Serie TV > Merlin
Segui la storia  |       
Autore: _Pulse_    21/04/2018    1 recensioni
[Dal Capitolo 2]
«Come sta?», gli chiese Alex, rompendo quel silenzio che l’avrebbe fatta diventare matta se sommato all’innocente bellezza degli occhi di Merlino.
«Molto meglio. Ora dorme».
«Bene. Come hai detto che si chiama?».
«Artù».
«E tu e lui… vi conoscete da molto?».
«Da sempre».
Alex sollevò di scatto gli occhi e trovò i suoi luminosi, anche se velati di lacrime. Si chiese se fosse il caso di continuare con quell’interrogatorio o se fosse più opportuno aspettare che fosse Merlino a parlarle di lui. Dopotutto l’aveva soccorso – se non salvato – e l’aveva ospitato a casa sua: qualche informazione in più era un suo diritto, se la meritava.
Ma forse l’unica vera ricompensa che desiderava era proprio quella che Merlino le offrì, prendendole inaspettatamente una mano e stringendola forte tra le sue, facendo sì che i loro occhi si incatenassero.
«Ti sei tuffata nel lago per aiutarlo, vero?».
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ed eccoci qua, alla fine di questa storia che ha avuto i suoi alti e bassi ma che mi rimarrà sempre nel cuore. Non scherzo quando dico che è una delle più belle che mi siano mai uscite e ringrazio il dio Apollo e tutte le Muse per l'ispirazione. Ringrazio la BBC per aver dato vita ad una serie così bella. Ma soprattutto ringrazio voi, che l'avete seguita nonostante la pausa e i ritardi. Mi scuso infinitamente per le mie mancanze e spero di aver scritto un finale dignitoso.
Per chi volesse contattarmi per qualsiasi motivo o seguire i vari aggiornamenti ricordo la mia pagina Facebook ;)
A presto!

Vostra,
_Pulse_


______________________________________________________________________________________



32. Epilogue


Tante cose erano cambiate, nel corso di quei dieci lunghi anni. Anni difficili, anni in cui il peso delle sue scelte le era sembrato insostenibile; ma anni anche ricchi di gioia e significati.
La sua vita era stata stravolta quello stesso giorno di dieci anni prima, quando aveva ripescato il leggendario re Artù dal lago di Avalon, eppure se ne avesse avuto la possibilità non avrebbe fatto nulla di diverso.
«Alex?».
La donna dai corti capelli biondi si voltò verso quella voce familiare e provò una piacevole stretta al petto nel realizzare che no, non si era sbagliata. Un ragazzo allampanato sui venticinque anni, con una zazzera di ricci scuri e un paio di occhi castani incastonati in un viso un po' spigoloso ma bello, la stava fissando con un misto di incredulità e divertimento. Fu quel sorriso sbilenco, infatti, a farle capire che era proprio lui, dedito e leale come il primo giorno.
«Sì Mark, sono io».
Il ragazzo, conosciuto una vita fa tra i corridoi del reparto di oncologia infantile, abbassò il mazzo di fiori che aveva tra le mani e le corse incontro per stringerla in un abbraccio soffocante. Mettendosi sulle punte dei piedi Alexandra riusciva a malapena a vedere oltre la sua spalla.
«Sei diventato un gigante», gli disse, sfregandogli una mano sulla schiena.
«Lo prendo come un complimento».
Si guardarono negli occhi e l'ex-infermiera gli sorrise teneramente. «Lo è».
Mark ricambiò, ma ben presto l'euforia di averla rivista dopo così tanto tempo scemò per fare spazio ad un altro sentimento: la preoccupazione.
«Ma che cosa ti è successo?», gli chiese. «Perché sei sparita così all'improvviso?».
«Cathleen non ti ha dato la tua lettera?».
«Sì, l'ha fatto. L'ho letta e riletta centinaia di volte e non sono mai riuscito a capire. Dove sei stata per tutti questi anni?».
Alex sospirò e tornò a guardare i raggi del sole del mattino che brillavano sulla superficie di Avalon: l'isola al centro del lago non era mai stata così nitida, la sua torre era tornata allo splendore originale e la magia che percepiva sulla pelle e nelle ossa, sotto forma di lievi scosse elettriche, era come un balsamo per la sua anima tormentata. Le sue rinunce non erano state vane.
«Sei sicuro di volerlo sapere?», gli domandò alla fine. «Il tuo appuntamento con Abby...».
Mark sorrise mestamente, abbassando gli occhi sul mazzo di fiori. «Abby non va da nessuna parte, lo sai».
Alexandra diede un'occhiata alle sue spalle, verso i sedili posteriori della propria auto, e trovando sua figlia ancora addormentata cedette: infilò il braccio sotto quello che il ragazzo le aveva offerto e andarono a sedersi sulla panchina più vicina.

***

«E così è arrivato il grande giorno».
Artù non si voltò, ma abbozzò un sorriso quando Cathleen gli avvolse le braccia intorno al torace e posò il capo contro la sua spalla. Riusciva a vedere il loro riflesso sul vetro della finestra davanti alla quale era rimasto per ore, ad osservare il mare e a pensare a quei dieci lunghi anni.
Quant'erano cresciuti e cambiati... insieme.
Se qualcuno gli avesse mai detto che sarebbe andata a finire così, che avrebbe avuto una seconda possibilità, una seconda vita, non ci avrebbe mai creduto. Nonostante le difficoltà, i rimpianti e i dolori che inevitabilmente ogni tanto tornavano a galla, il tempo trascorso al fianco di Cathleen e della famiglia che si erano costruiti era stato il più bello e felice di tutta la sua esistenza.
«Dove sono i bambini?».
«In piscina con le gemelle».
Artù si voltò, senza sciogliere l'abbraccio della moglie, e posò le mani sui suoi fianchi mentre accostava la fronte alla sua e le sussurrava dolcemente: «Ti amo, lo sai?».
«Certo che lo so. E tu lo sai che se c'è qualcosa che ti preoccupa puoi parlarmene, vero?».
L'ex-sovrano di Camelot abbozzò un sorriso intriso di malinconia. «Merlino», rispose semplicemente.
Cathleen sospirò e si allontanò per fare qualche passo in quella che un tempo era stata la biblioteca di suo padre e che col passare degli anni era stata trasformata in un'aula: decine di tavoli rotondi erano disseminati per l'ampia stanza e sulle pareti non occupate dai libri erano appese mappe geografiche, tavole periodiche, schemi di anatomia e poster che spiegavano la forza degli elementi. Sul lato nord, come in ogni aula che si rispettasse, c'era una grande lavagna nera su cui c'era ancora il brainstorming dell'ultima lezione, scritto nella grafia striminzita e frettolosa di Elijah.
Tra quelle quattro pareti erano cresciuti tantissimi maghi e streghe provenienti da tutti gli angoli del globo, condotti lì dallo stesso druido - capace di individuarli con i suoi poteri di Vate - oppure con una lettera di raccomandazione di Alexandra.
Ogni volta che ci pensava, l'ex-paramedico non poteva fare a meno di paragonare la Residenza Shaw ad un misto tra Hogwarts e la scuola per giovani dotati degli X-Men. Lì i ragazzi che dopo il ritorno della magia si erano scoperti possessori del dono potevano vivere in pace, in un ambiente protetto, e cosa più importante imparavano a controllare i loro poteri, così da non esserne spaventati.
La maggior parte di loro poi tornava a casa e riprendeva in mano la propria vita, o almeno ci provava, ma c'era anche chi decideva di rimanere, come avevano fatto Maureen e Doreen, Hanna e il già citato Elijah, diventato professore e custode della Residenza.
«E se non dovesse tornare?», aggiunse Artù. «Se... se la Triplice Dea ci avesse ingannati, divertendosi alle nostre spalle per tutti questi anni?».
«No, non può essere», rispose finalmente Cathleen, stringendo forte i pugni lungo i fianchi. «Elijah...».
«Elijah ha solo visto che Alexandra sarà là. Non ha mai predetto nulla sulle sorti di Merlino».
La rossa si voltò e lo guardò col cuore spezzato: da quando era tornato indietro dal limbo, risvegliandosi dal coma, e aveva scoperto del patto stretto tra la Triplice Dea e Alex, non era più stato lo stesso nei confronti dell'infermiera; era come se il legame che avevano sempre avuto si fosse spezzato. Da allora raramente aveva pronunciato il suo nome e nonostante Cath avesse provato più e più volte a farlo ragionare, a spiegargli che non aveva avuto alternative, Artù non aveva mai cambiato atteggiamento.
Cathleen incrociò le braccia al petto, più per confortarsi che come atteggiamento di chiusura, ed esclamò: «Suppongo che tu non verrai, allora».
«Che cosa?».
«Se ce l'hai tanto a morte con Alex perché ha cercato di salvarvi entrambi, allora non venire. Lei soffre già abbastanza, non ha bisogno che tu la faccia sentire peggio».
Artù ricambiò il suo sguardo con una nuova determinazione, i pugni tanto stretti lungo i fianchi da farsi sbiancare le nocche.
«Pensi che per me non sia stato doloroso far finta che non esistesse?», gridò. «Sono stato arrabbiato con lei per un paio di giorni, per ciò che aveva fatto. Ma allontanarsi, andarsene lasciandomi una semplice lettera... è questo che mi ha fatto più male. E lo so che non poteva fare altrimenti, ma avrei preferito che mi affrontasse, che mi dicesse addio».
«Addio? Era proprio quello che Alex sperava di non dover fare! Noi ci siamo sempre tenute in contatto, e lo sai! Le cartoline che mi ha inviato da ogni parte del mondo, le foto sue e di Enid... ho provato a fartele vedere centinaia di volte, ma non hai mai voluto! E anche quando riusciva a chiamarmi non hai mai voluto parlarle!».
Ormai la rabbia la scuoteva come una foglia autunnale, pronta a staccarsi dal suo ramo, ma il sorriso umido di lacrime di Artù la colpì come un pugno dritto nello stomaco, così forte e così inaspettato che fu costretta a sedersi.
«Le ho viste tutte, Cathleen», confessò con voce pacata. «Mentre dormivi, o ti occupavi dei bambini. Le ho guardate e riguardate. E le ho anche parlato, una volta. Il giorno del suo compleanno, nove anni fa».
Cathleen era talmente scioccata da non riuscire ad articolare una frase di senso compiuto. Perché si era comportato in quel modo? Perché fingere che Alex fosse morta, quando in realtà...? All'improvviso le tornò alla mente suo padre, il quale per venire a patti col dolore della sua assenza aveva preferito raccontarsi la stessa bugia. Possibile che anche Artù...?
Il marito le si avvicinò e prese una delle sedie intorno al tavolo per sedercisi a cavalcioni, le braccia incrociate sullo schienale e gli occhi fissi nei suoi.
«Ti sei mai chiesta perché ti chiamasse così di rado?», le domandò gentilmente.
«Io... Pensavo fosse per via dei suoi spostamenti, o del suo piano telefonico...».
Artù apprezzò la sua battuta con un altro sorriso. «La verità è che sentire la tua voce le ha sempre ricordato ciò che ha fatto, la vita a cui ha rinunciato e quella che è stata costretta a fare per colpa della magia. Se si è sforzata di portare avanti quelle conversazioni è stato solo per te, perché sapeva che tu ne avevi bisogno».
La verità le fece contrarre lo stomaco e Cathleen dovette sforzarsi per non rimettere la colazione. Il solo ed unico re le posò una mano sulla schiena e la invitò a posare il capo sulla sua spalla.
«In quell'unica telefonata, nove anni fa, le ho detto che non la odiavo per quello che aveva fatto e che, se mai avesse avuto bisogno di me, io ci sarei stato», concluse Artù. «Dopodiché abbiamo giurato di non sentirci più, per non farci altro male».
Cathleen non aveva mai capito nulla, per questo si ritrovò a singhiozzare senza ritegno, le mani strette sulle sue spalle. Artù non disse niente, la consolò e basta, baciandole i capelli.
Alla fine fu Elijah ad interromperli, bussando alla porta e sporgendosi all'interno della biblioteca con metà del corpo. Indossava un completo grigio elegante - pantaloni con la piega, camicia bianca e panciotto - e i lunghi capelli color biondo slavato erano raccolti in una coda sulla nuca. La barba ben curata, della stessa tonalità dei capelli, lo faceva sembrare più vecchio e saggio di ciò che era; bastava però guardarlo negli occhi, vitali e sorridenti anche quando era serissimo, per rendersi conto della sua vera età.
«È ora di andare», esclamò.
Artù lo ringraziò con un cenno del capo. «Arriviamo».
Il druido socchiuse di nuovo la porta e quando si fu allontanato Artù si alzò in piedi per prendere le mani della moglie ed aiutarla a fare lo stesso.
Cathleen gli portò le mani sul viso, accarezzandogli le guance ispide per via della barba che si era lasciato crescere negli ultimi giorni, e raccogliendo la voce mormorò: «Mi dispiace tanto. Ho sempre pensato di aver fallito...».
Artù le spazzò via le lacrime e le posò un bacio sulla fronte. «Mai, amore mio».

Trovarono Elijah vicino all'ingresso principale, accanto a Freddie, l'immortale domestico a servizio della famiglia Shaw, a cui stava dicendo che aveva affidato la sicurezza della Residenza ad Hanna.
Era vero che la vasta proprietà della famiglia di Cathleen era abbastanza isolata - da una parte c'erano ettari di bosco, dall'altro una scogliera a picco sul mare - ma non potevano rischiare che qualcuno scoprisse la vera natura dei ragazzi molto speciali che le numerose stanze ospitavano. Per questo in concomitanza con le mura e i confini naturali era stata innalzata una barriera con le stesse proprietà di un glamour, in grado cioè di illudere ed allontanare chiunque non possedesse i requisiti necessari a vedere la realtà. Inoltre il ritorno della magia nel mondo non aveva solo risvegliato i poteri dormienti dei maghi e delle streghe, ma anche tutta una serie di creature date per estinte che avrebbero potuto creare il panico nel mondo degli esseri umani. Non a caso avevano costruito, vicino al bosco, una grande dépandance in cui nel corso degli ultimi anni avevano ospitato un esemplare di grifone, un paio di goblin e delle pixie.
Esseri magici e oggetti ritenuti tali erano la specialità di Jake, il primo e più convinto soldato di Freya, il quale poi aveva deciso di dedicare la propria vita allo studio e, dopo solo un paio di anni dalla seconda battaglia di Camlann, si era presentato alla loro porta con tantissime storie da raccontare. Da quel momento, ogni sei mesi o giù di lì, tornava alla Residenza per riposarsi e condividere le sue scoperte. Non era una sorpresa che le sue "lezioni" fossero le più seguite dai giovani maghi.
Freddie doveva essere stato fermato mentre portava un paio di cocktail ai signori Shaw, sotto il gazebo di ferro in giardino.
Non era stato facile introdurre Trisha e Roger, soprattutto, nel mondo magico, ma tutto il via vai di ragazzi aveva ridato vita a quella vecchia casa e incredibilmente aveva giovato anche all'agorafobia di suo padre, il quale ormai riusciva ad avvicinarsi persino al cancello d'ingresso senza avere attacchi di panico.
Il vassoio d'argento in mano al maggiordomo rischiò di rovesciarsi sul pavimento al passaggio irruento di uno dei ragazzi più piccoli, il quale aveva appena imparato l'arte dell'animazione e si divertiva un mondo a dare vita agli oggetti più improbabili, poggiapiedi imbottiti inclusi.
Cathleen chiuse gli occhi, prevedendo il disastro, ma non udendo il rumore di vetri infranti li riaprì giusto in tempo per vedere un Elijah con le iridi dorate che con un movimento fluido della mano faceva tornare nei bicchieri il liquido arancione, il ghiaccio e le rispettive cannucce.
Non avrebbe mai smesso di meravigliarsi di fronte alla magia.
Poi il druido alzò gli occhi verso di loro e la sua bocca si piegò in un sorriso. «Possiamo andare?». Senza aspettare una vera risposta aprì la porta d'ingresso e scese i gradini fino a fare il giro della jeep che aveva già tirato fuori dal garage per portarsi avanti. Una voce alle sue spalle però lo fermò prima che potesse mettersi al volante.
«Ehi, dove pensavi di andare senza salutarmi?», esclamò il ragazzo davanti alla porta.
Ash, il fratello adottivo di Cathleen, si passò una mano tra i capelli neri, lucenti e scompigliati dal vento, e sorridendo in direzione di Elijah scese i gradini.
«Quando sei tornato?», domandò il druido, confuso.
Ash, il quale era stato tanto colpito dall'improvvisa morte di Zachary da aver iniziato a pensare che non valesse la pena di cercare il proprio posto nel mondo, sembrava che alla fine lo avesse davvero trovato: da un giorno all'altro aveva informato la famiglia che si sarebbe iscritto al Britannia Royal Naval College per diventare un soldato della Marina Militare Inglese e non aveva dato troppe spiegazioni in merito. Al momento era un ufficiale assegnato ad una delle portaerei della flotta di superficie e sembrava soddisfatto della sua vita, felice. E questo era tutto ciò che importava.
«Questa notte, ma non ho voluto svegliarti», gli chiese divertito, posando le mani sul suo panciotto. «Sono riuscito a sorprenderti?».
«Sì, direi di sì».
Ash alzò gli occhi in quelli verdi di Elijah e corrugò la fronte, scostandosi un poco. «Che accoglienza! Se vuoi che ritorni in mare basta che tu me lo dica e...».
Il druido lo interruppe prendendolo per la nuca e posando le labbra sulle sue, in un bacio dapprima casto che ben presto si trasformò in qualcosa di più urgente e passionale. Erano mesi, dopotutto, che non si sfioravano.
Artù distolse lo sguardo, imbarazzato, e aprì la portiera per far salire Cathleen, poi si accomodò sul sedile del passeggero e diede un colpetto al clacson. Né Ash né Elijah parvero sentirlo, esplorandosi a vicenda con mani impazienti, tanto da chiedersi quante braccia avessero.
Alla fine fu Cathleen a sporgersi e ad attaccarsi al clacson, gridando: «Mi dispiace piccioncini, ma dobbiamo andare!».
A quel punto Elijah non poté più ignorarli e si scostò dolcemente dal fidanzato per sussurrargli qualcosa all'orecchio. Dal sorriso malizioso di Ash e dalla pacca che gli diede sul sedere quando si voltò, Artù e Cathleen non ebbero difficoltà ad immaginare ciò che avevano in programma per la serata.
Elijah si sedette dietro il volante e sospirando mise in moto, dopodiché guidò la jeep fuori dalla residenza Shaw, in direzione della vecchia casa di Merlino.

***

«Mamma, chi era il ragazzo con cui stavi parlando prima?».
Alex guardò la figlia con la coda dell'occhio: si era spostata sul sedile del passeggero e stava mangiando un pacchetto di biscotti con le gocce di cioccolato, anche se la maggior parte finivano in briciole sul fazzoletto rosso che portava legato al collo e sulle sue gambe.
«Pensavo dormissi».
La bambina le rivolse un sorriso malandrino che era tale e quale a quello che aveva lei alla sua età - parole di suo padre.
Nonno Greenwood... sarebbero dovute andare a trovare anche lui, una volta portata a termine quella faccenda.
Alex strinse forte le dita intorno al volante, infastidita dal suo stesso comportamento. Da quando aveva smesso di sperare? Sia lei che Enid - così piccola eppure molto più potente di lei - avevano avuto lo stesso sogno premonitore riguardo al risveglio di Merlino, ma non riusciva a crederci. O meglio, non voleva crederci per non soffrire nel caso in cui...
«Mamma?».
Alex si riscosse e senza distogliere lo sguardo dalla strada allungò una mano per scompigliarle la frangetta di capelli neri che spesso e volentieri le copriva gli occhi azzurri come il cielo, gli stessi occhi di suo padre. 
«Si chiama Mark, è un ragazzo che ho conosciuto quando lavoravo in ospedale», rispose.
Enid si scostò infastidita e si portò alla bocca la cannuccia del succo di frutta che teneva tra le ginocchia. Bevve avidamente fino a finirlo e Alex non la rimproverò quando si sentì il risucchio delle ultime gocce.
«Era un tuo paziente, vero?», le chiese poi, appiattendo il cartone del succo.
«Sì, esatto. Ma come fai a...?».
«La sua aura era di un colore strano, come quello delle persone che hanno subìto dei trattamenti medici invasivi. Ti conosce ed è giovane, perciò ho ipotizzato che fosse stata la chemioterapia a renderla di quel colore».
Nove anni ancora da compiere, era questa l'età di sua figlia. Tutti però, sua madre compresa, non se ne capacitavano: la sua intelligenza era fuori dal comune e nonostante ne andasse orgogliosa, in certi momenti ne aveva anche paura. Quanto era dovuto dai geni e quanto dalla magia? E come sarebbe diventata da grande a causa del suo quoziente intellettivo superiore alla media?
«Ottima deduzione», esclamò Alex, dimostrandosi orgogliosa di lei.
La bambina ricambiò il sorriso e spostò lo sguardo fuori dal finestrino. Rimase in silenzio per un po' e la madre avrebbe pagato oro per sapere che cosa le stesse passando per la testa in quel momento. Si stavano dirigendo verso il luogo di cui aveva tanto sentito parlare, il luogo in cui suo padre si era sacrificato per il bene del mondo intero. La visione che avevano avuto aveva mostrato loro solo che si sarebbero ritrovate davanti a quell'albero, in compagnia anche di Artù, Cathleen ed Elijah, ma non che cosa sarebbe effettivamente successo. Possibile che il futuro di Merlino non fosse stato ancora deciso?
Spostò la mano dal cambio e la posò sul ginocchio della bambina, stringendolo con delicatezza.
«Qualsiasi cosa accada, voglio che tu sappia che io...».
«Lo so, mamma», la interruppe Enid, posando una manina sulla sua. «Ti voglio bene anche io».
Alex sorrise commossa e sospirò, tornando a concentrarsi interamente sulla strada davanti a loro. Non poteva fare di più.  

Alex fermò l'auto sulla strada sterrata davanti all'ingresso della villetta e Enid aprì la portiera del passeggero ancor prima che la polvere potesse essere spazzata via dal vento primaverile. Fece il giro del veicolo sgangherato e si fermò di fronte al vialetto nascosto dalle erbacce di quella grande casa sporca di graffiti, con le imposte sverniciate se non addirittura scardinate e persino un grande buco tra le tegole della torre di destra.
«Tu e papà vivevate qui?», domandò con semplicità, continuando ad osservare quel piccolo castello col naso all'insù e la bocca dischiusa per lo stupore.
«Sì, tesoro», rispose piano, ripercorrendo i ricordi legati a quelle mura ed avvertendo degli spilli pungolarle il cuore.
Era passato davvero tanto tempo, non poteva pretendere che tutto rimanesse come se lo ricordava.
«Che cosa facciamo adesso?», chiese ancora la bambina, voltandosi per guardare la madre.
Alex le accarezzò il volto da folletto, le orecchie un po' a sventola e poi le tirò indietro la frangetta nera. «Zio Artù e zia Cathleen saranno qui presto, perciò...».
«Vado in esplorazione!», esclamò prima di allontanarle le mani e correre verso la casa abbandonata.
«Enid!», gridò la madre, per poi scuotere il capo con un sorriso sulle labbra e le mani sui fianchi. "Stai attenta, okay?", le disse col pensiero.
"Sono la figlia del mago più potente che questa Terra abbia mai visto, posso cavarmela", rispose la bambina.
Alex la guardò sparire sul retro della villetta e solo allora si lasciò sfuggire un sospiro tremante, permettendo persino alle lacrime di accarezzarle le ciglia. Non ne versò nemmeno una, consapevole che se si fosse abbandonata al pianto non si sarebbe fermata presto. Quindi si fece forza, come d'altronde aveva fatto negli ultimi dieci anni, e percorse il vialetto per raggiungere la porta d'ingresso. Ripescò le chiavi dalla borsa, ma non ce ne fu bisogno: la serratura era stata fatta saltare via e i cardini cigolarono quando Alex posò la mano sul legno per sbirciare all'interno.
Artù e Cathleen non avevano potuto vendere la casa, credendo fortemente che un giorno Merlino sarebbe tornato, ma le loro visite col passare degli anni dovevano essere diminuite fino a terminare del tutto. Per questo la casa era stata vandalizzata in quel modo da ragazzini di passaggio, usata come rifugio dai vagabondi e come tana dai gatti selvatici. C'era un odore tremendo - un misto di muffa, polvere e urina - e Alex si costrinse a raggiungere i bovindi per aprire le finestre e lasciar entrare dell'aria fresca.
Alla luce del sole del mattino, la visione del salotto fu ancora più desolante: era stato portato via tutto, fatta eccezione per il divano e le poltrone, una volta ricoperti dal cellophane e ora macchiati, graffiati e con le molle che spuntavano dai cuscini insieme alle imbottiture rigurgitate. Sul pavimento sporco c'erano stracci, immondizia e candele sciolte.
Alex procedette verso la cucina e trovò anch'essa in condizioni rivoltanti, perciò non si soffermò ed aprì la porta finestra che conduceva alla veranda del giardino sul retro. Rimase senza parole quando lo trovò esattamente come se lo ricordava. Si guardò alle spalle, chiedendosi se non fosse tutto un sogno o se magari fosse passata dentro un varco temporale - non si sarebbe sorpresa - ma era tutto vero: quel luogo era rimasto immutato; nessuno aveva osato profanarne la sacralità, protetto proprio come il lago di Avalon, dalla magia oppure da...
Alex mise i piedi nell'erba - curata come quella di un giardino reale - e sorrise in direzione dell'albero. «Grazie per averlo protetto, Morgana».
Per un attimo, uno solo, l'ex-infermiera scorse la Sacerdotessa seduta tra le radici del pino, col capo posato contro il possente tronco, gli occhi chiusi e un sorriso sereno tra le labbra. 

***

«Eccoci qua», esclamò Elijah fermando la jeep dietro una monovolume sporca e con diverse ammaccature qua e là.
«Sono già qui», disse invece Artù, indeciso se esserne contento o spaventato. Rivedere Alex dopo tutti quegli anni non sarebbe stato facile e anche se ormai non aveva più nulla da temere, si chiese come avrebbe reagito il suo cuore.
I tre scesero dal mezzo e Cathleen si mise subito in testa al loro piccolo gruppo: attraversò il vialetto invaso d'erbacce, sentendosi in colpa per non essere più riuscita a curare quella casa come un tempo, e raggiunse la porta, trovandola aperta.
Non indugiò molto nel salotto, preferendo andare dritta alla meta: il giardino sul retro. Anche la portafinestra che dava sulla veranda era aperta e le bastò avvicinarsi alla soglia per scorgere la figura di Alex in piedi a pochi metri dal maestoso albero in cui riposava Merlino.
Aprì la bocca per chiamarla, ma non un suono le uscì dalla gola. Il cuore le batteva nei timpani e dei brividi le correvano su per le braccia, nonostante il sole primaverile donasse un piacevole tepore.
I sentimenti provati dieci anni prima, in particolare i sensi di colpa per come fossero andate le cose, le avevano tolto la voce e la sicurezza. Quel giorno avrebbe dovuto essere una festa in cui la sua famiglia sarebbe tornata al completo, eppure non riusciva a scrollarsi di dosso il peso della terribile scelta che Alex era stata costretta a prendere anche per colpa sua e del suo egoismo.
Artù le strinse forte la mano destra, trovandola fredda e tremante, e si chinò su di lei per posarle la labbra tra i capelli e sussurrare: «Nulla di ciò che è successo è colpa tua».
Provò a convincersene, come faceva da ormai dieci anni nelle notti in cui proprio non riusciva ad addormentarsi, ma una lacrime le cadde comunque sulla guancia. Nello stesso momento Alex si voltò ed incrociò il suo sguardo.
Cathleen trattenne il respiro e si aggrappò anche con l'altra mano al braccio di Artù, sentendo le gambe cederle. L'ex-infermiera però le sorrise dolcemente mentre si portava dietro l'orecchio una ciocca dei corti capelli biondi che una folata di vento le aveva scompigliato. Quindi si diresse verso di loro ed Elijah le andò incontro, scendendo i tre gradini che portavano al giardino.
«È bello porterti finalmente abbracciare», esclamò il druido, circondandola con le lunghe braccia.
Alex sorrise contro la sua spalla e gli diede delle pacche sulla schiena. «L'abbiamo fatto molte volte nel mondo onirico».
«Lo sai che non è lo stesso».
«Sì, lo so», sospirò lasciandosi cullare.
Quando la lasciò andare, Elijah si spostò per lasciare il giusto spazio ad Artù e Cathleen. Alex respirò profondamente e con i pugni stretti nervosamente lungo i fianchi salì quei pochi gradini che li separavano, poi si piegò su un ginocchio per un inchino reverenziale.
Artù la fissò per diversi secondi, cercando di risultare impassibile. Presto però le forze gli vennero meno e cadde in ginocchio a sua volta, le braccia strette intorno alla schiena della sua discendente.
Alex, sconvolta, rimase a bocca aperta fino a quando non sentì il sapore salato delle lacrime. Solo allora ricambiò la stretta, stringendo i pugni tra le sue scapole e singhiozzando contro la sua spalla.
Di fronte a quella scena anche Cathleen crollò a terra e si unì all'abbraccio, baciando i capelli dei Pendragon senza dire una parola. Non ce n'era bisogno. 

Ci volle un po' prima che si ricomponessero.
Una volta asciugate le lacrime si avvicinarono insieme al grande pino e rimasero coi volti alzati a guardare le fronde sussurrare nel vento. All'interno del tronco, cresciuto tanto che nemmeno se si fossero messi in cerchio tenendosi per mano sarebbero riusciti a circondarlo del tutto, c'erano il corpo e l'anima di Merlino.
Il mago più famoso e potente del mondo si era sacrificato per ridistribuire nel mondo tutta la magia in suo possesso, diventando una specie di batteria d'emergenza, a seguito del patto che l'ultima discendente della dinastia Pendragon aveva stretto con la Triplice Dea, la quale le aveva promesso che un giorno sarebbe tornato in vita. I sogni che sia Alex che Elijah avevano avuto nelle ultime settimane sembravano profetizzare finalmente il suo ritorno, ma nessuno aveva idea di come sarebbe successo. Era la clausola nascosta nel contratto a cui Alex, a corto di tempo ed alternative, non aveva prestato attenzione. 
«Allora, Elijah?».
Il veggente scosse il capo mentre staccava la mano dal tronco e faceva qualche passo indietro. «Non vedo nulla».
«Che cosa facciamo adesso?», chiese Cathleen, gli angoli degli occhi ancora arrossati per il pianto.
«Aspettiamo», rispose Alex, sedendosi sul prato.
Artù la guardò attentamente, realizzando che era cambiata ben poco in quei dieci anni. I suoi capelli erano ancora biondi e lucenti, anche se più corti; il suo viso, nonostante fosse maturato, era rimasto bello e giovanile. Forse solo il suo sguardo, quegli incredibili occhi verdi che avevano fatto innamorare Merlino, si era un po' incupito, succube della tristezza.
All'improvviso si rese conto dell'assenza di una persona che aspettava di incontrare da ben nove anni.
«Dov'è Enid?», le chiese senza giri di parole.
Cathleen trasalì. «Caspita, mi ero completamente scordata di lei!».
Alex sorrise e il suo volto si illuminò, occhi compresi. Artù sospirò sollevato nel constatare che l'oscurità che vi aveva notato non fosse permanente.
«Ha detto che sarebbe andata in esplorazione qui nei dintorni».
«Che cosa? E tu l'hai lasciata andare? Da sola?».
Alex scrollò le spalle, quasi divertita dalla reazione di Cathleen. «Capisco la tua preoccupazione. Anche io, che sono sua madre e so di cosa è capace, sono sempre in pensiero per lei quando la vedo allontanarsi. La verità però è che Enid è una bambina in cui convivono la forza dei Pendragon e la magia di Merlino; è forse l'essere più potente che questo mondo abbia mai visto». Alex guardò in direzione di Avalon, seguendo il corso del ruscello, e concluse: «Non le succederà nulla di male». 

***

La magia in quella foresta era forte, tanto forte che poteva sentirla scorrere nel terreno, tra le fronde degli alberi e nel vento che le avrebbe scompigliato i capelli se non li avesse legati in un codino sulla nuca. Ovviamente la chiamava, attirandola e spingendola nelle sue profondità.
Enid aveva il cuore che le batteva veloce nel petto, ma non era spaventata. Lei stessa era parte di quella magia, perché avrebbe dovuto temerla?
Aveva camminato a lungo e quando finalmente sentì di essere arrivata a destinazione realizzò che il sole stava quasi per tramontare. Sua madre le avrebbe fatto una bella ramanzina, nonostante non si fosse persa un bel niente. Sarebbe stata infatti la prima ad avvertirlo se suo padre fosse tornato.
Si avvicinò ad una parete rocciosa coperta di piante rampicanti, le strappò ed osservò la pesante porta in ferro battuto, arrugginita dal tempo e dalle intemperie. Bisognava risolvere una specie di puzzle ad incastri per aprirla, ma Enid non aveva tempo da perdere e decise di usare una scorciatoia: vi posò sopra il palmo e i suoi occhi si illuminarono d'oro mentre la magia faceva per lei tutto il lavoro.
La porta si aprì cigolando ed Enid sbirciò all'interno, ma il buio era totale. Cercò quindi tra i rami spezzati un bastone abbastanza spesso per farne una torcia e sussurrò: «Leohtbora». L'estremità si incendiò all'istante e la bambina si decise ad entrare nella grotta, scoprendo che c'era una seconda porta, questa volta nel terreno, come una specie di tombino. La sollevò con un altro incantesimo e scese nelle profondità della caverna.
Non aveva mai visto nulla di così bello in vita sua e rimase per diversi secondi a bocca aperta a guardare la miriade di cristalli che riflettevano la luce della sua torcia e al contempo emettevano un freddo bagliore azzurro. Era semplicemente incantevole e sentiva la magia sfrigolarle nella punta delle dita. 
«C'è nessuno?», si azzardò a chiedere ad un tratto, ricordando le parole di sua madre: bisognava sempre annunciarsi prima di entrare nella casa di qualcuno. Perché sì, lì ci abitava qualcuno, un'entità molto antica e allo stesso tempo nuova. Enid non aveva mai avvertito un'aura del genere, in nessuno delle centinaia di paesi che aveva visitato.
Non ottenendo alcuna risposta, Enid scese i gradini di pietra che la condussero in uno spiazzo in cui qualcuno, diversi anni prima, aveva cercato di costruirsi un rifugio. Passò oltre, chiamata da quella forza misteriosa.
Raggiunse l'entrata di una grotta secondaria, piccola eppure altrettanto sconvolgente. I cristalli sul soffitto brillavano ancora più intensamente e sarebbe stato uno spettacolo unico vederli riflessi sull'acqua che un tempo doveva aver riempito la falda al centro della caverna.
Enid si avvicinò alla roccia vicino al bordo del cratere e sfiorò con le dita la fessura annerita dove suo padre e zio Artù avevano incastonato Excalibur. Non molto tempo dopo era stata sua madre ad estrarla, dimostrandosi una degna Pendragon, e insieme l'avevano usata per combattere contro Freya. Conosceva quella storia a memoria, tante erano state le volte in cui aveva chiesto a sua madre di raccontargliela. Certo, lei aveva fatto di più sbirciando nella sua mentre per avere delle immagini in accompagnamento alle parole, ma questo Alex non lo sapeva.
Enid si inginocchiò sulla roccia e guardò giù nella falda, trovando finalmente ciò che irradiava quel potere e l'aveva chiamata a sé. Sorrise a trentadue denti e con cautela iniziò a scendere nella fossa. 

***

Il sole era ormai scomparso dietro le montagne, ma il cielo del tramonto aveva ancora quella sfumatura rossastra che rendeva più romantica ogni cosa.
«Tieni», disse Artù, porgendole un piatto con sopra una tazza di té e un tramezzino. «Elijah è riuscito a prendere solo questo in un alimentari che stava per chiudere. Non è molto, ma è meglio di niente».
«Grazie». Alex lo accettò con entrambe le mani e lo posò alla sua sinistra sulla panca, mentre Artù prese posto alla sua destra.
Si era avvolta una coperta intorno alle spalle, come una specie di mantello, ed era rimasta seduta in veranda per tutto il pomeriggio, lo sguardo rivolto verso il pino. L'ex-re la osservò, pensando a quanto fosse simile all'Alexandra della vigilia della battaglia contro Freya, e solo quando vide la sua bocca muoversi ritornò alla realtà.
«Cos'hai detto?».
Alex abbozzò un sorriso, bevendo un sorso di té. «Ho detto che mi dispiace che mia figlia ti stia facendo aspettare».
La preoccupazione tornò a gravare sulle spalle di Artù come se si trattasse di uno dei suoi figli. «Non credi sia il caso di chiamarla per sapere se sta bene?».
«Non ha un cellulare. O meglio, ce l'ha, ma non lo usa mai. L'ha lasciato in auto».
In quell'epoca in cui la tecnologia era diventata ormai essenziale per gli uomini, sapere che c'erano ancora bambini che non possedevano un cellulare era da non crederci. La sua primogenita l'aveva voluto che aveva appena quattro anni.
«Stai pensando che sia strana, vero?», disse Alex, appoggiando il mento alle braccia incrociate sulle ginocchia. «Il fatto è che non ne ha proprio bisogno. Se le succedesse qualcosa, potrebbe semplicemente chiamarmi col pensiero. Quando aveva cinque anni è uscita dalla stanza d'albergo in cui le avevo detto di rimanere, ha sbagliato a prendere la metropolitana ed è finita dall'altra parte di Londra. Ciò nonostante siamo riuscite a comunicare e ho potuto raggiungerla».
«Incredibile».
«Già. A volte però... mi spaventa, lo sai? Ho paura che diventi troppo potente, che la magia la cambi».
Artù le posò una mano sulla spalla, attirando il suo sguardo. Sorrise, esclamando: «Non succederà. È la figlia di Merlino dopotutto».
A quelle parole Alex ritrovò il sorriso, ma durò poco. La terra tremò sotto i loro piedi e la tazza che aveva lasciato sul bordo della panca cadde a terra, infrangendosi sulla veranda.
Cathleen e Elijah li raggiunsero non appena la scossa si arrestò.
«Che cosa diavolo è stato?», chiese la rossa, una mano posata sul petto.
«Credo che sia giunta l'ora», disse Elijah con voce pacata. «Guardate».
Alex si alzò lentamente in piedi, gli occhi fissi sul bagliore dorato che dal lago di Avalon attraversò il ruscello e penetrò nelle radici dell'albero, infondendo nel tronco, nei rami e in ogni singola foglia una quantità tale di magia da farlo brillare contro il cielo di una tonalità sempre più vicina al violetto.
Lentamente la corteccia del pino iniziò a fumare e Alex lasciò cadere la coperta per corrervi vicino, seguita da Artù, Cathleen ed Elijah.
Il legno si spaccò piano, assottigliandosi sempre di più, e l'attesa fu snervante. Quando però un grosso pezzo rivelò parte del volto di Merlino, rimasto immutato in quei dieci anni, Alex non riuscì più a resistere ed iniziò a strappare il resto a mani nude nonostante il calore fosse tale da ustionarle i palmi.
Anche Artù, dopo un attimo di esitazione, l'aiutò ed insieme estrassero il mago dal tronco dell'albero per adagiarlo sull'erba fresca.
«Merlino. Amore mio, svegliati. Merlino», lo chiamò più e più volte la donna, accarezzandogli il volto e i capelli mentre le lacrime le scorrevano inarrestabili sulle guance. Le sembrava di sognare e aveva il terrore di risvegliarsi.
Strinse forte la sua mano e baciò la fede che aveva ancora al dito, pregando come non aveva mai fatto. Aprì gli occhi solo per guardare Elijah che si chinava al suo fianco e posava una mano sul petto dello stregone. Una calda luce bianca fuoriuscì dal suo palmo e Merlino aprì di colpo gli occhi, tirandosi su a sedere con così tanta foga che avrebbe dato una testata ad Alex se lei non avesse avuto i riflessi pronti.
«Merlino... Merlino, sei tornato. È tutto vero», singhiozzò e lo abbracciò, stringendolo forte a sé.
«Che cosa...? Dove mi trovo? E dov'è la regina? Io...».
Il mago allontanò Alexandra e si esaminò il ventre, trovandolo attraversato da un reticolo di cicatrici.
Artù, rimasto alle spalle del mago per dare il giusto spazio a sua moglie, sentì il cuore stringersi non solo per quelle parole e il loro significato ma anche e soprattutto per l'espressione disperata sul volto di Alex.
Aveva atteso per dieci anni quel momento, dieci lunghi anni per potersi ricongiungere con l'amore della sua vita e lui... lui aveva dimenticato tutto?
Respirò profondamente per farsi coraggio e decise di intervenire per appurare quella teoria.
«Merlino», lo chiamò con tono di voce estremamente serio.
Vide la schiena dello stregone irrigidirsi e poi il suo capo voltarsi lentamente, come se temesse di vedere un fantasma. Quando i loro sguardi si incrociarono però il corvino si alzò frettolosamente e lo strinse, si aggrappò a lui come se fosse uno scoglio in mare aperto e piangendo scivolò in ginocchio, il volto nascosto nel suo maglione.
«Artù... Artù, siete tornato! Io... Mi dispiace, non so cosa sia successo... Ero a Camelot, Ginevra è stata... Non sono riuscito a... Ma non c'è tempo da perdere, vostro figlio... Avete un erede, un maschio, proprio così! Si chiama Graalmir! A quest'ora sarà sicuramente nel regno della regina Mithian con Percival, dobbiamo sbrigarci!».
«Papà, smettila!».
Tutti quanti si voltarono verso quella voce sottile ma potente, incrociando lo sguardo fiero ed addolorato di Enid. Aveva il fiatone, il volto arrossato e sporco di terra come del resto i suoi vestiti - maglietta azzurra e salopette di jeans - e le ginocchia sbucciate. Era bellissima.
Nessuno osò dire una parola mentre posava a terra il grosso uovo che aveva tra le braccia ed avanzava in direzione di Merlino. Lo stesso stregone rimase a fissarla a bocca spalancata, confuso ed incredulo. L'aveva appena chiamato "papà"?
Enid si chinò perché i loro volti fossero a pochi centimetri di distanza, dopodiché lo colpì in fronte con un dito sussurrando un incantesimo che lo fece crollare addormentato all'istante. Poi, come se nulla fosse, corse da sua madre per gettarle le braccia al collo.
«Mamma! Mi dispiace di essere arrivata tardi, mi dispiace».
«Tu lo sapevi?», le domandò Elijah, le braccia incrociate al petto.
La bambina si girò a guardarlo senza smettere di accarezzare i capelli di Alex. Chi fosse la madre e chi la figlia, in quella situazione, era difficile dirlo.
«Tu devi essere il Vate. Molto piacere. No, non lo sapevo, ma quando è iniziata ho sentito che c'era qualcosa di diverso nel mio papà».
«Assolutamente», fu d'accordo il druido, inginocchiandosi nuovamente.
«Volete rendere partecipi anche noi?», domandò Cathleen, innervosita.
«Merlino è tornato al momento successivo alla sua prima resurrezione, quando Camelot è caduta», le disse Artù, cercando la sua mano più per sé che per lei. «Tutti i secoli successivi, le sue altre vite, ciò che abbiamo vissuto insieme... sono stati cancellati dalla sua mente».
«Non solo», aggiunse Elijah. «Non c'è più traccia di magia in lui. È un... un umano comune, adesso».
Nell'udire quelle parole Alex uscì dal mutismo in cui era piombata per lo shock, ma lo fece per gridare e scoppiare in un pianto disperato. 

***

Artù, con un pugno davanti alla bocca, sedeva sull'unica sedia rimasta intorno al tavolo della cucina, ricoperto di polvere e sporcizia. Con occhi quasi spiritati fissava quella bambina che aveva preso tanto da Alexandra quanto da Merlino: i capelli neri e gli occhi azzurri come il cielo erano quelli dello stregone, mentre i lineamenti del viso e il sorriso erano decisamente della sua discendente.
Stava spiegando a Cathleen, come lei a gambe incrociate sul pavimento, le difficoltà che aveva superato per poter recuperare il primo uovo di drago di una nuova era. Il guscio era di una tonalità verdastra e liscio come un confetto e Enid non lo mollava un secondo, tenendolo stretto tra le braccia per trasmettergli il proprio calore.
Artù avrebbe voluto unirsi a loro, raccontarle come lui e Merlino - principalmente Merlino - aveva salvato e fatto nascere Aithusa, ma provava una fastidiosa sensazione di inadeguatezza ogni qualvolta quegli occhi si posavano su di lui, curiosi ed intelligenti. Si sentiva esposto, mentre Enid era per lui un'enigma indecifrabile.
«Dovresti parlarle», esordì con voce calma Elijah.
Artù lo trovò appoggiato al vecchio frigorifero, a braccia incrociate e la bocca incurvata in un ghigno divertito.
«Da quanto sei lì?».
«Un po'».
«Sei inquietante».
«Non tanto quanto te. Credi che non se ne sia accorta? Sinceramente non so più che cosa dirle».
Artù lo fissò confuso e il druido si colpì la tempia con due dita.
«Parlate col pensiero alle mie spalle? Fantastico».
«Mi dispiace, non volevo mancarti di rispetto».
L'ex-sovrano sobbalzò e in men che non si dica si ritrovò in piedi, gli occhi sgranati di fronte alla diverse volte pro-nipote. Elijah si staccò dal frigorifero e passandole accanto per dare loro un po' di privacy le posò la mano sul capo, ma Enid non distolse mai gli occhi da quelli di Artù.
Rimasti finalmente soli la bambina si avvicinò al lontano antenato e con un semplice gesto della mano fece volare via tutte le cianfrusaglie che c'erano sul tavolo, gli occhi iridescenti. Quindi si sedette sul bordo, con le gambe penzoloni, e chiese: «Ti faccio paura?».
Artù boccheggiò per un paio di secondi. «Paura? No, non si tratta di questo».
«Allora che cos'è che ti preoccupa? Mamma mi ha parlato tantissimo di te ed io ero così ansiosa di incontrarti!».
Il solo ed unico re gettò al vento ogni remora e la strinse tra le braccia facendole affondare il volto nel proprio petto. Col mento posato sulla sua testa sussurrò: «Anche io ho atteso questo giorno con ansia. Non vedevo l'ora di conoscerti, ma allo stesso tempo... È colpa mia se hai vissuto senza un padre, se hai dovuto...».
Le manine di Enid lo allontanarono perché potesse tornare a guardarlo negli occhi che erano davvero la copia di quelli di Merlino. Quanto gli erano mancati...
«Non ho mai pensato che fosse colpa tua. E non è vero che ho vissuto senza un padre». Il suo sorriso si allargò. «Papà è in tutto ciò che ci circonda e... oh, si è svegliato».
Entrambi si voltarono verso la finestra che dava sulla veranda e videro Merlino mettersi seduto sulla panca, una mano sulla testa.
Dandogli un pizzicotto sul braccio, Enid esclamò: «Meglio che tu vada a dirgli che cos'è successo».
Artù serrò le labbra, ricordando quando era stato lui in quella situazione e lo stregone aveva dovuto raccontargli ciò che si era perso e prepararlo alla realtà in cui si trovava. Era giunto il momento di ricambiare.
«Avremo tempo per conoscerci meglio», aggiunse la bambina, saltando giù dal tavolo e facendogli l'occhiolino.
Artù riuscì a sorridere e la seguì con lo sguardo mentre tornava in salotto per recuperare l'uovo che aveva momentaneamente affidato ad una Cathleen in brodo di giuggiole. Seduta accanto a lei c'era Alex, le ginocchia strette al petto e gli occhi fissi sul camino che era diventato un cestino ed un orinatoio per i vandali.
Artù strinse i pugni lungo i fianchi. Doveva farlo anche per lei, per ripagarla del suo sacrificio.

***

Merlino aprì di nuovo gli occhi e lentamente, per via della fronte che gli doleva, si mise seduto sulla panca di legno su cui qualcuno l'aveva adagiato, coprendolo persino con una coperta.
Aveva una grande confusione in testa e troppe domande, tante che non sapeva da dove cominciare a chiedere, né a chi.
Il suo sguardo fu catturato dal grande pino nel giardino: aveva un grande buco nel tronco, della dimensione giusta per un corpo umano, e gli aghi erano passati dal verde scuro al marrone chiaro. Stava morendo, mentre lui...
Si guardò le mani, ricordandole insanguinate per aver stretto una Ginevra in punto di morte. Lui stesso poi era perito, lo ricordava fin troppo bene.
«Ti stai chiedendo perché sei vivo?».
Merlino alzò di scatto gli occhi e trovò quelli di Artù ad attenderlo, due iridi blu come il mare in cui brillava una scintilla di scherno.
«Benvenuto nel club», aggiunse, sedendosi al suo fianco.
«Che cosa vorrebbe dire? Io... non riesco a capire».
Il solo ed unico re gli posò una mano sulla spalla, sospirando. «Promettimi di ascoltarmi senza mai interrompermi. Quando avrò finito potrai farmi tutte le domande che vorrai, okay?».
Lo stregone,a corto di alternative, promise.

Con gli occhi rossi per il pianto, Merlino si avvicinò al carro di metallo che Artù gli aveva indicato quando gli aveva chiesto dove fosse Alexandra e sbirciò all'interno, trovando Enid - sua figlia - addormentata sui sedili posteriori.
Il fazzoletto rosso che le aveva visto portare al collo ora era annodato intorno al suo uovo, il simbolo del ritorno della magia e del passaggio di testimone generazionale. Avendo perso tutti i propri poteri, la sua interà identità, non poteva più essere chiamato Signore dei Draghi.
Gli sembrava incredibile che tutto ciò che Artù gli aveva raccontato fosse successo veramente, ma non avrebbe avuto motivo di mentirgli.
Alexandra invece si trovava dietro il volante, a sua volta addormentata. Non voleva svegliarla, era ancora incerto su cosa le avrebbe detto, perciò aprì con cautela la portiera e si sedette al suo fianco. La osservò e capì subito che nemmeno il sonno era in grado di darle pace. Si sforzò di ricordare, di riportare a galla quell'amore così forte di cui Artù gli aveva parlato, ma la Triplice Dea aveva fatto un ottimo lavoro nel cancellargli la memoria.
«Mi dispiace. Mi dispiace tanto», sussurrò, accarezzandosi la fede che portava al dito. Non riusciva nemmeno ad immaginare il dolore che doveva averle causato, eppure le lacrime gli velarono di nuovo gli occhi.
Una terza mano si posò sulle sue, accarezzandogliele delicatamente, e Merlino alzò di scatto il capo. Gli occhi verdi di Alexandra lo guardarono con una dolcezza infinita e il suo cuore saltò un battito.
«Non è colpa tua», replicò piano, per non svegliare Enid.
«Temo di sì, invece. Se non fosse stato per il mio egoismo, fin dall'inizio...».
«Non mi pento di nulla, Merlino. Ogni momento trascorso insieme, io lo ricordo e lo custodisco gelosamente nel cuore».
Lo stregone abbassò gli occhi, arrossendo. «Tu... tu mi ami ancora?».
«Certo. Finché morte non ci separi».
«E io... io ti amo?».
Alexandra ridacchiò, allontanando la mano per portarsela davanti alla bocca. «Come posso saperlo, Dumbo?».
Sentirsi chiamare con quel nomignolo accese una specie di miccia nel suo petto e Merlino non pensò affatto quando le portò una mano sulla nuca e fece incontrare le loro labbra a metà strada. La baciò e non si sentì a disagio, affatto. Fu naturale, fu giusto. Doveva averlo fatto centinaia di volte.
Quando si allontanò la tenne comunque vicina a sé, le fronti che si toccavano.
«Credo che non ci vorrà molto per innamorarmi nuovamente di te», le disse sorridendo.
Alex ricambiò, puntandogli il dito contro il petto. «Attento a quello che dici. L'ultima volta hai impiegato quattro anni per deciderti».
«Non sarò tanto stupido».
Stavano per baciarsi un'altra volta quando vennero interrotti da Enid, la quale tirò loro contro il piccolo cuscino da viaggio e mugugnò: «Sono contenta per voi, ma potreste andare da un'altra parte a recuperare i dieci anni perduti? Vorrei dormire».
Merlino inarcò un sopracciglio e guardando una Alex più che imbarazzata disse: «Somiglia in modo inquietante ad Artù».
A quel punto Enid aprì gli occhi, le iridi come due cerchi d'oro, e con la magia si riportò sotto la testa il cuscino.
«E ora somiglia a te», sussurrò Alex all'orecchio del mago, facendogli correre mille brividi sulla pelle.
Enid sogghignò e tornò a riposare come se nulla fosse mentre i genitori uscivano dall'auto per sedersi fianco a fianco sul cofano.
«No, io non sono più così», ruppe il silenzio Merlino, guardandosi le mani. «Non ho più il dono».
«L'hai odiato per secoli, dopo la morte di tutti i tuoi cari. Non lo ritenevi nemmeno più un dono, ma una maledizione».
«Capisco».
«Ti manca?».
Merlino si strinse nelle spalle. «Non lo so. Forse devo solo abituarmi, capire chi sono».
«Capire chi sei? Che stupidaggine è mai questa? Tu sei Merlino, magia o meno. Sei l'amore della mia vita, mio marito e il padre di mia figlia. Tutto questo non ti basta?».
Guardando il volto illuminato dalla luna di Alex, bella come una dea, sorrise.
Oh sì, gli sarebbe bastato eccome. Lei era l'unica cosa che nessuna profezia aveva mai predetto e non doveva ringraziare nessuno per averla messa sulla sua strada, se non lei stessa: aveva lottato per lui, l'aveva amato come mago e l'avrebbe amato da umano, fino alla fine dei giorni. Era lei il vero dono, la vera magia. 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: _Pulse_