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Autore: lapoetastra    22/04/2018    1 recensioni
Era strano come quella melodia, sempre la stessa, rappresentasse così tanto, come esprimesse uno stato d’animo trascendente le parole, che andava oltre, esacerbando le note, rendendole inconsapevoli tramiti di un dolore intimo e profondo, il suono di quello che troppo a lungo era stato un silenzio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni giorno Jenna era svegliata da quella melodia, un accordo delicato di note dapprima confuse, quasi inserite senza uno schema preciso l’una accanto all’altra all’interno di una qualche emozione intensa ma non ben definita, che tuttavia dopo un istante rapido come un pensiero prendevano vita, animandosi, dando suono ad una triste e personalissima versione della celeberrima “Hallelujah”.
Ogni giorno, il suo giorno, era accompagnato da quella musica eseguita al piano, con costanza e determinazione, e Jenna, come rapita, si sedeva di fronte alla porta che permetteva l’ingresso nel mondo del suo nuovo vicino di casa.
Di lui non sapeva quasi nulla: né il nome, né il volto, né l’età, e nemmeno le fattezze del viso.
Era solo un pensiero, un’idea persa tra mille altre, o magari un po’ più importante.
L’unica cosa che Jenna conosceva di lui era che era malato, questo sì, perché chissà per quale motivo le brutte notizie che riguardano una persona sono sempre le prime ad essere diffuse; una malattia con un nome strano e di difficile pronuncia, che gli impediva di uscire dall’appartamento, per tale motivo costantemente invaso dall’Hallelujah che lui stesso suonava ogni giorno, talvolta così piano che Jenna avrebbe perso qualche nota, se solo non avesse premuto impudicamente l’orecchio contro la spessa porta di mogano.
Era strano come quella melodia, sempre la stessa, rappresentasse così tanto, come esprimesse uno stato d’animo trascendente le parole, che andava oltre, esacerbando le note, rendendole inconsapevoli tramiti di un dolore intimo e profondo, il suono di quello che troppo a lungo era stato un silenzio.
A Jenna sembrava di conoscere il suo vicino da una vita, e di aver condiviso con lui gioie e sofferenze, e ad ogni accordo la sua mente vagava, trasportata in posti lontani che mai aveva visto prima, ma in cui era con lui, ombra tra le ombre, in quei momenti onirici, intimi e privati.
Un giorno il vicino morì.
Lo vennero a prendere con l’ambulanza, e lo portarono via, via da quella casa che era ora troppo silenziosa, via da Jenna, che credeva d’improvviso di essere diventata sorda.
Il tempo passò, lento come una vita intera, e Jenna andò avanti, crebbe, sempre in quella casa, sempre con quel dolce ricordo custodito gelosamente nel cuore.
Arrivò un nuovo vicino.
Un bambino con la sua famiglia; Jenna lo aveva intravisto con un nodo alla gola aiutare i genitori a trasportare in casa gli scatoloni.
Ed un giorno, veloce come tutto era finito, tutto ricominciò.
Il bambino prendeva lezioni di piano, per suo diletto personale.
Ogni mese doveva imparare a suonare una canzone, da provare e riprovare.
Arrivò il mese di “Hallelujah”, questa volta eseguita in una versione resa più delicata e morbida dall’innata gioia ed innocenza impresse nell’animo del bimbo.
Ogni giorno, di nuovo, dopo un tempo che era sembrato essere infinito ma che in realtà era come se non fosse mai passato, tornò a spandersi nella casa quella dolce melodia, densa di ricordi, e di una vita che attraverso le sue note era tornata a pulsare.
Ed ogni giorno, fuori dalla porta, Jenna ascoltava.
 
   
 
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