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Autore: ParoleNelCuore02    26/04/2018    1 recensioni
Scritta perché il treno non arrivava. Spero di aver sfruttato al meglio 40 minuti della mia vita.
Dedicata a tutti coloro a cui ha fatto male la puntata "Il segno dei tre".
***Dalla storia***
Il povero dottore stava seriamente rischiando un attacco di panico. O direttamente un infarto.
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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IO MI OPPONGO!

La sala era gremita di gente e Mary stava leggermente tremando, nascosta dietro la porta che le avrebbe permesso di raggiungere l'altare.
John era già lì, splendente nel suo abito da cerimonia.
La donna prese un bel respiro e fece un cenno alla signora Hudson, perché desse il segnale convenuto all'organista.
Quando la musica partì, le porte della chiesa si spalancarono e lei iniziò la passeggiata lungo la navata centrale che l'avrebbe condotta verso il suo quasi marito.
Quando John le prese la mano, lei lo osservò: aveva gli occhi lucidi e un dolce sorriso nascosto sotto i baffi che aveva deciso di farsi crescere (non che a lei piacessero, ma si stava abituando). Malgrado tutto, però, Mary sapeva che non era abbastanza: a John mancava una sola cosa per rendere quel giorno perfetto, una sola persona, che però, non sarebbe più tornata.
Mary lo aveva conosciuto un anno dopo la morte di Sherlock, in ospedale. Si erano frequentati per mesi come semplici amici, prima che lui si decidesse a chiederle di uscire con intenzioni... più serie. Ed ora, dopo due anni, John aveva deciso di voltare pagina, di relegare il vuoto che aveva nel cuore e di passare oltre.

Gli sorrise. «Se fosse qui, sarebbe felicissimo per te.» gli disse. L'uomo annuì, addolcendo lo sguardo.
Il prete cominciò a recitare le consuete formule, finché non giunse al fatidico: «...se qualcuno ha qualcosa in contrario a questa unione, parli ora o taccia per sempre.».
Per un attimo ci fu un silenzio tombale nella chiesa, poiché amici e parenti erano tutti contentissimi del matrimonio, ma ad un tratto, l'intera sala fu invasa dal trillo di notifica di tutti i cellulari dei presenti.
Mary vide John sgranare gli occhi e percepì chiaramente il cuore dell'altro iniziare a battere all'impazzata.
Un mormorio si diffuse tra i presenti "Io mi oppongo. SH" dicevano leggendo il messaggio che avevano ricevuto.
In quel momento le porte si spalancarono.
John rischiò di urlare per lo spavento quando vide Sherlock, con un fantastico smoking indosso, comparire dietro di esse.
«Io mi oppongo!» ripeté deciso l'investigatore.
Dall'altare, John lo vide avanzare deciso fino a metà sala, senza smettere di guardarlo.
Il povero dottore stava seriamente rischiando un attacco di panico. O direttamente un infarto.

Mary a quel punto scoppiò a ridere.
«Sembri una scolaretta, John Watson.» lo schernì con un sorriso.
L'uomo la guardò confuso «Mary, ma io...»
«Oh, 'sta zitto e va a prenderti il tuo uomo prima che scappi di nuovo!» lo interruppe lei, guardandolo con un cipiglio severo, mentre enfatizzava ulteriormente il concetto additando Sherlock.
«Ma...ma...ma...lui era morto!» provò a dire John, con ancora qualche difficoltà a respirare «E...e noi stavamo per sposarci!» il povero dottore si mise le mani nei capelli «Come puoi dirmi una cosa del genere?!».
«"Se non puoi averlo, shippalo con qualcuno" è il mio motto» gli spiegò la donna facendogli l'occhiolino «ed inoltre credo che l'amore, quello vero, sia "finché morte non ci separi", quindi...» la donna a quel punto tornò ad additare il suddetto investigatore «muovi le chiappe e vattello a prendere!».

Le parole di Mary ebbero su di lui la violenza di una ventata d'aria e la risolutezza di uno schiaffo. Quell'enorme buco nero che aveva tentato di richiudere per tre lunghi anni, stava tornando a farsi sentire.
Più forte di prima.
E la cura, John lo sapeva, non erano le certezze di Mary, ma la costante euforia che quel folle sociopatico iperattivo riusciva a suscitargli.
Per la prima volta dopo tre anni John guardò Sherlock.
Per la prima volta dopo tre anni John lo chiamò per nome, con un sussurro.

Per la prima volta dopo tre anni John riprese a vivere.
Le sue gambe si mossero da sole, scesero i gradini dell'altare e percorsero la strada che lo separava da lui.
Si fermarono, però, le sue gambe, ad un soffio da quel corpo che a John era mancato come l'aria.
Il dottore allungò una mano con la stessa delicatezza che usava con i suoi pazienti, ma anche con una punta di paura che caratterizzava solo i suoi incubi.
E John lo sfiorò, accarezzandogli una guancia. Sherlock non mosse un muscolo, si limitò a fissarlo, cercando di comunicargli con gli occhi, ciò che con la parole non sarebbe bastato: "sono qui. Sono vivo. Non me ne andrò mai più: te lo giuro."
John tremò appena, percependo quella pelle liscia sotto i suoi polpastrelli e quelle parole che sembravano quasi urlate, tanto erano chiare. Fu in quel momento che il suo scudo crollò.
E John pianse.
Pianse con la fronte sul petto dell'altro e le lacrime a bagnargli la camicia.

Al sentire quei singhiozzi, Sherlock si svegliò dalla paralisi in cui era caduto, lo avvolse tra le braccia con il solo scopo d'inglobarlo dentro di sé e non lasciarlo mai più.
Anche John lo strinse, mentre calde gocce salate continuavano a bagnargli le guance.
In quell'abbraccio, appoggiò l'orecchio all'altezza di quel cuore che aveva sentito smettere di battere quando l'aveva trovato accasciato su quel marciapiede.
Con quel ritmo costante, però, John si calmò e, da medico qual era, poté finalmente dirlo: Sherlock era vivo.




 
  
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