Lo dicesti una sera,
arroventata di freddo
mentre ci soffocavamo a vicenda col gelo
spingevi più a fondo
graffiandomi i fianchi
volevi, volevi
le Furie tremende -
lo vuoi?
E io come una scema
col mondo di sotto
Non respiro più, ti ho detto -
hai riso, tutto apposto.
Ora ricordo
ha il sapore delle pugnalate, al Campidoglio
ritratta: forse dopotutto non lo hai fatto proprio apposta.
Adesso, ci diciamo
che è per l'altrui rispetto e per figura
ma perché
quello non ce lo diciamo mai;
perché io non te l'ho più chiesto
e tu ti limiti a sfiorarlo
sapiente e sprezzante
ti limiti a sfiorirlo,
e gli anni, la società, il mio corpo
giocano a un burlesque di nascondino:
tana per
chi ha paura.
Note
Dovrei, dovrei, scrivere di più. Ogni poesia precedente mi sembra annaspare tentando di dire qualcosa, come un morto che annega male (necessaria precisazione) fra i ghiacci - che è una bella immagine, da riciclare - ma. Abbastanza fiera di questa, dei primi versi tanto gelidi, che rimandano a una sfera temporale, climatica e emotiva che ora in me è come un vago ricordo, qualcosa di vissuto da qualcun altro, letto da qualche altra parte, e sono contenta di essere riuscito a renderla. Mi son piaciuti gli spazzi e gli intermezzi fra le parole, le pause date dalla fine dei versi, io che di solito impiastro il tutto di troppe pause e punti e virgola. Questa le pause ce le ha, e sono forse più terribili - nell'ottica proprio di questo, della Poesia Terribile, che scoperchia l'intonaco, si carica di livore argenteo e femmineo ed è proprio giusto che lo faccia. A tratti mi ha richiamato un certo, moraviano sconcerto coniugale. E va bene così, mi sento meglio. Recensite, se vorrete, e chiedete, se avete da chiedere. Si spera a presto.
* Le Furie Tremede è citazione dalla tragedia di Vittorio Alfieri, "Mirra". Ma mi fermo qui con le spiegazioni.