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Autore: emy07    03/07/2009    0 recensioni
Una oneshot che mi è uscita di getto, più lunga di 4000 parole di quanto fosse nelle mie intenzioni.
Jake/Cassie, ma più di questo. Fanfiction drammatica, sentimentale, che tratta la fine della vita di un amico comunue...
Genere: Triste, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cassie, Jake, Marco
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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THE END OF A LIFE




Mi guardai attorno, scandagliando la folla. I miei occhi dapprima non la videro; rimasi sorpreso costatando quanto tempo avevo impiegato per accorgermi di lei, anche se in mia difesa devo dire che lei non si era molto impegnata per farsi riconoscere. Non era cresciuta molto, ma stava indossando dei tacchi che la facevano sembrare più alta. Si era fatta crescere i capelli, inoltre; adesso aveva una massa di morbidi ricci neri che germogliavano da tutte le direzioni. Sembrava una donna d’affari, sebbene io sapessi non fosse così. Portava una gonna e blazer blu della marina su una semplice camicia grigio pallido, teneva accanto a lei un trolley e il suo bagaglio a mano era gettato dietro la sua spalla. Lei mosse la testa; anche lei stava cercando qualcuno. Era in piedi, non seduta su una delle molte sedie blu di plastica, là per un solo scopo. Stva aspettando qualcuno. Aspettando me.
Mi avvicinai lentamente a lei, e posai una mano sulla sua spalla. Lei si girò lentamente, quasi sapesse già chi c’era dietro di lei, fatto insolito dato che indubbiamente non c’era una sola persona nel locale che non avrebbe voluto incontrarla, sebbene dovessi ammettere che pochi di loro avrebbero osato avvicinarsi. Rimanemmo là per un’eternità, ognuno sqaudrando l’altro.
Rimasi ancora sorpreso da quanto lei fosse cambiata dall’ultima volta in cui la avvo incontrata di persona. I ricci andavano da tutte le parti, coprendole parte del viso. Sebbene io l’avessi raramente vista truccata, adesso lo era. Credo che molto di tutto ciò fosse per coprire i pianti che in cui si era recentemente lasciata andare. E aveva fatto un buon lavoro. Appariva esattamente, penso, come voleva apparire. Non spiccava fra la folla, sempre una buona cosa a causa della nostra popolarità, sembrava semplicemente una donna d’affari, efficiente, ordinata, una buona facciata che faceva sì che la maggior parte delle persone non si accorgesse della desolazione nascosta nei suoi occhi. Ero stupefatto da quanto sembrassimo due estranei, da quanto lei somigliasse a me, e da quanto probabilmente io dovevo somigliare a lei.
Immaginai che a occhi esterni non sembrassimo avere molto in comune, se qualcuno mai si fosse curato di noi, e io non apparivo come qualcuno che avrebbe potuto incontrare una donna d’affari in un aereoporto. Ero presentabile, ma non molto. Anche con tutto quello per cui mi ero pentito e a cui avevo pensato quotidianamente, i giorni precedenti all’incontro erano stati i primi nei quali avevo versato lacrime. Avevo versato lacrima per molto tempo, e non avevo fatto alcun tentativo per nasconderlo. Sapevo di sembrare selvaggio, il prodotto di un sonno estremamente ridotto. Mi ero fatto la barba quella mattina, ma era solo un minimo miglioramento e lo sapevo. Indossavo jeans, una maglietta a maniche lunghe sotto una consunta giacca di velluto marrone a coste. Anch’io avevo un trolley accanto a me, la mia borsa posata sopra di esso. Finalmente, parlai.
<< Ciao Cassie. >>
Rimasi sopreso da quanto velocemente mi ritrovai avvolto a lei, entrambe le sue braccia avvolte strette attorno al mio collo, la sua testa posata sulla mia spalla come se io fossi il salvagente che la teneva a galla nell’oceano. Volevo così tanto che rimanessimo così a lungo, mi faceva sentire così bene. Come poteva essere che nonostante ogni cosa stesse andando male, mi sentivo così bene? Era sbagliato. Mi allontanai.
Cassie si fissò i piedi, la vidi deglutire, lisciarsi la camicetta, tentando di ricomporsi. Notai che stava lottando per ricacciare indietro le lacrime. Alla fine, lei alzò lo sguardo verso di me.
<< Ciao Jake. >> ansioso all’idea di tornare al nostro goffo silenzio, sentii il bisgno di parlare.
<< Dobbiamo sembrare parecchio strani, di solito le persone non si scambiano saluti del genere nella zona delle partenze. >> queste parole mi fecero guadagnare un suo piccolo sorriso, ma potevo vedere che non veniva dal cuore.
<< Mi ricordi Marco, scherzando riguardo a tutto quando le cose si mettono male. >> potei vedere le lacrime riempire ancora i suoi occhi, e potei sentirle fluire anche dai miei. Rimanemmo in silenzio per un istante, poi parlai.
<< Dovremmo andare. >> Cassie si limitò ad annuire, ancora lottando per trattenere le lacrime.
Salimmo sull’aereo senza problemi, accetto gli improvvisi sguardi quando le persone capivano chi eravamo e gli improvvisi spostamenti di sguardi quando le persone realizzavano che ci stavano fissando. L’umico piccolo intoppo fu passare nella sala d’attesa. C’erano television che trasmettevano diversi programmi da una moltitudine di nazioni, in una moltitudine di lingue, per la moltitudine di persone provenienti da nazionistraniere che passavano di lì ogni giorno. Su uno schermo apparve un volto che parve a entrambi troppo familiare. Ci fermammo e guardammo lo schermo con occhi tristi. Cassie parlò per prima.
<< Stanno parlando di…di… >> lei si fermò, incapace di finire. Rimasi in silenzio per un momento, ascoltando ciò che dicevano in trasmissione.
<< Sì. Stanno dando i dettagli…e dicendo…sai, cose tipo “il mondo ne sentirà la mancanza”. Sembrano frasi fatte. >> Cosa che mi faceva arrabbiare. Cassie mi guardò, sorpresa.
<< Tu parli…cos’è questo, spagnolo? >>
<< Portoghese. Sto studiando per laurearmi come interprete. >> dissi. Lei sembrò sorpresa.
Ci sedemmo l’uno accanto all’altra, duante il volo, entrambi persi nei proprio pensieri. Io stavo ricordando l’ultima volta che avevamo parlato prima di quel giorno, al telefono, parecchi giorni prima.
Il telefono aveva squillato per tutta la giornata, ma ad un trattao si era finalmente zittito per un po’. Quando suonò di nuovo, io ero ancora sdraiato sul mio letto, con nessuna intenzione di rispondere alla chiamata e limitandomi a fissare il telefono dall’altro capo della stanza. Quel telefono era l’unico intruso nella mia solitudine, mi impediva di stare tranquillo. Ma chiunque stesse chiamando era insistente, e io mi alzai con l’intenzione di disconnettere il telefono. Ma i miei occhi vennero catturati dal nome del chiamante prima ch potessi farlo. Il nome non appariva, doveva essere la prima volta che ricevevo chiamate da chiunque ci fosse dall’altro capo del telefono, ma poi vidi il numero. Rimasi confuso per un attimo, finchè realizzai che lei non mi aveva mai chiamato sul mio nuovo telefono fisso. Vivevo a new York da un paio d’anni. avevamo avuto qualche piccola conversazione, a volte io la chiamavo o lei chiamava me al cellulare. Cassie. Esitai, tentando di schiarirmi la gola. Alzai la cornetta.
Trovavo ancora difficile parlare, e lei finì per parlare per prima. << Jake? Ci sei? >> Mi servì un minuto, ma alla fine riuscii a sussurrare, con voce roca, << Sì. >>
E alla fine, dopo aver restistito fin da quando avevo avuto la notizia, crollai. Piansi. Singhiozzai. E potevo sentire Cassie tirrare su con il naso dall’altro capo del telefono. Sapevo che anche lei staa piangendo, benchè più silenziosamente di quanto facessi io. Rimanemmo così per molto tempo, ascoltando l’uno le larcime dell’altra. Finalmente mi ricomposi abbastanza da essere in grado di parlare.
<< Qualcuno, uhm, …qualcuno te lo ha raccontato o hai visto i giornali? >> o la televisione, o la radio, l’hai visto in quei giornali che urlavano la notizia in bianco e nero, quelli annunciatori che spiegavano tutti, attentamente composti, l’hai sentito da quelle anonime voci senza emozioni, l’hai visto, l’hai sentito? L’hai sentito dire con toni calmi e controllati, come gli annunci di borsa? Come le previsioni meteo? Come il nome della canzone del giorno? O qualcuno ti ha chiamato, o è venuto a trovarti, e te lo ha detto fra respiri affannosi, fra singhiozzi smorzati, fra soffiate di naso e pause e un selvaggio gesticolare, raccontato con colri e emozioni da una voce familiare?
<< Sì, uhm…Eva mi ha chiamato. Ero al lavoro… >> rispose. Il lavoro. Là c’erano amici per te, o solo colleghi? C’era solo un capo che ti ha detto di ricomporti, quando non avevi realizzato che stavi piangendo finchè qualcuno ti aveva chiesto quale fosse il problema? Sei tornato a casa? Hai detto ai tuoi colleghi perché te ne stavi andando, sei stato vago, sei stato particolareggiato? Hai mentito? O semplicementi te ne sei andato, ti sei alzato e hai camminato fuori, senza curarti di nulla, oltre il curarti di cosa ti accadeva intorno, oltre tutto ciò che non era andartene dal tuo lavoro quando il mondo si stava avviando verso la fine?
Lei aveva bisogno di sapere cos’avevo fatto. << Tu…tu eri fuori, o a casa, o ehm… >>
<< Ero...be’, proprio qui. >>
<< Oh. Da solo? >>
<< …Sì. >>
<< Quando hai intenzione…io non so nemmeno dove andare?>> l’ultima era una domanda, non diretta a me, solo chiesta in generale, come, come poteva non sapere dove?
<< Penso…penso che Eva abbia detto, uhm...di tornare a casa. >> era strano chiamare un luogo casa quando non vi ero stato per…mesi? Un anno? Di più? Questo non sapere provocò una nuova ondata di lacrime, ma questa volta furono silenziose. Ad un stratto, un pensiero mi colpì. Cassie aveva parlato del lavoro, il che era un termine estramamente impreciso nel suo caso. << Dove…dove sei adesso, esattamente? >>
<< In una qualche…uhm, suite pagata dal governo in Washington” “D.C.”, aggiunse quasi fosse una riflessione. Era in viaggio, non a casa. Quel piccolo fatto mi rattristò, il fatto che lei ora non aveva nessuno, che era sola proprio come lo ero io al momento.
<< Così, ehm, tu non hai nessuno lì con te. >>
<< No…tu? >>
<< No. >> ero a New York da due anni. Quella erala mia nuova possibilità, la mia nuova speranza, il mio piccolo sforzo per riniziare a vivere una qualche sembianza di vita di nuovo. C’erano i miei compagnio di classe, lo strano professore con cui andavo d’accordo, uscivo, e avevo vissuto per un po’. Ma dopo qualche tempo, avevo fatto la stessa cosa che avevo fatto in California. Nulla. Così non avevo nessuno.
<< Sai, dovremmo provare se, ehm, … se noi due possiamo…viaggiare…insieme. >> Sì, insieme sarebbe stato un bene.
<< Già. Be’, fammi vedere se riesco a trovare qualche volo... >> mi guardai intorno cercando il mio computer. Dove…Cassie interruppe i miei vaghi sforzi di trovare il mio pc.
Rimanemmo in silenzio per un po’. Lei aveva ancora il telefono in meno. Ascoltai il suo respiro. << Okay, ho capito. >> silenzio. << Non abbiamo una data. >> Una data. Giusto. Quello era importante.
<< Diciamo solo…tra qualche giorno? Il…uhm, il…quello potrebbe essere lungo da organizzare. >>
<< Già. >> ci fu altro silenzio per un po’. Poi Cassie aggiunse. << Ok. C’è un volo che parte qui e passa vicino a te. Lo prenderò…poi dovrò farò un cambio e prendere quello per Los Angeles…possiamo prendere quello entrambi…se noleggiamo una macchina…Se poi
quello sarà più tardi, o…o prima, possiamo cancellare la prenotazione e trovare un altro volo… >>
<< Sì. >>
Cassie aveva preso i biglietti. Le avevo detto il numero della mia carta di credito al telefono così che potesse mettere il mio sul conto. Lei mi aveva detto la data e l’ora. Aveva anche organizzato il oleggio della macchina. Ero rimasto stupefatto da quanto bene continuasse a lavorare date le…date le circostanze. Ci eravamo accordati di incontrarci nella zona delle Partenze all’aeroporto e prendere il volo per la California. Insieme. Eravamo rimasti a lungo al telefono. Traendo conforto dall’altro, qualcosa che pensavamo entrambi di aver perso.
Così, ora, eravamo là. Lontani l’uno dall’altra ancora, anche se così vicini. Le cose erano così semplici fra noi, qualche giorno prima. Perché eravamo così goffi di persona? La guardai. Stava guardando fuori dal finestrino. Si voltò, e vide il mio sguardo. Per una volta, nessuno di noi spostò lo sguardo. Misi la mia mano fra noi, aperta. Lei la prese. E così rimanemmo seduti, per un bel po’. Guardammo entrambi dritto davanti a noi, senza osservare nulla in particolare, solo tenendoci per mano.
Era tardi quando atterrammo a Los Angeles. Nessuno di noi aveva dormito in volo, e nessuno di noi era in condizione di guidare per utta la distanza fra qui e …casa. Scegliemmo il noleggio e ci fermammo in un motel non lontano dell’aeroporto. Prendemmo due stanze l’una accanto all’altra.ci sedemmo sul letto della mia camera e mangiammo cibo cinese. Parlammo un po’. Mangiammo meccanicamente, senza necessità e senza volerlo. Poi lei tornò nella sua stanza. Dormii poco, appena addorentato del tutto, per brevi periodi. Partimmo la mattina presto. Cassie guidò.
Sembrava diversa quella mattina, più come sembravo io il giorno precedente. Più come se stessa. Però mi colpì che i suoi abiti erano casual, anche se erano ancora i vestiti di una donna d’affari, e io realizzai che dato che stava tenendo una conferenza a Washington probabilmente aveva ben pochi vestiti che non fossero eleganti e ufficiali. Non riuscii a non commentare questo fatto.
<< Non hai molti… vestiti casual con te. >>
<< In realtà, no. In realtà, non ho molti vestiti in generale. Quando devi tenere riunioni e conferenze come minimo per otto ore al giorno, e nel prezzo che non hai dovuto affatto pagare tu per la tua suite è inclusa la lavanderia, non porti molto. >> Cassie mi guardò quando ci fermammo ad un semaforo. << E questo è quello che, infondo, ho fatto per anni, Jake. Impari a portare bagagli leggeri nel corso degli anni. Inoltre, è esattamente come una volta, quando il mio lavoro consisteva per la maggior parte nel fare escursioni. Un solo tipo di abito, appena il minimo. >> spostò di nuovo gli occhi sulla strada. Potei vedere una luminosa scintilla di nostalgia brillare nei suoi occhi
<< Ti manca tutto quello, vero? Il tuo vecchio lavoro, l’avventura… >> domandai. Lei mi guardò di nuovo; eravamo bloccati nel traffico adesso, ci muovevamo lentamente. << Fare escursioni . Preferiresti aver continuato a fare escursioni per lavoro piuttosto che fare quello che stai facendo ora. >> affermai. Cassie abbozzò un sorriso triste, poi sterzò con l’auto e entrò nell’autostrada.
¬¬<< Già. >>
Procedemmo in silenzio per un po’, parlando appena quando ci fermammo in un autogrill e prendemmo un caffe, quando tornammo in macchina, io mi misi dietro al volante. Era il turno di Cassie di iniziare la conversazione.
<< Così, una laurea come interpete? Non sembra esattamente una cosa da te. >> Finalmente, una domanda alla quale ero felice di rispondere.
<< Già, anche i miei genitori erano sorpresi, ma apparentemente ho un discreto dono per le lindue. E mi piace. >> Potei vedere quanto Cassie sembrasse sorpresa con la coda dell’occhio. Non la biasimavo; Era passato molto tempo dall’ultima volta che avevo fatto qualcosa che mi piaceva apertamente. << Abbiamo l’intero molto che si sta offrendo a noi, Cassie, dovevo trovare qualcosa che mi piacesse presto o tardi. In effetti, questo è il motivo per cui mi sono trasferito a New York; A New York c’è una delle migliori scuole della nazione di Lingue. >> Ora Cassie sembrava piacevolmente sorpresa.
<< Non sei messo così male come chiunque pensa tu sia, vero? >> le sorrisi in risposta, il mio primo sorriso genuino in molto tempo.
<< No. Vivo a New York, posso parlare un mucchio di lingue, comprese quelle aliene, e tengo ancora qualche strana…lezione in estate, e generalmente apprezzo le cose che faccio. >> Il mio sorriso appassì sul mio viso. << Una volta ero messo così male come pensi. Forse, anche peggio. Per un bel po’, in realtà. E ora sto meglio; quando mi sono trasferito a New York per la prima volta, stavo davvero iniziando a vivere di nuovo. Sono uscito. Sono perfino uscito con qualche donna per un po’. >> E ti ho quasi chiamata perdirti che volevo iniziare a vederti ancora. << Ho anche permesso a Marco di presentarmi delle persone. >> Pronunciare il suo nome sgonfio ancora il mio entusiasmo. << Ma…be’, lo sai come vanno le cose. mi sono ridimensionato, un po’ alla volta. Troppo in poche volte, forse. Ma sto comunque meglio di come stavo prima. È come immergersi e andare fra le onde. Le cose stavano lentamente iniziando a migliorare di nuovo, stavo anche vedendo un terapista, irregolarmente, però funzionava, ma ora… >> Cassie annuì, lei mi capiva. Ora tutto sembrava più difficile. Cassie indicò la nostra uscita.
<< Là. >> fu tutto quello che disse. Io annuii e imboccai l’uscita.
Qualche miglio sulla strada, e poi eccola, davanti a noi. La nostra città natale. Ovviamente, la maggior parte era stata ricostruita, ma molte parti erano state ricreate esattamente com’erano una volta, per il loro valore storico, credo. Quello era il posto dove tutto era iniziato.
<< Ok, ora, ti devo lasciare dai tuoi genitori? >> lei annuì. I miei genitori vivevano più verso la periferia della città di una volta, ora. In realtà, non molto lontano da quelli di Cassie. Effettivamente, passammo davanti alla casa dei miei genitori per andare verso quelli di Cassie. E poi, eccola. La fattoria di Cassie.
Era strano pnsare che lei non vivesse davvero ancora lì, non regolarmente. Cassie aveva un appartamente nella Capitale, e stava, lo sapevo, cercandone un altro in Washington. Sì, visitava frequentemente la casa dove aveva trascorso la sua infanzia, quando poteva, più spesso di quanto io facessi. Ma non viveva più lì. Così tante cose erano cambiate.
Anche dopo così tanto, la sua fattoria mi era ancora familiare, come se l’avessi vista ogni giorno della mia vita. una volta ci passavo davvero quasi tutto il tempo, ovviamente, ma non passavo di lì da anni. Che cosa triste, in effetti. Vedere di nuovo la fattoria era una cosa quasi ossessionante. Era stato il nostro luogo d’incontro, per così tanto. La fattoria aveva accompagnato tutto quello che era successo in quei più di tre anni in cui avevamo combattuto la nostra guerra. Spostai lo sguardo.
Cassie scese dalla macchina quando mi fermai e prese le sue borse dal baule. Girò intorno alla macchina e si fermò accanto alla mia portiera. Abbassai il finestrino.
<< Non vuoi entrare per un minuto? So che i miei genitori sarebbero entusiasti di vederti. >> Potevo vedere la luce nei suoi occhi, la speranza che accettassi la sua offerta. Esitai un attimo e dissi.
<< Ci vediamo, Jake. >>
¬¬<< Certo. >> Feci salire il finestrino quando lei camminò verso la casa, e poi voltai la macchina e percorsi al contrrio la strada, verso la casa dei miei genitori.
Vedere i miei genitori sarebbe stato interessante, lo sapevo. ero tornato a casa più spesso negli ultimi anni rispetto a quanto facevo una volta, ma non ero ancora abituato. Tra la scuola a New York e l’insegnare anti-terrorismo in estate, non avevo molto tempo libero fra le mani. Era strange che io fossi sia uno studente che un “professore” al contempo. solitamente tornavo a casa per Natale, e a volte per il Ringraziamento, e qualche volta in estate, ma stavolta le cose erano diverse. Scesi dalla macchina e presi i miei bagagli. Bussai alla porta. Mia madre la aprì, un sorriso fiorente sul suo volto. Mi avvolse in un abbraccio appena posai le valigie sul pavimento.
<< Benvenuto a casa. >> esclamò, e io annuii nella sua spalla.
<< E’ bello essere ancora qui. >> la veridicità delle mie stesse parole mi colpì. Ero felice di essere ancora a casa. Non avevo realizzato quanto mi mancasse fino ad allora. Mio padre arrivò. << Hey, papà. >> lo salutai. Lui annuì. Per un osservatore esterno, poteva sembrare che ci fossero delle tensioni fra di noi, ma semplicemente mio padre non era il tipo da manifestazioni aperte di sentimenti. Entrambi i miei genitori avevano accettato le cose che erano successe molto tempo prima. Anche meglio di quanto avessi fatto io.
Mia madre era quella chiacchierona, ansiosa di scoprire qualcosa sulla vita di suo figlio. Mi fece meno domande del soito, però, e penso di sapere il perché. I miei sospetti furono confermati quando lei parlò dopo essere stata in silenzio per un po’.
<< Speravo che sarebbe stato un evento più felice a portarti di nuovo a casa. >> Io annuii. era stato anche un mio desidderio. Parlai lentamente.
¬¬<< Devo andare a trovare Eva e Peter. Sarò di ritorno per cena. >> Mia madre annuì, intenzionata a lasciarmi fare qualunque cosa di cui avessi bisogno
La strada per arrivare da Eva e Peter fu più lunga di quanto pensassi, e arrivai persino a perdermi, una volta. non ero mai stato nella loro nuova casa prima. Scesi dalla vettura e camminai lentamente verso la porta. Mi avrebbero aperto? Ero sicuro che numerose persone fosssero venuto prima di me. Bussai alla porta. Eva aprì.
Il suo aspetto era peggiore del mio. Era facile capire che stava piangendo, i suoi occhi erano rossi. Era vestita semplicemente, e i suoi vestiti erano puliti, ma ovviamente serviva tutto come copertura per una donna che stava tentando di essere forte in un momento duro. Appariva triste. << Ciao, Jake. >> aprì di più la porta, per darmi il benvenuto in casa. Mi portò nel salotto, e io mi sedetti sul divano. << C’è qualcosa che potrei portarti? Caffè? Tè? >>Sembrava strano che fosse lei a chiedermi cosa poteva fare per me, quando sembrava ovvio che avrei dovuto essere io a fare qualcosa per lei. Scossi la testa. Lei spostò il peso da piede a piede, incerta su che cosa fare. Alla fine, si sedette dall’altra parte del divano rispetto a me. nessuno di noi sapeva cosa dire. Alla fine, io dissi:
<< Dov’è Peter? >> Eva sobbalzò, tentando cautamente di ricomporsi.
<< E’…si sta riposando. La sta prendendo abbastanza male. Dopotutto, Marco era… >> Eva iniziò a piangere, incapace di finire. Annuii. non ero sorpreso. Avevpo visto Peter quando Eva era “morta”. Immaginavo che stavolta non andasse meglio per lui.
<< Se c’è…se c’è qualcosa che posso… >> lasciai le mie parole a galleggiare nell’aria. Anch’io stavo piangendo.
<< Va tutto bene. Almeno non dobbiamo più ascoltare i suoi brutti scherzi, giusto? >> ora Eva stava apertamente piangendo, e le sue parole mi fecero ricordare da chi Marco avesse preso il suo senso dell’umorismo. A qualcun altro, il commento sarebbe apparso scioccante e grossolano, ma quello era solo il suo modo di affrontare la questione. Lo sapevo, avevo visto Marco fare lo stesso per anni. Per loro, funzionava.
Fummo interrotti dall’entrati di Peter nel salotto. Sembrava l’immagine fotografata dei tempi che avevano seguito la “morte” di Eva, l’unica differenza era che ora appariva più grigio e vecchio. Era vestito, ma non si era rasato. Appariva selvaggio. Era lo specchio di com’ero stato io solo un paio di anni prima. Ammiccò verso di me, più o meno nello stesso modo in cui mi aveva salutato mio padre prima. << Ciao Jake. Grazie per essere venuto. >> Si sedette accanto a sua moglie.
Parlammo molto. Tutti versammo molte lacrime. Suo padre, sua madre e io, il suo amico. Quelli che erano stati i più intimi per lui. quelli a cui tutto questo faceva più male. Non fraintendetemi, c’erano molte altre persone che lo avevano conosciuto, che erano intimi con lui, a cui importava. Ma, a parte i suoi genitori, io ero quello che lo aveva conosciuto meglio. Eravamo cresciuti insieme. Ricordi di noi due insieme erano scolpite nella mia mente accanto a quelli dei volti dei miei genitori. Amici, nella buona e nella cattiva sorte, anche prima della guerra. Lo avevo conosciuto in tutta la sua vita. sembrava strano che lui non avrebbe conosciuto tutta la mia. Ora lui non c’era più…
Cenare a casa mia fu una questione silenziosa. Ci furono rare conversazioni su quello che avevo fatto dalla mia ultima visita, e su quello che i miei genitori avevano fatto. Mia madre lanciò occhiate significativa a mio padre quando parlai delviaggio con Cassie, e ancora quando menzionai l’idea di andare a trovarla dopo cena. Ma per la maggior parte del tempo, mangiammo in silenzio, semplicemente apprezzando lo stare insieme apprezzando la nostra vita al momento, anche se oscurati dalle circostanze per cui ero lì e da quella singola sedia vuota al tavolo.
Andai a trovare Cassie dopo cena, come promesso. Bussai alla porta principale, come avevo fatto molto volte, anni prima. Sua madre mi aprì, apparendo piacevolmente sorpresa di vedermi. Mi disse cha Cassie era nel granaio. Io annuii, e mi incamminai verso il granaio.
Mi avvicinai lentamente al granaio. L’edificio si ergeva di fronte a me, imponente. Esitai prima di riuscire ad entrare. Anche se ero stato nella sua casa negli anni apssati, non ero mai stato nella fattoria da, be’, da allora. Camminai dentro.
Fui accolto da una scena che non avrei mai pensato di rivedere, e fui vicino al ridere. C’era Cassie, in tuta e stivali di gomma, , con un vecchio paio di guanti da lavoro, che puliva le gabbie.
Lei alzò lo sguardo quando entrai, e scoppiòin una risatina, probabilmente la prima che emetteva da giorni. Sapevo che lo stesso ghigno che lei aveva era dipinto sul mio viso. Lei mise giù la gabbia che stava pulendo e si tolse i guanti.
<< Sai che pensova chenon saresti davvero venuto. >> disse. Le sorrisi di nuovo.
<< L’ho promesso, no? >>
<< Già. >> ci sedemmo entrambi su una grossa balla di fieno. Mi guardai intorno.
<< Questo posto non è affatto cambiato, vero? >> ogni cosa era la stessa. Il fieno, le stalle, le gabbie, gli animali. << Sono sorpreso che tuo padre stia ancora mandando avanti tutto. >>>
<< Stai scherzando? È il padre di una degli Animorphs. Rimarresti scioccando vedendo quanti sponsor abbia. E non c’è niente che gli piacerebbe di più fare. >> disse. Io annuii. aveva senso, avrei dovuto pensarci. Le nostre parole però, apparivano vuote. Conversazioni fatte solo per il gusto di fare conversazione.
<< Sono andata a trovare Eva e Peter oggi. >> dissi. Cassie fece un cenno con capo.
<< Come se la passano? >>
<< Eva la sta prendendo male. Peter anche peggio. So che non hai realmente conosciuto Peter dopo l’ ”annegamento” di Eva, ma, be’, me la sentirei di dire che lui sta andando anche peggio di allora senza mentire. È dura. Per tutti. >>
Ci sedemmo in silenzio per un po’, prima che io notassi che Cassie si stava lentamente avvicinando a me. La guardai. Lei guardò in basso, imbarazzata. Volevo farlo? Perché dovremmo essere felici proprio ora? Perché dovrebbe essere più facile per me? era dura per tutti noi in quel momento. Meritavo che per me fosse più semplice? Mi spostai, lontano da lei. Cassie sospirò. Mi fissò.
<< Pensi che non meriteremmo di essere felici? >> chiese. Alcune cose non erano mai cambiate. Cassie riusciva ancora a leggermi come un libro aperto.
<< Perché dovrebbe essere più facile per noi, quando è così difficile per chiunque altro? Perché dovremmo essere felici ora, quando tutto sta andando male? >> esclamai. Cassie mi guardò come se fossi stato pazzo. Forse lo ero.
<< Perché non dovremmo essere felici? Lui voleva che noi stessimo insieme, lo sai. >> disse. Io annuii, ma non volevo incontrare i suoi occhi. << Jake, Marco ha apertamente ammesso con me che ti ha presentato tutte quelle ragazze, così forse tu mi avresti apprezzata di più, forse vedendo cos’avevi perso. Una volta ha suggerito che forse se io fossi uscita con lui tu saresti diventato abbastanza geloso. Non stava completamente scherzanso. >> Quello che non avevo saputo, sebbene ora lo stessi considerando, non poteva essere unito ai miei ricordi su di lui.
<< Non ha obiettato quando hai iniziato a vederti con qualcun altro. >>
<< Ronnie? Penso che l’unico motivo per cui Marco lo invitasse ovunque fosse perché tu potessi incontrarlo. Sperava che tu fossi geloso. E io per prima non posso dire di non averlo sperato qualche volta. >> disse. Ora ero sorpreso. Cassie di solito non era il tipo da cospirazioni e piani. Provai a spostare la conversazione su un altro soggetto.
<< Cos’è successo con Ronnie? >> lei spostò lo sguardo; realizzai che era seccata verso di me.
<< La differenza d’età era troppa. >> ero sorpreso, e lo espressi.
<< Davvero? Lui non aveva solo, quanto, quattro, cinque anni più di te? >>
<< Sei. Ma non era per quello. Ero io quella che era troppo vecchia. >> mi guardò di nuovo, un sorriso triste sul viso. << Noi siamo cresciuti, Jake, più di quanto molte persone facciano in una vita intera. Sì, fisicamente, lui aveva sei anni più di me. Ma noi siamo casi speciali, Jake. Noi non siamo maturati nello stesso modo, o negli stessi momenti. Lui ha avuto la normale fase di ribellione da adolescente, è andato al college, passato le normali fasi di crescita. Noi…noi invecchiavamo ogni notte, invece.abbiamo affrontato cose che sarebbero dure da capire per persone con tre volte la nostra età. Io e Ronnie abbiamo capito dopo un po’ che le cose semplicemente non sarebbero funzionate fra noi. Non sono uscita molto da allora, come ho detto, non ci sono molte persone che mi capirebbero. >> ma i suoi occhi mi fissarono, dicendomi “ma tu capiresti”.
Questo era un lato di Cassie che non avevo mai visto prima. Di solito era tranquilla; entrambi lo eravamo, goffi e silenziosi riguardo alle nostre emozioni per l’altro.
<< Voglio che siamo felici, Jake. La vita di Marco era felicità. Era felice quando è morto, Jake. Vorrebbe che fossimo felici ora. Marco era luminoso, e allegro, e gioioso, ed era la parte felice di tutto. Era il buffone, il burlone. Questo è il motivo per cui averlo perso è così dura. Lui ha vissuto la vita, Jake. Era qualcuno di cui le persone sentiranno la mancanza, perché era una parte della vita della gente. Non solo perché era un salvatore del mondo e una celebrità, sarebbe stato lo stesso per le persone che lo amavano, che lo conoscevano, anche se non fosse stato famoso. Lui toccava le vite, Jake. Marco viveva, in tutti i sensi della parola. Lui amava la vita, ne capiva tutti i significati. Ricordati di questo, Jake. Divertiti con questo. Non essere agli antipodi rispetto a lui. Lui è parte di tutti noi, Jake; sappilo. Vivilo, jake. Per favore. >>
La guardai. Non avevo mai visto Cassie scoppiare in questo modo. E capii una cosa: aveva ragione. Cassie ora stava piangendo, lacrime correvano giù sulle sue guance. Le asciugai, e la baciai.
La baciai esternando tutto ciò che provavo, tutte le volte che l’avevo chiamato, che le avevo parlate, ogni volta che avevo voluto fare ciò che stavo facendo esattamente il quel momento. La baciai per tutte le volte che l’avevo persa, tutte le volte che mi ero convinto che era meglio senza di lei, che avevo voluto che se ne andasse, che era un bene stare senza di lei. La baciai con passionem e fervore, e zelo, e con sentimento. E fu come se io fossi ancora intero. Non come se lei stesse riempiendo qualche buco della mia vita, ma come se lei lo stesso completando, facendolo ingrossare, dandogli significato e struttura. Non come se la mia anima stesse venendo curata, ma come se non si fosse mai spezzata. Era ogni cosa, tutto: dolore, gioia, perdita, amore, angoscia, felicità, conforto, tutto.
E quando fu finito lei mi strinse e io la strinsi in cambio. Se stessimo tenendo l’altro a galla o stessimo affondando insieme, non lo sapevo. E finalmente dissi le parole che salivano nella mia gola ogni volta che la vedevo, ogni vollta che la guardavo o udivo la sua voce:
<< Ti amo, Cassie.
<< Anch’io ti amo, Jake. >>
E ci sentimmo completi.
Parlammo per un po’, parlammo veramente. Con intenzioni e scopi, parlammo. Parlammo degli alti e bassi delle emozioni di tutto ciò che c’era successo fin da quando avevamo tredici anni. Esprimemmo noi stessi. Parlai del trasloco verso New York, delle lingue che stavo imparando. Non dissi solo che mi stava piacendo, espressi che mi stava piacendo, emozionato all’idea di parlare di qualcosa che amavo e volendo che anche Cassie fosse emozionata. Parlai del fatto che stavo incontrando un terapista, cosa che era un cambiamento positivo nella mia vita; Cassie fu d’accordo, parlando delle sue esperienze di sessioni di terapia. Parlai delle poche volte che in cui ero uscito con qualche ragazza; raccontai aneddoti sulle persone assurde che Marco mi aveva presentato. Ridemmo, piangemmo. Ricordammo la vita di Marco, una vita che aveva cambiato così tante persone nel profondo che non avrebbe potuto essere veramente persa. Cassie parlò del suo lavoro, delle poche persone che aveva incontrato dopo Ronnie, le difficoltà dell’essere incapace di far capire tutto alle persone. Parlò di quanto le mancassero i giorni in cui il suo lavoro si svolgeva all’aperto, in cui doveva scalare montagne, esplorare nuove aree, camminare dove nessuno aveva camminato prima. Parlò del tornare indetro a tutto ciò, se le si fosse presentata l’occasione. Parlammo di cose che avremmo voluto fare nel futuro. Mi ritrovai a programmare di tornare a vivere nella mia vecchia città, proprio lì, quando avessi ffinito li studi. Mi disse che i suoi genitori stavano pensando di trasferirsi in una casa più piccola, più maneggevole. Dato che la fattoria era stata della sua famiglia per generezioni, in quanto unica figlia dei suoi genitori la fattoria sarebbe passata a lei. Mi spiegò che voleva tornare a vivere lì, permenentemente. Finire quel poco di studi che le mancavano per ottenere la laurea come veterinario. Forse lasciare il suo lavoro per mantenere funzionante la Clinica per la Riabilitazione della Fauna Selvatica. C’erano, dopotutto, molte persone in grado di prendersi cura degli Hork-Bajir al suo posto. Era il momento di iniziare a fare quello che lei voleva realmente fare della sua vita. E ci furono cose che non dicemmo, ma che capimmo comunque. Ad esempio, che avremmo voluto aver vissuto nella stessa città nei due anni passati. Che, anche se avevamo vissuto per molto ai lati opposti della nazione, volevamo continuare a vederci. Che non volevamo che quel momento finisse dopo qui giorni che avremmo passato insieme.
Entrammo in casa nel mezzo di tutto questo. Parlai con i suoi genitori. Dissi a Cassie che sarebbe dovuta venire a trovare i miei, presto. Ci dicemmo arrivederci, pur sapendo che in qualche modo non aveva senso dato che ci saremmo rivisti il giorno seguente.
I giorni successivi passarono allo stesso tempo più lentamente e più velocemente di qualunque altro giorno della mia vita. c’erano momenti di gioia e dolore. Cassie ed io ritornammo l’uno nella vita dell’altra, preparandoci allo stesso tempo a dire addio alla vita di un nostro intimo amico. Quello era duro.
Ax arrivò dal suo pianeta. Anche noi parlammo, per la prima volta dopo molto tempo, parlammo veramente. Rimasi sorpreso scoprendo che stava “vedendo” Estrid, se quella era la parola giusta. Cassie non lo era.
Anche Tobias arrivò, nel mezzo di tutto. ero sorpreso di vederlo. Sapevo che non era completamente tagliato fuori dal mondo, che vedeva sua madre e Toby regolarmente. Avevo avuto l’idea che fosse rimasto in contatto con Cassia, o forse con Ax, durante i suoi rari viaggi sulla Terra. Ma non avevo pensato che, se stava venendo, sarebbe venuto da noi. Dapprima, fu strano vederlo di nuovo. Ma lui non mi aveva realmente odiato. Era solo il suo modo per sistemare le cose. io avevo chiesto il suo perdono e, con mia sorpresa, lui aveva chiesto il mio. Piangemmo, per molte ragioni.
Noi quattro uscimmo. Qualche volta ci sentimmo felici di essere insieme, come se fossimo stati ancora adolescenti. Altre volte rimanemmo in silenzio, consapevoli che ora eravamo due in meno di quanti fossimo un tempo. E oltre a tutto quello che accadde in quei tre giorni, io stavo preparando l’elogio per Marco.
Il funerale si tenne nello stesso cimitero in cui era stato quello di Rachel, e Marco fu sepolto accanto a lei. Rachel si sarebbe fatta daparte.
C’era un’incredibile quantità di persone, come durante la cerimonia di Rachel. Al contrario di lei, però quasi tutte le persone avevano davvero incontrato Marco. Co-protagonisti dei suoi show, produttori, il suo agente, amici asortiti di Hollywood, celebrità che erano state le sue ragazze; Marco non era mai stato in cattivi rapporti con qualcuno. C’erano guardie militari, ovviamente, e entrambi i presidenti al potere e il primo presidente che era stato in carica da quando la guerra era finita erano lì. C’erano gli Andaliti. Gli Hork-Bajir. E noi. Io. Cassie. Tobias. Ax. Noi eravamo la sua famiglia, tanto quanto lo erano i suoi genitori. I miei genitori venirono. Anche quelli di Cassie, la madre di Tobias, e i genitori di Rachel, per quantyo poco avessero conosciuto Marco. Molte persone tennero discorsi. Io tenni il mio.
<< Sono sicuro che tutti voi sappiate chi sono. Ora, penso, il mio nome non è importante. Tutto quello che ora avete bisogno di sapere è che io ero il migliore amico di Marco Estevarez. >>
<< Marco Estevarez è morto, qualche giorno fa. Stava girando la scena finale del suo primo debutto sul grande schermo come attore. Stava, con grande gioia, compiendo una delle scene pericolose che lui stesso aveva scritto. La scena fu completata con successo. Ma sfortunatamente, la piattaforma su cui si era fermato non riuscì a sopportare lo sforzo e il peso del suo improvviso atterraggio, e cedette. Marco cadde per diversi piani, e morì all’istante. >> ora le lacrime erano nei miei occhi.
<< Ma io non sono qui per parlare della morte di Marco. Io sono qui per parlarvi della sua vita.
E raccontai loro tutto. Presi le parole da molte delle conversazioni che avevo avuto con Marco negli ultimi giorni. Raccontai loro parti della nostra infanzia. Condivisi di come Marco avesse toccato la mia vita, di come la mia vita fosse cambiata grazie a lui. Non usai parole elaborate, non feci grandi paragoni con figure famose. Crollai più volte. Stavo apertamente piangendo prima di raggiungere la metà del discorso. Diedi agli spettatori la vita di Marco, in tutto il suo colore, e il dolore, e la gioia, e la bellezza.
Perché, non è la vita la cosa che importa più di ogni altra? Non è la morte una terribile tragedia proprio perché è la fine di una vita? noi non conosciamo la morte. Non possiamo dire cosa ci sia oltre ciò che abbiamo proprio qui, proprio ora. La vita è tutto quello che abbiamo.

  
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