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Autore: Maki Tsune    27/04/2018    1 recensioni
Continuo di "Ritorno a casa", Helea vuole scoprire di più su se stessa e sui fratelli Lothbrok ma un sogno la turba e dovrà chiedere consiglio a una persona, facendo molta attenzione alla sua "copertura".
Dovrà poi affrontare alcune persone di sua conoscenza e così mostrarsi per quella che è realmente.
Genere: Comico, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio, Ubbe, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Helea Firebender'
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Passarono pochi giorni dal suo ritorno a casa e un sogno disturbò il suo sonno nella notte autunnale. Si svegliò all’improvviso con l’affanno nel suo giaciglio di paglia, preparato nella zona alta del fienile non troppo distante dal cumulo di paglia del fratello assente.
Dalla finestrella rettangolare entrò la luce del primo mattino e si strisciò verso il lato del fienile per ammirare l’alba e così calmare i suoi nervi e i suoi polmoni. Quello spettacolo la calmava sempre, così come altri fenomeni naturali avevano un effetto calmante su di lei.
Ad un tratto sorrise per un’idea che le venne in mente e di tutta fretta scese la scala in legno e uscì dal fienile senza svegliare gli animali. Si diresse a piedi verso il porto e da lì costeggiò la spiaggia fino ad arrivare all’accampamento di Floki, dove costruiva le sue famigerate navi. I drakkar.
 
Ragnar si era fermato da loro per la notte e si svegliò da solo, alzandosi poi dall’amaca e avvicinandosi a Helga chiedendole “Perché non mi hai svegliato?”. A lei dispiaceva svegliarlo senza un valido motivo ma in questo modo Ragnar si perse la colazione.
Ragnar raccolse dei sassi e si avvicinò a Floki, cui stava ammirando il fiordo in mezzo all’acqua, su uno stretto sentiero di massi dove lo teneva con i piedi asciutti.  Parlarono mentre il re fece rimbalzare i sassi nell’acqua.
 
Helea arrivò sulla spiaggia e rimase sorpresa e incantata da quei colori che si muovevano al vento, legati ad assi di legno piantati nella sabbia.
Si avvicinò con cautela e si accorse di Ragnar e Floki su quel sentiero che emergeva sulla riva. Helea si bloccò dietro a una vela e contemplava quei due uomini che ammirava da tanto tempo mentre parlavano a bassa voce. Finché Ragnar non si allontanò e Floki ridacchiò urlando “Anche io ti voglio bene Ragnar Lothbrok.” E incredulo rimase sul sentiero a ridacchiare.
Helea e Ragnar si incrociarono e lui la guardò per un momento, passandole oltre, poi si fermò girandosi verso di lei incuriosito, la quale lo fissava in silenzio e ciò lo turbava.
“Ci conosciamo?” domandò lui.
Helea non sapeva cosa rispondere come se il tempo si forse fermato per un momento. Alla fine si risvegliò e gli rispose mestamente “Non credo vi ricordiate di me.”
“Probabile. Dopotutto sono vecchio.”
“Non vecchio abbastanza.”
Ragnar la guardò e accennava dei sorrisi. “Una shieldmaiden eh?”
Helea si guardò la divisa e poi gli sorrise “In un certo senso.”
Ragnar la studiò “In quale senso? O lo sei o non lo sei.”
“Non è importante per voi sapere se lo sono o no. Ma voglio che sappiate una cosa: non vi do’ la colpa per quello che è successo all’insediamento.”
Lui socchiuse un attimo gli occhi per inquadrarla meglio “Allora non hai perduto nessuno se la pensi in questo modo, anzi forse sei l’unica. Ma ormai non ha più importanza.”
“Sì invece, ne ha. Lo so che anche voi continuate a pensarci. Forse non ho perduto nessuno lì, ma ho comunque risentito degli effetti di Ragnar Lothbrok in altri modi. Ma anche in quel caso, non ve ne faccio una colpa.”
“Non hai spirito vendicativo. Sicura di essere una vichinga?”
“Avete insegnato che ci sono altre vie per risolvere un problema e allo stesso tempo che non dipende totalmente da noi se l’impresa riesce o no, specialmente se implica altre persone nella risoluzione di questo problema. Perciò, dite pure che non ho spirito vendicativo se volete, ma il vostro obiettivo era nobile e frainteso.” Si guardarono a vicenda e poi aggiunse “Vi giuro che in qualche modo, se non per mano mia o dei vostri figli, riusciremo a far vivere la nostra gente nel migliore dei modi con del terreno vivibile e coltivabile.”
Ragnar rimase in silenzio ma percepì la sua sincerità e la speranza che lui stesso aveva lanciato e trasmesso ad altre persone. In primis Lagertha e suo figlio Bjorn. Proprio per ciò fu sorpreso che una sconosciuta credesse nell’obiettivo che lo aveva spinto a partire per nuove terre e che volesse riuscire dove aveva fallito.
“Sei intelligente e ambiziosa. Se vuoi portare avanti ciò che ho iniziato allora spero tu possa imparare dai miei errori.” Si girò per andarsene poi si bloccò e si girò di nuovo verso Helea. “Voglio darti un consiglio: non fare promesse che non puoi mantenere, ma allo stesso tempo rimani curiosa. È così che si vive nel mondo. Continua a imparare da te e dagli altri. Mantieni salda la speranza e credici fino in fondo.” Le diede qualche pacca sulla spalla mentre lei lo scrutava e sorrise timida.
“Vi ringrazio. Tenete in mente solo una cosa: nonostante gli errori, avete reso grande questo posto agli occhi di tutti. Forse non lo avete mai sentito ma credo che Kattegat voglia dirvi grazie.”
“Non parlare a nome di tutti.”
Helea sorrise divertita “Credete abbia parlato a nome di tutti? È Kattegat che vi ringrazia, il popolo invece deve sottostare alle decisioni prese.”
Ragnar sogghignò capendo il suo discorso. “Sei in gamba. Continua a usare la testa e forse potrai arrivare dove io non sono arrivato.” Si girò e si incamminò. Poi si fermò di nuovo e si voltò appena. “Se in qualche modo ho fatto del male… chiedo scusa a Kattegat.” Sogghignò.
“Sono certa che vi perdonerà. Fate buon viaggio, ovunque siete diretto.”
Ragnar alzò velocemente la mano in un funesto gesto e si dileguò mentre la ragazza continuava a guardarlo e sussurrò, come continuo della sua frase precedente. “Ragnar Lothbrok. Non dimenticherò mai i vostri sorrisi schivi e i vostri occhi colmi di dolore e tormento. C’è tanto che vi tenete dentro e non avete detto. Andate verso un destino già scritto, che equivale per ogni uomo. Vi meritate il Valhalla più di chiunque altro.”
 
 
Helea tornò sui suoi passi e vide che Floki uscì delle piccole barche che mise a galleggiare nell’acqua.
“Sei passato al modellismo ora?” ridacchiò Helea.
Helga si girò e la guardò con diffidenza. Lo stesso Floki, alzò la testa e la guardò avvicinandosi a Helga mentre la ragazza avanzava con un mesto sorriso.
“Non vi ricordate di me? Mi dovrei offendere ma non riesco.” Guardò la donna. “Helga, sei sempre bellissima. Come fai a restare così bella?” sorrise sperando potesse ricordare. Helga sentì qualcosa di familiare sia nella ragazza sia nella frase e distolse per un attimo lo sguardo verso terra. Nella mente le tornò un ricordo di quando la figlia era ancora viva e la bambina che giocava con lei le faceva spesso la stessa domanda. Alzò gli occhi su di lei con sorpresa e felicità. “Helea, sei tu?” chiese andandole contro mentre la ragazza rispose annuendo e allargando le braccia.
Erano alte quasi uguali, Helea era poco più alta, e si abbracciarono come fossero amiche di vecchia data, anche se in realtà avevano un rapporto più da madre e figlia.
Helga è stata la sua maestra sulle medicazioni ed Helea era molto amica di Angrboda, la figlia di Floki ed Helga ma che morì a causa della febbre.
Non riuscì a trascorrere molto tempo con Helga, ma subito si instaurò un rapporto di amicizia e amore madre-figlia.
“Sei tornata! Che bello vedere che sei viva. Raccontaci tutto.” Poi vide il marito Floki disorientato e provò a rinfrescargli la memoria. “Floki, lei è Helea. La figlia di Eskill il fabbro ed era molto amica di Angrboda, veniva qui spesso con la madre Iselin e dopo veniva da sola.”
“Ah, ora ricordo. Lo spiritello che mi rubava le invenzioni con cui poi giocava.” Ridacchiò. “Ammetto che grazie a te ho capito alcuni errori nelle elaborazioni di alcune idee.”
“Mi fa piacere esserti stata d’aiuto.”
Helga la prese sotto braccio “Allora? Racconta. Gli dèi ti hanno favorito ancora.”
Helea la guardò “Cosa intendi con ancora?”
Helga spostò lo sguardo pensando e la trascinò via da Floki. “Vieni, andiamo a fare una passeggiata nei boschi, così non distraiamo Floki dalle sue navi.”
Una volta lontane Helga provò a spiegarle del suo dono dato alla nascita ma non la vide sorpresa.
Helea sorrise a Helga “Sì, lo sapevo. Reidar me ne ha parlato qualche giorno fa e ho chiesto a mia madre di raccontarmi bene i fatti. Avete detto tutti la stessa cosa, chi più e chi meno, ma la storia che raccontate è la stessa. Una bambina nata morta a cui un corvo ha dato la vita.”
“Non era un corvo qualunque. Era Odino! Lo sai che il corvo è un suo messaggero.”
“Sì. Conosco le storie.” Helea guardò Helga mentre passeggiavano “Siete davvero convinti che gli dèi mi favoriscano?”
Helga la guardò negli occhi “Hai dubbi? Non ti bastano le prove di una madre che ha visto e delle persone care che hanno assistito?”
“Non dico questo.”
“E allora cosa?” la prese per il braccio e la scrutò.
“Non capisco perché date tutta questa importanza a questo fatto. E perché lo sa solo la mia famiglia e tu?”
Helga schiuse le labbra e si guardò attorno nella vegetazione. Vide un tronco abbattuto e si diresse lì con Helea sotto braccio per sedersi entrambe.
“Ha importanza perché non sono molte le persone scelte dagli dèi e quando accade si festeggia. Il tuo caso è più particolare perché sembra che tu sia stata sia voluta sia non voluta dagli dèi, ma quello che conta è che alla fine hanno deciso di darti la vita e questo significa che hanno dei piani per te. Così come li aveva Ragnar, così come li ha Floki.”
“Pensi che sia destinata a grandi cose?” Helea si sedette sul tronco accanto a Helga.
“Ognuno ha una parte nel mondo. Dobbiamo solo scoprire qual è.”
“Sì. Hai ragione.” La ragazza guardò la donna bionda e gli occhi chiari. “Quindi il motivo per cui lo si sa solo in famiglia, non c’è spiegazione?”
“Come ti ho detto, il tuo è una faccenda particolare. E poi in questo modo le persone ti vedono come una persona qualunque.”
“Normale vorresti dire? Ma alla fine lo sono.”
Helga sorrise. “Sì lo sei. Intendevo dire che se le persone scoprono che sei favorita, potrebbero guardarti con altri occhi.”
“Peggio di come guardano Ivar?”
Helga abbassò lo sguardo. “Prova a pensare a Ragnar. Anche lui è stato dato per favorito e ha fatto grandi cose, allo stesso tempo hanno avuto timore di lui. Lo stesso con Floki, gli stanno alla larga perché credono sia pazzo e molti gli danno credito solo per tenerlo buono, ma non è così.”
“In pratica tutti hanno timore di ciò che non si sa e per questo stanno alla larga. Quando hai paura di qualcosa non lo vuoi conoscere fino nel profondo, non rischi, per non metterti nei guai.” Helea sorrise e la ringraziò con un sorriso felice.
 “Credo di iniziare a capire cosa intendi.” La abbracciò. “Se lo vuoi dire a Floki, glielo puoi dire. Non c’è bisogno di tenerlo segreto con lui.” Sorrise.
“Oh, va bene. Se vuoi.”
“Floki non è pazzo, anzi forse è il primo a comprendere meglio ciò che mi è accaduto. Lui, è quello favorito dagli dèi perché li ascolta. Io ho solo ricevuto la vita in modo diverso, niente di più. Ma ho con me la curiosità che mi spinge a rischiare.” Si alzò. “Grazie per avermi aperto la porta. È una via che non avevo ancora considerato.” Pensò al passato e alle scelte che aveva fatto. “Ora è meglio se torno al villaggio, ho bisogno di sciogliere un altro nodo.”
Helga si alzò e la accompagnò all’accampamento.
Helea vide Floki che batteva chiodo nell’asse in legno e fu distratto dalla ragazza che lo chiamò e si avvicinò al suo fianco. “Floki. Sei un dono degli dèi.” Helea gli dette un bacio sulla guancia e lui ridacchiò confuso da quel gesto. “Che ti prende?”
“Nulla. Ho solo capito cosa vogliono gli dèi da me. Helga ti spiegherà con calma, io devo tornare al villaggio.”
“Rimettiti a posto la spalla.”
Helea lo guardò curiosa “Come fai a saperlo?”
“Da come la usi. Sarò pazzo ma non sono scemo.”
“Reidar ha preparato una mistura per il braccio. Lo sto usando tutti i giorni.”
“Allora devi dire a Reidar di passare da me perché gli serve un ripasso. Quando puoi torna da noi e ti preparerò qualcosa che ti farà stare molto meglio di quell’intruglio.”
Helea sorrise felice. “Ah, l’ho detto che sei un dono! Ti voglio bene Floki. Anche a te Helga!”
Si allontanò a passetti e poi iniziò a correre con il braccio contro al petto per non sentire più di tanto il dolore alla spalla.
Floki rise. “Cosa le hai detto Helga?”
“Non lo so nemmeno io. Ma a quanto pare ha trovato una risposta nelle mie parole.”
“Allora sono stati gli dèi a parlare per te.”
“A proposito di dèi.” Helga si avvicinò a Floki e mise una mano sul braccio del marito. Lui si bloccò nel battere il chiodo e guardò la moglie. “Cosa devi dirmi Helga?”
“Siediti Floki. Credo che questa storia ti possa interessare.”
Si misero in disparte, seduti sotto al rifugio all’aperto e Helga iniziò a parlargli della nascita di Helea nel dettaglio.
 
Helea corse al villaggio e tornò a casa.
La tenda del letto era piegata su se stessa e la madre sveglia che guardava i figli. Heladis era in casa e vide la sorella con l’affanno.
“Hai corso?” chiese la bambina.
Helea rise per l’acutezza della sorella e si avvicinò all’armadio vicino al letto matrimoniale.
“Madre, ho davvero il vostro permesso?”
“Prendi il vestito che più ti piace, ormai io non posso usarli come una volta.” Disse mettendosi su un fianco e guardando le sue figlie da sdraiata. “Hai deciso di lavare quella divisa?”
Helea guardò la madre e sorrise divertita. “Devo parlare con la regina Aslaug. Non posso presentarmi come shieldmaiden, conosco le rivalità tra Lagertha e la regina.” Disse scegliendo un vestito e spogliandosi davanti all’armadio aperto.
“Perché devi parlare con la regina?” domandò la madre.
Helea si tolse gli stivali e nuda si mise un vestito azzurro con le maniche lunghe e i lacci sulla schiena. “Ho una domanda da farle e solo lei può rispondere.”
“E vedrai Ivar?” sorrise Heladis
“Come?” Helea si girò verso la bambina mentre si aggiustò il vestito.
“Vieni qui, lascia che ti aiuti.” Si intromise la madre.
Però la sorella aveva alzato un punto a cui doveva pensare. In un certo senso stava fuggendo dalla vista dei principi e rispose “Credo sarà molto probabile. Perché ti interessa se lo vedrò?” Chiese china con la schiena rivolta verso la madre, cui stava chiudendo il vestito con i lacci.
Heladis abbassò la testa con un leggero sorriso timido in volto e alzò le spalle.
Helea sorrise e si disfece le treccine che aveva sulla sinistra, lasciando i capelli corvini sciolti e mossi.
“Oh. Oh! Posso? Ti prego. Posso? Posso?” saltellò Heladis davanti alla sorella.
“Fare cosa?” chiese Helea.
“I capelli! Voglio farti le treccine.”
“E sei brava?”
“Se lo è? Te lo posso assicurare io” Intervenne la madre. “Ha un talento tutto suo e ti lascerà senza fiato quando finirà.”
“Se lo dice nostra madre, allora mi fido.” Quando Iselin finì di allacciarle il vestito sulla schiena, Helea si sedette per terra in modo che la bambina di sei anni potesse arrivare senza problemi alla sua nuca.
Heladis trattenne un gridolino e iniziò a mettersi all’opera.
“Niente di troppo vistoso, una cosa semplice.”
“SSH! So io cosa è meglio per te” l’ammonì la sorella piccola.
La madre ridacchiò e guardò le sue due figlie, la maggiore mora e la più piccola bionda. Sorrise a tale contrasto.
“Reidar e Helorn sono in casa?” domandò Helea.
“Reidar è nella fattoria e Helorn è con tuo padre nella fucina.” Rispose la madre.
Heladis raccolse i capelli della sorella in una coda che poi divise in due e le attorcigliò su se stesse senza stringere troppo, come se avesse creato dei boccoli, poi le unì al di sotto dei boccoli con una treccia finché non divenne sottile e piccola.
“Ecco fatto. Semplice e non vistoso.”
Helea si portò le mani sulla testa e toccò i capelli senza rovinare l’acconciatura. Si sorprese della bravura della sorella e dalla morbidezza che le aveva lasciato senza tirare i capelli.
“Meraviglioso. Ti ringrazio Heladis.”
“Di nulla. Mi diverto a fare queste cose, solo che non posso farle sulla mamma e nemmeno su Helorn. Pensa che Reidar si è tagliato apposta i capelli per non farli toccare da me.” Mise il broncio.
“Reidar non sa cosa si perde. Se vorrai, potrai acconciarmi i capelli tutte le volte che mi serve.” Si girò a guardarla e vide la felicità nei suoi occhi.
“Davvero?”
“Certo.” Sorrise dolcemente.
“Che bello! Grazie!” abbracciò al collo la sorella maggiore e lei ricambiò l’abbraccio.
“Lascia che mi alzi e vada dalla regina. Ci vediamo dopo.” Helea prese un mantello lungo marroncino che si mise sulle spalle e uscì di casa.
Guardò a destra e a sinistra assicurarsi di non incontrare sgradite sorprese e pensò alle parole della sorella. Se avesse incontrato Ivar o qualsiasi altro principe, non si avrebbe più posto il problema di evitarli ma di accettare quella eventualità.
 
Helea camminò tra la gente e le vie e finalmente arrivò alla Great Hall. Il luogo dove risiedeva il re con la rispettiva famiglia. Un luogo sempre aperto a tutti e non solo ai reali, composto da una larga sala con tavoli e panche e al centro il focolare. Nascosti, c’erano gli alloggi del re e regina e dei figli.
Helea entrò guardando quell’unico ambiente e notò i troni spogli e poche persone all’interno della sala, per lo più schiavi. Di cui una si avvicinò a Helea e le chiese “state cercando qualcuno?”
“Sì. Dovrei parlare con la regina Aslaug, se non vi dispiace.” Chiese cortesemente e con timidezza nell’atteggiamento.
La schiava annuì e si allontanò dietro una tenda fatta a quadri, come fosse una rete da pesca ma più spessa.
Si sentì la voce della regina dare ordini alla schiava e lei tornò da Helea trovandola a riscaldarsi davanti al focolare acceso.
“La regina sarà subito da voi.”
Helea annuì e ringraziò. Nel frattempo continuò a studiare quel luogo guardandosi attorno e sentì la voce di Ivar che si lamentava. Helea sgranò gli occhi e sentì un tremore lungo la schiena. Espirò ed inspirò cercando di mantenere la calma e sperando che non l’avrebbe vista.
 
La regina si presentò con una coppa in mano, sorseggiando il liquido che vi era riposto all’interno. “Eccomi. Perdonate l’attesa.” Aslaug guardò la ragazza dall’alto in basso.
“Non vi devo perdonare nulla, siete la regina.” Helea abbassò gli occhi e si mostrò timida e rispettosa.
Aslaug socchiuse gli occhi cercando di capire chi avesse di fronte. “Non ricordo di averti visto da queste parti.”
“Mi sorprenderebbe.” Rispose Helea alzando gli occhi verso la regina con un timido sorriso.
Aslaug alzò un sopracciglio “Pensi non sia in grado di ricordare i volti del mio popolo?” A quelle parole Ivar scese dalla panca incuriosito e si strisciò verso la sala.
“Non intendevo offendervi.” Helea corrugò la fronte. “Volevo dire che mi sorprenderebbe se la regina si ricordasse di una comune contadina come me.”
Aslaug sorrise furba e alzò le sopracciglia. “Mi ricordo bene delle persone che incontro. Ma ditemi, cosa volete da me?”
“Parlarvi.” Helea alzò lo sguardo e da dietro la regina vide Ivar steso per terra che si manteneva sulle braccia. Si spostò in modo che la regina potesse coprirla alla sua vista. “In privato se è possibile.” Abbassò lo sguardo, mentre Aslaug si girò notando lo sguardo della ragazza verso Ivar prima di distoglierlo.
“Ivar, potresti tornare di là, per favore?”
Ivar rimase fermo sul posto e cercò di intravedere la ragazza che si era nascosta dietro la madre.
“Ivar…” ripeté Aslaug con tono autoritario.
“Madre...” la riprese il figlio, scivolando all’indietro.
“Grazie.” Sorrise Aslaug al figlio e guardò di nuovo la ragazza.
“Allora, dove eravamo rimaste?” disse la regina prendendola per il braccio sinistro trascinandola via. Helea nascose la smorfia di dolore in un lieve sorriso e Ivar la vide con la coda dell’occhio.
C’era qualcosa di strano.
Aslaug la fece girare e si allontanarono verso l’ingresso, dove la luce del sole era più forte e dove Ivar non poteva vedere i loro visi e le loro labbra.
“So che in molti vi reputano una specie di strega.” Helea stava misurando le parole con attenzione.
“E cosa volete sentire? Che smentisca o affermi queste voci?”
“No.” Helea alzò lo sguardo grave e rimase a guardare la regina negli occhi, la quale si fece più interessata alla ragazza. “Vorrei sapere se poteste aiutarmi.”
“In cosa esattamente?” era sempre più incuriosita.
Helea distolse lo sguardo dalla regina e guardò i passanti, appoggiata al lato sinistro dell’ingresso. “Ho fatto un sogno…” tornò con gli occhi puntati sulla regina dal lato opposto. “Ma non riesco a capire se è solo un sogno… o qualcosa di più.”
Aslaug accennò un sorriso che subito sparì dal suo volto. “Hai delle visioni?”
“Non lo so. È per questo che sono qui a parlarne con voi. Ho sentito dire che ciò che avete sognato molte volte si sono avverate.”
“Cosa volete sapere di preciso?” sorseggiò dalla sua coppa guardandola.
“Come si fa a distinguere un sogno da una visione?”
Aslaug ci pensò e guardò altrove. Prese un respiro e le disse negli occhi “lo senti.”
Helea rimase in silenzio cercando di capire.
“A volte le visioni vengono da svegli, o mentre si prega gli dèi o più spesso durante la notte sottoforma di sogni. I sogni sono inspiegabili, prima ti ritrovi in un posto e poi succede qualcos’altro. Mentre le visioni sono abbastanza comprensibili e chiari; non trattano di cose diverse da un momento all’altro come succede nei sogni. In più, le visioni si rifanno a ciò che succede nella vita e senti gli dèi che ti parlano e usi le loro parole per spiegarti anche se a volte, nemmeno tu riesci a comprendere cosa vogliono dire o sono parole che non vorresti usare ma è l’unico modo per farsi comprendere. E rispetto a un sogno, le visioni si ricordano fino nei dettagli quando ci si sveglia e a volte possono ripetersi nello stesso identico modo.” Sorseggiò ancora poi chiese pulendosi le labbra. “Cos’hai sognato?”
Helea era pensierosa e guardava verso i tetti e il cielo azzurro. La serietà che aveva sul volto fece svanire la ragazza timida che stava impersonando.
“Ho sognato… corvi e serpenti.” Diresse gli occhi verso la regina turbata. “Ma forse come avete detto voi, non significa nulla. Sarà stato solo un brutto sogno.” Riprese a fare la timida e la riservata.
“Spiegami meglio il sogno, proviamo a capirlo insieme.”
Helea scosse appena la testa e alzò gli occhi traendo un respiro e sospirando. Era restia a raccontarle il sogno però lo fece ugualmente se poteva aiutarla a capire.
“Ricordo che c’era uno stormo di corvi che attaccava un bel gruppo di serpenti ed entrambi si difendevano bene. Alla fine i serpenti hanno avuto la meglio e una gran parte di corvi era stata morsa e veniva sepolta da questi esseri. I corpi di questi uccelli formavano una strana figura umana mentre i serpenti ci strisciavano sopra vittoriosi.”
Aslaug era seria e si immaginava la scena che le raccontò.
“Come ho detto può essere stato solo un brutto sogno.” Helea stava rassicurando entrambe. “Queste visioni possono parlare anche di un fatto che verrà a lunga distanza o spesso si rivelano tra pochi giorni?”
“Come ho detto si rifanno alla vita che viviamo. Forse è legato a qualcuno a cui tieni o a volte le persone vengono rappresentate da animali. Comunque credo, che tu potresti avere quel dono.” Aslaug guardò la ragazza e accennò un sorriso. “Ora prova a chiudere gli occhi e a ripensare a quel sogno che hai fatto, per quanto orrenda possa essere la scena. Concentrati e respira.”
Helea guardò la regina e annuì facendo come le aveva detto. Chiuse gli occhi e ripensò al sogno concentrandosi e respirando.
“Bene. Ora senti quello che hai dentro, prova a dirmi le parole che senti, gli dèi parleranno per te.”
Helea rimase in silenzio e schiuse le labbra. Una lacrima sgorgò dall’occhio destro cadendo sulla guancia.
Aslaug la studiò e le toccò il viso, asciugandole la lacrima con il pollice.
La regina vide la lacrima trasformarsi in una lacrima di sangue e trattenne il respiro. Tolse la mano dal suo viso e la guardò incredula. La lacrima che le aveva asciugato tornò a essere una comune lacrima.
Aslaug aveva avuto una visione che rappresentava quel momento. Una visione condivisa che non aveva mai provato prima.
Helea riaprì gli occhi e la vide turbata. “Ho detto qualcosa? Se l’ho fatto non me ne sono resa conto.”
“No non lo hai fatto. Non servono le parole.”
“Avete visto qualcosa?” domandò Helea vedendo Aslaug spostarsi dalla porta e tornare verso il centro della sala. “Vi prego, ditemelo.”
Aslaug si girò verso la ragazza e aprì bocca senza dire nulla. Stava cercando le parole giuste. “Credo tu abbia questo dono ma devi imparare a capire cosa ti vogliono dire gli dèi.”
“Voi lo avete capito vero? Sono qui anche per imparare.” Helea la seguì vicino al focolare e Ivar sbirciava.
“Credo che accadrà qualcosa di brutto dove gli dèi e lo stesso Odino piangeranno la sua fine.”
“Cosa? Come potete dirlo?”
“Ho visto la tua lacrima trasformarsi in sangue mentre scendeva dal tuo occhio destro, lo stesso che Odino ha sacrificato.”
Helea rimase in silenzio ma sentiva che le stava omettendo qualcosa ma non volle insistere. Non riusciva più a capire se la regina era turbata o felice.
“Capisco. Vi ringrazio per aver chiarito i miei dubbi.” Disse Helea abbassando la testa e facendo un lieve inchino.
“Come ti chiami?”
Helea alzò la testa e sorrise “A questo punto non credo sia di molta importanza.”
“Lo decido io. Qual è il tuo nome?”
Ivar uscì di nuovo allo scoperto e vide le due donne mentre parlavano.
“Non sono tenuta a dirvelo.” Rispose con riservatezza e timidezza.
“No non lo sei, ma lo vorrei sapere.”
“Allora vi dovrò deludere.”
Aslaug sogghignò “Va bene. Come vuoi. Non voglio insistere, sei una donna libera.”
La ragazza sorrise con rispetto. “Grazie regina Aslaug.” Intravide Ivar e la regina si girò seguendo lo sguardo della ragazza e ne approfittò per appoggiare la coppa sul tavolo.
“Ora devo proprio andare.” Fece un leggero inchino. “Regina Aslaug.” Poi vide Ivar che si trascinò lentamente verso di loro.
“Ivar.” La ragazza accennò un sogghigno chinando il capo salutandolo.
Ivar sgranò gli occhi quando riconobbe il suo profilo alla luce del fuoco e lei capì che l’aveva riconosciuta.
Helea fece un passo indietro mentre Ivar sussurrò incredulo “Tu.”
Ivar si avvicinò alla madre mentre la ragazza si avvicinò alla soglia.
“Aspetta!” Disse Ivar cercando di muoversi con le braccia per raggiungerla.
Helea si fermò alla soglia e si girò sul lato sinistro mentre lo vide fermarsi al centro della sala.
Ivar la guardò a bocca aperta e ne fu certo. Era lei.
Helea gli rivolse un mesto sorriso e prese la strada di sinistra sparendo sotto i suoi occhi. Ivar strisciò ancora le gambe arrivando alla porta, si affacciò guardando sia a destra che a sinistra e andò verso la strada che lei aveva preso. Non la vide da nessuna parte. Era sparita.
Ivar sorrise compiaciuto e iniziò a ridere. Sapeva che la ragazza del bosco era a Kattegat.
Tornò indietro verso casa e vide che la madre era andata sul retro, ma lo aspettava guardandolo da dietro la tenda a quadri.
“Cosa ti è preso?” sorrise la madre cercando di mascherare il divertimento.
“Nulla.”
“Ivar. Non puoi mentire a tua madre, ti conosco.”
“Forse non come pensate, madre.” Alzò lo sguardo su di lei e poi sospirò. “Mi sembrava di averla già vista. Tutto qui.”
“Mnn. Certo. Eppure sembrava importante.” Aslaug trattenne un altro sorriso e andò a sedersi al tavolo dove c’era una scacchiera.
“Allora? Vuoi riprendere la partita?” chiese al figlio che si avvicinò alla panca e si fece forza sulle braccia per sedersi. “E voi, madre? Sembra che quella ragazza vi abbia scosso. O forse siete contenta di quello che vi ha annunciato?”
Il sorriso di Aslaug sparì e lo guardò con rimprovero.
Ivar sogghignò sistemandosi davanti alla scacchiera. “Pronta a perdere di nuovo, madre?”
Aslaug alzò gli occhi e si alzò dalla panca uscendo di casa, lasciandolo da solo.
Il ragazzo fece una smorfia permalosa e rimase seduto fissando la scacchiera con un ghigno sul volto.
 
Helea si guardò ancora attorno e ridacchiò.
Tornò a casa e andò nell’officina del padre dove vide Helorn dargli una mano.
Il padre si bloccò nel battere il ferro, distratto dalla risata della figlia e rimase a bocca aperta quando la vide con i vestiti della madre.
“Padre, presto. Dovete modellare la spada.” Lo risvegliò il figlio.
“Sì, hai ragione.” Era sempre stato di poche parole ma mai così abbattuto.
Helea mantenne il sorriso e se ne andò per non disturbarli, togliendosi il mantello marrone e appoggiandolo vicino l’entrata di casa, si diresse alla fattoria.
Ripensando alla fuga dal Great Hall, riprese a ridere per la sua interpretazione.
Vicina alla parete in legno della struttura, sentì il raschiare del forcone e sapeva che il fratello era lì dentro. Iniziò a parlare e a disfarsi la treccia poco prima di arrivare all’ingresso. “Reidar, avresti dovuto vedere la fac…” Si bloccò quando non lo vide da solo e allontanò le mani dai capelli non ancora del tutto sfatti, ma più morbidi e meno intrappolati dalla treccia.
Reidar guardò la sorella con il forcone in mano e con il fiato sospeso. Il lavoro si era fermato, si sentiva solo il rumore dato dagli animali, dal mangiare e belare delle pecore e delle capre e il chiocciare delle galline, mentre Helea spostava gli occhi sorpresi dal fratello all’amico, il quale aveva appena preso i manici della carriola in legno e si bloccò anche lui nel guardarla.
Helea deglutì e poi aprì bocca. “Scusate. Non volevo disturbare.”
“No figurati…” il ragazzo stava ammirando la ragazza. “Perdonami ma… Hai un viso familiare.” Sorrise appoggiando per terra i piedi della carriola.
“Uhm. Ubbe, meglio se torniamo a lavoro.”
“No, aspetta un attimo.” Disse guardando Reidar e alzando il braccio in segno di attesa.
Poi guardò la ragazza e lei si sentì a disagio. Abbassò testa e sguardo e fece un passo indietro.
“Davvero, non voglio disturbarvi.”
Ubbe si avvicinò a Helea come rapito e lei cercò una via di fuga andando a rifugiarsi nella penombra. Ubbe la seguì con un sorriso furbo. “Sei tu, vero?”
“Chi? Forse mi state scambiando per un’altra persona.” Helea indietreggiò e finì con le spalle alla scala.
“La ragazza del bosco.” Sussurrò il ragazzo stringendola verso la scala e avvicinando la mano sinistra verso il suo profilo destro e le sciolse una ciocca. Helea abbassò lo sguardo e voltò la testa mostrando il profilo sinistro.
“Hah” Ubbe sorrise contento.
Helea salì su un gradino e l’altro piede sul secondo. “Vi sbagliate.”
Ubbe la prese per i fianchi e la fece scendere dalla scala appoggiandola per terra al suo cospetto.
Helea fu presa alla sprovvista e appoggiò le mani sulle spalle del ragazzo e quando la mise con i piedi per terra lei lo allontanò e indietreggiò. Guardò Reidar e alzò il passo verso l’ingresso.
“Aspetta.” Helea gli diede le spalle uscendo dal fienile. Ubbe le corse dietro prendendole la mano sinistra e fermandola.
“Ah!” Helea si fermò e si prese la spalla dolorante dallo strattone. Ubbe le guardò il braccio con occhi sbarrati e la guardò negli occhi cerulei “Ti ho trovata” sorrise trionfale.
“Non so di cosa stiate parlando.”
“Se non lo sapete perché state cercando di fuggire da me?”
“Perché… mi state importunando.”
Ubbe ridacchiò e annuì. Tenendola per il braccio si girò verso Reidar che si stava godendo lo spettacolo con un sorriso sarcastico, il piede incrociato all’altro con la punta al suolo e il tallone alzato, il gomito sull’asta del forcone e l’altra mano sul fianco.
“È lei.” Disse all’amico.
“Chi?” domandò Reidar divertito.
“La donna di cui ti parlavo. La ragazza del bosco e delle castagne. Ricordi? Quella che si è fatta male al braccio.” Ubbe guardò la ragazza e poi l’amico. “Un momento. Voi vi conoscete?”
Reidar allargò le labbra per inspirare aria a denti stretti e alzò un sopracciglio.
“Come vi ho detto, mi avete scambiata per qualcun’altra.”
Ubbe la guardò e scosse la testa. “Ricordo il vostro volto e vi stavo cercando.” Poi guardò Reidar. “E tu la conoscevi e non mi hai detto nulla?”
“Non sapevo ti riferissi a lei! Dalla tua misera descrizione sai a quante persone poteva corrispondere?”
“Misera?” Ripeté scioccato.
“Sì. Mi hai solo detto bellissima, capelli neri e occhi azzurri. Come potevo immaginare che parlassi di mia sorella?!”
“Reidar!” Urlò contrariata la ragazza.
“Avanti, è inutile che continui con questa falsa, ti ha scoperto. Non continuare a insistere.”
Helea lo stava fulminando gli occhi e si liberò dalla presa di Ubbe.
“Grazie tante. Fratello.” Rispose pesantemente.
“Sorella? Fratello?” Ubbe sbarrò gli occhi e li guardò in alternanza.
Reidar annuì appoggiato al forcone e lei si massaggiò il braccio.
“La mistura che avevo visto l’altra volta… non era per il cavallo vero? O sì?”
Reidar alzò le spalle. “Che importanza ha. Vi siete ritrovati. Un applauso a entrambi e a mia sorella che si è fatta scoprire.” Applaudì sarcasticamente e rise.
“Non mi sono fatta scoprire. È colpa tua.”
“Mia?” sbuffò divertito.
“Sì.” Helea si aggiustò i capelli.
Ubbe rise al bisticcio tra fratelli. “L’importante è che ho trovato la persona che stavo cercando” si aggiunse allargando le braccia tra Reidar e Helea come se volesse dividerli dallo scontro.
Appena si calmarono Ubbe si girò dando le spalle all’amico e guardò la ragazza.
“Nel bosco non ci siamo presentati. Io sono Ubbe.”
“Sì, lo so. Io… passerò più tardi.” Sogghignò e fece un passo indietro.
“Se non vuoi dirmi il tuo nome… posso chiedere a tuo fratello.” Rispose scaltro e adocchiò l’amico.
Reidar ridacchiò. “Non mettermi in mezzo. Non negli affari che non mi riguardano, hai capito Ubbe?”
Helea rise con braccia conserte. “Se te lo dirà lui, a confronto l’Hell sarà un viaggio di piacere.”
“Sentito? Non mettermi in mezzo.” Ribadì.
“Allora ditemi il vostro nome.”
Helea non sapeva se cedere e lo fece rosicare un po’ mentre pensava e lo guardava ansioso. “Se non fosse stato per una mia distrazione a quest’ora mi stareste ancora cercando.”
“Mi fa piacere che almeno affermiate che siete voi la ragazza che stavo cercando.” Si mise con braccia conserte e con postura fiera. “Vengo qui spesso per aiutare un amico…”
“che in questo momento non sta ricevendo nessun aiuto e sta lavorando da solo” intervenì Reidar.
Ubbe rise e alzò gli occhi al cielo “…e forse vi avrei riconosciuta anche senza una vostra distrazione.” Sorrise guardandola negli occhi.
Helea si morse le labbra e socchiuse gli occhi guardandolo.
Lui alzò le sopracciglia e aspettò una sua risposta.
“A patto che non lo diciate ai vostri fratelli. Lo promettete?”
Il sorriso di Ubbe si fece più largo e vittorioso e annuì. “Ci sto.”
Helea guardò il fratello alle spalle di Ubbe che stava sospirando e raccogliendo il fieno. “Quanto la fate lunga” Borbottò.
Guardò Ubbe e gli rispose sorridendo “Helea.”
Il viso di Ubbe si illuminò e alzò testa e occhi per un momento, come se ricevette una buona notizia dopo tanto tempo.
“Avete promesso. Non dite il mio nome ai vostri fratelli e nemmeno dove vivo.”
Ubbe sorrise furbo. “Lo terrò presente. Helea.” Ubbe si riempì la bocca con il suo nome e ridacchiò contento.
“Ormai non devi più fingere con me.” Le sussurrò carezzandole la guancia e il pollice sulle labbra rosee.
Helea spostò il braccio con dolcezza dal suo viso. “E chi fingeva.” Sussurrò.
“Ora che vi siete presentati, a modo vostro, puoi tornare a occuparti degli animali con me? O chiedo troppo al principe Ubbe?” lo schernì.
Ubbe si rivolse all’amico “Va bene. Arrivo.” Poi vide Helea uscire dal fienile dando loro un’ultima occhiata e tornandosene a casa dove Heladis e la madre la aspettavano.
Helea riprese il mantello lasciato fuori dalla porta e una volta entrata, Heladis protestò per i suoi capelli malconci.
“Scusa Heladis. L’ho disfatta perché mi serve un’altra acconciatura.”
Heladis rimase in silenzio “Oh.” Sorrise ben volentieri ad aiutare la sorella.
 
Ubbe aiutò Reidar con il sorriso sulle labbra e nessuno glielo poteva togliere, ma all’amico dava fastidio.
“La smetti di sorridere?”
“Come? Non sei felice che il tuo amico ha trovato la persona che cercava?” Gli diede una pacca sulla schiena.
“Stai sempre parlando di mia sorella. Cosa ti fa credere che te la lascerò prendere?”
“Non lo so. Forse perché sono il principe?” scherzò, ma non molto.
“Hah! Esci fuori la storia del principe solo quando ti fa comodo.”
Ubbe rise. “Direi che è indipendente ed è una donna libera. Dovrebbe essere lei a scegliere con chi stare. Non il fratello.” Marcò le ultime parole.
“Il fratello in questione è preoccupato perché l’amico che vuole fare la corte alla sorella, dovrebbe essere più interessato a un’altra persona, anche se schiava. O hai cambiato idea?”
“Finché rimane schiava posso averla quando voglio e quando vuole. Voglio solo capire se tua sorella fa per me.”
“Attento a come parli. Non ti permetterò di ferire i suoi sentimenti.”
“Non ne ho intenzione. E poi non dovresti essere più contento, che è un tuo amico a desiderarla?”
“Seh. È proprio questo che mi turba, amico. Mia sorella è diventata più complicata e non credo ti possa piacere.”
“Perché?”
“Perché…” Cercò di non ferirlo, senza mettere di mezzo la vita benestante che viveva dove poteva avere tutto solo per la prestigiosità del suo nome e a causa di questo preferiva cose più facili da reperire. Come ad esempio una serva. “…sei una persona semplice con gusti semplici.”
Ubbe lo guardò e rise allargando le braccia. “Sono solo contento. Mi chiedo se i miei fratelli l’hanno già incontrata.”
“Non credo. Sei solo stato fortunato. Ultimamente è stata abbastanza attenta a non incrociare le vostre strade e come ha fatto non lo so. Evitare quattro persone contemporaneamente penso sia una fatica. Sprecata ma pur sempre una fatica.”
“Perché ci evita?”
“Non devi chiederlo a me.” Reidar si morse il labbro. “Ma ora basta dare fiato alla bocca e aiutami a prendere i secchi d’acqua.”
“Agli ordini.” Ubbe lo seguì con i secchi vuoti e li andarono a riempire.
 
 
 
Arrivata l’ora di cena, nella Great Hall i fratelli Lothbrok stavano parlando del discorso della madre, cui voleva vedere i suoi figli sistemati e Ubbe in teoria già sposato.
Aslaug fu chiamata da un vichingo per una urgenza lasciando i figli cenare da soli, ma almeno lei aveva già mangiato e dovette lasciare la stanza suo malgrado.
“A proposito di donne, credo vi farà piacere sapere che ho visto la donna incontrata nel bosco.” Iniziò Ivar prendendo la coppa e bevendo.
“Davvero?” chiese Hvisterk incredulo.
Ivar annuì soddisfatto e rimise la coppa sulla tavola “Qui. A Kattegat.”
Ubbe sorrise divertito e Hvisterk era emozionato.
“Ubbe. Cosa c’è di tanto divertente?” domandò il fratello più piccolo.
“Pensavo non fossi interessato a lei.” Ubbe guardò Ivar facendo volteggiare la birra nella coppa prima di bere.
“E infatti non lo sono. Ma a quanto pare due di voi lo sono.”
“A me non interessa. L’ho detto e lo ripeto.” Intervenì Sigurd.
“Allora? Le hai chiesto il nome?” domandò Hvisterk a Ivar.
Lui alzò il labbro inferiore. “Mnn no.”
“Perché?” chiese Hvisterk.
“Perché… potresti chiederglielo tu quando la vedrai. Pensavo fosse una buona notizia sapere che si trova qui. In questo villaggio.” Ivar prese la coscia di pollo dal piatto e lo spolpò mangiandone la carne.
Ubbe rimase in silenzio ma con il sorriso stampato sulle labbra mentre mangiava.
“Come mai così felice? Sai qualcosa che non sappiamo?” domandò Sigurd mentre si pulì la bocca.
“È probabile.” Rispose il fratello.
“Non tenerci sulle spine, avanti racconta!” Hvisterk gli diede qualche pacca sul braccio avendolo di fianco. “Dai! Non farti supplicare!”
Ubbe rise. “E va bene. Confermo ciò che ha visto Ivar. La ragazza l’ho vista anche io. Oggi.” Ubbe guardò il fratello più piccolo. “E a differenza di Ivar, le ho chiesto il nome.”
“Cooosa??!” rise Hvisterk incredulo mentre si batteva le mani sempre più contento.
Ubbe rise mentre sfogliava la coscia di pollo con le dita, mise un pezzo in bocca e masticò.
“Come puoi dire una cosa del genere e non raccontarci nulla. Dai racconta! Come si chiama?” chiese Hviisterk con il cuore a mille.
“Non posso dirvelo.” Disse tra i denti e bevve ancora altra birra.
“Come sarebbe a dire? Mica te l’ha impedito.” Hvisterk lo guardò in attesa.
Ubbe rise “E invece sì. Mi ha fatto promettere di non dirvelo e quindi non ve lo dico.”
“Allora vuol dire che non lo sai.” Disse Ivar infastidito.
Ubbe lo guardò. “Sai Ivar, io mantengo le promesse che faccio e mi ha chiesto di non dirlo.”
“Ma non puoi dircelo così tenendoci sulle spine e poi fare finta di nulla. Non è corretto!” Disse Hvisterk esasperato e impaziente spingendo il fratello. Ubbe lo guardò con un leggero sorriso.
“Ho detto di no. Non se ne parla.”
“Allora dicci dove vive, così potrò chiederglielo di persona.” Propose il fratello.
“Già Ubbe. Dicci dove vive se non ti ha impedito anche questo.” Evidenziò Ivar mentre si puliva i denti con la lingua.
“In realtà lo ha fatto.” Rispose Ubbe ridendo.
Ivar alzò gli occhi al cielo, aspettandoselo.
“Come sarebbe a dire? Inizio a pensare che Ivar abbia ragione.” Protestò Hvisterk.
“Come? Dubiti delle mie parole?” chiese Ubbe stizzito.
“Già.”
“Inizio a pensarlo anche io.” Rispose Sigurd.
Ivar guardò Sigurd sorpreso.
“Che c’è? È vero. Per quanto possa essere strano, concordo con lo storpio.” Ghignò.
Ivar abbassò le sopracciglia e gli angoli della bocca.
“Sapete che c’è. Ora basta.” Ubbe lasciò cadere la coscia nel piatto e si pulì le mani. “Se non mi credete peggio per voi. L’importante è che lo sappia io.”
“Ma non conta lo stesso. Diccelo e noi non glielo diremo. Non siamo così stupidi” Ivar appoggiò i gomiti sul tavolo e guardò i fratelli “O almeno… parlo per me.” Ridacchiò.
I fratelli lo guardarono con un sopracciglio alzato e un angolo della bocca tirato.
“Che ne dici? Come soluzione può andare?”
Ubbe guardò Hvisterk ed era così speranzoso e ansioso. Non poteva dirgli di no. Era come dire di no a un cucciolo. “D’accordo. Solo il nome.”
“Sì!” Hvisterk chiuse un pugno e lo agitò vittorioso.
Ubbe guardò i fratelli e poi alzò la testa assicurandosi non ci fosse nessuno. Poi si abbassò tra i fratelli raccolti e disse “Si chiama Helea.”
Hvisterk sorrise e ripeteva il nome più volte mentalmente con aria entusiasta.
“E sapresti mantenere i segreti.” Incalzò Ivar sorseggiando della birra.
“Non puoi dirci dove abita?” chiese Hvisterk.
“Sì, già che ci sei. Dicci tutto.” Ivar si mise comodo con la schiena alla sedia.
“No. No. Mi dispiace ma no. Rivelandovi il nome ho già infranto una promessa per dimostrarvi che ho ragione.”
“E chi lo dice? Magari te lo sei inventato mentre aspettavi di dircelo. Come hai detto hai già infranto la promessa, diccelo e lo scopriremo da noi se è la verità.” Disse subdolo.
“È la verità.” Ubbe guardò il fratello minore con serietà. “E non ve lo dirò. Vi basta sapere il nome e avete promesso di non saperlo.” Li guardò uno a uno.
“Va bene. Cambiando discorso, Ubbe dove sei stato oggi? Nostra madre ti stava cercando.” Ivar sorrise mefistofelico.
“Sono stato impegnato…” Ubbe si bloccò e fissò il fratello “Ci hai provato Ivar. Ma non te lo dico.”
Ivar alzò le spalle e le dita che carezzavano il mento, con il gomito appoggiato al bracciolo della sedia.
Sigurd guardò Hvisterk, sorpresi dell’astuzia del fratello minore.
Ivar sospirò. “Bene. A quanto pare nostra madre non tornerà, io ho finito. Me ne vado.”
Si alzarono anche gli altri fratelli quando finirono di mangiare e andarono via per fatti loro mentre i servi sparecchiavano e pulivano.
 
 
 
Il mattino seguente Helea stava facendo colazione con la sua famiglia, tutti in silenzio a tavola tranne la madre che mangiava seduta nel letto.
Helea si alzò per prendere dell’altro latte allungato con acqua da bere assieme al pane e alla zuppa d’avena.
All’improvviso sentirono bussare alla porta e si aprì lentamente con una voce maschile che chiese “C’è spazio per me?”
Iselin si portò una mano al volto trattenendo le lacrime ma non ci riuscì. Era troppo incredula della comparsa di suo figlio maggiore e commossa di avere tutta la famiglia riunita sotto lo stesso tetto.
Helea sorrise e appoggiò la brocca con il latte sul tavolo e andò ad abbracciare Thorodin.
Lui la strinse a sé mentre le gli disse “Mi sei mancato! Mi hai fatto aspettare troppo.” Sciolse l’abbraccio.
Thorodin sorrise alla sorella e guardò Reidar indifferente mentre mangiava del pane e il padre seduto a guardare la scena con un lieve sorriso. Helorn ed Heladis erano andati a prendere il fratello per mano e a tirarlo dentro.
Thorodin era sorpreso e li guardò carezzando loro la testa con le sue mani forti, grandi e callose.
Helea chiuse la porta alle sue spalle e il fratello maggiore lasciò cadere il suo sacco per terra in un angolo.
“Piano ragazzi. Ho capito che siete contenti.” Thorodin prese loro le mani e li alzò da terra senza tanta fatica. Heladis e Helorn risero per il trasporto e li mise giù vicino la finestra.
Loro tornarono a tavola mentre Thorodin si girò verso il tavolo. Fece un cenno con la testa verso il padre e diede una pacca sulla schiena al fratello che stava bevendo.
“Tu non mi saluti?”
Reidar tossì e si pulì la camicia dal latte schizzato. “Pensavo non tornassi più.” Disse freddo. “Forse era meglio.” Aggiunse lanciandogli un’occhiata prima di bere di nuovo.
Thorodin trattenne il fiato e annuì più volte capendo la situazione.
“Thorodin.” La voce della madre lo fece girare.
“Madre. Come state?” si avvicinò al suo letto e si inginocchiò nonostante la pelliccia pesante che portava addosso.
“Sono felice di vedervi tutti qui.” Diede un’occhiata a Helea e lui seguì il suo sguardo sorridendo alla sorella.
Lei ricambiò e fece spazio sulla tavola, cedendogli il suo posto.
“Vieni, avrai fame.” Lo invitò Helea con dell’altro pane e una zuppa pronta da essere servita.
Thorodin diede un dolce bacio sulla guancia della madre e le sorrise mentre la madre carezzò con il pollice la cicatrice che aveva sull’occhio destro e gli spostò i capelli lunghi e biondi dal viso.
“Sei diventato un uomo, figlio mio.”
Lui sorrise e solleticò la mano della madre con la barba dandole un bacio sul dorso. “Grazie madre.”
Thorodin si alzò e si sedette a tavola sentendo la tensione che si respirava. Provò a sciogliere il ghiaccio. “Vedo che ci sono delle novità, qualcuno vuole raccontarmele?” guardò il fratello che aveva di fronte ma Reidar non alzò lo sguardo dalla sua ciotola e finì la zuppa.
“Nessuno?” chiese ancora.
“Noi non ci ricordiamo di te, ma si vede che sei nostro fratello.” Disse Heladis.
Lui sorrise “Sapete, non siete gli unici a non ricordare, a volte anche io dimentico. Mi ricordate i vostri nomi?”
“Heladis. Lui è Helorn.”
“Heladis, Helorn e…” guardò la sorella “Helea.”
“Bravo. L’hai capito tutto da solo? Dovrebbe essere facile da ricordare.” Lo stuzzicò Reidar alzandosi dalla tavola prendendo la sua ciotola e il suo bicchiere spostandoli sul piano della cucina.
Thorodin sorrise ironico e mangiò la sua zuppa.
“Io torno nel fienile. Helea, mi dai una mano?” chiese Reidar.
“Certo.” Disse cercando di capire perché fosse così freddo. Reidar la trascinò fuori e andarono nel fienile.
“Ho del lavoro da fare.” Disse Eskill guardando i suoi figli, alzandosi dalla panca. “Helorn, vuoi aiutarmi?”
Helorn era incredulo e annuì contento seguendo il padre.
Eskill si girò verso Thorodin con la mano sul bordo della porta. “Tua madre ha ragione. Sei diventato un uomo.” Chiuse la porta e andò nell’officina.
Thorodin guardò la madre incredulo alle parole del padre. “Non sembra contento o fiero.”
La madre gli sorrise dolcemente. “Heladis, puoi andare ad aiutare uno dei tuoi fratelli?”
“Cosa devo fare?” chiese la bambina.
“Chiedilo a loro.”
La bambina uscì di casa e la madre spiegò gli avvenimenti a Thorodin.
Heladis andò a importunare Helorn e nel frattempo guardava curiosa e in lontananza il lavoro del padre che prese vita.
“Mi vuoi dire cosa ti è preso?” domandò Helea a Reidar.
“Non intrometterti. Thorodin lo sa.”
“E io non ho diritto di saperlo?”
“No.”
“Perché?”
“Cose tra uomini.” Sospirò stufo e iniziò a curarsi degli animali.
Bussarono all’asse dell’ingresso. “Si può?”
Reidar e Helea si girarono e il fratello sbuffò.
“Cosa succede?”
“È di cattivo umore”
“Perché?”
“Non lo so di preciso, dice che è cose una cosa tra uomini” Lo apostrofò.
“Magari a me può dirlo.”
Reidar infilzò il forcone nel fienile e guardò Ubbe.
“Vi siete messi d’accordo?”
“No.” Risposero all’unisono. Ubbe e Helea si guardarono a vicenda.
“Tsk. Non si direbbe.” Riprese il suo lavoro.
“Sembra che la visita di Thorodin non sia gradita a mio fratello.”
“Thorodin è tornato? Bjorn ne sarà felice.” Ubbe sorrise.
“Ma tu non eri occupato a fare qualcosa di importante?” chiese Reidar a Ubbe.
“No. Mio padre sta corrompendo le persone perché possano navigare con lui in Inghilterra. Volevo un altro posto dove poter non pensarci.” Ubbe sorrise a Helea.
“Buon divertimento allora. Reidar sei in buone mani, io esco.”
“Dove vai?” chiese il fratello girandosi verso di lei.
“A sistemarmi il braccio. Oh, Floki vorrebbe vederti per un ripasso in arti mediche.”
“Perché?” chiese andando vicino alla sorella prendendole il braccio.
Helea lo guardò “Che vuoi fare?”
“Controllarti la spalla.”
Helea abbassò la manica mostrandogli la spalla ancora violacea.
Ubbe sbirciò. “Sì. Quella caduta non ci voleva.” Ironizzò.
Helea spostò lo sguardo su Ubbe e ghignò infastidita. “Già. Non me lo dire.”
Reidar le sollevò il lembo della veste e le coprì la spalla. “Non mi sembra che ti stia dando fastidio. Anzi, sembra proprio che stia passando.”
“Fatto sta che Floki ha detto di fargli visita.” Helea e Reidar si scambiarono occhiate.
“Siete molto uniti a Floki e Helga?” chiese Ubbe.
Helea lo guardò e annuì “Da quando ero piccola giocavo con Angrboda e passavo del tempo con loro quando mia madre andava da Helga. Da loro ho imparato qualcosa sulle guarigioni, ma non ho avuto molto tempo perché poi sono andata via. Ora voglio recuperare e imparare. Per questo ora vado da loro, non si finisce mai di essere stupiti.” Fece qualche passo indietro e li salutò facendo un occhiolino svanendo dietro la porta del fienile.
Ubbe sogghignò. “È sempre così tua sorella?”
“Così come?” Reidar gli passò un rastrello.
Ubbe lo prese tra le mani “Così… non so… con la voglia di imparare.”
“È stata lontana di casa per almeno dieci anni per poter imparare ad essere una vichinga. Tu cosa dici?”
Ubbe ridacchiò e si mise ad aiutare l’amico rastrellando la paglia.
 
Helea arrivò da Floki e lui finì di inchiodare un’asse per il drakkar di Bjorn.
“Ma guarda chi si rivedere.” Disse Floki ridacchiando sotto i baffi.
“Hai detto che mi sistemavi la spalla. Hai del tempo per me o devo tornare un altro giorno?”
“Il tempo per sistemarti la spalla lo trovo.”
Helea si avvicinò a Floki e guardava dentro la barca. “Sempre di ottima fattura. Non hai perso il tuo tocco.”
“Certo che no. Gli dèi mi assistono come assistono te.”
Helea spostò gli occhi di lato “E così Helga te l’ha detto.”
“E non mi aspettavo riuscisse a tenermelo nascosto per così tanto tempo.”
“Non avendomi sott’occhio non doveva pensarci, non credi?” lo guardò sfoggiando un furbo sorriso.
Floki ridacchiò. “Giusta osservazione.”
Helga uscì dalla loro capanna e salutò Helea invitandola a entrare dentro per medicarle la spalla.
Helea accettò e la seguì. “Ti aspetto dentro Floki.” Disse prima di entrare e fare compagnia a Helga.
Dopo qualche minuto entrò Floki con qualche erba e iniziò a preparare una mistura per la spalla e un rimedio da bere proveniente dalla mistura che stava pestando nel mortaio.
“Ecco. Nel frattempo bevi questo.” Disse Floki porgendole un bicchiere.
Lei lo afferrò e lo avvicinò alla bocca. Quando ne sentì l’odore lo allontanò con una smorfia e poi si fece coraggio bevendolo tutto disgustata.
“Hai acquisito coraggio in questi anni. Tempo fa non lo avresti fatto.” Rise Floki compiaciuto.
“E non hai visto ancora nulla.” Rispose Helea abbassandosi slacciandosi da dietro la schiena il vestito azzurro e mostrandogli la spalla.
Floki la unse fino alla mano e parte della schiena, compresa la spalla, per poi aggiungere delle bende per coprirla. “Ecco. Prendi questa runa. Ti aiuterà nella guarigione.”
Helea si rivestì e prese la runa appoggiandola sul braccio. “Ho tante altre domande da farti sui rimedi per la guarigione.”
“Sarò felice di insegnarti, quando Helga avrà finito con te.”
“Helga?”
“Sì. Anche Helga sa come curare. Io posso dirti quali rune aiutano la guarigione.”
“Oh Floki, tu puoi dire di più…”
“Quello che so l’ho insegnato a Helga. Anche lei può esserti da maestra. E poi ho una barca da finire.”
“Come vuoi. Mi sta bene anche Helga.”
“Ottimo. Allora vi lascio sole. Io vado a continuare il mio lavoro.”
E fu così che tornò a lavorare sui drakkar per il Mediterraneo e Helga le insegnò le basi dei rimedi.
Passò talmente tanto tempo con loro che non si rese conto del tempo passato. Ormai fu notte e nel buio tornò a casa, dove nel fienile il fratello maggiore si era impadronito del suo giaciglio in paglia.
Helea lo scavalcò e si appoggiò nel suo letto, contenta della giornata passata.
Thorodin però non stava dormendo e guardò verso la direzione della sorella nonostante il buio e la poca luce che filtrava tra le assi.
“Helea…” la chiamò a bassa voce.
“Uhm…? Thorodin? Sei sveglio?”
“Sì. Non riesco a dormire.”
“Anche io. O meglio… spero di non fare sogni…”
“Quali sogni?”
“Incubi. Ma niente di cui preoccuparti. Volevi dirmi qualcosa?”
“Da quando sono arrivato, Reidar e nostro padre non sono molto felici di vedermi. E sono tornato solo per poter partire di nuovo con Bjorn.”
“Perché me lo aspettavo? Comunque non preoccuparti. Saranno stati solo sorpresi di vederti. Ti ambienterai ai cambiamenti. Non sono poi così male.”
“E ti sei adattata?”
“Non ancora. Sono tornata da qualche giorno a Kattegat.”
Calò il silenzio per un attimo.
“E com’è andata da quando me ne sono andato?”
“Direi bene, se sono qui ora. Siete stati validi maestri.”
Thorodin sorrise nel sentirselo dire. “E quella… promessa?”
“Quale promessa?” chiese Helea guardando verso il fratello.
Thorodin allungò lo sguardo verso di lei. “Quella promessa che ci siamo fatti. Ricordi? Hai trovato qualcuno per farlo?”
Helea rimase in silenzio per un attimo capendo il discorso.
“No. Non c’era nessuno che mi interessasse e non avevo certo tempo per pensieri o interessi di quel genere.”
“Allora domani? Domani consumiamo la promessa. Sei d’accordo?”
“C-che cosa? Domani?” chiese con il cuore in gola.
“Sì. Sempre meglio prima che parto con Bjorn, non credi?”
“Ci devo pensare. Buonanotte Thorodin.”
“Come vuoi. Buonanotte sorellina.”
Si misero entrambi comodi nei loro letti ed era certo che dopo quella richiesta, Helea fece fatica ad addormentarsi nonostante il sonno.
   
 
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