 
Marco Marchetta
 
(Ringrazio chi legge e gradisce. Vi do appuntamento a sabato prossimo, 28 aprile)
   
 
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