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Autore: RottingMind    24/04/2018    0 recensioni
Un morto, un amico che indaga ed un libro maledetto. Cosa collega questi tre elementi?
Questo racconto si colloca tra due mie storie precedenti, Flies e La città degli Specchi, e serve un po' come flashback sul personaggio. Per questo racconto mi sono ispirato ai racconti brevi di Lovecraft, in particolare Nyarlathotep e La musica di Erich Zann per alcune parti.
Genere: Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I: Il libro dei mostri
Non riuscivo più a dormire bene da almeno un mese, cioè sin da quando avevo letto, per caso, quel maledetto libro. Ora non riesco più a stare tranquillo, in pace con me stesso. Mi sembra di sapere troppo e di non sapere nulla nello stesso momento, di girarmi e vedere cose che non dovrebbero essere in quel punto, per poi chiudere gli occhi e non vedere più niente...
Prima di sembrare ancora più confusionario di quanto lo sia ora, cercherò di andare con ordine e spiegare le cose da quando sono cominciate, sperando che qualcuno trovi questa nota e possa trarne consiglio, evitando di fare la mia stessa fine.
Era un giorno di fine ottobre, credo, quando andando in biblioteca mi ricordai che il mio amico che lavorava li, tale Kyle Gothenberg, era ormai deceduto in circostanze alquanto strane, e decisi di chiedere a chi lavorava li se si ricordavano qualcosa di lui negli ultimi giorni in cui prese servizio.
A parte le classiche cose, cioè che era un ragazzo riservato, gentile e che era perfetto per il suo ruolo, mi dissero che qualche giorno prima della sua scomparsa aveva assunto un comportamento strano. Li per li mi chiesi quanto strano un ragazzo come Kyle potesse essere, considerando che lo conoscevo dalle scuole medie e che era stato il mio compagno di studi fino all'ultimo anno dell'università letteraria. Mi dissero che la sua fobia per le creature volanti sembrava peggiorata negli ultimi tempi, data l'anormale presenza di formiche alate e mosconi verso gli inizi del mese: sembrava quasi arrabbiato nel vedere quegli insetti, e li cacciava via con molta foga, come se ucciderli per lui fosse un atto impossibile. Dopo aver chiesto se una cosa del genere si fosse già verificata prima, alla risposta negativa chiesi se c'era un qualcosa che lo preoccupasse o se fosse accaduto qualcosa che lo aveva turbato.
-Si, qualcosa era successo.- il bibliotecario che mi rispose andò nell'atrio e tornò dopo pochi minuti, porgendomi una copia di un libro per bambini, “I mostri di Hankhat”, di K. Lesly. -Questo libro lo terrorizzava, non si sa perché. Si rifiutava addirittura di andarlo a prendere.- lo presi in prestito ed andai a casa, cercando di capire cosa potesse esserci di così tanto orripilante e funesto in quel libro.
A prima vista, come già accennato, sembrava un comune libro per bambini: copertina colorata, dai disegni abbastanza semplici e colorati in modo da catturare l'attenzione, ma una volta oltrepassato l'indice, le cose cambiavano. Le immagini, seppur continuando con lo stesso stile artistico, assumevano connotati quasi grotteschi e volgari, che non sembravano per niente adatti ad un libro dedicato a dei bambini: c'erano scene violente, però non troppo dettagliate, e sembravano quasi parti di un fumetto d'azione. Ogni “mostro” aveva una o più scene, dove tramite filastrocche brevi venivano descritte le abitudini di caccia delle creature. Il libro era diviso in più parti: le creature della terra, dell'aria e dell'acqua, una cosa abbastanza semplice se ad un bambino interessavano di più i pesci rispetto alle aquile.
Dopo pochi giorni, man mano che leggevo il libro cominciavo a chiedermi cosa ci fosse, oltre alle immagini, di così terrificante in esso. Siccome non ero un grande esperto in materia, decisi di rivolgermi ad uno specialista di mia conoscenza, che trattava di oggetti d'antiquariato e un po' stravaganti da ogni parte del mondo.

Il negozio, che si trovava nella periferia di Thandat, sembrava una baracca, almeno per quanto riguardava l'esterno: pareti scolorite dal sole, decadenti, con graffiti di ragazzini intorno ed una bacheca mortuaria proprio di fronte rendevano facile l'identificazione dello stabile. Ma una volta entrati dentro, si entrava come in un mondo parallelo, una bolla congelata nel tempo. L'odore di incenso risaltava subito al naso una volta messo piede, cosa che rendeva il posto in un certo senso esotico; le pareti erano tappezzate di quadri, oggetti e ninnoli di varie regioni dello stato e non. Il proprietario, Erik Khan, era una persona che, come il negozio, sembrava di un altro luogo: portava abiti tradizionali indiani, una barba lunga chiara e meditava quando poteva nel retro. Dopo uno scambio di inchini, gli spiegai il mio problema.
-Volevo sapere se avevi qualche informazione su questo libro qui.- non appena gli porsi il libro dalla borsa nel quale l'avevo riposto, il colorito di Erik sembrò variare, cosa che era un po' difficile da notare nel negozio data la luce soffusa dell'ambiente.
-È passato del tempo da quando lo vidi l'ultima volta. Perché chiedi informazione su questo scritto?- chiese Erik, che era intento a sfogliarne il contenuto in silenzio.
-Un mio amico bibliotecario è deceduto da qualche giorno, e dove lavorava mi hanno riferito che questo libro sembrava averlo cambiato in qualche modo.- gli dissi.
-É un libro molto, molto antico questo...- Erik si accarezzò la folta barba, immerso nella lettura, ma ad un certo punto smise di sfogliare il volumetto, chiudendolo di scatto. -Portalo via, subito.- li per li mi chiesi come mai questa improvvisa rabbia verso di esso, ma scoprii solo in seguito il perché.
-Come mai questa reazione, Erik?- mi ripresi il libro, mettendolo nella borsa.
-Non devi immischiarti in cose che potrebbero diventare la tua fine, Dylan. Questo libro è pericoloso, andrebbe bruciato, non preso in prestito da una biblioteca come un qualsiasi racconto!- non avevo mai visto Erik così arrabbiato, specie da quando era rientrato dal suo viaggio spirituale quattro anni fa. -Ho giurato che non avrei mai più toccato un qualcosa di così grottesco e malefico sin da quel giorno. Ora, per favore, portalo via.- Erik sembrava essersi calmato un po', ma la cosa mi risultava comunque strana. L'odore di incenso sembrava più forte dopo la sua sfuriata, e dopo averlo ringraziato tornai a casa.
Al tempo non avevo ancora compreso la portata di cosa stavo andando incontro, e con il senno di poi, mi sarei dovuto fermare li, dare ascolto ad Erik e restituire il libro, ma la mia cocciutaggine e il mio voler andare a fondo nelle cose che non mi convincevano mi fecero perseverare nella mia ricerca. Il giorno dopo comprai dei libri che mi potevano essere utili per decifrare qualsiasi messaggio nascosto fosse contenuto in quel volume demoniaco: ero deciso ad andare avanti nella mia ricerca, con o senza aiuti.

II: La ricerca forsennata
Il libro che mi apprestai ad analizzare era “I mostri di Hankhat” di K. Lesly: diviso in tre parti, ognuna concernente le tipologie di creature (acquatica, terrestre e volatile), il volume era illustrato per simulare un qualcosa dedicato ad un pubblico giovane, ma dal contenuto un po' fuori dagli schemi e totalmente non adatto per quella fascia. Man mano che cercavo i significati nascosti, mi sembrava di allontanarmi sempre più dalla realtà, e di cominciare a percepire cose che prima non c'erano. Dapprima i “sintomi”, se così possono essere chiamati, erano lievi: piccole macchie scure che si muovevano e scomparivano dopo pochi istanti potevano tranquillamente essere scambiate per ragni o mosche, ma quelle cose non avevano gambe o ali.
Decisi di indagare sul libro stesso, per capire cosa avevo a che fare: nella stessa biblioteca dove lavorava Kyle, nella sezione riservata alle cose più oscure e tetre, trovai un saggio che sembrava fare al caso mio, “Come le apparenze ingannano: diario di un -” scritto da un anonimo. Non capii se il titolo era volutamente scritto così o se con il tempo è stato cancellato, ma sfogliando le prima pagine capii che l'argomento che trattava era quello giusto. Quando lo presi in prestito, andando al bancone, i “sintomi” cominciarono ad aggravarsi: oltre alle sfere nere, mi sembrava di sentire gli occhi di tutti su di me, e nonostante intorno avessi solo un inserviente e la persona al bancone, credevo di avere mille occhi puntati addosso, ma non potevo fermarmi li.

I giorni cominciarono a passare, e man mano che decifravo quel testo, mi accorsi che non riuscivo più a dormire bene: mi svegliavo continuamente di soprassalto per via di ronzii o di altri suoni, o peggio. Forse la cosa più terrificante di tutte non erano le allucinazioni, ma il sentir respirare il libro: se vi era abbastanza silenzio, come a notte fonda, lo si poteva chiaramente sentire, ed anche se tutte le porte e finestre erano chiuse, ogni tanto sembrava che si aprisse e che le sue pagine girassero da sole. Più passavo il tempo a contatto con quella cosa, curvo sulla schiena intento a decifrarne i segreti più remoti, più ne diventavo schiavo, affamato dalla sete di conoscenza che solo chi fu tanto folle da compiere ciò che stavo facendo anche io poteva comprendere.
Le allucinazioni sembravano non finire mai: non capivo, non riuscivo più a distinguere la realtà dall'immaginario. Persone con occhi da mosca e mandibole da ragno, crepe nel muro dalle quali uscivano topi alati da cento occhi, esseri immondi che mi fissavano dalle panchine e dalle finestre... queste erano le cose con cui avevo a che fare ogni giorno. Ormai anche l'aria che respiravo mi sembrava malsana, come se il tanfo di esseri non appartenenti a questo pianeta l'avesse appestata con la loro semplice presenza, e l'umidità della sera puzzava di creature anfibie che si spacciavano per esseri umani.
Non riuscivo più ad andare a lavoro, perché i clienti della mia attività sembravano tutti esseri demoniaci da milioni di forme, ed anche il solo sentire le loro voci, mi procurava brividi che a stento riuscivo a controllare. Non avevo ancora compreso che quella era la mia nuova realtà, un mondo dentro al nostro, nascosto agli occhi dei più in maniera ingegnosa, e che malediceva per sempre chi osava spingersi troppo in la.
Nelle pagine del libro le lettere cominciavano a danzare, come ballerine sotto la pioggia estiva, ogni volta che lo aprivo, formando come vortici nelle pagine, arrivando infine ad una forma diversa, nuova ed antica allo stesso tempo, formando nomi e formule vecchie di secoli e non appartenenti a questo mondo. Dopo che compresi cosa realmente nascondeva quel demonio, decisi di restituirlo alla biblioteca e di scrivere questo testo, sperando che qualcuno, dopo la mia morte, potesse trovare il modo di distruggere quella creatura infernale. Pensavo di essermi liberato di quel peso, ora che l'avevo rimesso al suo posto, ma mi sbagliavo nuovamente: il libro non aveva ancora finito con me, e proprio come un predatore che ferisce la sua vittima solo per vederla agonizzare, cominciò a darmi la caccia.

III: La caccia
Come fa a manifestarsi una cosa del genere? Dopo aver avuto visioni di esseri tanto orripilanti da sembrare creature dei peggiori film d'orrore, pensavo di aver chiuso con il sovrannaturale, ma quel libro maledetto aveva altri piani. Ormai avevo smascherato la sua facciata, la sua maschera, ma non potevo rivelarla al mondo. Chi avrebbe mai creduto ad un pazzo come me? Forse questo scritto finirà, come il saggio che mi ha aiutato nella mia ricerca, nella stessa biblioteca di Thandat, magari proprio accanto a quel manoscritto demoniaco, come per sbeffeggiarmi di cosa avevo scoperto. Pensandoci bene, mi sembrava quasi strano, forse anche troppo facile, che qualcuno mi permettesse di scoprire cosa realmente nascondeva quel libro senza provare a fermarmi. Certo, le allucinazioni che ebbi in seguito potevano essere un monito per la mia persona a non perseverare nella ricerca maledetta, ma poi? Cosa sarebbe successo una volta finito di sviscerare anche l'ultimo tassello del puzzle? Sarei potuto tornare ad una vita tranquilla, libero da visioni di creature deformi ed aliene? Ovviamente no. Come ho chiesto prima, come fa, secondo voi, a manifestarsi fisicamente lo spirito di un libro? Vedete, pochi giorni prima di restituirlo, nella mia attività di usati venne un uomo: snello, dal portamento elegante e di buone maniere. I lineamenti erano stranieri, ma non riuscivo a collocarlo con precisione: sembrava provenire dal medio oriente, ma parlava benissimo l'inglese, con un'inflessione che sembrava quella di una persona nata e cresciuta qui. Quel giorno non chiese niente, entrò solo a dare un'occhiata e chiedere informazioni su qualche pezzo, ma emanava come un'aura, un qualcosa di indefinito e sgradevole, e non era puzza. No, era un qualcosa di peggio, come se egli stesso, sotto quel guscio, fosse un concentrato di infiniti abomini non facenti parte di questo mondo.

Vidi quella persona più volte, ed all'inizio mi pareva che fossero incontri quasi casuali. Ma una volta restituito il libro, mi accorsi che le allucinazioni non finivano, ma continuavano imperterrite a tormentarmi. Nei miei pochi sogni vedevo la città di Thandat, ma non come è ora, no, la vedevo molto più antica: le rovine delle case erano coperte da licheni e muschi, nelle strade cresceva la vegetazione, ormai libera dal controllo dell'uomo, e gli animali scorrazzavano tranquilli, mangiando carcasse dei loro stessi simili. Il cielo era verde scuro, così come l'aria attorno a me: sembrava un miasma di morte, e in quel miasma, dinanzi a me, stava solitario quell'uomo, intento a suonare un violino; le note che produceva erano tristi, ma c'era un senso di calma e pace in quella musica, come se fosse un requiem.
Questa è l'ultima parte di ciò che scrissi, prima di decidere che ne avevo abbastanza. Il sogno si ripeté più volte nel corso dei giorni seguenti, ma non era la cosa peggiore. La mia attività stava fallendo, e con quelle visioni d'orrore che mi tartassavano tutti i giorni, la mia pazienza era arrivata al limite. Stanco della vita, stanco di tutto ciò che avevo visto e che mi perseguitava, decisi di andare in ritiro. Non sapevo dove, né quando sarei tornato, ma non volevo avere più a che fare, almeno per un bel po' di tempo, con esseri umani e non. Prima di mettermi in macchina, rividi quell'uomo, che bussò al mio finestrino e mi salutò, sorridendomi. Non ci badai troppo, perché ero più concentrato sull'andarmene via, ma ricordo ancora quel sorriso: le sue labbra erano solo leggermente curvate verso l'alto, ma aveva un qualcosa di non rassicurante e raccapricciante allo stesso tempo.
Guidai per un tempo indefinito, fino a tarda notte, finendo in una parte forestale a me ignota. Per la mia rabbia e stress, guidavo in maniera abbastanza imprudente, ma ciò che pose fine alla mia sofferenza non fu solo quello. Capii che quell'uomo era un qualcosa di più solo quando me lo ritrovai davanti a me, e per schivarlo dovetti fare una brusca manovra, finendo per far dirottare la macchina fuori dalla strada e finendo in un dirupo. Nei miei ultimi momenti ero sereno, e mi sembrava quasi di udire le stesse note del sogno, solo più nitide. Non riuscirò mai a finire il mio scritto, ma negli ultimi secondi a me rimasti vidi ancora lui, intento a suonare quel violino, dalle quali corde usciva un'aria fetida che ricordava una carcassa in putrefazione. Le sue uniche parole, poche e pronunciate lentamente, furono queste. Dopo averle udite, la macchina si schiantò, ed un ramo finì per trafiggere sia il parabrezza che la mia testa, in corrispondenza dell'occhio destro. La nube verde sembrò circondarmi, mentre le sue parole risuonavano nelle mie orecchie, come campane per i defunti.
-Alcuni segreti devono rimanere sepolti nelle pagine della morte.-

   
 
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