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Autore: TheWalkingNerd    27/04/2018    4 recensioni
«Okay, Grissom.» Dean aprì il cellulare e andò alla lista dei messaggi. «Cosa proponi di fare?»
Sam alzò le spalle. «Parlare con la polizia?»
«Dopo l'incidente con Hendricksen?» Dean sollevò le sopracciglia. Era già tanto se non avevano sbattuto il suo culo in prigione quando aveva superato il limite di velocità, sulla interstatale.
Sam storse la bocca. «Già, hai ragione.»

Un mostro che uccide senza lasciare tracce, un patto in scadenza e un fratello che presto si ritroverà da solo.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Il pallone disegnò un arco per aria e ricadde in mezzo all'erba, un secondo prima che la mandria di ragazzini si mettesse a rincorrerlo. Dean sollevò un angolo della bocca. Tra di loro, un piccoletto dai capelli rossi schivò un'altalena e corse di seguito al bambino con la palla. E pensare che fino al giorno prima era nella gabbia di un changeling.
Aprì lo sportello dell'Impala e si sedette. Le narici si riempirono dell'odore di benzina, pelle e insalata avariata. Se trovo un altro contenitore di cibo per conigli, giuro che stavolta lo ammazzo.
La schiena affondò nel morbido del sedile. Dean sospirò. La sua idea di paradiso somigliava più ad un paio di sdraio in riva al mare, sabbia tra le dita, due señoritas e Sammy che non rompeva le palle, già che ci siamo, ma, di questi tempi, qualsiasi attimo di pace era manna dal cielo. E poi, quel bambino era lì grazie a loro e - anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce - valeva la pena di ridursi con la schiena a pezzi e le ossa scricchiolanti, se voleva dire un cadavere in meno.
Tonk.
Dean roteò gli occhi. Ecco, ti pareva. 
«Sam?»
D'accordo, forse non è stata una grande idea lasciarlo solo ad aggiustare il motore. Considerando che, durante le lezioni di papà, Sam era da qualche parte con un libro grosso così tra le mani...
«Sto bene.» Sam tossì. «Credo che la tua macchina ce l'abbia con me.»
«Non le piace il cambio di proprietario.» Dean bevve un sorso di caffé. «Lascia che si abitui.»
Crick. Crick.
Dean si inumidì le labbra. Doveva immaginare che Sammy non avrebbe gradito la battuta sulla scadenza del patto. Ultimamente, era meno simpatico del solito - il che è tutto dire.
«Sai, a volte penso che tu tratti questa macchina meglio di me.»
«Oh, non ti sfugge proprio niente!»
Dean si spostò sul sedile e appoggiò una gamba sul tappetino. Il bambino, Tommy, alzò la mano nella sua direzione e sorrise. Dean ricambiò.
Un raggio di sole filtrò tra le nuvole. Dean chiuse gli occhi, lasciando che gli scaldasse il viso. A pensarci, forse era il momento di prendersi una vacanza: le borse sotto gli occhi di Sam avevano raggiunto la dimensione del suo zaino e, be', a lui non restava molto. 
«Fai lavorare quei muscoli, non abbiamo tutto il mese!»
Tonk. «Sai, se mi dessi una mano, invece di girarti i pollici...»
Sì, ma fra un po' non avrai me a dirti cosa fare.
Si morse il labbro. Meglio evitare. 
Sospirò. «D'accordo.» Si mise in piedi e strofinò un occhio. E tanti saluti all'attimo di pace. «Prendimi la chiave inglese, stronzo.»
Il braccio di Sam comparve attraverso il finestrino. Una cometa sfrecciò sul metallo. Dean afferrò la chiave inglese e poggiò il caffé davanti al cofano dell'Impala. Uno scooter gli sfrecciò di fianco; il fumo nero dello scarico pizzicò gli occhi.
Sam sedette sul minifrigo e strofinò il dorso della mano sulla fronte. «Credo di avere un caso, comunque.»
Quando diavolo l'ha cercato?
Dean inarcò un sopracciglio. «Eri su Google, invece di aggiustare il motore?»
«No, scemo.» 
Sam scoperchiò la tazza di caffé lasciata di fianco al minifrigo - vaniglia doppia, latte, zucchero a volontà e forse un briciolo di caffeina, a volerlo cercare - e ne bevve un sorso. Arricciò il naso come la prima volta che aveva dato un morso ad un limone. 
«Ho preso il giornale stamattina, prima di fermarci qui.»
Dean storse la bocca. Che ci faceva alzato così presto? 
Si morse la lingua. Doveva essere in piedi a fare ricerche, altroché. Quel genere di ricerche, Dean ci avrebbe scommesso le sue beneamate chiappe.
La porta della tavola calda di fronte alla quale avevano parcheggiato fece plin. Dean arrotolò le maniche della camicia fin sopra i gomiti. Un uomo ed una donna dal viso incartapecorito uscirono a braccetto, con passi piccoli e tremanti e sorrisi tutti gengive. L'orlo del vestito a fiori della donna svolazzava ad ogni passo. Quando si fermarono all'incrocio poco distante, Dean si voltò verso Sam.
«Allora?»
«Abbiamo un cadavere in una casa sigillata, completamente prosciugato. Niente impronte digitali o segni di effrazione. Il medico legale ipotizza uno shock ipovolemico.»
Dean inarcò un sopracciglio. «E perché dovrebbe interessarci?»
«Perché non ha riportato traumi né i segni tipici dello shock. Niente pelle a macchie, ad esempio. E la vittima aveva trent'anni.»
Le dita si strinsero sulla chiave inglese. Anche quel ragazzo che il mietitore aveva scambiato con lui, quella che sembrava una vita fa, era morto d'infarto, all'apparenza. Invece, c'erano una fanatica con il complesso del giustiziere ed un mietitore di mezzo, appunto.
Diede le spalle a Sam. «Va bene. Daremo un'occhiata.»
Mica potremmo starcene sotto il sole a Tijuana, del resto.
 
 
*
 
«Non sono un esperto, ma non era Rockefeller.»
Crack.
La punta della scarpa spostò la piastrella di lato, rivelando la forma slargata e lucida di uno scarafaggio. Dean storse la bocca.
Strofinò il piede sul bordo ancora integro del tappetino. Una goccia verdastra scivolò lungo una tubatura coperta di ruggine. Mi ci vorrà un'antitetanica.
Di fianco, un buco in cui sarebbe passato un bambino si apriva sulla parete. 
E un'anti-tutto.
Sam vi avvicinò il lettore EMF. Il ronzio era a malapena percepibile, sotto il tonfo dei passi che rimbombavano per le scale. «E quindi?»
«Quindi-» Dean estrasse l'antenna dal lettore e piegò la schiena, passando sotto il cordone con la scritta SCENA DEL CRIMINE - NON OLTREPASSARE. Le assi del pavimento scricchiolarono sotto il suo peso. «-non c'è bisogno di lasciare segni di effrazione per scassinare quella serratura. Potrebbe anche essersi aperta da sola.»
Anzi, era più probabile che si fosse aperta da sola che non che qualcuno avesse tentato di scassinarla.
Sam sfogliò la rubrica color mattone sul mobile all'ingresso. «Sì, ma non tutti sono in grado di uccidere una persona senza lasciare tracce.»
Dean grugnì. «Touché
Si spostò in soggiorno. Sollevò il plaid a fantasia scozzese dal divano. Una lattina di Coca-Cola accartocciata ed un game pad scivolarono sul cuscino adiacente in un clashclashclash. Dean avvicinò l'EMF alla TV, sul mobile di fronte, agli scaffali della libreria, occupati solo a metà da libri con i margini consunti e le pagine ingiallite, e alla scatola delle scarpe coperta da un velo di polvere. Le lucette rimasero spente.
Si chinò sotto la libreria e tastò sul pavimento. Una palla grigiastra, grande quanto la testa di un gatto, rotolò verso di lui. Dean starnutì. Maledizione. La polvere graffiò le narici come acqua salata. 
Si rimise in piedi e spolverò le mani sui jeans. Non avrebbero cavato un ragno dal buco, in quel posto - metaforicamente parlando.
Sam spostò l'EMF vicino al lavandino bianco, all'armadietto con i medicinali, alla finestrella dai vetri incrostati. Dean si avvicinò alla stanza di fianco e scostò la tenda. Le perline tintinnarono contro la sua mano. 
Allungò un braccio verso il groviglio di lenzuola ai piedi del letto. L'EMF non emise nemmeno un ronzio di sottofondo.
«Niente.» Dean ritirò l'antenna. «Qualunque cosa fosse, era corporea
Afferrò il cellulare a conchiglia dal comodino e lo rigirò tra le mani. Sam passò il lettore EMF vicino al cassettone, al letto, al tappeto verdastro su cui erano appoggiate un paio di infradito.
«Già. E meticolosa.» 
Si chinò davanti al comodino e aprì lo sportello: due paia di canotte occupavano lo scaffale di sotto, quattro calzini quello di sopra. Meno di quanto possedesse lui.
«Non ha lasciato nessuna traccia.»
«Okay, Grissom.» Dean aprì il cellulare e andò alla lista dei messaggi. «Cosa proponi di fare?»
Sam alzò le spalle. «Parlare con la polizia?»
«Dopo l'incidente con Hendricksen?» Dean sollevò le sopracciglia. Era già tanto se non avevano sbattuto il suo culo in prigione quando aveva superato il limite di velocità, sulla interstatale.
Sam storse la bocca. «Già, hai ragione.»
Una folata di vento gli fece incassare le spalle. Dean corrugò la fronte. 
Aspetta un attimo...
Si voltò verso la finestra. Le imposte erano aperte, una tenda bianca sottilissima oscillava al vento. Non poteva essere stato qualcuno della polizia.
Si sporse oltre il bordo. Terzo piano. L'intonaco era gonfio di umidità e scrostato. Dritto sotto la finestra c'era un cassonetto: abbastanza perché qualcosa potesse arrampicarsi e riscendere senza rompersi le ossa.
«Direi di fare una chiacchierata con la famiglia della vittima.» 
Dean drizzò la schiena e agitò il telefono. Sullo schermo compariva l'interfaccia di un sms. 
"Dovresti andare via da lì".
«Magari ne sanno qualcosa.»
 
*
 
Le nocche batterono sulla porta un paio di volte. Dean infilò le mani in tasca e si guardò attorno. I raggi del sole illuminavano la Ford Bronco parcheggiata nel vialetto di fianco e filtravano attraverso le foglie degli alberi, creando giochi di luce sull'asfalto. Il vetro colorato della finestrella disegnava un arcobaleno sul giaccone di Sam.
La porta si aprì. Una ragazza dalla pelle di un tono più scura di Ryan Waters, canotta grigia e capelli raccolti in una coda lunga fino alle spalle corrugò le sopracciglia. «Sì?»
«Tu devi essere Kaylee. Siamo amici di Ryan.» Dean indicò Sam e sé stesso. «Siamo venuti a farti le nostre condoglianze.»
Kaylee Waters spostò lo sguardo da Sam a Dean e rilassò la fronte. «Siete della squadra di basket, immagino.» 
Tirò su con il naso e aprì la porta. La mano destra strinse un fazzoletto di carta fino a farlo sparire tra le dita. 
«Prego, entrate.»
Dean lanciò un'occhiata a Sam e gli fece un cenno con la testa. Sam corrugò la fronte. Di solito, Dean gli pestava un piede, pur di passare per primo; ma fra un po' Sam non avrebbe avuto nessuno che si incastrasse con lui nella porta, in fondo. Meglio evitare che il distacco fosse traumatico, per quanto possibile.
La pelle sulla nuca si accapponò. Dean strinse le spalle ed entrò, le mani infilate nelle tasche.
Il corridoio aveva pareti color crema piene di fotografie e le rifiniture in legno scuro; odorava di ammorbidente e cannella - di casa. Per lo meno, di quello che la gente normalmente associa ad una casa.
«Vi chiedo scusa, ma non sono esattamente in vena di chiacchiere.» Kaylee si passò una mano sul viso e li precedette fino al salotto. «È tutto il giorno che la gente fa avanti e indietro per farmi le condoglianze.»
Sedette sul divano ed indicò quello di fronte. Dean girò la testa. Il tavolo alle sue spalle era pieno di casseruole coperte di pellicola e sul tavolino basso c'erano una dozzina di dolcetti grondanti crema gialla. Il suo stomaco brontolò. Niente dice condoglianze come una casseruola unta, in fondo.
«Lo capiamo.» Sam sedette di fronte a Kaylee. Gli occhi da cucciolo raggiunsero il livello mi hanno abbandonato sul ciglio della strada la notte di Natale. «Eravamo venuti a chiederti se avessi bisogno di una mano.»
Il sorriso che stirò Kaylee somigliava ad una smorfia. «Niente per cui possiate fare qualcosa. Ma-» incassò le spalle «-grazie lo stesso.»
Dean allungò le dita verso i dolcetti. Il colpetto sul dorso della mano gli fece stirare un angolo della bocca verso l'alto. L'espressione da cucciolo di Sam raggiunse il livello Bambi mi fa un baffo e Kaylee nemmeno guardò Dean o i dolcetti. Sam avrebbe fatto vuotare il sacco ad Al Capone in persona, non c'erano dubbi.
Sì, se la caverà alla grande. Non era mai stato Sam ad aver bisogno di lui, del resto.
Dean si schiarì la voce. «Kaylee, tu eri la persona più vicina a Ryan.»
Kaylee corrugò la fronte.
«Per caso negli ultimi tempi aveva avuto rivalità con qualcuno? Qualcosa di cui con noi non aveva parlato, magari?»
Kaylee strinse le labbra. «No, niente di particolare. Aveva litigato con il vicino, ma niente che possa far pensare ad un movente.»
«Le liti-» Sam poggiò i gomiti sulle ginocchia. Un altro salto di livello, e si sarebbe trasformato sul serio in un cucciolo. «-erano frequenti?»
Kaylee storse la bocca. «È l'eufemismo del secolo.»
Scambiò un'occhiata con entrambi. Le dita affusolate strinsero il fazzoletto finché le nocche non sbiancarono. 
«I medici dicono che potrebbe essere stato lo shock, ma non c'era niente che potesse averlo provocato. Nessuna ferita, nessun trauma, niente. E Ryan era sano come un pesce.» Kaylee scosse la testa. «È questa la cosa più strana: è successo da un giorno all'altro.»
Massaggiò l'avambraccio, poco sotto la piega del gomito.
«Già.» Dean lanciò un'occhiata a Sam. «Quartiere difficile, comunque, quello in cui viveva.»
Kaylee sospirò. «Lo avevo pregato di tornare a casa, almeno finché non fosse riuscito a permettersi qualcosa di più sicuro.» 
Asciugò gli occhi con il fazzoletto. Dovresti andare via da lì. Ora aveva un senso.
«Non mi ascoltava mai.» Kaylee fece un sorriso, bagnato dalle lacrime che avevano ripreso a scorrerle lungo le guance. 
Dean strinse le labbra. Lo stomaco fece una capriola. A lui erano bastati pochi minuti senza Sam per crollare come un castello di carte al vento. Il non essere riuscito a savarlo...
Non voleva neanche immaginare cosa stesse passando Kaylee Waters.
Abbassò lo sguardo sul tappeto blu. Il grumo di saliva che inghiottì minacciò di incastrarsi in gola. Una fitta colpì il petto. Sam stava bene. Era vivo, respirava e rompeva le palle come al solito, e questo era ciò che contava. 
Inspirò a fondo, riempiendo i polmoni dell'aria stantia, al sapore di frittura. Le dita strinsero il cuscino damascato.
Kaylee appoggiò le mani ai lati delle gambe. Le lacrime tremolarono sulle ciglia. «Chissà, magari, una volta assaggiata la libertà, è difficile tornare indietro.»
Sam abbassò lo sguardo sulle proprie dita intrecciate. «Già.»
 
*
 
«Bene, direi che possiamo escludere demoni, spettri, streghe e almeno un'altra dozzina di mostri.» Dean infilò la chiave dell'Impala nella tasca. «Il che restringe il campo a-»
«Circa un centinaio di altre possibilità.»
Sam tirò su la zip del giaccone. Il sole era scomparso oltre l'edificio dai mattoni rossi alla loro destra, colorando il cielo di rosa; un vento al sapore di metallo rovente pizzicava le guance. Il lampione sotto cui avevano parcheggiato sfarfallò, più spento che acceso.
Dean storse la bocca. «Domani ci aspetta una lunga giornata di ricerche, non è vero?»
Sam corrugò la fronte. «Domani
«Be', considerando che sono le sette e mezza e che il mio cervello ha bisogno di cibo per carburare, direi che, al momento, la cena è la priorità.»
Scese dal marciapiede. Sam sbuffò, ma sorrise. «Sai, non ti credevo capace di fare discorsi tanto articolati.»
«Ah, mangiami
«Nah, non ci tengo a rovinarmi lo stomaco.»
Un urlo li bloccò in mezzo alla strada.
Lo stridere di ruote pugnalò i timpani. Dean afferrò il giaccone di Sam e lo strattonò, trascinandolo indietro. Il sangue ghiacciò nelle vene; il cuore martellò la cassa toracica così forte che avrebbe potuto sfondarla. 
Un pick-up rosso arrugginito sfrecciò loro davanti, strombazzando. Un dito medio uscì fuori dal finestrino. Il conducente urlò qualcosa come «guarda dove cammini, Bigfoot!» ma lo sguardo di Dean era già sull'edificio di fronte. L'imposta all'ultimo piano sbatté sull'intonaco giallo. 
Sam gli lanciò un'occhiata.
Quattro rampe di corsa dopo, Dean si fermò di fronte ad una porta con la vernice bianca scrostata. Sollevò una gamba e colpì la serratura con la base del piede. Il rinculo lo spedì indietro. 
Sam sfrecciò dentro. Scavalcò il divano rosso al centro della stanza con un salto e si infilò nell'unica porta aperta, di fronte. Dean gli fu dietro in un attimo.
«Chiamate il 911!»
Sam si gettò per terra, sulle ginocchia. Scostò due mani piccole e tozze dal petto della donna riversa per terra e avvicinò la guancia al viso. Dean strinse le spalle della ragazza. Mani fredde coprirono le sue. Le spalle si sollevarono con un sussulto. Andiamo, andiamo, andiamo.
Sam rialzò lo sguardo su di lui, le labbra strette in una linea sottile.  Scosse la testa.
Dean allentò la presa sulla camicetta. Un altro singhiozzo scosse la ragazza. Abbassò la testa; i ricci biondi calarono ai lati del viso come un sipario. Sam fissò le proprie mani, appoggiate alle cosce. 
Dean lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Non c'era niente che potesse farla sentire meglio; di sicuro, non roba come è in un posto migliore o ci dispiace. Non esistevano posti migliori, nella sua esperienza: solo fiamme e uncini nella carne e occhi neri ovunque.
La ragazza tirò su con il naso. Strofinò il dorso della mano sugli occhi e accarezzò i capelli scuri della donna per terra, il tocco così leggero che nemmeno si mossero. La strinse al petto, facendole poggiare la testa sulla spalla. Ad occhi chiusi, il mento che tremava e le guance rigate di lacrime.
La testa di Sam sulla spalla, il viscido del sangue che colava tra le dita, una guancia fredda contro la sua.
Dean distolse lo sguardo. Una morsa gli artigliò il petto, dietro lo sterno, e gli svuotò i polmoni con la rapidità di un cazzotto. Un grumo di saliva si incastrò in fondo alla gola. Sulla guancia, lo sguardo di Sam pizzicava come un ago.
 
*
 
«Ricapitoliamo.» Dean si sfilò la giacca e la lanciò sul letto. «Ci sono due vittime senza nessuna connessione fra loro, se non che sono morte dissanguate e senza nessuna ferita che possa spiegarlo.»
Si sedette sul bracciolo del divano e si passò una mano sugli occhi. La luce filtrava a malapena dalle persiane socchiuse, eppure era come avere due aghi infilati nelle orbite.
«Credo che questo caso mi darà un'emicrania.»
Sam si lasciò cadere sul proprio letto in un cigolio delle molle. «A chi lo dici.»
L'emicrania imminente, però, non gli aveva fatto passare la fame. Frugò nella tasca ed estrasse le monete.
«Ti ricordi lo shtriga, a Fitchburg?» Lanciò un'occhiata a Sam. «I bambini erano ricoverati per polmonite, ma quello che mancava era-»
«-lo spiritus vitae.» Sam sollevò le sopracciglia. «Quindi, potrebbe essere stata una creatura che si nutre di energia vitale. Qualcosa come un Incubo o una Succube.»
Dean schioccò la lingua e puntò l'indice su Sam. «Bingo. Solo che non può essere né un Incubo, né una Succube, perché le vittime erano un uomo e una donna.» Inarcò un sopracciglio. «A meno che qualcuno non giocasse per l'altra squadra.»
Sam scosse la testa. «Non credo. Nella rubrica di Ryan Waters c'erano parecchi nomi femminili e, be', la seconda vittima aveva una figlia.»
E bravo Sammy.
Dean storse la bocca. «Be', in ogni caso, potrebbe essere una pista.» Soppesò gli spiccioli. «Vado a comprare la cena. Preferenze?»
«Non ho fame.»
Dean sospirò. Sammy, sono i rischi del mestiere. Lo sappiamo entrambi.
Si morse la lingua. Sam era grande e grosso e vaccinato e nulla lo avrebbe convinto a cambiare idea. E poi, era sempre stato un po' emo.
Afferrò la giacca dal divano e giro il pomello della porta. A volte era come avere a che fare con un bambino a cui è morto il pesce rosso. Solo che Sam non era un bambino e i cadaveri che incontravano non erano la lisca di un pesce.
Attraversò il corridoio al sapore di muffa e imboccò l'uscita. Uno schiaffo d'aria colpì le guance. L'insegna rossa e gialla del ristorante cinese dall'altra parte della strada si spense e si accese. 
Un nodo gli strinse il petto. Era quel tipo di giornata, a quanto pareva: Sam con il broncio nel suo letto e il suo stomaco che brontolava, ma faceva le capriole all'idea di ingozzarsi di involtini primavera. 
Non poteva tornare dentro. Sam non doveva saperne niente: stava già da schifo così, senza sobbarcarsi anche i suoi, di sensi di colpa. E, che fosse dannato, non gli avrebbe reso la vita più difficile del dovuto.
Lanciò un'occhiata all'Impala, parcheggiata dal lato opposto della carreggiata. Un cerchio di luce si specchiava sulla carrozzeria nera; gocce di condensa scivolavano pigre sui vetri appannati.
E giro in macchina sia.
Estrasse le chiavi dalla tasca e attraversò. La casetta di fronte aveva la luce accesa al piano superiore. Dean assottigliò le palpebre. Sul letto era steso un ragazzino, con le cuffie nelle orecchie; a cavalcioni su di lui, una figura scura poggiò le mani sul suo petto. E non sembrava affatto un massaggio cardiaco. O un altro tipo di massaggio.
Merda.
Dean attraversò di corsa. Un paraurti nero si fermò a nulla dal suo ginocchio. I freni stridettero. Il colpo di clacson arrivò quando Dean era ormai sul marciapiede opposto.
Saltò sulla tettoia sopra l'ingresso. Le dita si arrossarono e si coprirono di polvere, mentre stilettate colpivano i bicipiti e la schiena. 
Cazzo, sto invecchiando.
Si issò con un grugnito e infilò una gamba nella finestra. In compenso, avrebbe timbrato il cartellino prima che diventasse un problema.
La figura scura scoprì i denti con un sibilo che somigliava al soffio di un gatto. Dean estrasse la pistola dalla cintura dei jeans, tolse la sicura e tese il braccio. Nel mirino, la cosa gli sibilò contro e saltò.
La schiena sbatté sul pavimento con un tonfo. La botta svuotò i polmoni e gli strappò un grugnito. Merda. Una fitta saettò dalla colonna alle spalle, mentre puntava il gomito per terra. 
La cosa gli salì di sopra, le cosce ai lati dei suoi fianchi; ogni respiro evidenziava le costole sporgenti. Un artiglio scavò nel parquet, a nulla dal suo occhio.
Dean premette il grilletto. Il proiettile si conficcò nell'addome della cosa, che gli alitò in faccia.
La mano schiacciò lo sterno, che scricchiolò. Dean strinse i denti. Con uno scatto, la cosa saltò fuori dalla finestra.
Dean puntò il gomito per terra e grugnì. La luce bianca trafisse gli occhi, lasciando ragni di luce a ballargli davanti ogni volta che sbatteva le palpebre. Ogni respiro era come sfregare i polmoni con la carta vetrata. 
Sì, sto proprio invecchiando.
Si mise a sedere con uno scatto che fece scricchiolare le ossa. Il ragazzino steso sul letto non si mosse. 
No, no, no.
Dean si alzò. La fitta alla schiena gli tolse il fiato e gli strappò un secondo grugnito. Cacchio. Strinse i denti e avvicinò la guancia al naso del ragazzino. Non poteva avere più di dodici, tredici anni. Andiamo, respira. Respira.
Uno sbuffo d'aria sulla guancia. Dean chiuse gli occhi e sospirò.
La porta si spalancò con un tonfo. Un ragazzo poco più basso di lui, con una massa di capelli neri in testa e jeans strappati, sgranò gli occhi.
Dean alzò le mani.
«Posso spiegare.»
Il ragazzo avanzò a pugni stretti, la fronte arricciata e gli occhi a mandorla ridotti a due fessure, come se non aspettasse altro per giocare a baseball con il suo cranio.
Dean lanciò un'occhiata alla propria mano. La pistola. Merda. Mise le mani avanti e indietreggiò, mentre il ragazzo avanzava.
«Sta' lontano da mio fratello.»
La schiena di Dean toccò la parete. Cavolo, l'avrebbe fatto nero. Lui si sarebbe fatto nero, se qualcuno si fosse avvicinato a Sammy.
La pistola pesava nella mano. Che diamine. Dean roteò gli occhi e la puntò contro il ragazzo, che si fermò.
«Lo giuro: non è come sembra.»
Il ragazzo scosse la testa. «Senti, amico, non ci sono soldi, qui. Per favore, non fargli del male.»
Ma perché nessuno mi dà retta?
Abbassò la pistola. «Non sono un ladro. Ho visto un-» già, cosa, esattamente? «-uomo che teneva tuo fratello bloccato sul letto e sono entrato.»
Il ragazzo corrugò la fronte. Dean inserì la sicura nella pistola e infilò una mano in tasca. Le dita sfiorarono il morbido della pelle. 
Fa' che sia quello giusto.
Tirò fuori il tesserino e lo aprì.
«Visto?»
Il ragazzo gli lanciò un'occhiata e rilassò le spalle. «Sì.» Guardò il fratello, che sbatteva le palpebre. Una mano afferrò le coperte blu, stropicciandole. «Grazie.»
Si sedette sul bordo del letto e gli strinse un braccio. Il ragazzino si sfilò le cuffie e aggrottò la fronte. Dean stirò un sorriso. 
Infilò la pistola nei jeans e scavalcò la finestra.
 
*
 
«Mi serve il tuo cervellone per un minuto.»
Sam corrugò la fronte e aprì un occhio. Era sdraiato sul letto con le caviglie incrociate e, fino a due secondi prima, era beatamente tra le braccia di Morfeo.
Dean lasciò un sacchetto sul tavolino e si sfilò la giacca. «Cosa conosci di umanoide, grinzoso e che siede sulle sue vittime per nutrirsi?»
Sam spalancò gli occhi. «L'hai visto?»
Scattò a sedere come una molla. Dean scrollò le spalle. «Credo.» Si grattò la nuca. «Qui di fronte. Era seduto su un ragazzino, per poco non...»
Si passò una mano sulla bocca. Cavolo, solo a pensarci sentiva le ginocchia molli e le viscere liquide.
Sam strinse le labbra. «Sta bene?»
Dean annuì. «Sì, per fortuna.»
Un paio di minuti di differenza, e l'obitorio avrebbe dovuto accogliere il cadavere di un tredicenne.
Sam si alzò e sedette al tavolo. Aprì il portatile e smanettò sulla tastiera, mentre Dean afferrava una scatola di noodles dal sacchetto e ci ficcava dentro le bacchette. Sam lo guardò con le sopracciglia aggrottate.
«Cosa? È da stamattina che non mangio.»
Sam scosse la testa e aprì il motore di ricerca.
Dean gli si sedette di fianco. Le dita di Sam si muovevano sulla tastiera come quelle di un pianista, gli occhi fissi sullo schermo e una ruga tra le sopracciglia, come se stesse decodificando il database dell'FBI. Dean alzò un sopracciglio. Be', tutto è possibile.
Sam cliccò sul primo risultato. La schermata che si aprì aveva un header pieno di uomini e donne incappucciati, con orecchie a punta e lunghi capelli biondi.
Dean gli assestò una manata sulla schiena. «Sam, con tutto il rispetto per i tuoi amici nerd, non credo che quello abbia la soluzione.»
Sam scrollò le spalle. «Meglio controllare tutto.»
Be', considerando che avevano dato retta a quelli di helloundslair.com. Dean alzò le spalle e arrotolò gli spaghetti.
Il nodo alla bocca dello stomaco era ancora lì e, in più, il cuore continuava a martellare nel petto e i muscoli scattavano al minimo fruscio; ma Sam se ne sarebbe accorto, se non avesse mangiato. Era un segugio, quando si trattava di emodrammi. E Dean non aveva nessuna voglia di intrecciargli i capelli, no grazie.
La guancia era sprofondata nella mano, quando Sam gli sorrise. «Gwyllion
Dean sollevò un sopracciglio e guardò lo schermo. Il disegno al centro della pagina raffigurava una creatura umanoide, con pelle grinzosa, nerastra, e denti aguzzi.
«È questo.»
Sam scorse la pagina. «È uno spirito corporeo di origine gaelica. Si dice che possa entrare nelle crepe delle abitazioni e nutrirsi del soffio vitale della vittima semplicemente sedendo sul suo petto.»
Dean corrugò la fronte. «Dice come ucciderlo?»
Sam scosse la testa.
E ti pareva.
Dean sbuffò. «Sarà una lunga notte.»
 
*
 
«Okay. Grazie ancora, Ellen.» Sam sbuffò un sorriso. «Non spariremo, promesso. Sìssignora.»
Dean sorrise. Ellen doveva essere uscita dalla modalità pseudomadre per entrare in modalità sergente maggiore Harvelle. E, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, sì, era terrificante.
Sam chiuse il cellulare e si voltò. 
Dean allargò le braccia. «Allora?»
Sam era al telefono da così tanto che Dean, nel frattempo, aveva contato tutte e ventisei le macchie di umidità sul soffitto e scoperto un punto umidiccio sul divano che non voleva sapere cosa fosse.
«Ellen ha parlato con una cacciatrice che ne ha già incontrato uno.» Sam appoggiò il telefono sul tavolo. «Dice che basta un coltello di acciaio piantato nel cuore.»
Dean corrugò la fronte. «C'è un ma
«Ma dobbiamo aspettare che si nutra.»
Dean spalancò gli occhi. «Sam, quel ragazzino è quasi morto. Ci è mancato davvero poco.»
Sam abbassò lo sguardo e sospirò. Strinse lo schienale della sedia. «Lo so. Ma non abbiamo altra scelta.»
Dean sbatté le palpebre. Da quando è lui a dover convincere me?
Insomma, fin'ora era sempre stato Dean quello disposto a rischiare, a sparare prima di fare domande; ultimamente, invece, Sam sembrava... diverso. Troppo simile a lui. E la cosa non gli piaceva per niente.
Due occhi gialli occuparono la sua visuale. Dean sbatté le palpebre. 
Cazzo, aveva bisogno di una vacanza.
«Okay.» Si passò una mano sui capelli. Sam non avrebbe mai rischiato, se non fosse stato sicuro, giusto? «Ma come facciamo a capire quale sarà la prossima vittima?»
Sam alzò le spalle. «Bella domanda.»
Si grattò la nuca. Lo sguardo ricadde sul tavolo, ancora sommerso da scartoffie. Prese la piantina ripiegata alla meno peggio sopra al laptop e sedette sul divano, di fianco a Dean. 
«La prima vittima è morta qui.» Premette l'indice su un punto vicino al bordo sinistro. «La seconda qui.» Strisciò il dito verso destra e si fermò poco sotto il disegno che indicava l'autostrada. «E il terzo attacco è avvenuto qui.» Indicò il motel. «In pratica, l'unica cosa che accomuna le vittime è-»
«-che provengono tutte da quartieri poveri.»
Si scambiarono un'occhiata. Sam annuì. «Dovremo separarci.» Batté l'indice e il medio sulla cartina. «Ne restano altri due.»
Dean strinse le labbra. Sam era grande e grosso e sapeva badare al suo culo petulante, ma ogni volta era come smontargli le rotelle dalla bicicletta e lasciarlo andare da solo. O guardarlo mentre saltava dal tetto, vestito da Batman, poco prima che il suo braccio facesse crack e che scoppiasse a piangere.
Un nodo gli strinse lo stomaco.
Dean deglutì. «Fa' attenzione.»
«Anche tu.»
Gli assestò una pacca sulla spalla. Sam si alzò e Dean lasciò ricadere il braccio lungo il fianco, lo sguardo fisso sulla punta delle scarpe. 
Non sono io quello che rischia la pelle.
 
*
 
«Ma perché gli do retta?»
Dean soffiò sulle mani, a coppa. Uno sbuffo di vapore riscaldò la pelle per un nanosecondo e si dissolse nell'aria, insieme ai suoi ultimi residui di pazienza. 
Infilò le mani in tasca e avanzò. I palazzi popolari avevano le luci spente, tranne per una finestra al terzo piano, dove una donna dai capelli scuri mescolava in un pentolino, sui fornelli.
Un fruscio, dal cassonetto addossato al muro. Dean si avvicinò, la fronte corrugata. Le dita strinsero il manico del cotello, nella tasca. Piegò le ginocchia. Il pollice sfiorò il ruvido della plastica. Allungò il collo verso un sacchetto dell'immondizia.
Un grosso gatto arancione assottigliò gli occhi verdi e soffiò. 
Dean sbatté le palpebre. «Tutto tuo», borbottò. Stronzo.
Il telefono squillò. Dean si diede appena il tempo di leggere Sam sullo schermo, prima di portarselo all'orecchio. 
«È stata un'idea stupida. Sai quanto è grande questo quartiere? Potrebbe essere ovunque!»
Uno sbuffo. «Se ne hai una migliore, ti ascolto
Dean grugnì.
Si strinse nella giacca, le guance intirizzite dal freddo e i peli ritti sulle braccia. C'è un fottuto mostro divora-ragazzini in giro e io sono qui a ghiacciarmi li culo. «Trovato niente?»
La linea gracchiò. «Calma piatta.»
«Idem.» 
La luce si accese alla finestra del primo piano. Dean drizzò la testa. Un uomo si grattò la pelata, seduto sul letto. Infilò un paio di ciabatte marroni e barcollò oltre la tenda. 
Dean sospirò. «Forse abbiamo sbagliato qualcosa.»
E quel gwyllicoso poteva essere ovunque, adesso. Serrò i pugni.
Il cellulare gracchiò di nuovo. Dean corrugò la fronte. Guardò il display: la chiamata era ancora attiva.
Una morsa gli stinse il petto.
«Sam?» La voce gli uscì di un'ottava più alta. «Sam? Mi senti?»
Crrr. Crrr.
«Sammy?»
Lo stomaco si contrasse con uno spasmo. Merda.
Dean ficcò il cellulare in tasca e corse alla macchina.
 
*
 
Le ruote stridettero sull'asfalto. L'Impala si fermò sul lato destro della carreggiata; lo sportello del conducente si aprì prima ancora che Dean potesse tirare il freno a mano.
«Sammy?»
Lo sportello sbatté alle sue spalle. Dean attraversò la strada con il sangue che martellava nelle tempie e i polmoni che bruciavano. 
«Sam
Attorno a lui c'erano solo mura incrostate e la saracinesca di un magazzino. Il lembo di un volantino ondeggiò, sulla parete di fianco. 
Andiamo. Dove sei?
Il giallo dei fari di un'auto illuminò il vicolo sulla parte opposta della strada. Un tonfo metallico rimbombò per le pareti. 
Dean sgranò gli occhi e corse fino in fondo al vicolo. Gli scarponi slittarono sull'asfalto umido. Incespicò su una lattina accartocciata, che rotolò verso la parete. Una morsa serrò lo stomaco. 
«Sam!»
Dove sei?
Il lampione vicino al cassonetto sfarfallò. Il tonfo metallico rimbombò con più forza attorno a lui. Dean saltò sul cassonetto e scavalcò il muro. 
Il gwylli-quellocheè afferrò Sam per le spalle e lo inchiodò per terra, sull'asfalto. Sam digrignò i denti e serrò la mano a pugno. Frappose l'avambraccio tra sé e il mostro; le zanne si chiusero a nulla dal suo naso.
Dean estrasse il coltello dal fodero della cintura.
Un gancio colpì il mostro allo zigomo. Il gwyllion soffiò e colpì Sam alla tempia. 
Dean saltò giù dal muro e corse verso di loro. 
Brutto figlio di puttana, ti farò a fette. 
Sollevò il braccio sopra la schiena del mostro. 
«No!» 
Sam alzò una mano nella sua direzione. Dean si fermò con il braccio a mezz'aria e la fronte corrugata.
Dobbiamo aspettare che si nutra.
Il gwyllion scoprì i denti e appoggiò le mani sul petto di Sam. Il torace si illuminò d'azzurro, mostrando l'ombra del cuore tra le costole. Dean serrò la presa sul manico e si avvicinò, un passo dopo l'altro, i muscoli tesi come le corde di un violino.
Sam abbandonò la testa sull'asfalto e chiuse gli occhi. Lo stomaco di Dean si contrasse. 
La cena è finita, stronzo
Sollevò il coltello e lo calò sul dorso del mostro. Il gwyllion inarcò la schiena. L'urlo, simile a dita che strisciano su una lavagna, fu una stilettata ai timpani.
Un colpo secco alle costole gli mozzò il fiato. Dita nere e coperte di rughe afferrarono la maglia e lo sollevarono da terra. 
La schiena sbatté sulla parete. Una fitta attraversò il petto da parte a parte. Le suole delle scarpe sfregarono sul cemento, alla ricerca di un punto di appoggio. 
Dean sollevò il braccio destro e lo frappose tra sé e il mostro. I denti giallastri si schiusero a nulla dal suo naso. L'alito arroventò la pelle.
Bleah. Dean arricciò la bocca.
«Ti hanno mai detto che avresti bisogno di una mentina?»
Flettè il braccio libero e affondò il coltello nella spalla del mostro, fino al manico. La lama attraversò la carne come fosse di burro. Il contraccolpo fece slittare il manico tra le dita. 
Il gwyllion gridò. Dean estrasse il coltello e glielo piantò nel petto.
Gli artigli si conficcarono nella carne. Una fitta colpì il bicipite e saettò fino alla spalla. La carne bruciò, sotto gli strati di vestiti strappati. Dean serrò i denti e ruotò il polso. 
Muori, stronzo.
Lasciò la presa sul manico. La carcassa cadde ai suoi piedi con un tonfo. 
Dean annaspò, la nuca poggiata alla parete fredda alle sue spalle. 
Fiuh. Ci è mancato poco.
Ogni respiro era come piantarsi centinaia di schegge nei polmoni. L'aveva ridotto male. Si toccò lo sterno, dove la pelle pulsava. Una stilettata attraversò il torace. Cazzo. Fa' che non siano costole incrinate.
Si voltò. Sam puntò un gomito sull'asfalto e piegò le ginocchia. Sbatté le palpebre, come quando, da bambino, cadeva dal letto dopo un incubo. La botta alla testa doveva essere stata bella forte.
«Stai bene, Sammy?»
Sam annuì. 
Non si è manco lamentato per il nomignolo. No, che non sta bene. Sam affondò la testa tra le mani e strofinò gli occhi. Dean si avvicinò. 
«Quante dita sono?»
Sollevò il medio. Sam assottigliò le palpebre e lo colpì con una manata. 
Okay, sta bene. Dean allungò la mano.
Sam la afferrò e si tirò sù. «Mi è saltato alle spalle.» Strinse i denti, bloccandosi con un ginocchio piegato. «Credevo che andasse a trovare le vittime nel sonno.»
Dean scrollò le spalle. «Avrà fatto uno strappo alla regola. Non capita tutti i giorni un Sasquatch con cui fare scorte, in fondo.»
Sam storse la bocca. Estrasse il coltello dal torace del mostro.
Dean sollevò le sopracciglia. «Che vuoi fare con quello?»
Sam alzò le spalle. «Dobbiamo assicurarci che sia morto.»
«Be'.» Dean infilò una mano in tasca. Lo zippo disegnò un arco per aria e atterrò nell'altra mano. «Questo si può fare.»
 
*
 
«Ripetiamo: carburatore, tanica dell'olio, radiatore, motore.»
La mano di Dean sfiorò la carrozzeria dell'Impala. Sam fissava il cofano con la mascella serrata e gli occhi lucidi. «Sai, avresti dovuto iniziare le lezioni un po' prima.»
Il vento tiepido gli agitava appena i capelli. L'erba attorno a loro ondeggiava pigra, i pollini graffiavano le narici di Dean. Il sole faceva capolino oltre una nuvola bianchissima. Un fottuto scenario da film, non c'è che dire.
Dean scrollò le spalle. «Non ce n'è mai stato bisogno. Impari in fretta, fratellino.»
Sorrise. Sam arricciò la bocca.
Dean appoggiò una mano sul cofano e girò una vite. Il bullone schizzò fuori e si tuffò sull'erba.
«Hai intenzione di passare tutto il tempo a insegnarmi come aggiustarla?»
Sam raccolse il bullone da terra e aprì la mano. Dean gli consegnò la chiave inglese. «Perché?»
Aprì il minifrigo e prese una birra. Immaginava che Sam si sarebbe rotto le palle, prima o poi. Era un genio, ma quando si trattava di auto, scappava nella direzione opposta. 
Sam alzò le spalle. «Credo di aver trovato qualcosa, nel Rhode Island. Tempeste elettromagnetiche, capi di bestiame impazziti.» Sollevò un angolo della bocca. «Ti dice niente?»
Dean sorrise. «Niente di nuovo sul fronte occidentale.» 
 
 
***
 
Qualche piccola nota:
Grissom e la sua squadra sono protagonisti di CSI - Scena del Crimine. Dean dice di odiare quel tipo di polizieschi, ma per odiarli deve averli visti, giusto?
In «Wendigo», Sam suppone che l'entità di Blackwater Ridge sia corporea. Dean, che aveva usato un termine più semplice, lo prende in giro.
La Ford Bronco è una citazione di San Valentino di Sangue - in inglese «My Bloody Valentine». Era l'auto che guidava Tom, il personaggio interpretato da Jensen. Non è un gran film, ma l'auto che avevo in testa era molto simile a quella e ho pensato di inserire una citazione. In realtà, è pure una citazione di una originale che sto scrivendo.
Sempre nella mia testa, il ragazzino che Dean salva dal gwyllion e suo fratello sono i figli dei proprietari del ristorante cinese.
Ufficialmente, Ellen non compare nella terza stagione; però ho letto da qualche parte che sarebbe dovuta ricomparire nel finale e che è stata l'attrice a rifiutarsi, temendo che uccidessero il personaggio, quindi ho fatto uno strappo al canon. In fondo, nella quinta stagione Ellen diceva di non aver saputo da Dean che fosse tornato dall'Inferno, non che non si fossero sentiti prima. Che Dean abbia paura di Ellen è assodato - e l'ha più o meno ammesso con Jo nella 2x05.
Dean si accorge che Sam si comporta in modo diverso da subito, ma chiariscono nella 3x09, Malleus Maleficarum, quando Sam gli dice che per sopravvivere da solo dovrà essere come lui. Ho pensato che un riferimento calasse meglio la storia nella terza stagione.
Il gwyllion è a tutti gli effetti uno spirito, ma in alcuni siti è descritto come corporeo. Siccome in Supernatural sono già stati visti mostri che possono smaterializzarsi a piacimento (mi viene in mente il Rakshasa, 2x02), ho preso spunto da quello. Inoltre, il gwyllion che ho descritto è l'unione del gwyllion effettivo, della maere, lo spirito di origine norvegese che si credeva causasse la paralisi del sonno, e della Boo Hag, una leggenda folkloristica della Carolina del Nord molto simile.
Niente di nuovo sul fronte occidentale è un riferimento al libro di Erich Maria Remarque.
   
 
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