Serie TV > Agents of S.H.I.E.L.D.
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Autore: mega n    24/04/2018    0 recensioni
Aleksandra Miusov, esperta agente dello S.H.I.E.L.D., riceve da Coulson un'importante missione: deve evitare che l'HYDRA entri in possesso di un pericoloso manufatto alieno, ma suo malgrado si ritroverà a necessitare l'aiuto dell'unica persona che ucciderebbe a prima vista senza nemmeno pensarci...
Dal testo:
«Cosa ci fai qui, agente Miusov?», mi domandò con un ostentato tono di sorpresa. Era disarmato, e in trappola, ma pareva mi avesse aspettata per tutto quel tempo nascosto nella boscaglia, come un fuggitivo disperato. Ero consapevole che mi sarei potuta aspettare di tutto da uno come lui, Coulson mi aveva avvertita, e il fascicolo informativo di cui mi aveva fornita era decisamente ricco di informazioni. E poi, lo conoscevo piuttosto bene.
«Non saprei, tu che dici? Sono uscita per una battuta di caccia, agente Ward, e tu invece?», replicai ammiccando al fucile che gli stavo puntando contro, nonostante entrambi sapessimo che non gli avrei sparato… anche perché avevo finito le munizioni.
«Cercavo te, se proprio vuoi saperlo», rispose sorridendomi.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Grant Ward, Nuovo personaggio, Phil Coulson, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ah, Miusov, un’ultima cosa: Ward è fuggito, sta’ attenta», quella frase di Coulson continuava a tormentarmi dal momento in cui avevo riattaccato e avevo finito di prepararmi per la missione. In un primo momento non avevo prestato particolare attenzione alle sue parole, ma ora che ero sola con le mie riflessioni non riuscivo a non pensarvi.

Grant Ward era stato il mio più grande amico dai tempi dell’Accademia, avevamo studiato insieme, ci eravamo allenati insieme, avevamo lavorato insieme in molteplici occasioni e ancora ero fermamente convinta che il suo tradimento verso lo S.H.I.E.L.D. fosse solamente una copertura, un modo per ottenere informazioni… e che i suoi compagni non dovevano assolutamente conoscere, o avrebbe rischiato troppo; certo, effettivamente rischiava comunque molto, dato che tutti i suoi vecchi compagni lo consideravano un agente dell’HYDRA e avrebbero anche tentato di ucciderlo, se solo se ne fosse presentata la possibilità, ma quando uno svolge un simile lavoro è necessario che sia preparato ad affrontare il pericolo in ogni circostanza.

Comunque, mi dissi con convinzione, Grant Ward non era un mio problema e non lo sarebbe stato; avevo ben altro a cui pensare, e i miei contorti e infiniti pensieri non riguardavano lui in nessun caso. Per esempio, il luogo in cui mi trovavo in quell’istante: quello era il mio più grande problema in quel momento.

«Sei sicuro di saperlo pilotare? Sei assolutamente certo che non ci schianteremo? O che l’elicottero non precipiterà?», insistetti. Il pilota grugnì, sbuffò e non mi degnò di alcuna risposta.

Ero leggermente terrorizzata; forse non era stata una buona idea chiedere a Coulson un passaggio per il Massachusetts. Decisamente non era stata una delle mie idee migliori, e dovevo certamente essere completamente impazzita quando gliel’avevo domandato.

«Sul serio, non rischiamo di precipitare, vero?», forse, ma soltanto forse – e si tratta un enorme forse –, era stressante qualcuno talmente pressante, per il mio interlocutore, ma non era colpa mia se avevo paura di volare…

«Sì, ne sono assolutamente sicuro, non precipiteremo né ci schianteremo. E sono un pilota, è il mio lavoro volare. Piuttosto, agente Miusov, perché andare in Massachusetts per cominciare la ricerca dell’Obelisco?», si decise a tranquillizzarmi il pilota.

Non risposi, non subito almeno.

Sapevo bene perché il Massachusetts, parola che per me era ormai divenuta sinonimo di un’altra, un tempo una di quelle che usavo più frequentemente; mentre allora, invece, era soltanto il nome di una località che dovevo assolutamente raggiungere.

Non volevo arrendermi e accettare che il mio migliore amico fosse un assassino, ma per qualche strana e poco comprensibile ragione, ero assolutamente certa che avrei trovato agenti dell’HYDRA nei paraggi.

«Come sai dell’Obelisco? Coulson ha detto che è confidenziale!», esclamai sorpresa.

«Perché avrebbe contattato proprio te, agente Miusov, un’esperta spia e una tra i migliori agenti dell’agenzia?», replicò l’uomo nella cabina di pilotaggio, «Tutti allo S.H.I.E.L.D. non parlano d’altro, ho semplicemente dedotto…».

Mi rifiutai di proseguire la conversazione, stava diventando piuttosto imbarazzante. In effetti, non avevo un’idea precisa del perché stessi andando proprio in Massachusetts, ma credo che nemmeno Coulson – che stava basando le sue missioni su dei segni alieni che incideva sul muro o sulla scrivania nel tempo perso, il che non mi pare sia propriamente indice di una grande sanità mentale – avesse ben presente da dove cominciare una ricerca così estesa; inoltre, era probabile che, considerandone l’importanza (e conoscendo il modo di ragionare di pressoché chiunque), ne esistessero parecchie copie, quindi, perché no? Era un così bel posto, o almeno era quello che mi avevano riferito, e non ci ero mai stata!

Certo, con molta probabilità mi sarei imbattuta in gente che conoscevo da tempo – per lavoro, non certo perché mi dilettassi ad essere l’agente dello S.H.I.E.L.D. con più minacce di morte da parte dei nemici!

«Siamo arrivati, agente Miusov. Dove vuole atterrare?», mi distolse dal mio insostenibile rimuginare il mio precedente interlocutore, nonché l’unico delle ultime tre ore; ringraziai mentalmente che quella tortura disumana fosse finalmente giunta al termine, ero certa che, se si fosse ulteriormente prolungata, anche solo qualche di qualche istante, sarei morta.

«Nella foresta, dove nessuno sospetterebbe la mia presenza», furono le mie ultime parole prima di ricadere nel silenzio.

 

***

 

Boston, Massachusetts.

La Goldbrix Tavern non era forse il posto migliore per fermarsi, ma dopo quasi cinque ore di viaggio non mi posi neppure il problema: inoltre, avrei potuto ottenere molte informazioni sull’oggetto della mia ricerca, se solo nessuno avesse smascherato la mia copertura. Non avevo conoscenze particolari tra i membri dell’HYDRA, era vero, ma molti di loro avevano combattuto contro di me – venendo miseramente sconfitti – ed erano stati lungamente torturati, allo S.H.I.E.L.D. affinché si tradissero e fornissero i loro torturatori di ragguagli, anche non necessariamente particolarmente dettagliati, sulla loro organizzazione: almeno la metà degli agenti nemici mi desiderava morta, ma, in effetti, era quasi la norma, per me.

Sistemai per l’ultima volta il mio travestimento, rassettai i capelli ramati, ritinti per l’occasione del loro colore naturale, respirai profondamente e mi avviai verso la mia destinazione con passo sicuro ed atteggiamento tronfio e supponente.

«Salve», mi salutò, quando entrai, la voce del barista, che stava lucidando un bicchiere con uno straccio ormai incapace di lucidare, tanto era sporco; risposi, e mi sedetti di fronte al bancone, come uno qualsiasi degli avventori, «Non credo di conoscerla», disse poi l’energumeno.

«Mi chiamo Bailey Adams, ho lavorato per un po’ sotto copertura nello S.H.I.E.L.D., probabilmente alcuni si ricorderanno di me… la maggior parte, però, no, in effetti… », replicai distrattamente, ed ordinai da bere; notai, alla mia sinistra, a qualche sedia di distanza da me, un uomo con lo sguardo perso nel vuoto; indossava un giubbotto verde scuro, e sotto di esso una sporca camicia a quadri; portava una folta barba e capelli incolti, come se non avesse avuto tempo di recarsi da un barbiere, negli ultimi mesi, nemmeno una volta.

Eppure, c’era qualcosa di strano in lui, qualcosa di sospetto, di misterioso, ma anche di sofferente: come uno strazio interiore che ne dilacerava l’animo in tante piccoli brandelli, più piccoli e numerosi dei coriandoli gettati per le strade durante il Carnevale in Italia, dove solevo recarmi in villeggiatura con i miei genitori da bambina, nei periodi più svariati dell’anno; ed era, tale strazio, talmente tangibile, da risultare quasi inosservabile, tanto era evidente, perché all’occhio umano pare troppo scontato ciò che è banalmente visibile, seppur estremamente rilevante, così lo tace, non vi bada, commettendo un terribile ed imperdonabile errore.

«Come quel signore laggiù», ed accennai all’oscuro individuo, «Che sicuramente si rammenta di me, dato che abbiamo lavorato spesso insieme», ma colui non si preoccupò di rispondere alla provocazione, non di fronte tutta quella gente; ed il barista non domandò oltre.

   
 
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