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Autore: Estrella65    23/04/2018    2 recensioni
"Quando Adrien Agreste ascoltò il primo dei nastri che qualcuno aveva lasciato per lui davanti alla porta di casa non potè credere alle sue orecchie. La voce, ne era sicuro, apparteneva a Marinette, la ragazza di cui era innamorato dalla prima liceo, la stessa che si era suicidata soltanto un paio di settimane prima."
•La mia prima Fan Fiction Crossover con alcune opere Disney e Dreamworks, spero vi piaccia :)•
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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13 REASONS WHY - PROLOGO
 
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Erano trascorse ormai due settimane. Due misere settimane separavano Adrien dal tragico evento che aveva colpito chiunque conoscesse un minimo Marinette. E le cose, purtroppo, sembravano peggiorare ogni giorno che passava.
Molti dicono che il periodo immediatamente successivo alla scomparsa di qualcuno siano i peggiori, a prescindere al tipo di rapporto che si potesse avere con quella persona. Ma questo non è esatto, non sempre, almeno.
E’ proprio quando tutto sembra tornare alla normalità che ci si accorge che nulla sarà mai più come prima.

Il liceo Dupont di Parigi non fu che l'ennesima conferma di questa teoria

Nessuno riuscì a ricominciare facendo finta che tutto ciò che fosse successo solo qualche settimana prima non fosse altro che un lontano ed insignificante ricordo. Vi erano sensi di colpa diffusi e generalizzati, chiaramente, ma che non arrivarono mai a concretizzarsi sul serio e, in un modo o nell’altro, chiunque cercava di far del proprio meglio per dar l’idea di considerare la scomparsa di Marinette come nient’altro che un tragico evento che tuttavia non li riguardava più direttamente. Questo, almeno, fino a quel freddo pomeriggio di giugno.

Era stata l’ennesima giornata grigia, per Adrien. La sua apatia e svogliatezza cresceva di giorno in giorno, se non addirittura di minuto in minuto… la sua vita ormai si era ridotta ad un perenne vagabondaggio tra l’aula scolastica, i corridoi dell’istituto e il tragitto fino a casa, il tutto intermezzato dagli immancabili compiti. Neppure il suicidio di una compagna di classe lo avrebbe salvato dal dover trascorrere ore ed ore con la testa piegata su appunti, libri, schemi e riassunti. E quella era in effetti la situazione che si prospettava al biondino dai capelli color dell’oro. Le lezioni erano ormai terminate, ma qualcosa sembrava turbare il suo animo.

Che diavolo era preso a Nino, quella mattina? Non lo aveva mai visto così appiccicoso e, a tratti, persino inquietante. Non aveva perso di vista il giovane modello per neppure un istante ed ogni volta che Adrien aveva tentato di rivolgere la parola a qualcuno dei suoi compagni, Nino si era sempre intromesso con una scusa, troncando ogni conversazione di netto, quasi come se non volesse che gli altri gli rivolgessero la parola… o che lui non parlasse con nessuno dei loro compagni. Queste due possibilità, seppur apparentemente simili, erano in realtà separate da profonde differenze: da un lato, vi poteva essere la volontà di isolare Adrien dagli altri, quasi come a volerlo torturare psicologicamente, dall’altro invece poteva celarsi il tentativo di Nino di proteggerlo. Da che cosa, di preciso, non lo poteva sapere. Che fosse a conoscenza di un qualche scherzo che gli altri stavano architettando nei suoi confronti? Impossibile a dirsi, così su due piedi.

Prima di ritornarsene alla sua triste vita da studente quasi sempre recluso tra le mura domestiche, comunque, Adrien fece un ultimo tentativo, sfruttando i pochi minuti che lo separavano dall’aula scolastica all’auto dove lo aspettava il Gorilla.
Prendendo per il braccio il suo migliore amico, in modo da trattenerlo ed impedirgli di allontanarsi, lo trasse da parte.
“Allora, vuoi dirmi che diavolo ti prende oggi, sì o no? Per colpa tua non sono riuscito neppure a farmi prestare gli appunti di inglese da Rose, spero tu abbia una spiegazione sul perché tu abbia voluto mettermi nella merda di proposito. Ti ricordo che domani abbiamo una verifica!” Gli intimò Adrien, utilizzando un tono che risultasse sufficientemente deciso e, al contempo, celasse le sue parole ad orecchie indiscrete.

Eppure, per quanto il ragazzo fosse determinato, non ottenne che un mezzo sorrisetto ad occhi chiusi da parte del ragazzo dalla pelle scura, che dopo aver lentamente scosso il capo gli mise una mano sulla spalla.

“Non devi preoccuparti. Per quelli ci penso io più tardi. Dai ora vai, ti sta aspettando” Ribattè Nino con il suo classico fare affabile, allontanandosi senza però essere seguito dal suo migliore amico. Lo stava aspettando? Chi? L’autista? O suo padre? E dov’era la novità? Era sempre rinchiuso in quella villa, era chiaro che attendesse il suo ritorno…
Non avrebbe voluto che quella conversazione si concludesse sollevando ancora più domande di quante non se ne stesse già ponendo, ma questo fu purtroppo ciò che accadde e Adrien si ritrovò dunque a percorrere mutamente il tragitto fino a casa sua, abbandonato di peso sul sedile posteriore dell’auto e con le pive nel sacco.

Da quando Nino era diventato così enigmatico? A confronto, il protagonista di Saw sembrava essere un libro aperto… forse si stava semplicemente prendendo gioco di lui, ma quello non era certo il periodo adatto per dedicarsi a simili cazzate. Adrien volle comunque dimenticarsi di tutta quella bizzarra sequela di eventi. Aveva una prova scritta alle porte e non c’era tempo di perdere il sonno in giochetti ed indovinelli.

“E rieccoci qui… casa dolce casa” Sbuffò svogliatamente smontando dalla Mercedes del suo autista. All’interno dell’androne principale la temperatura non era certo piacevole e in quel momento Adrien fu molto felice di non dover prendere l’autobus per ritornare a casa: avere un autista personale gli risparmiava ogni volta decine e decine di minuti sotto la morsa glaciale dell’inverno.

Già sembrava pregustare il sapore disgustoso del gran ripasso finale prima di una delle verifiche più importanti di tutto l’anno scolastico e, anche a causa di ciò, il suo stomaco sembrava essersi chiuso irreparabilmente. Un po’ per la tensione, un po’ per il timore di fallire… e un po’ perché, fino a tre settimane prima, avrebbe affrontato una situazione del genere al fianco di Marinette. Si sarebbe fatto portare a casa sua e, seduti alla sua scrivania, in compagnia della ragazza dagli occhi color oceano, avrebbe sbrogliato il bandolo della matassa, tra un’analisi di qualche grande classico della letteratura inglese, una risata ed un macaron. O meglio, tanti macarons.

Gli mancava terribilmente, ma non osava ammetterlo, neppure a se stesso. Non voleva che la debolezza lo cogliesse impreparato, cancellando quei pochi progressi fatti per superare la morte di Marinette.

Neppure si accorse di aver sospirato così profondamente da attirare l’attenzione di Nathalie, in quel momento intenta a compilare qualche documento appuntato sulla sua agenda.

“Signorino Adrien? Va tutto bene?” Gli chiese, alzando i suoi freddi occhi inespressivi nella sua direzione e trafiggendolo con il suo sguardo gelido.
Quella donna sapeva essere tanto premurosa quanto inquietante e la sua quasi totale assenza di espressività non aiutava certo a far sentire Adrien a suo agio.

“Sì…” Sospirò un’altra volta il ragazzo, sfilandosi lo zaino dalle spalle “Tutto bene, grazie per l’interessamento”

L’occhiata priva di emozioni della segretaria di suo padre non sembrò cambiare di una virgola e, con fare quasi solenne, Adrien la vide appoggiare qualcosa sulla scrivania. Sul momento non diede importanza ad un simile gesto, ma subito dopo Nathalie richiamò la sua attenzione, schiarendosi la voce.

“Questo è per lei. E’ arrivato stamattina, mentre lei era a scuola” Annunciò, spingendolo leggermente in avanti, vicino al bordo della scrivania in cristallo.

Fu allora che l’interesse di Adrien venne solleticato per la prima volta dopo tanto tempo. Nell’ultimo periodo nulla sembrava più in grado di attirare la sua attenzione, ma l’arrivo di un pacco inatteso era una novità troppo grande e fuori dal comune anche per un ragazzo nelle sue condizioni. Un pacco per lui? Che significava? Non aveva ordinato nulla da Ebay o Amazon, chi mai poteva avergli spedito qualcosa senza che lui ne avesse fatto esplicita richiesta? Che avesse iniziato ad avere ammiratrici segrete pronte a ricoprirlo di regali pur di ottenere la sua attenzione? Gli sembrava un’opzione improbabile, per non dire impossibile.

“Chi è il mittente?” Domandò Adrien, trovatosi in difficoltà a celare il suo stupore, avvicinandosi al tavolo di vetro e sollevando quell’involucro cartaceo rettangolare. Non sembrava troppo pesante, nonostante l’imbottitura fosse stata fatta a regola d’arte, ma a giudicare dagli ovattati rumori che riusciva ad udire mentre esaminava il pacchetto, probabilmente si trattava di qualcosa di dimensioni contenute che poteva rimbalzare da una parte all’altra, motivo per cui forse era meglio evitare di agitarlo con eccessivo vigore.

“Non c’è scritto, ma il nome del destinatario è il suo e non avendo ricevuto il permesso ad aprirlo, ho deciso di lasciarlo sigillato” Spiegò la donna, ritornando alla sua miriade di fogli che era intenta a compilare.

Adrien rimase perplesso, di fronte ad una simile assenza di dettagli. Sui pacchi andava sempre scritto il nome del mittente, com’era possibile che un simile dettaglio fosse stato trascurato ed ignorato da coloro che lavoravano alle poste?

“Mh… vabbè, grazie mille” Bofonchiò Adrien, caricandosi il pacchetto sottobraccio e salendo le scale, dirigendosi verso la sua stanza. Sul suo volto era impressa un’espressione al limite del funereo e la consapevolezza di essere prossimo ad una “divertentissima” sessione di studio gli faceva venir voglia di…

Ogni volta che si ritrovava anche solo a pensare ad una simile parola, un senso di colpa sembrava afferrargli direttamente la gola con l’intento di strangolarlo. Davvero riusciva anche solo a desiderare, seppur per scherzo, un simile destino per se stesso, dopo quanto accaduto a Marinette? E, per giunta, per una sciocchezza come i compiti a casa?

“Basta, piantala di rimproverarti… stavi solo scherzando su” Pensò, rivolgendosi a quel maledetto sé stesso alternativo, così insopportabilmente moralista e desideroso di farlo sentire in colpa per qualsiasi cosa che gli ricordasse la sua amica ormai scomparsa. E’ morta, si ripeteva spesso, cercando di convincersi delle sue stesse parole.

Non lo aveva ancora accettato, ma era così.

Per l’ennesima volta, in quella grigiastra settimana invernale, Adrien gettò lo zaino di fianco all’entrata e si buttò di peso sul letto, lasciandosi affondare tra le morbide coperte e il piumone, chiudendo gli occhi ed ascoltando la ritmicità del suo respiro e, in lontananza, i rumori di un traffico perenne ed insensibile agli avvenimenti degli esseri umani.
Voltando lentamente la testa, i suoi occhi incrociarono di nuovo il misterioso pacchetto marroncino. E, per l’ennesima volta, Adrien percepì la curiosità crescere a dismisura dentro di lui, avvertendo la necessità di porsi decine e decine di domande.

Tutte inutili, in realtà: c’era solo un modo per scoprire chi fosse il misterioso benefattore che aveva deciso di fargli un regalo non richiesto.

Mettendosi a sedere a gambe incrociate sulla punta del letto, Adrien si portò in grembo il pacchetto e cominciò a cercare di rimuoverne l’imballaggio, dapprima con una certa cura, quasi a non volerlo danneggiare eccessivamente, per poi passare a metodi un po’ più brutali, dopo essersi reso conto che le “buone maniere”, in quei casi, fossero del tutto superflue.

Quello che si ritrovò davanti lo lasciò ancora più confuso di prima: una scatola di scarpe? Di una marca mai sentita nominare prima di allora? E per giunta dall’aspetto malandato e piuttosto usurato? Di certo là dentro vi poteva essere di tutto tranne che un paio di Air Max nuove fiammanti, ma se da un lato Adrien sapeva bene cosa non aspettarsi, dall’altro non riusciva a formulare alcuna ipotesi. Ed effettivamente, il contenuto che vide disposto ordinatamente all’interno, una volta sollevato il coperchio in cartone, non avrebbe potuto prevederlo neanche se si fosse rivolto al più abile degli indovini.
Ad una prima occhiata non riuscì a capire cosa fossero, pensava si trattasse di un qualche stupido scherzo per fargli perdere tempo: che senso aveva spedirgli qualche pezzo di plastica trasparente? Questo, almeno, finché non decise di sfilare uno di quegli strani oggetti dalla scatola. Fu allora che, silenziosamente, si diede dell’idiota.

“Musicassette? E chi cavolo le usa più, ormai?” Mormorò tra sé e sé, rigirandosene una tra le mani. Ne aveva viste alcune, nel corso della sua vita, e quella non differiva da esse, se non per un numero tracciato sulla superficie della stessa. Un uno, per l’esattezza, disegnato con ogni probabilità con un pennarello indelebile. La cosa più disorientante, tuttavia, erano quegli assurdi disegnini riposti all’interno dei contenitori delle singole cassette. Apparentemente potevano sembrare opera di un bambino, ma quale marmocchio di questi tempi potrebbe mai essere in grado di capire da sé il funzionamento di uno di quegli aggeggi? Insomma… neppure Adrien aveva una precisa idea di come si utilizzassero, figurarsi un ragazzino delle elementari. E, anche se fosse stato un bambino a realizzarle… come avrebbe fatto a spedirle a lui? E soprattutto… perché?

In preda a tutti questi interrogativi, Adrien quasi si scordò di un oggetto fondamentale per riuscire a stracciare definitivamente quell’alone di mistero che quella situazione stava pian piano innalzando.
Era un acquisto vintage fine a sé stesso, risalente a non più di un anno prima, periodo in cui Adrien si era dato alle lavalamp color pastello, alle radio d’epoca, ai vinili… e ai walkman.

Alzandosi in piedi di scatto, si mise subito a cercare quel maledetto aggeggio tra i vari ripiani del suo armadio…

“Ma dov’è…” Borbottò più volte, in preda ad una strana frenesia, mettendo letteralmente a soqquadro il suo guardaroba, fino a che le sue dita non andarono a posarsi al di sopra di una superficie di plastica liscia, sormontata da alcuni tasti.
Bingo.

Il polveroso walkman Sony giaceva riposto sul fondo di uno dei tanti ripiani e Adrien non volle neppure sapere come cavolo fosse finito lassù. L’importante era essere riuscito a ritrovarlo intatto.

Le batterie, come ebbe modo di verificare, non erano state rimosse. Perfetto, pensò, avrebbe evitato di andarsene in giro per tutta casa, alla ricerca di un paio di pile, ormai praticamente introvabili a casa sua.
Un vantaggio della tecnologia anni ’70 era l’assenza totale di discriminazioni per quel che riguardava l’hardware: qualsiasi cosa che avesse un uscita jack delle giuste dimensioni, sarebbe stata ben accetta dal walkman per poter ascoltare… qualunque cosa fosse incisa su quelle cassette.

Metodico com’era, Adrien decise di partire dalla prima, ovviamente, ossia l’unica che aveva rimosso dal suo rigido involucro.
Dovette fare un paio di tentativi per riuscire ad inserirla nel verso corretto e fu costretto, in questo caso, ad evitare di esercitare troppa pressione su quel pezzo di plastica dall’aria così fragile, non avendo alcuna idea di come rimediare ad un’eventuale rottura della scocca della cassetta.

Tutto ciò che gli rimase da fare fu dunque calcarsi le cuffie sulle orecchie e premere play… ma gli si congelò il sangue nelle vene nel preciso istante in cui il walkman cominciò a trasmettere una voce fin troppo famigliare dritta nel suo cervello. In quel momento, ad Adrien parve addirittura di percepire il suo profumo, fatto di vaniglia, zucchero, pane appena sfornato… quello a cui era abituato sin da quando l’aveva conosciuta. Per un attimo fu come se non se ne fosse mai andata, come se quella voce l’avesse sentita solo alcuni minuti prima, a scuola.

Solo dopo quell’iniziale momento di shock, accompagnato da vertigini e brividi lungo la spina dorsale, Adrien si rese conto di quale fosse la realtà dei fatti. E, con gli occhi verdi strabuzzati, continuò ad ascoltare.

“Ciao, sono Marinette… Marinette Dupain-Cheng. Esatto. Non smanettate sul… qualsiasi cosa stiate usando per ascoltare. Sono io. In diretta e stereo. Nessuna replica, nessun bis, e questa volta assolutamente nessuna richiesta. Mangia qualcosa e mettiti comodo, perché sto per raccontarti la storia della mia vita.

Anzi, più esattamente, il motivo per cui è finita.

E se tu hai queste cassette, è perché sei uno dei motivi.”




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Angolino dell'autrice: ciaoooo *saluta con la manina*. Che dire, non so neppure perchè stia scrivendo queste specie di appunti di fine capitolo.
Questa è la prima volta che rendo pubblica una mia storia, forse per timidezza o per altri motivi che neppure io so, ma avendo appena finito di vedere 13 reasons why non potevo non inventarmi un crossover con Miraculous (E ringrazio la mia cuginetta più piccola per avermelo fatto conoscere!). L'avevo provata a pubblicare un paio di giorni fa ma ho deciso di toglierla per rielaborarla un pochino. Tuttavia questa è solo la punta dell'iceberg, perchè nei prossimi episodi ci sarà tanta altra bella gente interessante che giungerà a far casino.
Che altro aggiungere, spero vi piaccia abbastanza da meritare una piccolissima recensione, lo apprezzerei tantissimo :)
 
   
 
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