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Autore: _Maeve_    28/04/2018    1 recensioni
In Morte del Tragico è tutto quello che il suo titolo lascia presagire (forse): un disperato appello al blocco non dello scrittore ma della scrittura, a un feedback sociale della Letteratura che scarseggia (anche se solo en passant) e del classico che, forse, per darwiniane e ovvie ragioni, si auto-induce a fenomeno da baraccone; ma precipuamente, a dispetto di questa elencazione tanto altisonante, è una personalissima lotta fra poesia passata, poesia presente e poesia futura, in cui ogni emozione-tematica (e verso) si annulla in uno scenario di colpevole accidia e colpevole tragicità.
La poesia alle tre del pomeriggio s'estenua estemporanea
sporadica, sudando lo sfondo grigio di un word processor da poveraccia
Genere: Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In Morte del Tragico



La poesia alle tre del pomeriggio s'estenua estemporanea
sporadica, sudando lo sfondo grigio di un word processor da poveraccia;
è rotta, crépita come il vetro che implode rococò e inservibile
nel fine retrobottega di un rigattiere.
Passa un fineaprile deambulante e torrido scatarrando il prezzo delle sue fragole,
e mi urta i nervi tanto da slanciarmi al balcone e urlargli: “Non lo vede lei, l'Ade?!”
-Tersìcore frattanto, sta in un angolo a fare la calzetta e a piangere.
S'è ridotto, il tutto, a bizzarri spropositi personaggeschi e psicolabili
come la sottoscritta che gronda ansie tutte moderne pur in presenza del decaffeinato,
e la intrigherebbe – Mio Dio, come suona risorgimentale e stonato! - , e mi intrigherebbe
una versificazione plop-stomp gorgheggiante come una moka odorosa di vero caffè,
nelverdedellaprimamattinasullegnodeltoptraleimpostetracuiscivolalalucecoloruovo...
peccato, dannato Petrarca!, alla pigrizia, al genio creativo andato a male
per cui converrebbe, giacché, esporsi ai freddi austeri e livorosi delle sapute montagne
impalarmici lì come a un asse e invitarle a torturarmi, proviamo:
le calze, ad esempio, sbriciolate all'altezza delle ginocchia mentre a me inghiottiva la notte
per risputarmi sotto al fioco lampione – riemergevo da un buco nero come una limbica divinità etrusca
e martirialmente [Sei arrivata a casa, sì?]  mi sentivo gloriata dello status di una matrona,
eppure, eppure! La Letteratura (il word processor non mi risparmia nemmeno le maiuscole) questo esige.
Oh adesso, adesso! Sono qui che mi lagno, jeuvenil e proverbialmente male
dico sempre le stesse cose, divora i miei incubi il fantasma di un mai esistito pan di spagna
e poi certo, ci butto fantasie che mi permetto,  distraibili e estraibili dal the della pausa,
quando questa produttività soverchiante direzione nulla mi trancia di netto ogni anelito, e io mi ci sento
proprio D'Annunzio.
Suvvia, Tersìcore, alzati! O finirai a far ridere su youtube
come una di quelle vecchine da centro storico;
tanto io sarò qui a compiangere la morte dei sinonimi e l'appassimento dell'Elicona
innaffiato dal diserbante, con formula chimica Non vuoi più me, ma l'altre! E oh, se sbagliavo,
sbagliavo, è proprio una bella commedia,
da far scompisciare tutte le camomille e tutte le quattro e mezza del pomeriggio
quando la provo; è una stanca poesia nevrotica dimentica di sé stessa a saltelli
che par andar dicendo all'anima: era meglio se dormivi.






Note: vedi intro




   
 
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