Clandestini

 
La musica della festa, le grida dei Visoni, dei Mugiwara e il loro chiacchiericcio concitato erano solo un fastidioso sottofondo quella notte. Perché nel silenzio della foresta, erano gli ansiti e lo schioccare di baci a essere protagonisti.
- È successo si nuovo. -, commentò in un sussurro strozzato la ragazza, nell’istante di separazione dalle labbra del moro.
- Sì. -, constatò l’uomo con un'alzata di spalle.
Con le mani obbligò la rossa contro di sé, per sentirne il calore, il profumo, l’essenza.
- Rufy, non possiamo. -, volle precisare la navigatrice.
La voce si era alzata di qualche ottava, mentre gli occhi castani cominciavano a inumidirsi.
- Sì. -
Era stato più che altro un verso sofferente, consapevole di quanto Nami avesse ragione e di quanto quella relazione clandestina fosse loro sfuggita di mano. Rufy s’imbronciò.  Avrebbero potuto confessare tutto ai loro nakama, cercare di vivere una storia d’amore serena e alla luce del sole, ma avrebbero dovuto dare troppe spiegazioni, giustificare un qualcosa che non capivano nemmeno loro. I primi complici erano stati l’alcool, i lunghi mesi in mare su una piccola nave e la loro pelle troppo scoperta tra bikini e camicie sempre strappate. Un piccolo bacio a stampo, imbarazzato e confuso, si era evoluto in effusioni impacciate ma fin troppo desiderose. Avevano cercato di smettere, davvero, molte volte ma poi, uno dei due cedeva. Per non parlare del clima che si respirava in ciurma: pensare di rimanere separati li rendeva irrequieti, intrattabili e lunatici. Poi, tornava il senso di colpa. C’erano in gioco anche le vite e i sogni dei loro compagni. Non potevano mandare tutto all’aria. Loro potevano aspettare.
Si guardarono negli occhi alla debole luce di quella notte dipinta di stelle.
Ormai qualche lacrima era sfuggita dalle ciglia lunghe della ragazza mentre le iridi castane cercavano di acchiappare più particolari possibili del volto di Rufy: l’espressione dolce che dedicava solo a lei; l’incurvatura delle sopracciglia per la delusione nel vederla piangere, nella tacita promessa che si era fatto si renderla sempre felice; il tocco delle dita che con una carezza sottile rincorrevano e asciugavano le tracce di acqua salata sulle sue guance; i capelli spettinati per colpa del cappello di paglia e delle sue mani che li afferravano per tirarlo a sé; la cicatrice a mezzaluna che rappresentava l’inizio del suo sogno di diventare il Re dei pirati. Come poteva dimenticare il sapore del suo capitano ora che lo aveva assaggiato?
- L’ultima volta. -
Pronunciò quelle parole sapendo fin troppo bene che erano una bugia; sapendo fin troppo bene che non era la prima volta che le pronunciava. Stava lasciando di nuovo che Rufy si prendesse carico delle loro azioni e delle loro colpe. Si stava concedendo l’illusione di pensare di potersi controllare, di potersi fermare, di essere padrona della situazione. Stava confermando che senza l’uno e l’altra non potevano stare.
Il sorriso sghembo di Rufy arrivò immediato. Era fin troppo felice si assumersi quel fardello.
- Sì, Nami. -
Di nuovo, calò sulle sue labbra e non ci fu più spazio per altre parole.
Erano amici da anni, amanti da qualche mese ma si amavano da sempre. Per un’altra notte ancora si sarebbero concessi di sognare.