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Autore: _Agrifoglio_    25/04/2018    26 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prima parte


Il Conte straniero
 
– Conte di Falkenstein, cavalcate vicino a me e tenete la testa bassa! – urlò Oscar al gentiluomo che la affiancava nella corsa a perdifiato di quella tiepida mattina di maggio.
Lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli lanciati al galoppo rimbombava concitato nei sentieri che il gruppo di soldati stava divorando lega dopo lega, al punto che, per impartire qualsiasi ordine o istruzione, occorreva urlare ai limiti delle umane capacità. Lo sforzo era massimo sia per le cavalcature sia per chi le montava, ma occorreva lasciarsi alle spalle gli inseguitori e distanziarli il più possibile. Ogni tanto, dal gruppo degli assalitori, partivano degli spari, fino a quel momento, per fortuna, mai andati a segno, a causa della distanza, dell’equilibrio precario offerto da un cavallo al galoppo e – pensò Oscar, non senza sollievo – della scarsa abilità dei tiratori, ma l’allerta era massima e bisognava accelerare e flettere il busto sul collo del cavallo, per esporsi il meno possibile.
– Alain, a che punto sono gli inseguitori?
– Per ora, stanno mangiando la nostra polvere, Comandante, ma non bisogna assolutamente far guadagnare loro terreno.
– André, quanto dista il Reno da qua?
– Percorse due leghe, raggiungeremo la sponda sinistra del Reno, ad est di Strasburgo, Comandante – rispose André, sulla base della consultazione che, prima di partire, aveva fatto delle carte geografiche e dei ricordi del ben più tranquillo viaggio, effettuato diciotto anni prima, per scortare un’altra persona di provenienza austriaca.
– Bene – gridò Oscar, i cui capelli biondi fremevano al vento e si diramavano nel cielo come fili d’oro ricamanti una scena guerriera sul serico blu di un arazzo – Sparpagliamoci per confondere gli assalitori! Il Conte di Falkenstein verrà avanti con me, con Luc Monet e con Charles Aubry; André Grandier, Alain de Soisson e Paul Lorraine andranno a destra; Louis Cléry, Jean Dubois e George Chigny a sinistra. I sicari inseguiranno il gruppo dove saremo il Conte ed io. Quando saranno passati avanti, quelli di voi che erano andati a destra e a sinistra torneranno indietro e piomberanno alle loro spalle. Così, li accerchieremo!
Mentre parlava, una luce indomita, fiera e nervosa le saettava nelle iridi cerulee quasi fosse stata la figlia di Marte. L’autorità che emanava da quella figura, il tono imperioso e il portamento altero rendevano impossibile agli ascoltatori pensare a un esito diverso dalla vittoria. I piani del Comandante erano così chiari e precisi che dovevano per forza andare a buon fine. Sicuri e motivati, gli uomini si sparpagliarono al galoppo, secondo le istruzioni di Oscar.
Gli assalitori, come previsto, inseguirono il gruppo dove si trovavano Oscar e il Conte, tralasciando completamente coloro che si erano allontanati, così che, quando se li ritrovarono alle spalle, era ormai troppo tardi, essendo già stati accerchiati. A quel punto, Oscar, dopo avere ordinato al Conte di proseguire da solo la cavalcata al massimo della velocità, fece dietro front e si scaraventò fulminea, con la spada sguainata, sugli avversari, uccidendone uno e disarcionandone un altro. Un terzo uomo le si avventò alle spalle, ma un soldato la chiamò ed ella si voltò di scatto e sferrò un coupé contro l’avversario che lo parò a stento, barcollando, ma ritrovando subito l’equilibrio e assestando, di rimando, un potente, ma rozzo montante in direzione del fianco destro di Oscar che, con un agile molinello, fece roteare in aria la spada dell’uomo, recuperandola, subito dopo, al volo, infilando la lama nell’elsa. Lo sgherro, con gesto rapido quanto proditorio, estrasse un pugnale dalla giubba e si apprestò a lanciarlo contro Oscar che, però, fu più veloce e, afferrata la pistola dalla fondina, gli sparò in pieno petto, così da farlo stramazzare, morto, al suolo. Intanto, la battaglia infuriava fra urla, imprecazioni, spari e clangori di lame.
Gli assalitori erano più del doppio delle Guardie, ma compensavano la superiorità numerica con un pessimo addestramento, tanto che Oscar pensò che fossero dei sicari raccolti dalla strada e reclutati alla bell’e meglio da qualche malintenzionato e oscuro mandante.
Dopo circa un quarto d’ora di lotta, i soldati contarono, a terra, sedici sicari morti. Paul Lorraine e Louis Cléry, i più inesperti soldati della Guardia lì presenti, avevano riportato delle superficiali ferite, rispettivamente, a un braccio e a una gamba e Oscar ordinò loro di recarsi alla locanda del più vicino villaggio e di mandare gli avventori a cercare un cerusico.
Subito dopo, si rivolse agli uomini illesi:
– Ho chiesto al Conte di Falkenstein di precederci sull’isola del Reno davanti a Strasburgo, nel padiglione di legno che fu costruito nel 1770 per la remise della Delfina. Raggiungiamolo subito e aiutiamolo a varcare il confine alla volta di Shüttern. A quel punto, il nostro compito sarà finito. State bene all’erta, perché ho contato quattro aggressori illesi che si sono dati alla fuga.
 
********
 
Oscar era pensierosa mentre il barcaiolo traghettava soldati e cavalli sull’isola.
– Avete detto di non avere traghettato altri uomini prima di noi?
– No, Signore.
– Ricordatevi di non traghettare nessun uomo che corrisponda alla descrizione che vi abbiamo appena fatto. Se vedete quegli uomini, fuggite all’istante, perché sono molto pericolosi.
– Sì, Signore.
– Comandante – si intromise Alain – Nulla esclude che raggiungano l’isola a nuoto. Bastano poche bracciate e li ho visti ben determinati.
– Lo so.
Era passato circa un mese da quando Oscar aveva assunto il comando della Guardia Metropolitana parigina e, da allora, ne erano successe di tutti i colori: gli uomini avevano accolto lei con odio e André con sospetto e, un malaugurato giorno, lo avevano spedito in infermeria, dopo averlo pestato a sangue. Era stata costretta a vigilare su entrambi, portandoselo dietro in ogni missione, per evitare, nei limiti del possibile, di lasciarlo solo con gli altri e tutto ciò malgrado, da quella maledetta notte, il disagio, fra loro, fosse diventato più che palpabile e incrociarne lo sguardo fosse fonte di incessante disagio. A ciò, si erano aggiunti ulteriori problemi: la bizzarra ed estemporanea proposta di matrimonio di Girodel, da lei rifiutata con una prontezza pari soltanto alla maleducazione usatagli e la stranezza del comportamento di André che le appariva, a tratti, impacciato e goffo. Da circa una settimana, dopo che aveva evitato la fucilazione al timido e imbranato Lasalle, l’atteggiamento dei soldati verso di lei era mutato ed ecco che, direttamente dalla Regina, era arrivato l’ordine di scortare il Conte di Falkenstein al confine austriaco. A nulla erano valse le proteste di Oscar, incentrate, principalmente, sull’argomentazione che quello era un compito da Guardie Reali e non Metropolitane. Maria Antonietta era stata irremovibile, perché si fidava soltanto di lei e soltanto a lei avrebbe affidato quella missione. Muta e imperscrutabile, Oscar aveva obbedito.
Sull’altro lato della zattera, Alain bersagliava André di domande.
– Sentì, André, perché tocca proprio a noi accompagnare alla frontiera quel damerino austriaco?
– Perché ce lo ha ordinato la Regina in persona.
– E perché il Comandante gli si rivolge con tanta deferenza? In fin dei conti, è un Conte e, quindi, un parigrado di lei.
– Perché nelle missioni diplomatiche è in uso così – glissò André.
– E che cos’è questa Roccia del Falco alla quale deve fare ritorno?
– Non è altro che la traduzione francese della parola “Falkenstein”, il maniero di cui egli è il Signore.
– Sarà, ma a me sembra che si parli in codice – sibilò Alain, iniziando a fischiettare e a sgranchirsi gambe e braccia.
 
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– A quest’ora, gli uomini da Voi assoldati potrebbero già avere ucciso l’autrichien, Duca d’Orléans.
– Auguriamocelo, Duca di Germain.
– E se la fortuna proprio ci sorridesse, faranno fuori anche l’ermafrodito intrigante e insolente.
– Magari! In ogni caso, se anche sopravvivesse, con un tale fallimento sulle spalle, sarebbe screditata a vita e, con lei, tutto il clan de Jarjayes.
– Ciò sgombrerebbe la strada alla realizzazione dei Vostri piani.
– Sì, senza contare che, se ci andasse proprio bene, la morte del cane austriaco potrebbe scatenare una guerra fra Francia e Austria. A quel punto, Luigi, già sfiancato dalla guerra oltre oceano, potrebbe abdicare, andare in esilio e portarsi dietro anche i Conti di Provenza e di Artois e, a quel punto, il trono sarebbe mio.
– RicordateVi della Vostra promessa: la Contea di Lille in cambio del mio aiuto. Ci tengo particolarmente, perché è una Contea prestigiosa e ricca e confina proprio con le mie terre. Il Conte di Lille è morto già da cinque anni senza discendenza.
– Duca di Germain, è mio precipuo interesse farVi avere quella Contea. Essendo Voi un mio alleato, ho tutta la convenienza a renderVi più potente. Io non posso reclamarla per me, perché Luigi non vorrebbe mai che accrescessi la mia ricchezza e il mio prestigio.
– Restano i de Jarjayes e i Polignac.
– L’amicizia dell’austriaca per la Polignac, di recente, si è alquanto raffreddata e, se il mio piano andasse a segno, i de Jarjayes cadrebbero in disgrazia.
– Così, io avrò Lille e Voi farete un passo significativo verso il trono.
– Iniziate a prendere accordi col Vostro orafo di fiducia per adattare la corona di Conte di Lille al Vostro capo.
 
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Il padiglione di legno, costruito diciotto anni prima per la remise di Maria Antonietta alla nuova patria, era, ormai, fatiscente. Anni di abbandono ne avevano fatto una baracca fradicia, lurida e diroccata. Il tetto era, in più punti, crollato e molti spifferi entravano dalle assi sconnesse, annerite dalla muffa che impregnava, col suo odore acre, gli ambienti. Si vedevano ragnatele un po’ ovunque e, sui pavimenti, vi erano escrementi di topo. Dalle travi del soffitto, spuntavano dei rametti, segno che qualche uccello vi aveva nidificato e non era escluso che anche volpi, lepri e altre bestie selvatiche avessero eletto quel rudere a loro dimora.
– Ahhhhhh!!!!! – gridò George Chigny, la cui gamba destra era sprofondata fino all’altezza del polpaccio, dopo che una trave fradicia era collassata sotto il peso di lui. Era già il quarto incidente di quel genere che capitava in pochi minuti.
– Sembra la casa degli spiriti – sospirò Jean Dubois.
– Buhhh!!! – fece Luc Monet dietro al compagno, accompagnando il verso al battito improvviso dei palmi delle mani. L’altro sussultò, nell’ilarità generale.
– Piantatela! – sibilò Oscar – Vi ricordo che siamo braccati e che dobbiamo fare meno rumore possibile e già ne stiamo facendo troppo, a causa di questo impiantito marcio e cigolante!
– Era solo per smorzare la tensione – si schermì Luc Monet.
Mentre l’attenzione di tutti era concentrata sulla goliardata di Luc Monet, André – che era rimasto un po’ discosto dal gruppo – iniziò a barcollare e si portò, d’istinto, le mani agli occhi.
Alain, accortosi dei problemi dell’amico, gli chiese sottovoce:
– Tutto bene, André?
– La vista mi si è appannata di nuovo – bisbigliò l’altro, ben attento a non farsi udire da alcuno, soprattutto da Oscar.
– Stammi vicino e io ti guarderò le spalle.
– Grazie, Alain, sei un amico!
D’un tratto, udirono dei passi muoversi verso di loro. Istintivamente, misero tutti mano alle armi, prima di accorgersi che il nuovo arrivato era il Conte di Falkenstein.
– Vi ho uditi entrare e ho riconosciuto le vostre voci – disse il nobile straniero – Mi sono rifugiato qui circa un’ora fa, come mi avevate ingiunto Voi, Generale.
Oscar annuì con un cenno del capo.
– Sono lieta di vederVi illeso, Conte di Falkenstein. Rimanete nel Vostro nascondiglio ancora per un po’. Nel frattempo, io e i miei uomini perlustreremo la zona, ricca di boschi e di caverne e, quando ci saremo sincerati che la via per la riva orientale dell’isola è sgombra e sicura, Vi scorteremo fin là, così che potrete raggiungere la sponda destra del Reno e Shüttern senza pericolo alcuno.
Mentre il Conte era in procinto di riguadagnare il suo nascondiglio e Oscar e i soldati stavano per uscire da quella stamberga diruta, si udirono cigolare le travi del pavimento.
– Non siamo noi, Comandante! – esclamò Alain.
– Massima allerta – fece eco Oscar – Conte di Falkenstein, non allontanateVi da me.
Pochi istanti dopo, il locale si riempì di fumo e alle narici di tutti arrivò un inconfondibile odore di bruciato.
– Hanno dato fuoco al padiglione – gridò Oscar – Presto, usciamo!
– Lo hanno fatto a posta per stanarci – osservò Alain.
– Già, ma noi non possiamo fare altro che uscire, a meno di voler fare la fine di Giovanna d’Arco e di Giordano Bruno – rimbeccò Oscar.
– Di chi? – chiese Alain ad André.
– Gente che, in epoca passata, fu arsa viva con l’accusa di eresia – spiegò, in fretta e furia, André.
– Che tempi! – esclamò Alain.
– Perché questi, invece…. – mugugnò André.
– Smettetela di gingillarvi! – ingiunse Oscar.
Giunti all’aperto, tentarono, con circospezione, di guadagnare la riva orientale dell’isola mentre il padiglione ligneo era avvolto da fiamme alte e crepitanti e gli animali che vi dimoravano uscivano a frotte. Ogni albero, ogni cespuglio poteva celare un’insidia. Percorso un breve tratto, dal rumore secco di qualche ramoscello di legno calpestato e spezzato e da alcuni movimenti intravisti fra le fronde, si accorsero di essere sotto tiro.
– Conte di Falkenstein, non allontanateVi da me per alcuna ragione! André Grandier e Alain de Soisson, guardateci le spalle a nord; Jean Dubois e George Chigny, sorvegliate in direzione sud – ovest; Luc Monet e Charles Aubry, fate la guardia a sud – est.
Uno dei quattro sicari sopravvissuti, intanto, dal nascondiglio ove si erano rintanati, disse agli altri:
– Guardate quell’uomo alto, coi capelli scuri. Si muove male, con gesti incerti e sembra essere mezzo orbo, se non del tutto!
– Quel grosso bestione con il fazzoletto rosso al collo?
– Ma no, imbecille, quello accanto!
– Ma come, un soldato mezzo orbo? Non è possibile, ti sarai sbagliato!
– E’ possibilissimo, invece e tu non contraddirmi!
– Sì, capo – gemette l’altro, con tono contrito.
– E’ il punto debole della squadriglia, apriamoci un varco in quella direzione e attacchiamo!
Neanche aveva finito di parlare che due sicari si avventarono, nella direzione di André, contro Oscar e il Conte di Falkenstein.
– André, fai attenzione, copri le spalle al Conte e al Comandante! – urlò Alain che si era accorto del pericolo.
André – che vedeva solo ombre ed era confuso – si volse nella direzione dell’amico anziché in quella dei due sicari. Alain, presa in mano la situazione, con quattro balzi, fu addosso a quello dei lestofanti che era intenzionato a colpire Oscar e lo stese. Oscar, voltatasi di scatto, sguainò la spada e parò il colpo sferrato dall’altro sicario contro il Conte di Falkenstein. Per alcuni minuti, le spade dei due si incrociarono, in un crescendo di fendenti e di clangori, ma, alla fine, Oscar assestò il colpo decisivo e uccise l’avversario. Alain, nel frattempo, aveva freddato l’uomo da lui atterrato che, subito dopo essere stramazzato al suolo, aveva estratto dallo stivale uno stiletto col quale intendeva trafiggerlo. Altri due malviventi furono uccisi dai restanti soldati e il nemico fu, così, definitivamente sbaragliato. André, in tutto ciò, era rimasto ai margini del campo di battaglia, con la testa fra le mani.
Terminata la scaramuccia, Oscar, dopo avere guardato André piena di sconcerto, ordinò la perquisizione dei cadaveri. Perquisito, ella stessa, il corpo del capo banda, trovò un pugnale nel panciotto di lui, con impresso nell’elsa un marchio inconfondibile: lo stemma del Duca d’Orléans.
 
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Ripresasi dalla stanchezza e dalla brutta scoperta, Oscar scortò il Conte di Falkenstein sulla riva orientale dell’isola, prospiciente la sponda destra del Reno.
Giunti in prossimità della riva, il drappello scorse, in lontananza, dei soldati con l’uniforme austriaca.
– Bene, il nostro compito termina qua – disse Oscar – I militari austriaci Vi scorteranno a Shüttern. Che Dio sia con Voi, Conte di Falkenstein.
– Vi ringrazio del Vostro prezioso aiuto, Generale! Senza di Voi, non ce l’avrei fatta.
Oscar si avvicinò ai militari austriaci e conferì con loro per alcuni minuti.
I due gruppi di militari si salutarono reciprocamente, mettendosi sull’attenti e, subito dopo, quelli austriaci fecero salire il Conte di Falkenstein su una barca che li avrebbe traghettati sulla riva destra del Reno.
– Bene – disse Oscar, rivolta ai suoi uomini – La missione è riuscita. Non ci resta che tornare a Parigi.
Dopo pochi attimi di silenzio, aggiunse:
– André Grandier, appena saremo tornati in Caserma, ti farai immediatamente visitare gli occhi dall’Ufficiale Medico Militare. E’ un ordine.
– Sì, Comandante – disse André, vergognoso e dispiaciuto. Sapeva che i giorni da militare, per lui, sarebbero presto terminati, ma, in fondo al cuore, al momento, c’era spazio soltanto per l’afflizione di avere messo a repentaglio la vita di Oscar e di essere diventato, per lei, non soltanto un peso, ma, ancora peggio, un pericolo.
 
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– Dannazione, il nostro piano è fallito! – urlò il Duca di Germain.
– Contenete la frustrazione, Duca di Germain – lo rimbeccò il Duca d’Orléans – Sapete che non mi piacciono le lamentele da donnicciola. Dopo una sconfitta, bisogna subito pensare alla mossa successiva e non piangersi addosso.
– Sì, ma quella maledetta ce l’ha fatta di nuovo e la realizzazione dei nostri progetti si allontana!
– Nessuno ha mai detto che sarebbe stato semplice, ma non disperate: ho già pronta la mossa successiva. Abbiate fede, Voi avrete la Contea di Lille e, quando i tempi saranno maturi, io ascenderò al trono.
 
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– Vi ringrazio, Madamigella Oscar, per avere salvato la vita di mio fratello. Siete stata molto abile e coraggiosa e non avrei potuto rivolgermi a persona migliore di Voi.
– L’Imperatore Giuseppe II è arrivato sano e salvo al confine austriaco e tutti gli attentatori sono stati uccisi in combattimento. Purtroppo, non è stato possibile catturarne vivo alcuno altrimenti, dagli interrogatori, avremmo appreso qualcosa, ma, indosso al cadavere di quello che pareva essere il capo, abbiamo ritrovato questo pugnale, con impresso…. lo stemma del Duca d’Orléans – disse Oscar, porgendo il pugnale alla Regina.
– Capisco – fece eco Maria Antonietta – I nostri servizi segreti avevano carpito alcune informazioni su un possibile attentato a mio fratello sulla via del ritorno in Austria. Tramite loro, abbiamo avvisato i servizi segreti austriaci e un drappello di soldati del Sacro Romano Impero è andato ad aspettare l’Imperatore al confine con l’Austria. Serviva, però, una scorta valorosa – ma che, data la particolare situazione, non desse nell’occhio – che lo accompagnasse fino al confine francese e Voi mi siete sembrata la persona più indicata.
– Vi ringrazio della fiducia che riponete in me, Maestà.
– Mio fratello ama viaggiare in incognito e, quando lo fa, è solito utilizzare un suo titolo minore, quello di Conte di Falkenstein. ‘Sta volta, poi, non viaggiava per suo diletto, ma, per motivi che, almeno per adesso, non posso renderVi noti. Data la segretezza della missione, non potrò ricompensarVi, perché non saprei come giustificare una promozione o una medaglia, ma sappiate che, alla prossima occasione, Voi sarete ricompensata adeguatamente, per questa impresa e per la successiva. Ve lo giuro solennemente, Madamigella Oscar, non dimenticherò tutti i Vostri servigi e, al momento opportuno, saprò ripagare la Vostra devozione.
– Vi ringrazio di tutto cuore, Maestà e non temete: l’identità dell’Imperatore Giuseppe II è rimasta ben celata sotto le spoglie del Conte di Falkenstein e nessuno, a parte me e André Grandier – che già l’avevamo conosciuto a Versailles – è venuto a conoscenza di questo segreto.
– Non dubito della Vostra discrezione, Madamigella Oscar. A proposito, come sta Monsieur Grandier?
– Temo, purtroppo, che abbia gravi problemi alla vista che aveva tenuto ben celati alla sua stessa ava.
– Mi dispiace, Madamigella Oscar. Se posso fare qualcosa, ditemelo e io Vi aiuterò.
– Vi ringrazio, Maestà, siete sempre molto generosa con me.
 
********
 
Oscar, seduta alla scrivania del suo ufficio presso la Caserma della Guardia Metropolitana parigina, aveva appena finito di studiare alcune carte utili per la prossima missione e si stava apprestando a firmare dei dispacci.
Nella mente di lei, si agitava un turbinio di pensieri. I sospetti da cui era stata colta avevano, purtroppo, trovato la peggiore delle conferme nel referto dell’Ufficiale Medico che si trovava davanti a lei, sulla scrivania. La vista di André era seriamente compromessa anche all’occhio destro e, presto, sarebbe diventato cieco. Le si affacciarono alla mente i ricordi di quella spaventosa notte in cui il cavaliere nero lo aveva ferito e di quell’altra in cui egli aveva bruciato definitivamente ogni sua possibilità di guarigione. Tutto per stare dietro ai piani di lei, tutto per salvarla. Le ritornò alla mente, senza che potesse ricacciarlo indietro, il crudele ricordo di quell’altra notte, in cui André l’aveva baciata di prepotenza e le aveva dichiarato il suo amore, in modo tanto selvaggio quanto sbagliato e inopportuno, nei tempi e nei modi. Ciò che era successo aveva guastato i loro rapporti, raffreddato la loro amicizia e riempito di disagio i loro discorsi, oramai ridotti al minimo e costretti nella più totale formalità. Persino i silenzi, fra loro, pesavano come macigni e gli sguardi erano carichi di tensione e di sottintesi molto più eloquenti di qualsiasi parola.
Sentì bussare alla porta. Era lui, era arrivato. In fin dei conti, era stata proprio lei a convocarlo.
– Avanti.
La porta si aprì, André entrò, si portò davanti alla scrivania di lei e, messosi sull’attenti, disse:
– A rapporto, Comandante.
L’occhio di lui – che, quel giorno, vedeva senza ombre – era ricoperto da un velo di dignitosa e muta tristezza mentre indugiava sul volto di lei, diafano e immobile. Gli occhi di lei, chiari come il ghiaccio e silenti come la notte, lo guardavano senza far trapelare tentennamenti o emozioni.
Quanto sconsiderato e irreparabile era stato il gesto da lui compiuto? Lo avrebbe pagato per sempre, all’infinito, perché lui, per primo, non si sarebbe mai perdonato. Adesso, poi, oltre che scomodo, era diventato anche inutile e, anzi, pericoloso, perché ogni missione, con lui, sarebbe stata a rischio. La forza di una catena è pari a quella dell’anello più debole e l’anello da lui rappresentato aveva la consistenza di una mousse. Oscar, adesso, lo avrebbe allontanato definitivamente e ineccepibilmente, con sollievo per se stessa, ma causando una tremenda lacerazione all’anima di lui.
– André, la diagnosi del medico è inequivoca. Le tue condizioni di salute non ti consentono di proseguire la vita militare. Ho appena firmato il tuo ordine di congedo e, fra qualche giorno, esso diventerà effettivo.
Chiuse gli occhi e reclinò leggermente il viso verso il basso.
– Riguardati e torna a casa dove tua nonna si prenderà cura di te.
   
 
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