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Autore: whitemushroom    26/04/2018    2 recensioni
Due bambini che hanno smesso di essere tali.
Due persone che, davanti all'eredità del loro padre, hanno scelto due strade ben diverse.
Storia partecipante al contest "Tredici storie per tredici fratelli" per festeggiare l'ottavo anniversario del thexiiiorderforum
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Carmine Falcone, Mario Falcone, Sofia Falcone
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nel Nome del Padre


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Personaggi: Sofia Falcone (a sinistra), Mario Falcone (a destra)
Fandom: Gotham
Rating: giallo
Avvertenze: nessuna, a parte il mio fanservice su papà Carmine!


“DOVE DIAMINE STA MIO PADRE?”
“In riunione, signorino Mario” gli risponde Victor. “E, come ben sa, non ama essere disturbato. Nemmeno un po’”.
Un’altra persona, magari una con un po’ più di carattere, darebbe un pugno a quell’insolente guardia del corpo, gli insegnerebbe a stare al suo posto e piomberebbe nello studio del proprio genitore mettendo su una sfuriata in grado di far tremare i muri della Wayne Plaza. Ma Mario Falcone ha sempre avuto voti bassi in educazione fisica anche alle elementari, ha forza sì e no sufficiente per sollevare una cassa d’acqua ed abbastanza sale in zucca da non discutere con Victor Zsasz.
Il massimo che può fare è guardare in cagnesco il giovane mastino di suo padre ed uscire dal salotto sbattendo la porta con l’accuratezza di fare più rumore possibile.
I passi lo portano nel giardino sud.
Le siepi ben potate lo accolgono nella loro ombra, ed attraversa a larghe falcate il labirinto in miniatura che occupa quasi tutto il parco meridionale della loro villa estiva, uno spazio verde e pieno di vita che può esistere solo fuori dallo smog e dal fetore di Gotham.
Da bambino adorava perdersi lì dentro. Perdersi in quelle siepi allora altissime, imparando a memoria il percorso giusto ricordando con esattezza le forme dei tronchi e dei sassi per seminare l’esercito di baby-sitter che suo padre gli aveva messo alle calcagna ventiquattro ore al giorno. A quei tempi tutto sembrava un enorme gioco.
Era facile svanire nel nulla.
Le foglie di alloro più alte gli lambiscono il cappotto all’altezza delle spalle, mandando un fruscio secco e spento quando scivola lungo il percorso, sforzandosi di ignorare il riflesso della luce contro i vetri delle telecamere nascoste tra le siepi. Sarebbe stato pronto a giurare che da bambino non ve ne fossero ma, come spesso suo padre ama ricordare, ci sono alcune cose che agli occhi dei fanciulli sono invisibili.
La fontana è esattamente dove la ricordava e, per quanto lo zelo dei giardinieri della villa sia ben pagato, piccoli ammassi di muschio tra il verde ed il nero serpeggiano tra le decorazioni nei punti in cui l’acqua tracima e cade a terra. Viene dall’Italia, e per una lunga quantità di anni è stata il pericoloso oceano pronto a nascondere mille insidie alle sue barchette di legno.
Ha molti più ricordi di quel labirinto e di quella fontana che di pomeriggi trascorsi con i suoi genitori.
È sul bordo un po’ umido della vasca di marmo che decide di sedersi.
La lettera, la maledetta lettera ricevuta quella mattina stessa, sembra volergli bruciare tra le dita; la riapre, saltando gli stemmi, le frasi, le formule di rito per arrivare all’unica parte che gli interessa.

 

Mario Falcone. Ammesso.




“Le cose non sono andate come speravi?”
Mario solleva il naso dal foglio, accorgendosi di essere stato talmente fuori di testa da non accorgersi degli zoccoli contro il brecciolino del labirinto che non passerebbero inosservati nemmeno ad un ubriaco. Così come l’elegante figura che ve ne smonta.
Sua sorella Sofia, sedici anni e gli occhi rubati alla loro mamma, dà una pacca al suo destriero e attacca le redini ad un albero. Ha indosso la divisa da cavallerizza che loro padre ha fatto portare dall’Inghilterra, una giacca rossa che permetterebbe a chiunque di localizzarla fosse anche a diverse miglia da casa. E, a giudicare dal fango sotto i suoi stivali, deve essersi allontanata di nuovo per il semplice gusto di far salire la bile a Victor. “Credevi sul serio che papà mantenesse la parola data?”
“Sì” risponde Mario. “La parola di un Falcone è sacra. E lui invece cos’ha fatto?”
Lei gli si siede vicino, niente affatto preoccupata di sporcarsi i pantaloni bianchi con il muschio, e lui le passa la missiva. Lo stemma dell’Università di Gotham, nero su sfondo grigio, campeggia al centro del foglio quasi a sghignazzare della sua situazione.
“Hai passato il test di ammissione a Medicina …”
“Non l’ho passato, Sofia. Non vi era una risposta esatta nel mio compito”.
“Lo hai fatto di proposito?”
Mario si alza, la voglia di spaccare qualcosa, fosse anche il marmo della fontana, ben piazzata sotto i suoi pugni. Raccoglie invece una manciata di ghiaia, prendendo la mira e cercando di colpire l’acqua in tanti punti diversi. Un ricordo del suo primo viaggio in Italia, quando suo padre lo portò a Roma, e nei suoi ricordi vi è ancora quella strana fontana dove la gente tirava le monetine.
All’epoca aveva svuotato tutto il portamonete di mamma. Era un bambino, e allora davvero certe cose erano invisibili. “Sì. Volevo una prova, Sofia. Papà mi aveva promesso che non avrebbe truccato il concorso ma … beh, avevo bisogno di verificarlo con i miei occhi. Ho sbagliato tutte, tutte quelle dannate risposte, e questo è il risultato”.
“Avevi davvero bisogno di saperlo?”
I sassi disegnano cerchi concentrici prima di sprofondare nell’acqua.
Aveva avuto bisogno di tanto tempo prima di rendersi conto che andare a scuola accompagnato da due guardie del corpo armate fino ai denti non fosse “normale”: lui e Sofia non ci avevano mai fatto caso, abituati ad essere osservati notte e giorno, ma quando aveva nove, forse dieci anni erano arrivate le prime domande curiose dei suoi compagni di classe. All’epoca non si era fatto molti problemi, incapace di accorgersi che tutti i suoi compagni -nonché le amichette di sua sorella- erano già stati rigidamente selezionati dalle maestre previa generose donazioni del suo genitore.
Lo aveva compreso solo molto tempo dopo.
Lui e Sofia erano i figli di Carmine Falcone, il Romano.
Colui che ormai in molti consideravano “Il Re di Gotham”, l’indiscusso signore della criminalità organizzata della città.
Non erano mai stati due ragazzi qualunque.
“Volevo potermi fidare di lui. Tutto qui”.
“E adesso che cosa farai?”
Sofia mette su la sua espressione più corrucciata. Mario ormai ha imparato a leggere tutto di quel volto pallido, dalle sopracciglia spesse e così perfetto da sembrare di porcellana: la sua sorellina sa già la risposta, ma è chiaro che speri ancora che lui cambi idea. “Ti ricordi quella sera alla baita? Quando papà freddò quel tipo che c’era prima di Victor?”
“Credi che potrei mai dimenticarlo?”
Iniziarono a scoprire quel mondo invisibile una sera nella loro residenza sulla neve, quando erano rimasti svegli fino a tardi per guardare la televisione ed avevano sentito un uomo gridare al piano di sotto. E, dalla tromba delle scale, avevano visto loro padre prendere una pistola e sparare alla sua vecchia guardia del corpo tenuta ferma con la testa sul tavolo da cinque uomini di famiglia.
“Il giorno dopo facemmo colazione su quel tavolo come se niente fosse. Non c’era nemmeno una macchia di sangue …”
Mario annuisce, stringendola per le spalle.
Sofia non aveva mai più parlato di quell’evento, e si sente di colpo un idiota per aver riportato alla luce quella sera che sua sorella ha sempre cercato di dimenticare. Ma ormai anche lei è praticamente una donna, ed addolcirle la pillola o farla vivere in quella villa lontana dalla città e dal mondo reale è un’ipocrisia che gli sta diventando sempre più odiosa. “Andrò a Gotham e prenderò quella laurea. Mi metterò con la testa sui libri e diventerò un medico, vedrai. Non ho alcuna intenzione di mescolarmi agli affari di papà. Il nostro nome è una maledizione …”
Sì, il loro nome è una maledizione, il marchio di una famiglia che non conosce nessun limite.
Una famiglia che fondata sulle menzogne, sul denaro, su loschi giochi di potere dopo centinaia, se non migliaia, di vite umane vengono considerate ancora meno che pedine; e l’ultimo baluardo di onore, la parola di un Falcone, si è rivelata come l’ennesima bugia di fronte a quel pezzo di carta stampata. “Voglio che i miei figli siano persone qualunque, Sofia. Che possano fare colazione tutte le mattine con i plumcakes senza che nessuno abbia ammazzato gente su quello stesso tavolo. Voglio fare un lavoro che sia utile alla gente, e non mi importa sapere che papà con un solo giorno ricava dallo spaccio della cocaina più di quanto possano guadagnare tutti i medici di Gotham in un mese”.
Il pomeriggio volge al termine.
Adesso le siepi del labirinto iniziano a gettare ombre più profonde ed intense. La fontana continua a zampillare come prima, eppure le gocce sembrano più fredde e fastidiose.
Hanno sempre combattuto per essere bambini, ma il tempo dei giochi è finito. Di tante cose che sa di lasciarsi alle spalle, la sua piccola Sofia è l’unica di cui gliene dispiaccia.
Dovrebbe scusarsi con lei e magari dirle che verrà comunque a trovarla almeno una volta al mese, ma prima di qualsiasi parola sono le sue braccia sottili a stringersi attorno alle sue spalle, a travolgerlo come se fosse il suo unico appiglio. “Allora, fratellone, non rimanere qui un minuto di più”.

Sulla scacchiera il re può muoversi solo di un passo alla volta. Puoi mangiare tutti i pedoni, le torri, gli alfieri, i cavalli e persino la regina, ma è quella pedina lenta e inutile che rappresenta l’inizio e la fine del gioco.
Il Re di Gotham ha il passo strascicato di un uomo che ha superato i sessant’anni e con le ginocchia che iniziano a cedere. Le sue scarpe lucide scricchiolano sul pavimento bianco e nero del pollaio, muovendosi da una gallina all’altra e aspettando con pazienza che ciascuna becchi il mangime direttamente dalle sue mani.
Alcune voci sussurrano che Carmine Falcone ami le sue galline più dei propri figli.
Non ha mai escluso questa possibilità, ma il Re di Gotham è un uomo speciale, e le persone speciali spesso fanno cose che al resto del mondo appaiono incomprensibili. Ha sempre cercato di leggere, nei movimenti e nelle scelte di suo padre, la trama invisibile che solo lui sembra in grado di intessere e di vedere, la ragnatela di potere che da oltre trent’anni non presenta nemmeno una falla.
Nessuno, in tutto questo tempo, è mai riuscito a superare il fitto schema di pedoni ed alfieri che conducono al re nero.
Nessuno, a parte loro due.
“Quindi Mario ha deciso di accettare?” sussurra. È una domanda, ma Carmine Falcone non fa mai domande di cui non conosca la risposta.
“La sua vita non è qui, papà. Non lo è più da tanti anni”.
“Ancora con quella storia della baita e del tavolo …”
Sofia si morde il labbro.
Le discussioni con suo padre sono sempre state un bel problema, anche se di solito era suo fratello a prenderlo di petto. Vi è qualcosa di strano in quel momento, loro due soli nel santuario personale di suo padre senza Mario pronto a scattare non appena emerge qualche argomento scomodo. E, ne è certa, suddetto argomento scomodo sta arrivando.
Mario non è l’unico ad aver preso una decisione.
Il re nero si ferma in un angolo, vicino ad un sacco pieno di gramigna, e se ne riempie il pugno. Si avvicina ad una postazione rialzata dove Sofia ha imparato a riconoscere la figura di Anna, la gallina prediletta di suo padre, interamente nera a parte un pugno di piume bianchissime che sembrano disposte intorno al suo collo come una collana di diamanti. “Immagino che i Maroni e gli Zucco avrebbero preso la mancata ammissione di mio figlio come un segno di debolezza. Un segnale per tutte le famiglie della malavita che il Re di Gotham si sia fatto vecchio e debole. Che abbia perso il suo antico smalto. Non trovi, Sofia?”
“Sarebbe stata una disgrazia per la tua immagine”.
L’uomo anziano appoggia la gramigna sulla paglia, ma prima che Anna possa fermarsi a beccare la prende in braccio, cullandola su e giù e sussurrandole qualcosa in quel suo dialetto italiano che ha sempre riservato solo a sua madre e sua nonna. È certa che loro padre abbia riservato più carezze a quell’animale che a lei, almeno a giudicare dalla quantità -inesistente- di fotografie di lei o Mario in sua compagnia. Si avvicina a lei, mostrandole con un sorriso quanto sia docile tra le sue mani. “E sai quanto io valuti il parere dei Maroni e degli Zucco …”
Di nuovo la scacchiera.
Ogni decisione di suo padre passa per quei sottili spostamenti bianchi e neri. Mario si è sempre rifiutato di partecipare a quelle partite, buttando all’aria il gioco di suo padre senza nemmeno osservare.
Lei, al contrario, ha iniziato a guardarla.
Ha visto in che maniera suo padre sposta le sue pedine. Pur senza rivelarle lo schema, ha iniziato a capire quali muove all’inizio e quali alla fine. Gli altri capi famiglia, per esempio, potrebbe considerarli come dei pedoni un po’ più evoluti degli altri, quelli che scendono in campo soltanto quando almeno un paio di pedine sono già state divorate.
Purtuttavia, sono sempre pedoni.
“… meno di niente, Sofia. Meno di niente”.
E, sotto le pieghe delle guance, le labbra si increspano in uno strano sorriso. “O almeno, non abbastanza da farmi rimangiare la parola data a mio figlio”.
Sa che suo padre se ne è accorto.
Sa che è stato l’unico a capire quanto quel gioco le fosse apparso meraviglioso.
Quanto fosse rimasta incantata davanti alla scacchiera, sfiorando con i polpastrelli ogni singola pedina, indecisa su quale muovere, immaginando questo o quel risultato variare ad un suo semplice schiocco di dita. Sa di essere ancora giovane, ma ha trascorso gli ultimi anni della sua vita ad osservare il giocatore migliore di tutti.
Più precisamente, ha iniziato da quella sera alla baita.
Quando ha capito cosa volesse davvero dire essere una Falcone. “Vi era in ballo solo la tua parola, papà” gli sorride “Nessuno ha chiesto della mia”.
“E dimmi … come ci si sente?”
Come al solito l’uomo davanti a lei non ha bisogno realmente della sua risposta. Vuole soltanto rimanere a fissarla mentre ogni singola fibra del suo corpo torna indietro, eccitata dal ricordo di quel primissimo assaggio di un potere senza uguali.
Quando quel vecchio bavoso del rettore dell’Università di Gotham ha accettato i suoi soldi baciandole le mani, chiamandola Donna Falcone e promettendole mille e una volta che la carriera del suo prezioso fratello sarebbe stata agevolata in ogni modo.
Quando ha capito cosa potesse fare il loro cognome, quello che Mario ha sempre avuto troppa fretta di scrollarsi di dosso. “Come una regina”.
“Allora, maestà, accettate un consiglio di un povero vecchio …” sospira, appoggiando Anna al suo pagliericcio, ma non c’è nulla di triste o di furioso in quella faccia nodosa. Le piacerebbe, fosse anche per una volta sola, leggere sotto quelle sopracciglia grigie una qualsivoglia forma di approvazione, ma sa che suo padre non le darebbe mai una simile soddisfazione. “… siete ancora troppo inesperta di questo genere di cose. E ricordatevi che la famiglia, la propria famiglia, va sempre rispettata. Oggi avete calpestato la dignità del vostro stesso sangue e questo, badate bene, è l’affronto più grave che poteste fare a quel ragazzo che vi adora più di ogni altra persona al mondo”.
Probabile.
“Correrò questo rischio, papà. Dopotutto mi sono limitata a seguire il motto dei Falcone alla lettera …”
Mario non ha mai voluto far parte di quella vita, abbracciare il nome di loro padre. Ha sempre voluto spiegare le ali, attratto da quei sogni un po’ infantili di voler salvare il mondo quasi fosse un supereroe, e lei si è solo limitata a dargli le ali.
Suo padre può farle la morale quanto desidera, ma adesso Mario ha la sua vita e lei … beh, adesso Carmine Falcone ha praticamente solo un’erede. Forse non quella che ha sempre desiderato, ma di essere la migliore.
Ha solo bisogno di tempo, ma di quello ne dispone in abbondanza.
La scacchiera è pronta per un nuovo gioco.
Il re nero continuerà ancora a preparare il gioco, a disporre le pedine, al distruggere i pedoni bianchi sul suo passaggio finché la partita non arriverà al culmine, quando tutti i pezzi degli scacchi si piegheranno a colei che corre e divora, si muove sulla scacchiera come la vera sovrana.
Quando arriverà quel giorno, non ci sarà torre o alfiere che non si inchinerà alla Regina di Gotham.
“… nessun limite”.


 

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Carmine Falcone
  
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