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Autore: Blue Eich    24/04/2018    2 recensioni
[MitsuBoru]
«Uhm, ecco… Quando due persone si amano, si baciano, tutto qui.»
«Continuo a non capire» insistette Mitsuki, con una smorfia a mezza bocca, deluso. «Perché?»
«Perché sì! Funziona così.»
«Perché funziona così?»
«E io che ne so?»
«Perché il tuo viso sta diventando rosso?»
Quell’ultima domanda, la più sincera di tutte, spiazzò Boruto. «Perché è imbarazzante parlare di queste cose, okay?!» gli urlò contro, a pugni stretti, sentendo la faccia scottare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Boruto Uzumaki, Mitsuki, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sarada Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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☾ Tsuki to Taiyō 
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Alla fine dell’allenamento il trio si era radunato in cerchio, dopo aver salutato il maestro.

«Allora, domani ci vediamo alla solita ora?»

«Sì, d’accordo» confermò Sarada, annuendo. «E tu sei d’accor–» Interruppe la frase, zittendosi. Perché diavolo Mitsuki se ne stava alle spalle di Boruto, a un millimetro esatto di distanza, come se fosse la sua ombra?

Seguendo il suo sguardo, Boruto si voltò ingenuamente. Non notò nulla di anomalo, perché il loro compagno in mezzo secondo era slittato un metro a destra, calmissimo.

«Se per voi va bene, va bene anche per me.»

Sarada forzò un sorriso e finse, da brava persona capace di non impicciarsi in affari che non la riguardavano, di non aver visto nulla. Farfugliò un saluto e si voltò, incamminandosi verso casa a passo frettoloso.

Non si sentì tranquilla finché il verde degli alberi non lasciò il posto alle prime vie periferiche di Konoha. Allora liberò la tensione con un sospiro, fermandosi in mezzo alla strada deserta. Approfittò di quella solitudine per riflettere. Doveva senz’altro esserci una spiegazione al perché più il tempo passava e più Mitsuki si appiccicava a Boruto, come se il secondo avesse stretta attorno alla vita una corda invisibile, collegata al primo, che di conseguenza lo trascinava con sé ovunque. Ci mancava poco che lo accompagnasse perfino in bagno. Qualunque fosse, questa spiegazione, di sicuro era la stessa anche del perché quando parlava con l’amico d’infanzia per troppo tempo un inquietante sibilo serpentino le ronzasse nelle orecchie. “Sssss, ssssssss…” Deglutì lentamente. Ogni volta girandosi di scatto incontrava quegli occhi ambrati, di chi potrebbe uccidere qualcuno a sangue freddo con un sorriso pacifico. Ecco, adesso le erano venuti i brividi! Scrollò la testa per riprendersi e si rimise in marcia.

 

«Ohi, Mitsuki! Mi accompagni a comprare un pacchetto di Ren?»

Era bastata quella proposta per far continuare il loro pomeriggio – alla quale Mitsuki aveva subito annuito con vigore, affiancando Boruto nel tragitto fino all’edicola.

Più tardi si sedettero su una panchina a sfogliare il prezioso e intoccabile album. Alla fine di pacchetti Boruto ne aveva presi tre, perché secondo il suo ragionamento novanta ryo erano meno di cento, quindi spenderli andava bene lo stesso. Elaborarono insieme strategie per utilizzare le carte nuove con l’obiettivo di battere Inojin e Shikadai nelle prossime partite, durante le quali Mitsuki si sarebbe accontentato di osservare con interesse, non possedendo una propria collezione.

Quando il cielo iniziò a tingersi d’arancio, il giovane Uzumaki balzò giù dalla panca e ripose il raccoglitore nel borsello. Doveva affrettarsi, se non voleva tardare per la cena; non avrebbe comunque ricevuto un rimprovero, tuttavia gli dispiaceva che la mamma si preoccupasse senza un valido motivo.

«Boruto?» lo chiamò l’amico, alzandosi lentamente a sua volta per fissarlo, serio. Stava preparando quella domanda fin dal mattino senza mai trovare un’occasione per porla, in quanto gli dispiaceva interrompere i suoi discorsi carichi d’entusiasmo. Aspettare non era mai stato un problema, però. «Sai spiegarmi perché le persone si scambiano la saliva come gesto d’affetto?»

All’inizio Boruto fece un’espressione stranita. Poi i suoi neuroni si attivarono laboriosi per tradurre quella definizione oggettiva dal Mitsukiese, linguaggio che stava ancora imparando e spesso lo lasciava perplesso. «I-Intendi il baciarsi? Ma come… Non te l’hanno mai insegnato?» gli chiese, ficcando con finta disinvoltura una mano in tasca. “E soprattutto perché diavolo devi chiederlo proprio a me?!” pensò, agitato.

«No, al mio genitore non interessano questi argomenti…»

Si grattò la testa, cercando una risposta che lo cavasse fuori d’impiccio. Il suo tono era così naturale, innocente, come se gli avesse appena chiesto perché la Terra è rotonda. Non era il tipo da fargli uno scherzo per metterlo in difficoltà, la sua era una reale, pura curiosità. Da come lo scrutava, mancava solo la coda e sarebbe stato un perfetto gatto. Tossicchiò e arrossì un po’. «Uhm, ecco… Quando due persone si amano, si baciano, tutto qui.»

«Continuo a non capire» insistette Mitsuki, con una smorfia a mezza bocca, deluso. «Perché?»

«Perché sì! Funziona così.»

«Perché funziona così?»

«E io che ne so?»

«Perché il tuo viso sta diventando rosso?»

Quell’ultima domanda, la più sincera di tutte, spiazzò Boruto. «Perché è imbarazzante parlare di queste cose, okay?!» gli urlò contro, a pugni stretti, sentendo la faccia scottare.

Ci fu del silenzio tra loro, come se il tempo si fosse fermato o avesse deciso all’improvviso che un secondo ne valeva almeno cinque.

«Allora io vad–»

«Come si fa a baciare?»

Ancora. Fu preso da un moto di esasperazione e il bisogno di cucirgli la bocca gli annebbiò la mente, prendendo il sopravvento. Si avvicinò con passo deciso e afferrò prepotentemente il kimono di Mitsuki, all’altezza dello spacco tra i lembi, per far scontrare le loro labbra. Fu un contatto tempestivo, quindi percepì solo che gli sembrava di sfiorare un petalo, delicato e di un’innaturale freddezza.

«Così» gli sussurrò, tirandosi indietro, brusco. “Eccolo il tuo stupido bacio, ora vuoi lasciarmi in pace?!” avrebbe voluto sbottare, paonazzo, ma non poteva. Perché nessuno gli aveva chiesto niente. Per un eccesso d’imbarazzo il suo cervello era andato in crash, spegnendosi quegli attimi necessari a compiere la più grande delle scemenze per poi riaccendersi quando ormai era già tardi. Fu brusca anche la spinta che gli diede con entrambi i palmi, per allontanarlo da sé ed erigere uno scudo a difesa del proprio orgoglio che bruciava, come se lo stessero corrodendo in una piscina d’acido. Si voltò con uno scatto e corse via a perdifiato, per scappare.

Invece Mitsuki rimase una statua: voleva memorizzare perfettamente ogni dettaglio del suo primo bacio. Secondo ciò che confabulavano sottovoce le sue compagne dell’Accademia era un evento fondamentale nella vita, magico, da dare solo al ragazzo giusto. Boruto Uzumaki poteva essere definito un ragazzo giusto? Chissà. Percorse il labbro inferiore con l’indice: da lì era scaturito un calore dolce, diffusosi dappertutto come lo scoppio di una bomba. L’altra mano invece la posò sulla stoffa che insieme a pelle e muscoli contribuiva a separarlo dal cuore. Era la prima volta che batteva all’impazzata per una ragione diversa dallo sforzo fisico o dalla paura di morire. Pulsazioni ruggenti che in un nanosecondo arrivavano alle orecchie, così potenti da dolergli. Attese che si acquietassero, poi tornò alla realtà. Il cielo si era imbrunito, ormai… Sorrise: non sarebbe stato difficile intrufolarsi in biblioteca.

 

«Ho mal di testa, non voglio cenare» annunciò Boruto, pestando con un’eccedenza di forza ogni gradino della rampa di scale, per raggiungere l’unico luogo suo al cento percento fin dalla nascita. Richiuse la porta subito dopo averla oltrepassata e si gettò di peso sul letto. Sentiva davvero la testa esplodere, oltre a un senso di nausea che lo agitava e gli serrava lo stomaco. Quella scena continuava a ripetersi in loop: l’irritante ingenuità di Mitsuki, il fatto che non avesse reagito con disgusto e indignazione come ogni normale ragazzino di dodici anni… Perché lui non era un normale ragazzino di dodici anni e togliersi il suo sorriso mellifluo di mente era più faticoso del previsto. Era tutto così frustrante che, per soffocare qualsiasi altro pensiero, cominciò a sbattere ripetutamente la testa contro il cuscino. Ancora e ancora, perché forse così sarebbe rinsavito. Peccato che non servì a nulla a parte preoccupare Hinata, che dall’esterno udiva l’energico scricchiolio del materasso. Era il caso di chiedergli se fosse tutto okay? Rimase per qualche istante con la mano sul pomello della porta, indecisa. “Che strani i giovani d’oggi…” pensò alla fine, allontanandosi. Forse aveva litigato con qualcuno, o l’allenamento era andato male, in ogni caso sperò solo che non sfondasse le doghe del letto.

La mattina dopo Boruto si svegliò aprendo gli occhi di soprassalto. Si passò un braccio sulla fronte imperlata di sudore e strinse i denti. Forse le testate l’avevano rincretinito ancora di più, altrimenti non si spiegava perché avesse addirittura sognato Mitsuki. Un sogno innocente, dove lo teneva per mano e sembrava un gesto naturale, piacevole… Affondò la faccia nel guanciale, nel tentativo di soffocare se stesso e quei ricordi velati. “Stupido, stupido, stupido, stupido…

Si costrinse a tirarsi su, cambiò i vestiti del giorno precedente usati da pigiama e dopo essersi sciacquato il viso in bagno con l’acqua fredda scese di sotto.

«Ohayō» salutò, meccanicamente.

«Ohayō!» risposero in coro sua madre e sua sorella.

La prima gli si parò davanti, per sistemargli i capelli arruffati con tocco amorevole. Nonostante fosse cresciuto e orgoglioso non si opponeva mai a premure del genere, se in giro non c’era nessun altro. «Dormito bene?» indagò poi lei, con sincero interesse.

Boruto rispose con un verso affermativo, dirigendosi al proprio posto. Se voleva affrontare la giornata al meglio non poteva essere a corto di chakra, perciò impugnò le bacchette e cominciò ad abbuffarsi del riso nella ciotola che fungeva da contorno al vero pasto.

«Oggi stai meglio, onii-chan?» gli chiese allora Himawari, con un faccino preoccupato. «Ti è passato il mal di testa?»

«Sì, sto benissimo!» le mentì sforzandosi di sorridere con le guance piene, come al solito, solo per vederla sorridere di rimando. Poi controllò l’orologio a forma di ranocchio di fronte alla cesta del pane, che nessuno aveva mai spostato da lì se non per spolverarlo. Era rimasto troppo a lungo a rimuginare sotto le coperte, infatti al suo arrivo la mamma aveva già finito di lavare la roba impiegata per cucinare, la sua sorellina aveva già apparecchiato completamente la tavola da sola e papà era già uscito – non c’era bisogno di chiedere, la sua assenza era una conferma inconfutabile.

Finita la colazione salutò frettolosamente la famiglia e si lasciò investire dall’aria primaverile. Camminò a passo svelto con le mani ficcate in tasca, senza controllare le strade, perché i suoi piedi si muovevano da soli. Arrivò presto nel luogo dove si ritrovavano sempre per raggiungere Konohamaru al campo, addirittura in anticipo quando di solito era lui a essere l’ultimo, beccandosi le noiose ramanzine di Sarada – perché i ritardi, per la signorina io-diventerò-Hokage, erano inconcepibili. Voleva stare solo, appoggiandosi alla parte metallica della struttura, crucciato.

E fu così per un po’. Poi udì un respiro quasi impercettibile e spalancò gli occhi, perché solo pochi centimetri di cortesia lo separavano da Mitsuki.

«Buongiorno» lo salutò in un soffio, calmo. Fastidiosamente calmo.

«’Giorno» gli rispose, borbottando. Dannazione, perché doveva trovarselo davanti così all’improvviso? Non aveva ancora pensato alla questione, se affrontarla e come, dal momento che non aveva neanche un’opinione precisa al riguardo.

«Sai, Boruto… Dopo ieri ho fatto delle ricerche. Credo di aver capito come funziona» dichiarò Mitsuki, sereno. Era pronto a srotolare la pergamena che custodiva con cura dentro l’abito, il frutto di una notte alla scoperta dei sentimenti umani.

Dall’espressione che Boruto fece, però, non sembrava intenzionato a discuterne con lo stesso interessamento con cui discutevano delle statistiche degli shinobi sulle figurine di Ren. «Ecco, proprio riguardo a ieri…» Le parole gli morivano in gola. Perché era così difficile, dattebasa? «Non ha significato nulla, okay? È stato uno sbaglio.»

Mitsuki s’irrigidì. «Perché?» gli chiese, confuso.

«Perché siamo due ragazzi» rispose Boruto, distogliendo lo sguardo.

«Ed è un problema?»

Ancora una volta, la sua innocenza lo travolse come una violenta pioggia di stalattiti. «È sbagliato e basta. Dimentichiamo tutto.»

Stavolta fu il turno di Mitsuki di paralizzarsi, perché stava provando dolore. Un dolore intangibile, acuto come uno spillo che gli pungeva il cuore, togliendogli il fiato. Abbassò gli occhi, sconvolto, vedendo le proprie mani tremare.

A interromperli fu l’arrivo di Sarada, che ancora non lo sapeva, ma sarebbe stata una lunga, tesa giornata.

 

Quella sera il piano di Boruto era chiudersi nella propria stanza come il giorno precedente e giocare ai videogiochi, al buio e con la musichetta di sottofondo a tenergli compagnia, finché non avesse sentito gli occhi appesantirsi. Piano che venne rovinato quando si trovò davanti la mamma sorridente a sbarrargli la strada per le scale. «Tesoro, puoi fare una commissione per me?»

Annuì con un grugnito, perché quel puoi non lasciava scelta. Era solo un ordine impartito con gentilezza, in realtà letale come la tecnica di combattimento più famosa del clan Hyuga.

Durante l’andata era così assorto che sbatté dritto contro un palo, maledicendosi con rabbia. Doveva riprendersi, anche perché non era mai successo che Konohamaru nii-chan lo rimproverasse perché aveva la testa tra le nuvole, quel giorno invece sì. Più rabbia metteva nel tirare gli shuriken contro i bersagli, più gli shuriken deviavano dispettosamente traiettoria. Una frustrazione amara e bruciante. Fu con quei pensieri che arrivò davanti alla dimora degli Uchiha e suonò il campanello.

«Eccoti, Boruto-kun!» lo accolse Sakura, affabile. «Ti stavo aspettando.»

Lui rimase fermo, con una mano appoggiata mollemente allo stipite dell’uscio. Nonostante fosse pulita e illuminata, quella casa troppo grande per due persone soltanto gli metteva addosso un senso di solitudine. «Cosa devi darmi, oba-san?» chiese, curioso.

Sakura sparì all’interno e si ripresentò con un sacchettino. «Tua mamma mi ha detto che alla piccola Hima è venuta di nuovo un po’ di tosse. Vedrai, con questo sciroppo alla fragola le passerà in un baleno!»

Boruto annuì con un verso distratto, pronto ad andarsene. Peccato che la scintilla spenta nei suoi occhi, che di solito sprizzavano di determinazione, non convinse Sakura.

«Fermo lì, signorino» gli ordinò, piantando le braccia sui fianchi coperti dall’abituale completo scarlatto. «C’è qualcosa che non va, ho indovinato?»

«Ti sbagli, oba-san, sto benissimo» sostenne lui, a bassa voce, distogliendo lo sguardo. Com’era possibile? Possedeva tutte le carte dov’era raffigurata, da quella inutile di rango C dei suoi tempi da genin a quella più recente di rango S e in nessuna si accennava a un jutsu per leggere nella mente.

«No che non stai bene. Me ne sono accorta, sai?» Gli fece pressione su una spalla, costringendolo a sedersi sullo scalino, senza via di scampo. Da giovani non aveva mai ascoltato abbastanza Naruto, quindi voleva rimediare ascoltando almeno suo figlio, nonostante avesse la metà dei problemi che poteva avere un orfano dispettoso detestato dall’intero Villaggio. «Coraggio, parla, tormentarti non servirà a nulla.»

Boruto sbuffò, affondando una mano sulla guancia e prendendo a fissare i propri sandali per distrarsi. «Okay, però devi promettermi di non dirlo a nessuno.»

Sakura annuì, seria.

«Ecco, c’è questo mio amico che ha un problema…»

«Ah-ah, un amico, certo» lo assecondò, sorridendo. «E cos’è successo a questo tuo amico

«Ecco… Ha fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare.»

«Sentiamo, cosa?» lo incalzò, sentendosi come se stesse usando pazientemente un contagocce per tirargli fuori le parole di bocca una alla volta. Ma d’altronde da un’irrecuperabile timida come Hinata e da uno impacciato come Naruto, cos’altro sarebbe potuto uscir fuori?

«H-Ha baciato un altro ragazzo!» ammise alla fine Boruto, arrossendo. «E, beh, ora non sa cosa fare…»

Davanti a quel faccino che si struggeva, Sakura non riuscì a trattenersi: rise sinceramente, senza contegno.

«Oba-san!» la riprese Boruto, offeso. Ecco, confidarsi con un adulto si era rivelato un errore. Loro non capivano mai. Come aveva potuto credere il contrario anche solo per un attimo? «Non è affatto divertente!» protestò, con un broncio d’orgoglio che lasciava lo stesso trasparire quanto si sentisse umiliato dalla situazione.

Sakura si ricompose, asciugandosi una lacrima con l’indice. «Scusami, ma è stato più forte di me: c’è una storia che devo proprio raccontarti!»

«Eh? Che storia?»

«Devi sapere che il giorno in cui ci hanno suddivisi in squadre, beh… Per sbaglio Naruto ha baciato Sasuke. Per entrambi fu il primo bacio e Sasuke non reagì neanche! Successe e basta, ah, noi ragazze eravamo così invidiose che avremmo voluto strozzare Naruto!»

Da quant’era sconvolto Boruto non riuscì subito a parlare, poi divenne rosso fino alla punta delle orecchie. «Eh?!» gridò, strabuzzando gli occhi. Un po’ perché non riusciva a immaginarsi la figura imbranata di suo padre incollarsi a quella che pareva austera e intoccabile di Sasuke, un po’ perché a lui e Sarada era successa la stessa identica cosa nella stessa identica occasione. Il destino si credeva forse simpatico?

«Già, lo so, è difficile da credere… Però che io sappia non hanno mai parlato di quel bacio, non ci hanno dato peso, insomma. A noi non importava che fosse successo tra due maschi, avremmo tutte voluto essere al posto di Naruto! E poi un bacio non arreca dolore o tristezza, quindi perché dovrebbe essere visto come qualcosa di brutto?» Il suo sorriso si velò di dolcezza. «Anzi, penso che in certi casi sia la miglior medicina» disse, dandogli un pugno giocoso sulla testa. «Dì questo al tuo amico e sono certa che farà la scelta giusta.»

Boruto rimase incantato dalle sue parole. Sfiorò il punto dove l’aveva scherzosamente colpito e annuì, pensieroso, rialzandosi. «Grazie, oba-san… Glielo dirò.»

Dopodiché salutò e corse via, senza dare a Sakura il tempo di raccomandargli di stare attento a non sballottare troppo il sacchetto. “Chi l’avrebbe mai immaginato che proprio io avrei dovuto fargli un discorso del genere…” si disse, ridacchiando. Il sorriso però le sparì dalle labbra a porta chiusa, quando vide Sarada in cima alle scale con un’aria funesta.

«Mamma?»

Già solo quel richiamo suonava come un’accusa, un rimprovero. «S-Sì, tesoro, cosa c’è?»

«Mi stai dicendo che il Settimo Hokage ha baciato papà prima di te

Fu come un pugno dritto nello stomaco, devastante.

Silenzio.

«Quel bacio doveva essere mio, okay?!» strillò, pestando un piede a terra, così forte da spaccare un’asse del pavimento come un legnetto. Resasi conto di ciò che aveva fatto, abbassò gli occhi e sbatté le ciglia, rassegnata. «Oh, cavolo, di nuovo…»

Sarada sospirò pesantemente. Si può sapere in che razza di famiglia era capitata? Se prima aveva dei dubbi sulla sua vera madre, ora l’avrebbero invasa quelli che suo padre potesse essere in realtà gay. “Grazie, Boruto, grazie davvero” pensò, ironica, tornando a rintanarsi in camera propria. “Chissà come finirà tra quei due…” si chiese poi, sistemandosi gli occhiali con un’abile mossa dell’indice. Il futuro del nuovo Team 7 era forse in pericolo?

 

Li stava osservando da lontano, senza la volontà necessaria per raggiungerli ed era sicuro che, a meno che non gli si fosse parato davanti, non avrebbero notato la sua presenza.

«Oggi Mitsuki è stranamente in ritardo» constatò Konohamaru, con le braccia incrociate, davanti ai due allievi restanti. «Boruto, tu ne sai qualcosa?»

«Perché lo sta chiedendo proprio a me?»

«Beh, perché mi è sempre parso che Mitsuki fosse molto attaccato a te. Mi sbaglio, forse?»

Boruto rispose con un grugnito affermativo, seccato, senza alzare lo sguardo dal prato. «Non so dove sia.»

«Mi dispiace, ma se non si presenterà per oggi dovremo allenarci senza di lui. Coraggio, cominciamo.»

Sarada rivolse uno sguardo al rivale, perché forse in qualche modo sapeva della situazione. Poi, in un attimo, i suoi occhi si tinsero di rosso sangue focalizzandosi su di lui.

Mitsuki ebbe un sussulto e s’impietrì: beccato. Scappare sarebbe stato inutile, ormai, perciò trattenne il respiro. Confidava nel fatto che non l’avrebbe tradito, per spirito di squadra. Infatti la bocca della giovane Uchiha rimase cucita e tornò a concentrarsi sul discorso del maestro. Lasciò rilassare i muscoli, sospirando silenziosamente. Era stato un errore scegliere un nascondiglio così vicino da rendere il suo chakra localizzabile anche dallo Sharingan, ma doveva a ogni costo controllare le loro reazioni: non sapeva se un’assenza ingiustificata fosse grave o meno. In Accademia compariva sempre con un quarto d’ora d’anticipo, prima in mezzo al cortile deserto e poi nell’aula, trovando rilassante vedere i banchi spogli, ancora odorosi di disinfettante. Dubitava che si sarebbe parlato di infliggergli una punizione, o di mandare un avviso al suo genitore, o che si preoccupassero e pensassero di venirlo a cercare. Doveva forse portare una giustifica, come per quella volta che aveva saltato le lezioni insieme a Boruto e Shikadai? Nel dubbio, avrebbe fatto meglio a prepararne una convincente. Dopo quell’iniziale scambio di battute l’allenamento si susseguì come di routine, quindi non ritenne più necessario rimanere.

Prese a correre tra gli alberi, guardingo e rapido come un leopardo delle nevi, vedendosi fluire il paesaggio davanti a un’altissima velocità. Raggiunse una radura, il posto ideale per stare un po’ in pace con se stesso.

Si sdraiò lentamente sull’erba e sfiorò piano la punta di un ciuffo. Boruto gli aveva raccontato che provava da anni a farne fischiare uno come suo nonno, ma non ci era mai riuscito. Chissà se era davvero possibile produrre un suono così acuto servendosi di un semplice arbusto? Rimase lì, immobile e senza alcun pensiero preciso in testa, concentrandosi poi su una margherita lontana. Gli venne in mente quella volta che Himawari-chan, la personificazione della gentilezza e della purezza, ne aveva regalata una a lui e una al fratello maggiore. S’incupì. Boruto non era mai così gentile, piuttosto illuminava la giornata degli altri con la sua esuberanza senza rendersene conto. Sentì di nuovo il cuore dolere e le mani tremare: lo spaventava provare delle emozioni simili. Perché riusciva a controllare il dolore fisico, ma non quello mentale? Cercò di calmarsi respirando e concentrandosi sugli uccellini, di cui non poteva vedere i corpi ma riusciva a percepire la direzione d’origine dei limpidi cinguettii. Ascoltarli era come un calmante. Fissò a lungo le nuvole nel cielo, che si spostavano lente. Poi, in automatico, i suoi occhi felini si puntarono sul sole. Allungò un braccio, andando ad afferrarne per finta il modello accecante, fino a coprirlo del tutto e serrare a pugno la mano. Sapeva bene dai libri di scienze che, più ci si avvicinava al sole, più si rischiava di rimanere scottati. Era forse ciò che gli era successo? Si era avvicinato troppo al suo sole e ciò che ne aveva ottenuto era stata una dolorosa bruciatura. “Sono io a essere sbagliato?” chiese innocentemente al cielo, con dentro di sé una sofferenza sempre più in fermento. Dopodiché chiuse gli occhi, concentrandosi sui suoni della natura; la brezza gli sfiorava la pelle di alabastro in una carezza cortese. Si lasciò cadere in uno stato di dormiveglia, nella speranza di mandar via l’angoscia che gli agitava l’animo.

Quando si ritirò su, si accorse di essere baciato dalla luce del tramonto. Il tempo era volato in ciò che gli era parso un battito di ciglia e quella sensazione tormentosa era rimasta. Si alzò, spolverando con calma il kimono sul retro per rimuovere i residui di terra. A distrarlo fu un fastidioso senso di vuoto proveniente dallo stomaco. Oh, si era dimenticato di nuovo di mangiare la sua mela mattutina. Fece un rapido calcolo. Era a stomaco vuoto dalla sera prima, quindi da circa… Ventun ore, contando quelle di sonno.

Dovresti mangiare di più, Mitsuki!” Quella voce che celava un po’ di preoccupazione gli invase la mente, insieme alla sua immagine mentre addentava uno dei panini caldi allo yakisoba della mensa, sporcandosi di salsa fin nelle guance. Poi andò a sfiorarsi le labbra e quello strano dolore del quale era vittima aumentò. Sì, forse era il caso di cercare del cibo.

Così si ritrovò a vagare senza meta per le strade di Konoha. Passava inosservato non tanto per il suo aspetto e il suo abbigliamento, che di solito incuriosivano i bambini, bensì perché sapeva muoversi senza far rumore, con calma. Tutti coloro che lo circondavano passeggiavano sereni oppure non vedevano l’ora di arrivare a casa, attesi da qualcuno. Nella sua di casa invece non c’era nessuno ad attenderlo, a parte il futon piegato con accuratezza sul pavimento. Dopo un po’ si decise ad alzare la testa e pensare a una soluzione. Non era dell’umore per mettersi a cucinare quindi forse, per una volta, poteva attingere a parte della sua paghetta mensile e fermarsi a prendere qualcosa a una bancarella. In fondo, secondo il ragionamento di Boruto, novanta ryo sono meno di cento e quindi spenderli va bene.

«Ehi! Tu sei Mitsuki, vero?»

Sbatté le ciglia, sorpreso, perché non era abituato a essere notato in mezzo a una folla. Vide il Settimo Hokage, sorridente, che stava per varcare la soglia di un locale.

«Buonasera. Sì, sono io» gli rispose, cortesemente. “Non dovrebbe essere a casa dalla sua famiglia?” si interrogò, senza però formulare davvero quella domanda.

«Mi sembri affamato, ragazzo! Un ninja deve sempre essere in piena forma per affrontare al meglio le missioni. Posso offrirti del ramen?»

Quel sorriso infinitamente radioso che gli stava rivolgendo lo spinse ad annuire con riconoscenza. In fondo non capitava tutti i giorni di essere invitati a cena dall’Hokage in persona, pur essendo figli di amici di vecchia data. Forse era destino che si incontrassero, pensò, seguendolo all’interno fino agli sgabelli davanti al bancone a cui si sedettero.

Rimase buono in silenzio, mentre Naruto ordinava per entrambi “il solito” senza bisogno del menù. Tutto lì dentro, dai pilastri alle rifiniture eleganti della mobilia, seguiva fedelmente uno stile orientale.

«È la prima volta che mangio ramen» commentò, imperturbabile.

«Eh?!» esclamò Naruto, strabuzzando gli occhi. Non immaginava di poter restare più di una settimana senza ramen, come se il brodo fosse la sua linfa vitale. «Dici sul serio, dattebayo?» proseguì, sconvolto, mentre Mitsuki annuiva. «Insomma, come hai fatto a vivere fino a oggi?»

Sorrise, senza far caso all’ironia. «Preferisco il pesce, contiene una buona dose di proteine.»

Naruto ricambiò il sorriso. «Anch’io alla tua età vivevo da solo, perciò so che non è facile. Mi raccomando, se ti serve qualcosa passa pure da noi, okay?»

Gli rispose con un cenno d’assenso, sentendosi lusingato da tutta quella gentilezza immotivata nei suoi confronti. Quando arrivarono le pietanze la conversazione si spense e cercò di gustarsi con solennità il contenuto della ciotola fumante. Aveva un sapore speziato e forse proprio perché era un piatto caldo, preparato dalle mani amorevoli ed esperte di qualcuno, era così buono.

«Dovrei chiederle un consiglio, se non le dispiace» annunciò poi all’improvviso, con lo sguardo fisso sulla metà d’uovo sodo che galleggiava in superficie insieme al filetto di maiale ancora intoccato. «Le è mai capitato di provare qualcosa per una persona del suo stesso sesso?»

A Naruto rischiò di andare di traverso tutto e tossicchiò, portandosi un pugno alla bocca, prima di riuscire a ricomporsi. «Ehm, non saprei…» sostenne, ridacchiando nervosamente.

Mitsuki continuò a far specchiare il riflesso dei propri occhi angosciati nella zuppa. Teneva la ciotola con entrambe le mani e la stringeva, per avvertire le dita scottarsi al contatto con la ceramica rovente. «È sbagliato provare questo qualcosa?» sussurrò.

A quel punto, Naruto gli rivolse un sorriso intenerito. «No, affatto» lo rassicurò, toccandogli la spalla per infondergli un po’ del proprio coraggio. «Sai… Per un breve periodo era successo anche a me, con… Un amico.» Aveva forse appena dichiarato ad alta voce ciò che si era ripromesso di non ammettere mai a nessuno e fu strano, liberatorio e imbarazzante al tempo stesso. Però non sarebbe stata una confessione inutile, lo sapeva. «Anche nel tuo caso si tratta di un amico?»

Mitsuki fece un verso d’assenso, tranquillo. «Sì, suo figlio.»

Naruto stavolta rischiò sul serio il soffocamento: risputò nel piatto gli spaghetti che stava masticando e gli uscì un po’ di brodo bollente dalle narici, facendogli bruciare il naso. Si batté forte un pugno sul petto, per tornare a respirare. «È stato un piacere, Mitsuki, ma ora devo proprio scappare in ufficio, ci vediamo!»

Fu incredibilmente veloce nello sbattere due banconote sul tavolo e correre fuori, sollevando un polverone dietro di sé. “Certo che l’Hokage ha sempre un sacco d’impegni” pensò Mitsuki, ingenuo, prima d’impugnare di nuovo le bacchette.

 

Il parco, per Boruto, rappresentava un luogo importante e pieno di ricordi. Seduto sull’altalena a dondolarsi lentamente si ricordò della prima volta che era riuscito a salire lo scivolo al contrario, sentendosi un re, neanche fosse la cima di una montagna. Sulle assi di legno consunte della struttura dei giochi si era consolidata anche la sua amicizia con Shikadai. I suoi occhi si spostarono al terreno e allora pensò a quante collane di margherite rubate alle aiuole gli aveva regalato Himawari nel corso degli anni – che doveva esibire da bravo fratello maggiore anche davanti agli amichetti, per non farla piangere. Ogni tanto gli piaceva passare di lì e fermarcisi per un po’, perché gli sembrava di rivivere quel periodo della sua infanzia dov’era tutto semplice e spensierato.

Tuttavia, l’angoscia non se n’era ancora andata. Se ne sarebbe andata mai? Aumentò la stretta sulle catene. Forse Mitsuki, perché l’aveva trattato con freddezza, aveva deciso di tornare al suo Villaggio d’origine senza dire nulla a nessuno. Forse non l’avrebbe mai più rivisto. Lo faceva stare male, quel pensiero dannatamente amaro. Non voleva dirgli addio per sempre, perché come un serpente si era piano piano insinuato nella sua vita fino a diventarne una parte fondamentale, insostituibile, più raro di una figurina in edizione limitata di rango S.

L’altalena continuava a cigolare stridula in concomitanza alle sue spinte mogie. Poi, come d’istinto, alzò gli occhi e lo vide. Stava passando per caso, un’anima in pena vagante per la città, che il destino aveva condotto proprio lì. Davvero simpatico, questo signor destino.

«Ehi» lo salutò, di fretta, con il cuore già a mille.

«Ehi» ripeté Mitsuki, cauto. Lo fissò intensamente per qualche secondo, come a cercare un tacito permesso di avvicinarsi. Aveva paura di sentirsi dire con sgarbo: “Che vuoi, Mitsuki?” O ancora peggio un gelido: “Va’ via, non voglio più vederti.” In entrambi i casi, sarebbero stati dei colpi di kunai volti a tranciargli il cuore come se fosse fatto di burro. Scelse di rischiare.

Un passo.

Due.

Tre, quattro.

Boruto stava in silenzio e aveva smesso di dondolarsi. Avrebbe voluto chiedergli scusa per essere stato così stupido, per averlo trattato in un modo che non meritava, siccome non aveva fatto assolutamente nulla a parte assecondarlo. I problemi erano tutti nella sua testa. Però le parole erano bloccate in gola da un masso invisibile che le schiacciava giù, impedendo loro di uscire.

Fu un silenzio che durò così a lungo da farli estraniare, quasi dimenticandosi di essere in compagnia di un’altra persona. Il vento sfiorava i loro capelli, una presenza furtiva e discreta in quella notte dal cielo scuro.

«Sono davvero così sbagliati i sentimenti che sento?»

A parlare fu Mitsuki. Subito dopo averlo fatto una goccia gli percorse il volto, istantanea e luccicante come una stella cometa.

Boruto esitò. “E poi un bacio non arreca dolore o tristezza, quindi perché dovrebbe essere visto come qualcosa di brutto? Anzi, in certi casi penso sia la miglior medicina.” Fu quel pensiero a dargli la carica per azzerare le distanze e prendere possessivamente tra le mani il suo viso, per curarlo. Lo baciò anche stavolta, facendogli sgranare gli occhi dalla sorpresa. Il contatto diretto lo fece rabbrividire, perché Mitsuki era gelido, sempre, anche quando solo si sfioravano per sbaglio durante gli allenamenti.

Invece tutto di Boruto scottava. Le labbra carnose, le mani, lo sguardo, perfino i vestiti. Un calore di cui temeva d’ora in poi avrebbe sentito un crescente bisogno. Il calore del sole, che aveva finalmente raggiunto dopo un viaggio di infinite fatiche.

Boruto presto sentì le dita inumidirsi, per via delle lacrime che si erano fatte strada sulle guance ceree del compagno, inarrestabili. Perciò tirò indietro la testa, per fissare con indiscrezione i suoi occhi che sembravano incastonati in lucide pietre d’ambra. «Mitsuki, stai… Stai piangendo…» sussurrò, raccogliendo una stilla fragile con la punta dell’indice.

Mitsuki annuì. «Credo sia la prima volta…» ammise. Era come se tutto il male accumulato si stesse sfogando e uscisse fuori, abbandonandolo. Il cuore nel mentre doleva lo stesso, più leggero e gonfio anche di un’agitata felicità. Non si era mai sentito così vivo.

Boruto restò a guardarlo con stupore, le mani bagnate ancora premevano sulle sue gote. Non riusciva a credere che in dodici anni interi non avesse mai pianto, nemmeno quand’era venuto al mondo, senza sapere che gran parte della sua esistenza era trascorsa placida in un’incubatrice. «Allora puoi piangere, piangere è okay» lo rassicurò, serrandogli le braccia intorno ai fianchi morbidamente avvolti dal kimono per attirarlo a sé. «Anche quello che… Proviamo, è okay.»

«Proviamo?» lo canzonò Mitsuki, interrogativo.

Boruto arrossì di nuovo e strinse di più la stoffa. «Sta’ zitto!» lo ammonì, orgoglioso, tuttavia dopo un po’ sorrise. Aveva la sensazione che quello sarebbe stato l’inizio di qualcosa di bello, speciale.

«Comunque mi piace il sapore della tua saliva» gli confidò Mitsuki all’orecchio in un gelido soffio, nonostante le parole, concise e roche, fossero suonate tutt’altro che gelide. Boruto bofonchiò un verso incomprensibile, rimanendo color pomodoro: decisamente era il complimento più strano che gli avessero mai fatto. Però non sciolse l’abbraccio. Entrambi avrebbero voluto che durasse in eterno, perché solo così si sentivano completi… D’altronde chi potrebbe completare il Sole, se non la Luna?

 

~

 

Ok, ora spostiamoci nel retroscena.

Riuscite a vederli?

Sakura ha acceso un ventilatore e butta nell’aria petali di ciliegio per farli arrivare dritti da loro, con impegno, perché l’atmosfera romantica è fondamentale. Orochimaru e Naruto sorridono dietro a un cespuglio, scambiandosi un’occhiata fiera dei loro pargoli. Nel cespuglio accanto Suigetsu ha avuto un collasso e non riesce più ad alzarsi per lo shock. Ancora accanto invece Iwabee sta imprecando, mentre Shikadai ghigna.

«Coraggio, sgancia i soldi!» esclama con una mano tesa e quello sbuffa, sotto lo sguardo rassegnato di Inojin che si chiede perché si sia fatto trascinare lì. Nel frattempo Denki è in ginocchio e sta piangendo sconsolato rivolto verso un albero, mentre Chocho sgranocchia le solite patatine e assiste alla scena come se fosse al cinema.

 

☀ 

 
Angolo Autrice
Salve!
Ho prodotto questa OS a dicembre-gennaio e non l’ho mai pubblicata perché volevo aspettare, migliorarla. Ma ora penso che sia inutile tenerla ancora nascosta.
È stato un esperimento, il mio primo esperimento shonen-ai e MitsuBoru, dove per la prima volta nella mia vita non ho usato dei sinonimi per non ripetere i nomi dei personaggi.
Siccome tutti guardiamo Boruto jap sub eng/ita, per mantenere l’atmosfera ho scelto di utilizzare qualche termine giapponese (dattebasa, oba-san, onii-chan, eccetera). Ren, il gioco di carte, esiste davvero e proviene dal manga (e un pacchetto costa davvero 30 ryo).
Forse è stupido e impossibile che Mitsuki non sappia davvero cos’è un bacio. Tuttavia, a me e fabererijaegerman, che ringrazio per la grande collaborazione alla trama, era sembrata un’idea carina. E il retroscena disagio là in alto è frutto dei nostri numerosi scleri notturni.
Crediti agli artisti per le immagini che ho usato per realizzare il banner.
Alla prossima!
– H.H
 
   
 
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