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Autore: Alvin Miller    29/04/2018    1 recensioni
A pochi mesi dall'incoronazione a Principessa di Twilight Sparkle, una legione di mostruose creature giganti emerse dal nulla minacciando di ridurre l'intero regno di Equestria a una nuvola di polvere.
Il primo attacco colpì Manehattan. Il secondo puntò a Baltimare. Il terzo insidiò Las Pegasus.
Quando anche Canterlot fu presa di mira, capirono che gli Elementi dell'Armonia non erano più sufficienti.
Per combattere i mostri chiesero aiuto a Bibski Doss, un ribelle inventore sopravvissuto al primo attacco, che creò dei mostri a sua volta.
La battaglia per il destino del regno è cominciata!
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Princess Celestia, Twilight Sparkle, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 11: L’Addestramento

L’aria nella palestra era satura di tensione per l’imminente scontro, alterando la percezione del tempo equino, quelli che per le lancette dell’orologio erano secondi, per i presenti erano come minuti interi, in cui il più piccolo gesto veniva scandito con evidente chiarezza.

Rainbow Dash, che dava le spalle alle sue amiche, faceva sfregare i denti tra di loro tenendo a stento le zampe, che scalpitavano per lanciarsi contro il suo avversario: Bright.

L’unicorno dal manto grigio, d’altro canto, era bravo a filtrare le sue emozioni, teneva la bocca sigillata e respirava dal naso con flussi d’aria controllati. La sua fronte, leggermente corrugata e gli occhi che puntavano dritti le pupille di Rainbow Dash, la tenevano nel suo mirino, scansionando allo stesso l’ambiente nel suo insieme: avrebbe potuto vedere un moscone volare nella palestra come pure gli imprevedibili movimenti della pegaso. Qualsiasi cosa Dash avesse tentato di fare, lui l’avrebbe vista, e non c’era modo per lei di coglierlo di sorpresa.

La rabbia di Dash di conseguenza crebbe, salendo di un altro gradino la scala del rancore.

«Sto aspettando, Rainbow Dash. Vuoi attaccare o preferisci che sia a fare la prima mossa?» La incitò in tono assertivo, e per lei fu come un invito per andare in escandescenza.

Digrignando più forte i denti, sbuffò dal naso e fece il gesto di raschiare lo zoccolo sul pavimento di legno. Sbatté le ali un paio di volte per distendere le piume, quindi dopo aver compiuto alcune falcate per darsi lo slancio, gli piombò addosso con tutta l’accelerazione che era in grado di raggiungere, le zampe anteriori tese in avanti per fendere l’aria. All’ultimo momento, decise, avrebbe sfruttato la spinta aerea per ruotare su un fianco a rovesciargli addosso un potente calcio volante, che nelle sue intenzioni lo avrebbe mandato K.O. in un sol colpo.

Era veloce e si fidava della sua forza.

Bright, per quanto abile negli scontri, non sarebbe riuscito ad evitare quell’attacco, neanche se la distanza tra loro fosse stata maggiore e gli avesse dato più tempo per reagire. Dash contava proprio su questo, annullare le distanza il più velocemente possibile, e quando l’unicorno si fosse ritrovato a terra, gli avrebbe dato il colpo di grazia con una gomitata cadente o con qualche altra mossa che sfruttasse il suo peso, in questo modo lo avrebbe neutralizzato all’istante.

Bright non mosse nemmeno un muscolo, continuando a fissarla come se per lui il tempo si fosse addirittura fermato, e questo diede alla pegaso maggiore fiducia. Ma quando Dash gli fu vicino e stava cominciando a curvarsi per attaccare, allora, proprio in quel momento successe qualcosa che ribaltò la situazione in un lampo. Dal suo punto di vista, fu come se gli occhi di Bright risplendessero di uno strano bagliore, poi sentì che qualcosa la stava afferrando, e un attimo dopo stava rotolando a terra per diversi metri.

Non era riuscita a fare niente, neanche a sfiorarlo, in compenso il suo corpo iniziò a dolerle terribilmente.

Gli occhi giravano a cerchio mentre cercava di rialzarsi a fatica. Le sue amiche fissavano sgomente la scena, incapaci di credere a quanto avevano visto.

«Avevi detto che non avresti usato la magia!» Gridò contrariata, le zampe che la reggevano a stento.

«Non l’ho fatto.» Rispose lui imperturbato.

Mezz’ora prima.

La neve, che ormai aveva smesso di cadere da più di qualche ora, stava ricoprendo i campi delle piste a ostacoli e dei poligoni di tiro, che fino a una settimana prima erano stati usati dai cadetti grifoni per le esercitazioni con le bardature di combattimento lancia-dardi. Casse di scorte e approvvigionamenti erano stati abbandonati sui cammini di guardia e lungo i fianchi delle mura, aperti e accatastati, lasciati al gelo e coperti solo con qualche telo infradiciato, senza che nessuno si degnasse di stiparli in qualche magazzino.

I magazzini infatti erano destinati ad altri tipi di scorte: viveri d’emergenza arrivati da altre città per sfamare i rifugiati della capitale, come anche materiali per l’allestimento di ricoveri temporanei e scorte mediche di cui ultimamente c’era sempre un disperato bisogno. In alcuni casi erano stati riconvertiti in obitori temporanei per le ultime vittime che attendevano una sepoltura nel grande cimitero fuori dalla capitale; il freddo di quei giorni favoriva la conservazione dei corpi.

Bright stava accompagnando le sei giumente degli Elementi, frastornate e sofferenti dopo la prima nottata trascorsa nei nuovi alloggi, verso la palestra in cui avrebbero cominciato il loro primo giorno di addestramento. Le ascoltava, mentre mormoravano tra loro con voci sottili, commentando l’abbandono del trono da parte di Celestia, o lamentandosi della scomodità dei materassi, o più in generale, discutendo di argomenti della sfera privata su cui l’unicorno decise di non impicciarsi.

D’improvviso una voce diversa, che scaturiva direttamente dall’interno dei suoi pensieri, si frappose al chiacchiericcio e si rivolse direttamente a lui.

– Sei silenzioso, Bright. –

– Davvero? È strano che sia proprio tu a dirlo. – Rispose al fratello con un fare che voleva essere complice di quel momento d’intimità.

– Dovevo chiedertelo, stanno succedendo un sacco di cose ultimamente, e io non so più che pensare. –

– Ci sono dei cambiamenti in atto, è normale che tu ti senta così. Non credere che per me sia molto diverso. –

– Eppure sei sempre così… presente… quando le cose si complicano, tu sai sempre quale scelta prendere per trovare la soluzione… non sembra che tu ti debba sforzare per essere ciò che sei. –

I due gemelli avevano la capacità di comunicare tra loro telepaticamente, come se si trattasse di una frequenza sonora che soltanto loro potevano udire. Non erano però in grado di leggere le rispettive emozioni, che potevano essere decifrate solo grazie all’empatia. Bright, in ciò, era sempre molto attento, e cercava di capire cosa passasse per la testa del fratello taciturno ogni volta che poteva.

Non credere che sia tutta farina del mio sacco. – Disse – Molti di quei meriti vanno attribuiti a Bibski. Mi secca doverlo ammettere, ma è grazie a lui se sono quello che sono, se tutti quanti mi vedete sotto questa luce. Alcune volte mi capita di pensare che… se non fosse per la sua costante presenza… tanto valeva che fossimo rimasti lì dove ci ha trovato. –

–È per questo che lo segui sempre? Senti di dovergli qualcosa?

Tu non credi che gli dobbiamo qualcosa, dopo quello che gli abbiamo fatto?

Calò il silenzio dall’altra parte, segno che Blu non avrebbe risposto alla domanda.

E poi il nostro rapporto è un rapporto di tipo mutualistico. Senza di me lui non potrebbe concedersi molte delle libertà che invece si prende, perderebbe la sua aura di apparente invincibilità. Ma del resto, anch’io ho bisogno di lui. Finché gli sto appresso, sento di avere uno scopo in questo mondo. – Si fermò a ponderare quanto aveva appena detto. – Sai, ogni tanto dovresti provare ad uscirci. – Riprese poi – Così vivresti qualche avventura al suo fianco, e magari potresti imparare a conoscerlo un po’ meglio. –

– Uscire con Bibski… – meditò Blu – non è qualcosa che penso faccia per me. Non sono fatto per lo stile di vita che conduci tu… forse una volta lo ero, ma adesso… da quella volta… –

– Lo so, non è necessario dissotterrare il passato… senti, come va lì da voi, come procedono i lavori? –

– Che ti devo dire? Pony arrivano, pony se ne vanno. Stanno allestendo le impalcature e Bitterness sta sbraitando come al suo solito contro gli operai che ci hanno inviato. A proposito, non si fa che parlare delle dimissioni di Princess Celestia. –

– È l’argomento del giorno anche qui. Spero che la cosa non influisca sull’addestramento delle Custodi. –

– Riuscirai a prepararle per tempo? –

– Onestamente non lo so. Ci proverò se non altro. Gli esiti poi si vedranno. –

A quel punto il gruppo era appena arrivato all’entrata della caserma. Bright interruppe le comunicazioni con suo fratello per prestare attenzione allo stallone che era venuto ad accoglierli alla porta. Era anche lui un unicorno, e aveva indosso una divisa da ufficiale sopra un fisico scolpito caratteristico dei soldati del corpo delle Guardie Cittadine, manto bianco su criniera dalle tinte bruno corteccia e un cutie mark che rappresentava… un buco scavato nel terreno?

«Siete voi? Vi stavo aspettando!» Esordì porgendo la zampa a Bright. «Sergente Maggiore Stomp Soil, sono stato incaricato di mostrarvi i locali e dare uno zoccolo, se servisse!»

Bright ricambiò il saluto del graduato. «Brightgate, e vi ringrazio per tutta la vostra disponibilità. Le ragazze credo che non debbano presentarsi.»

«Le eroine di Equestria, le nostre Custodi degli Elementi in persona! No di certo! E anche la sua fama, Mr. Brightgate, mi è nota!»

«Solo Bright, prego. Suona meno elaborato così. E spero che le voci che girano sul mio conto non pregiudichino la sua impressione.»

«Eheh, certo Bright, non è da tutti farsi la nomea di annienta–truppe, ma come si dice sul conto dell’Esercito di Cristallo: quelli si sono fatti un sonnellino di mille anni. Chi può dire come te la saresti cavata contro la Gendarmeria Reali al massimo della forma?»

“Non vorresti saperlo” pensò tra sé e sé l’unicorno alto.

«Ma ora entrate, prego! È vero che siamo pony tutti d’un pezzo, ma il freddo insidia anche le nostre chiappe!»

L’atrio della caserma si presentava come un’ampia stanza dove lungo una parete era stato allestito un memoriale ai caduti nella battaglia del Quarto Attacco, con le fotografie delle vittime accompagnate da lettere di commiato e piccoli altarini lasciati dalle loro famiglie. In una stanza adiacente corrispondente alla segreteria, alcuni funzionari erano assorti nello svolgimento delle loro mansioni, e non fecero alcun caso ai nuovi arrivati.

Al contrario delle aspettative, c’erano pochissimi militari in servizio. Il gruppo ne incrociò un paio che avevano indosso una fretta del Tartaro, non si erano neppure presi la briga di sfilare gli elmetti e adagiare le loro corazze, fatto che lasciava dedurre che non avevano intenzione di rimanere.

Purtroppo la maggior parte delle truppe erano impegnate in città, spiegò Stomp Soil. Nemmeno le reclute erano state esonerate, e questo aveva conferito alla caserma un’atmosfera vuota e desolante, quasi terrificante, considerato che dopo un po’ non c’era praticamente più anima viva in giro.   

Superarono altre porte, accelerando il passo lungo un ultimo corridoio con diverse finestre che mostravano l’esterno, e finalmente giunsero alla zona degli spogliatoi.

Qui Stomp Soil li fece fermare per illustrare le varie zone: «Gli armadietti sono personali e sono utilizzati dai cadetti, se in futuro avrete da riporre le vostre cose, rivolgetevi a me e ci penserò io. Parlando invece delle docce, qui si usa condividere gli spazi, ma immagino che possa essere sconveniente per le ragazze andarci insieme al loro istruttore. Quindi tu Bright, usa pure quella dei bagni privati, ti farò avere la chiave. Quanto a voi, potete usare quelle che ci sono qui. Ma se dovesse entrare qualcuno dei nostri cadetti, ignari della vostra presenza, evitate di fare una sceneggiata. Cercheremo comunque di rispettare la vostra intimità.»

Malgrado le rassicurazione, Rarity e Fluttershy non poterono evitare di manifestare imbarazzo. Bright invece ringraziò educatamente il graduato.

«Vi mostro la palestra, seguitemi.»

Li condusse allora fino al luogo in cui da quel momento avrebbero trascorso la maggior parte delle loro giornate, almeno fino al ritorno di climi più temperati.

La palestra era un’ampia sala ricoperta da una pavimentazione in legno, con percorsi a ostacoli da evitare e muretti da scavalcare.

Per Bright fu come tuffarsi nel proprio passato e riemergere in un periodo in cui ad allenarsi era lui. Non gli piaceva resuscitare quei ricordi, che facevano parte di una fase della vita che preferiva non ricordare, ma tra tante memorie sgradevoli c’era anche qualcosa che valeva la pena di preservare: il duro lavoro e la determinazione, uniti alla passione per l’allenamento e al desiderio di oltrepassare i propri limiti, che lo avevano reso, anni dopo, il pony che era adesso. Uno stallone virtualmente imbattibile, anche se fino ad ora non aveva avuto l’opportunità di mettere in pratica queste abilità, se non in rare occasioni.

Ma adesso aveva l’occasione di metterli al servizio di uno scopo nobile: addestrare le Custodi degli Elementi, trasmettere loro tutto quello che poteva nel poco tempo che aveva. Chissà se ne sarebbe stato in grado, si domandava.

Gli occhi andarono alla ricerca dei dettagli, sondando tutti gli spazi e valutando le condizioni generali della palestra. A una prima occhiata sembrava non mancare niente, e avrebbe potuto aggiungere al suo programma di addestramento alcune delle attrezzature presenti lì dentro. Ma poi sia lui che il Maggiore Stomp Soil voltarono la testa all’unisono, e videro qualcosa che li lasciò ragionevolmente di stucco: Bibski Doss era già lì, e stava ghignando verso di loro, sedendo su una sedia girevole che dava l’idea di essere molto comoda.

«E tu da dove salti fuori?» Gli chiese l’unicorno alto, cercando di non perdere il contegno.

«Ma soprattutto come ha fatto ad entrare?!» Si agitò invece il graduato.

«Ho fatto un favore all’inserviente, sapete?» Spiegò compiaciuto l’inventore. «Gli piace giocare a dama. E pure bravo, ma si annoia a giocar da solo, così gli ho detto che avrei fatto una partita con lui e in cambio mi ha fatto entrare.»

La risposta non aveva senso, ma era pur sempre Bibski.

–Tu lo sapevi? – Interrogò Blu, che fu come se cascasse dalle nuvole.

– Che cosa? – Gli restituì il dubbio.

– Che Bibski era qui prima di noi. –

– Bibski è lì con voi?! –

– Lascia stare, mi hai praticamente risposto. – Capitolò infine Bright.

«Lui è chi penso che sia?» Gli chiese invece Stomp Soil, che aveva tutte le ragioni per farlo arrestare e rinchiuderlo in una cella per violazione dello spazio militare, ma che invece preferì adottare un atteggiamento più diplomatico.

«Purtroppo sì.» Sospirò Bright.

«Ora capisco tutte quelle voci che girano sul vostro conto. Sentite, date le circostanze posso anche chiudere un occhio sul perché e sul come sia entrato, ma quella sedia viene dall’ufficio del Capitano, e se scopre che è stata trafugata, non importa quale sia la situazione, ci farà marchiare a fuoco!»

Bright decise allora di fare un tentativo, giusto per togliersi il dubbio. Si girò verso Bibski e domandò: «Intendi restituirla?»

«Ohh ma perché? È così comoda!» L’inventore piagnucolò e fece fare alla sedia un giro in tondo.

Bright tornò a rivolgersi al graduato: «Mi creda, lo conosco abbastanza bene: se ha deciso di tenersela, a questo punto niente gli farà cambiare idea.»

Il Maggiore Stomp Soil grugnì seccato, era in una posizione scomoda: non poteva lasciare che quel pony facessero i suoi comodi in caserma, ma del resto avevo ricevuto degli ordini da cariche più in alto di lui, e il tempo a disposizione era veramente risicato. Alla fine decise di chiudere entrambi gli occhi, ma si fece un appunto per quando gli fosse capitato tra gli zoccoli l’inserviente.

Bright fece disporre le Custodi in riga di fronte a loro, mentre Bibski li scrutava da lontano e scriveva appunti con una matita.

L’unicorno alto passò in esame ognuna e le valutò per come si presentavano. Capì che ci sarebbe stato molto su cui lavorare, soprattutto per quelle meno adatte alla mischia. Se da una parte Applejack e Rainbow Dash aveva già dalla loro una costituzione fisica slanciata e pronta, lo stesso non si poteva dire per le altre, come Twilight, una giumenta abituata ad allenare la mente, ma non il corpo, o Rarity, sofisticata com’era, poteva già sentirla lamentare per il sudore e la fatica, o Fluttershy, timida e pacifista malgrado le sfide che aveva superato. Pinkie Pie era l’unico mistero di quel gruppo male assortito, ma immaginava che presto si sarebbe fatto un’idea anche su di lei.

«Non vorrei partire con la zampa sbagliata, ragazze, so che per voi questa è un’esperienza nuova, a tratti terrificante, e che vorreste essere da tutt’altra parte. Ma è il caso che metta in chiaro alcune cose: non sarò in grado di addestrarvi come vorrei. Non fraintendetemi, non vi sto sottovalutando, dico solo che nei pochi mesi che abbiamo a disposizione sarò in grado di darvi a malapena le basi, vi insegnerò i rudimenti della lotta e come valutare la situazione per trarne beneficio in ogni momento. È bene specificare che all’interno degli Jaeger la maggior parte delle vostre azioni saranno meccaniche. Questo vuol dire che chi è abituata ad usare la magia dovrà farsene una ragione e cambiare le sue abitudini.» E lo sguardo cadde prima su  Twilight, che si morse un labbro, e poi su Rarity. «Nel corso del programma, avrete modo di migliorare la vostra resistenza alla fatica e acuire i vostri sensi, vi insegneremo come controllare la respirazione, come mantenere l’equilibrio e sostenere il carico extra che comporterà pilotare le macchine. Dopo le prime lezioni, in cui gli esercizi saranno pressoché gli stessi per tutte, verrete accoppiate alla vostra partner e vi insegneremo a fare gioco di squadra. Vi ricordo che il successo del programma Rescue Equestria e di conseguenza la sopravvivenza del regno dipende tutto dall’affinità che raggiungere con gli Jaeger, quindi mi aspetto che facciate del vostro meglio. I dettagli di questa prima lezione vi saranno chiariti dopo il riscaldamento. Ora ascoltate bene: voglio che facciate otto giri di corsa lungo tutto il perimetro, senza barare! Non voglio vedere nessuna che accorcia i tempi tagliando la strada o evitando gli ostacoli, se vedete un muretto o una sbarra li scavalcate, se non vi sentite in grado, passate sotto!»

Ci furono delle proteste, ma Bright non permise a queste voci di prendere il sopravvento: «Se già adesso pensate di non farcela, cominciate a decidere dove farvi seppellire, perché è quello che accadrà. Questo non è un gioco, non si diverte nessuno, qui si lotta per la vita di tutti quanti, quindi datevi una mossa, forza!»

Era stato convincente, o almeno lo pensava, ma proprio in quel momento vide Rainbow Dash fare un passo in avanti, sfidando la sua autorità.

«Che ti prende Dash, qualcosa che ho detto non ti va a genio?»

«In effetti. Non capisco perché devi essere tu ad addestrarci.»

Le altre emisero dei versi scandalizzati, ma Bright non si scompose, reputando che la domanda fosse lecita. «È necessario stabilire un ponte tra chi si occuperà della vostra preparazione e i progressi che saranno compiuti alla Grotta. Presto dovrete imparare a muovervi con indosso le bardature che utilizzerete sugli Jaeger, e vi metteremo in condizioni simulate in cui…»

«Fermo, lì… non ci ho capito una mazza, ok?! Quello che intendo è: perché io, che sono prima nella classe all’Accademia degli Wonderbolt dovrei stare a sentire quello che dici tu? Ho battuto tutti i record di velocità dell’istituto, sono in grado di produrre trombe d’aria semplicemente volando, so fare l’arco–boom sonico!»

«Non che sia ‘sta gran cosa.» Commentò ad alta voce Bibski.

«Ripetilo se hai il coraggio!» Ringhiò la pegaso arcobaleno.

«Massì, oltrepassata una data velocità, trecento metri al secondo, si supera una barriera che viene detta anche muro del suono, l’aumento di pressione genera un’onda d’urto che provoca la dispersione dei pigmenti responsabili del colore del manto e della criniera, e questo, combinato con le particelle d’acqua presenti nell’atmosfera genera quegli iridescenti effetti di luce che vi piace ammirare a bocca spalancata. Il fatto che il tuo arco–boom sia multicolore è dato semplicemente dal colore della tua criniera.» Chiuse infine con un ghigno orgoglioso.

«Beh…» Dash si trovò in difficoltà «comunque ti sfido a farne uno con quel tuo aggeggio!»

«Tutti ci potrebbero riuscire, basta superare la velocità del suono.»

«Ad ogni modo, Rainbow Dash…» si interpose Bright «le tue abilità di volo non bastano a pilotare gli Jaeger, e nemmeno a combattere i Kaiju…»

«Lo dici tu questo!»

«Andiamo zuccherino, smettila di fare casino e iniziamo ad allenarci.»

«Non ti ci mettere pure tu, AJ! Possibile che non lo capite? Questo viene qui e pretende di farci da maestrino! Chi ci dice che sia veramente così bravo?»

«Dimentichi che ha sbaragliato un intero plotone di Guardie di Cristallo.»

«Noi invece abbiamo combattuto contro un esercito di Changelings, e allora?! Se è davvero così bravo, dov’era mentre noi eravamo in prima linea durante l’attacco… dov’eri mentre Gilda moriva?» finì rivolgendosi direttamente a lui.

Il sacrificio dell’amica era un ricordo di cui non si era ancora fatta una ragione, e ripensarci la fece sentire ancora più frustrata e impotente.

«Credo di capire, Rainbow Dash.» Disse Bright calmo.

«Davvero?» Chiese lei diffidente.

L’unicorno annuì.  «Sei una guerriera, una cavalla selvaggia, e vuoi essere domata prima di accettare che qualcuno ti prenda come sua allieva.»

«Beh, diciamo che non mi va a genio di sentire parlare di combattimenti corpo a corpo da uno che usa la magia per risolvere gli scontri. Lo hai fatto all’Impero di Cristallo, ricordi?»

«Lo ricordo, sì… » quella volta aveva usato un incantesimo di telecinesi per evitare il suo assalto e renderla inoffensiva, la cosa probabilmente deve averla punta nell’orgoglio.

Consultò con lo sguardo Bibski e Stomp Soil, ma era una decisione che spettava solo a lui «… facciamo così, ti darò la possibilità di battermi. Un breve incontro, un round. Ma se perdi, dalla prossima lezione te ne starai in silenzio. Dovrai fare tutto quello che ti dirò e non dovrai protestare, e se per caso ti sentissi affaticata, continuerai ad esercitarti fino a quando non deciderò io che ti potrai fermare, chiaro?»

«Se mi batti.»

«Se ti batto. Ma se io fossi in te, farei molta attenzione all’avversario che hai di fronte, non ti aspetta uno scontro facile. Ora vieni avanti.»

Si misero in posizione, uno di fronte all’altra, e ognuno per conto suo si mise a fare un po’ di stretching per scaldare i muscoli, poi per diversi secondi non fecero altro che fissarsi. Bright, in attesa, osservava il modo di posare della pegaso e la tensione muscolare che aveva reso le sue zampe delle stecche di legno. Non era rilassata, non aveva neppure assunto una buona postura di guardia, e se lui avesse deciso di attaccarla per primo gli sarebbe bastata una semplice finta per destabilizzare la sua concentrazione e dominare la sua mente. La pegaso arcobaleno era stata sconfitta prima ancora di iniziare, ma proprio per questo l’unicorno attendeva che fosse lei ad esordire nell’attacco.

Quando era passato ormai un minuto e non si era ancora decisa a muovere un passo, fu lui a spronarla. Sapeva che giunti a quel punto sarebbe bastata una piccola provocazione per farle perdere la testa: «Sto aspettando, Rainbow Dash. Vuoi attaccare o preferisci che sia io a fare la prima mossa?» E come volevasi dimostrare, il pesce abboccò all’esca.

Rainbow Dash si scagliò contro di lui e iniziò con la più banale delle mosse, un’azione che voleva mettere in risalto la sua forza bruta e quanto era determinata a fare sul serio, ma se con un pony qualunque questa mossa sarebbe stato sufficiente, Bright non sentì nemmeno il bisogno di assumere la guardia. Ne fu perfino deluso: da una come Rainbow Dash si sarebbe aspettato qualcosa di più creativo, e in un attimo aveva già pianificato quale sarebbe stata la sua contromossa.

Si mise in equilibrio su due zampe, una specialità che tornava utile in casi come questi, e si spostò lateralmente per evitare il calcio volante della pegaso, che ormai era arrivata ad un tiro di schioppo da lui, quindi con un braccio le cinse il fianco mentre con l’altro le agguantava il ginocchio teso, e la proiettò nella direzione in cui stava già andando, imprimendole una spinta addizionale, il tutto, sotto le espressioni attonite delle altre Custodi. Nell’attimo successivo Rainbow Dash stava rotolando dolorosamente a terra, dopo essersi accorta di aver perso il controllo della traiettoria, non si era neppure resa conto di cosa le avesse fatto, tanto erano stati rapidi i movimenti dello stallone.

«Avevi detto che non avresti usato la magia!» Disse dopo essersi rialzata barcollante.

«Non l’ho fatto.» Spiegò lui, girandosi poi verso le giumente. «Ognuna di voi imparerà tre regole durante questo periodo: La prima è che non dovete mai precipitarvi ad attaccare l’avversario, se prima non avete esaminato tutte le vostre opzioni. La seconda regola è che non dovete mai girargli le spalle, tenetelo sempre entro il vostro campo visivo…» piegò le zampe e si distese a terra, giusto in tempo per evitare una seconda carica di Rainbow Dash. La pegaso, che di nuovo non si aspettava una reazione così fulminea, aveva pensato di coglierlo a tradimento, ma finì quasi per schiantarsi contro le sue amiche. Twilight eresse in tutta fretta una barriera difensiva per il gruppo, ma Bright riuscì a ghermire la Custode della Lealtà con la magia, riportandola sul campo. «Non avete idea del peso che può avere la disattenzione in battaglia, specie se è in gioco la vostra vita.» Guardò Dash aspramente. «Torna dalle altre, la prova è finita.»

«C–cosa?! No, aspetta un attimo, avevi detto che ci saremo battuti!»

«E così è stato. Hai avuto modo di mostrare il tuo livello di preparazione, non insistere.»

«Schivare non è battersi, Bright! Affrontami come si deve, smettila di prenderti gioco di me!»

L’unicorno alto alzò gli occhi al soffitto e sbuffò. «Se ti concedo la rivincita, poi possiamo tornare all’allenamento, per favore?»

Rainbow Dash si stava già mettendo in posizione, non avrebbe collaborato finché lui non le avesse dato ciò che voleva.

“D’accordo”.  

Le venne vicino, ingabbiandola con lo sguardo. Fece quindi un piccolo movimento con una zampa, abbastanza da distrarre l’attenzione della pegaso, fu sufficiente: Rainbow Dash guardò subito in quel punto, perdendo la concentrazione, e Bright con l’altra zampa le affondò sul collo con un colpo di taglio dall’alto verso basso, ma incredibilmente Dash lo evitò, spingendosi all’indietro con un battito d’ali. Lo zoccolo di Bright affondò a terra con un rumoroso impatto, Dash tentò di colpirlo con un altro calcio volante in testa, ma l’avversario la intercettò e la fece roteare su se stessa per aria.

«Quando l’avversario attacca… » cominciò a spiegare «… si tende a pensare che quello sia il momento di massima vulnerabilità per se stessi, si cerca quindi di scappare o di assumere un atteggiamento difensivo, ma in realtà è proprio quando l’avversario attacca che scopre le sue difese. Allenandovi con me imparerete a cogliere le debolezze del nemico e rivoltarle contro di lui.»

Scagliò un zoccolo contro Dash, la pegaso si appiattì a terra proprio come aveva fatto lui poco prima. Poi gli si lanciò contro con tutto il suo peso, lo costrinse ad indietreggiare e a cedere momentaneamente il suo dominio sul ring. Indietreggiò e poi gli si avventò di nuovo contro in volo, questa volta cercando di colpirlo con due calci consecutivi, che l’unicorno parò con le zampe. Rainbow Dash gli planò alle spalle, Bright la sorprese con una testata, e questo regalò all’unicorno un’apertura per un’altra azione: si voltò, la afferrò per il collo bloccandole anche il braccio destro, quindi la proiettò verso il basso. Nel farlo l’accompagnò durante la caduta, in questo modo riuscì ad evitarle di farsi male veramente.

La pegaso a terra, determinata ad averla vinta, gli afferrò la testa tra le sue zampe posteriori e cercò di rovesciarlo, ma Bright era il doppio di lei ed era anche più preparato: la sollevò da terra vanificando la sua mossa.

Rainbow Dash mollò subito la stretta, gli girò intorno e gli scaricò un’altra serie di attacchi alternando zoccolate e calci, mirando a tutti i punti vitali che sapeva di dover colpire, ma niente di ciò che gli lanciava andò a segno, Bright parava ogni sua azione con una fluidità che lasciava senza parole. Poi all’ultimo, non si sa come, riuscì a farla ruotare su se stessa un’altra volta, costringendola ad atterrare sulle zampe.

Aveva il fiato corto, aveva cercato in tutti i modi di colpirlo a finora era riuscita soltanto a farsi ridicola.

«Vuoi sapere cosa sbagli?» Le chiese lui.

«STAI ZITTO!!» Gridò lei e partì alla carica. Tese un pugno verso il muso dello stallone e lui lo evitò. Provò con un calcio rotante e lui lo deviò. Una finta che aveva ritenuto astuta, lui la anticipò.

«SMETTILA DI SCHIVARE!! ATTACCAMI!!»

«Stavo appunto per cominciare.»

I secondi successivi furono un vero incubo per Rainbow Dash: Bright le impedì di portare a termine un'altra zoccolata e bloccandole il braccio le tese un colpo sulla guancia. Il dolore fu lancinante, ma fu solo l’inizio. Bright le sfondò la difesa e partì con una scarica di colpi, le colpì lo stomaco, poi il viso, poi i fianchi. Ogni colpo che subiva scopriva una parte del corpo che veniva successivamente colpita. La pegaso cercò di distanziarsi ma appena sbatté le ali, l’unicorno la prese per le ginocchia facendola ruotare e la lanciò a mo’ di martello, scagliandola a diversi mentre di distanza.

«Fai troppo affidamento sulle ali! Non puoi pretendere di avere una buona difesa se continui a svolazzare come una mosca!»

«Uso le mie abilità come tu usi la tua magia!»

«Stai zitta e fammi vedere qualcosa di meglio! Finora ho evitato di farti male per davvero, ma adesso ne ho abbastanza: come ti tocco ti spezzo! Torna qui e finiamo!»

Rainbow Dash non desiderava altro, malgrado le minacce.

Sentiva sulla lingua l’inconfondibile sapore del sangue: Bright mentiva quando diceva di non averla ferita, il colpo sulla guancia lo aveva sentito eccome, ma qualcosa le diceva che i prossimi attacchi sarebbero stati anche peggiori.

Gli corse incontro con ampie falcate aiutata dalle ali, ma invece di librarsi dal suolo, come aveva fatto fino a quel momento, scelse un approccio diverso: gli scivolò sotto le zampe con l’obbiettivo di centrarlo al basso ventre, o direttamente all’inguine. Bright fu colto di sorpresa per la prima volta, ma dove la sua attenzione aveva fallito, ci pensò l’esperienza a fargli intuire il pericolo. Saltò via da lei, Rainbow Dash imprecò. La pegaso si rimise sulle sue zampe e insistette con una nuova scarica di colpi, cercando di essere meno ripetitiva possibile: tentava di colpirlo in volo e veniva deviata, tornava a terra e cercava un approccio dal basso, si allontanava per evitare i suoi contrattacchi e poi si riavvicinava, fingeva e fingeva. Un pony normale non sarebbe mai riuscito a stare dietro a tutta quella sequenza di azioni e controazioni, ma l’avversario che aveva di fronte era nato per combattere, un autentico genio della mischia.

Era riuscita ad evitare una zoccolata, e quando avvertì lo spostamento d’aria, le si gelò il sangue al pensiero di quanti danni avrebbe potuto accusare con quel colpo. Tentò di bloccargli la zampa e immobilizzarlo, ma Bright le fece uno sgambetto e la sbatté di nuovo a terra. Questa volta l’impatto con le assi di legno fu dolorosissimo. Bright la sollevò per le spalle e quindi cercò di colpirla al volto, lei dovette parare tutte quelle mosse, esponendo le sue braccia alla violenza dei suoi zoccoli. Finì che non era più in grado di muoverle.

Dovette volare e usare le zampe posteriori, sia per difendersi che per tentare un’apertura. Bright la afferrò per un ginocchio e la colpì nell’articolazione. Il colpo avrebbe dovuto spezzarle le ossa come se niente fosse, ma invece le fece provare soltanto un dolore atroce.  Bright si stava trattenendo, nonostante le minacce e nonostante i suoi occhi fossero iniettati di sangue. Poi accadde qualcosa che lei in un primo momento non capì bene, il tempo sembrò dilatarsi di nuovo, procedendo al rallentatore, un istante infinito per volta: il suo avversario, Brightgate, si sollevò sulle zampe posteriori e affondò gli zoccoli alla base delle sue ali, spingendo in giù, premendole con forza. A quel punto lo shock, il dolore. Se una bestia famelica avesse cominciato a strappargliele con le zanne, probabilmente avrebbe avvertito un male minore di quello che stava avvertendo in quel momento. Non fu progressivo, non fu altalenante. Fu IMMEDIATO, come lo scoppio di una bomba, il collasso dei suoi muscoli.

E dopo il dolore più niente, le ali non c’erano, o meglio, c’erano, ma era come se le avesse scollegate dal corpo, rese inutili, dei teli di carne e piume che non rispondevano al suo controllo.

E mentre tentava di esalare un gemito, un lamento, che tuttavia le moriva in gola, cominciò a sentire il corpo divenire pesante e scendere ineluttabilmente a terra. Era assurdo pensare che tutto ciò stava avvenendo in un lasso di tempo di due, forse tre secondi.

Poi lo sguardo di Bright si fece ancora più crudele, i suoi occhi gialli sembravano emettere una luce tutta loro.

“La luce alla fine del tunnel… eheh, sto per morire”

Era un pensiero assurdo, ma Rainbow Dash aveva cominciato a convincersene. Quello che aveva davanti non era un amico, non era il suo allenatore. Era un mostro famelico che era affamato di lei.

Bright, quello che in altre occasioni aveva chiamato Bright… lo vide unire le braccia in un attacco combinato, che sarebbe terminato con un doppio colpo di zoccoli che l’avrebbe spazzata via; l’avrebbe annientata, così come aveva annientato le Guardie dell’Impero di Cristallo.

Rainbow Dash intanto cadeva.

Le zampe di Bright si allungarono.

Rainbow Dash Realizzò che non avrebbe mai toccato il suolo.

Qualcuno da lontano intanto stava gridando, e la sua voce risuonava nei timpani ridicolmente rallentata e distorta, gli diceva di non farlo. “Non colpirla, Bright! Non farlo!”

Lei intanto cadeva, ancora un metro da terra.

Chissà se le sue amiche se la sarebbero cavata senza di lei, nella guerra che stava per infuriare.

“Non provocatelo, vi scongiuro! Per l’amor di Celestia, non sfidate la forza di questo unicorno”.

E proprio quando stava per subire quel colpo, Bright la prese per la vita e invece di terminare il suo attacco la scagliò a terra con un impatto devastante. La sua schiena vibrò col pavimente e degli spasmi muscolari scossero per intero il suo corpo, ma almeno era morta… non era stata colpita.

Bright si rimise a quattro zampe, respirò a fondo e si sistemò i crini con uno zoccolo. Più in là Bibski Doss sospirò di sollievo tornando a sedersi.

Rainbow Dash non era in grado di muovere un muscolo, la spina dorsale le era stata quasi spezzata, ma non abbastanza da provocarle danni permanenti, le articolazioni pulsavano di dolore e cominciavano a gonfiarsi sotto gli strati di pelle, ma la cosa che la riempiva di terrore assoluto era che non percepiva più le sue ali.

«M–maledetto… dannatissimo bastardo… che cosa mi hai fatto?!» Cominciò a piangere. Nemmeno da puledrina aveva mai sentito il bisogno di piangere come lo sentiva adesso, nemmeno quando era morta Gilda aveva sentito che il suo mondo le sfuggiva da sotto le zampe come in quell’istante. Senza ali, senza più la possibilità di volare, tanto valeva che fosse morta sul serio.

«Le tue ali stanno bene.» Disse Bright in tono secco. «Entro massimo un’ora comincerai a sentirle di nuovo, e dopo sarà come se non fosse successo niente. Te l’ho detto: ti affidi troppo alle tue capacità di volo.» Guardò le altre giumente, stupito dal fatto che nessuna stesse commentando, ma la verità è che avevano paura di lui, di ciò che aveva fatto. «È una lezione che dovete imparare tutte quante. Rainbow Dash non è mai stata in pericolo con me, ma se questo fosse stato un tipo diverso di scontro, non sarebbe andata alla stessa maniera.»

Le Custodi si scambiarono degli sguardi in silenzio.

A quel punto fu Twilight a parlare «Avevi detto che ci sono tre regole. Qual è la terza?» Chiese scura in volto.

«La terza regola è semplice: fate quello che vi chiedo e nessuno si farà male.»

E Rainbow Dash, che si stava trascinando tutta pesta e indolenzita, non avrebbe mai più dimenticato quella regola, ne era certa.

«Ora, se non ci sono altri impedimenti, direi di cominciare il riscaldamento. Otto giri di campo, escludendo Rainbow Dash per ovvi motivi, ma per tutte le altre, vi consiglio di darvi da fare. Quando avrete finito vi introdurrò ad alcune semplici mosse per rompere le difese avversarie, e se fuori farà più caldo vedremo anche di far…»

«Ehi Bright.»

*Boop*

Qualcosa lo toccò, e lui in preda allo shock gridò: «COSA??»

Era avvenuto tutto in un lampo. Bright, che aveva un udito così sviluppato da potersi difendere anche bendato, e dei riflessi così fulminei da essere in grado di evitare il morso di un serpente velenoso, fu colto alla sprovvista da Pinkie Pie, che gli era spuntata alle spalle.

La pony, che non stava sorridendo come suo solito, ma aveva uno sguardo truce e opprimente che le scuriva il viso, gli aveva toccato la punta del naso con la punta del suo zoccolo.

Quel gesto così innocente, bastò tuttavia a far esplodere i sensi a Bright.

L’unicorno non ci capì più niente, arretrò, si ingarbuglio con le sue zampe.

«COSA… COSA…»

Mai gli era successo. Nessuno era mai riuscito ad arrivargli alle spalle, figurarsi a toccarlo, e fino un istante prima Pinkie Pie era nel suo campo visivo, in fila con le altre Custodi.

Si girò per guardarle ed effettivamente l’Elemento della Gioia mancava. Come aveva fatto ad avvicinarsi così in fretta, come?!

«Non fare più del male alle mie amiche, non è carino.» Lo ammonì lei, e c’era qualcosa nella sua voce che era inflessibile e allo stesso tempo crudele. La pony in rosa poi tornò nel gruppo, senza saltellare ma con una flemma che era innaturale per lei.

Bright si ricompose e si rese conto di avere gli occhi di tutti puntati addosso. Si pulì il manto, rimise a posto la criniera un’altra volta, come fosse un tic nervoso, e s’impose di parlare calmo.

«Sergente Soil, le dispiace prendere il mio posto? Mi serve un minuto.»

«Oh… sì. Penso di poterlo fare… bell’incontro comunque.»

«Già.»

L’ufficiale, tornato sobrio, pronunciò un ordine e a quel punto le giumente dovettero iniziarono a correre, a malincuore. Rainbow Dash, esonerata, sarebbe rientrata di sua spontanea volontà al secondo giro di campo.

Nel frattempo Bright si era avvicinato all’amico inventore per parlargli.

«Wow, non ho mai visto nessuno scalare l’olimpo e poi cadere all’improvviso così velocemente come te.» Gli disse Bibski mentre continuava scrivere annotazioni sulla cartellina.

«Non ha alcun senso… era lì, e poi… insomma… come ha fatto?!»

«Beh, è successo che ti è arrivata alle spalle, e poi ti ha toccato con lo zoccolo, e tu sei caduto a terra in preda al panico.»

«Ma non l’ho nemmeno vista muoversi!»

«Straordinario, non è vero? Sospettavo che quella pony avesse delle caratteristiche particolari, ma questo va oltre a quello che mi aspettavo! Lo sapevi che è stata in grado di captare l’arrivo di Cyclop? Voglio dire, prima che effettivamente emergesse!»

«Mi hanno informato, sì.» Respirò a fondo l’unicorno alto.

«Ecco, immagina se riuscissimo a incanalare le sue doti e a sfruttarle per i nostri scopi! Potremmo prevedere con maggiore tempestività l’arrivo di nuovi Kaiju, inoltre…» proprio in quel momento il suo cutie mark s’illuminò «… non sarebbe male integrare nei sistemi degli Jaeger le sue abilità di movimento.»

I due stalloni si misero a guardare la pony in rosa mentre correva con le sue amiche. Sembrava quasi divertirsi, al contrario delle altre.

«Credi che sia fattibile?» Gli domandò Bright, chiedendosi ancora come avesse fatto la giumenta ad arrivargli così vicino.

«Ho qualche idea in cantiere, sempre che tu non mi distrugga le piloti prime di averle messe alla prova.»

«Rainbow Dash ha avuto ciò che si meritava. Forse adesso si darà una calmata e sarà più collaborativa.»

«Oh non lo metto in dubbio. A proposito, ho qui la mie proposte per gli abbinamenti delle squadre. In realtà direi che possiamo già considerarle definitive.»

Bright accettò gli appunti con una certa cautela. «Pensavo che volessi osservarle un po’ prima di decidere.»

«Tu guarda gli abbinamenti, poi mi dici.»

L’unicorno perplesso prese a leggere il contenuto del foglio, che era pieno di appunti e di annotazioni inerenti allo sviluppo degli Jaeger, ma quando vide gli accoppiamenti che erano stati assegnati dall’inventore, la sua curiosità cedette ai dubbi.

«Scusami se te lo dico, ma se questa è la tua idea, non potrebbero mai funzionare.»

«Cosa non ti convince?» Chiese Bibski, per nulla turbato dalle sue parole.

«Beh… tutto praticamente! Le coppie sono squilibrate, o addirittura incompatibili… Applejack e Rainbow Dash… sì, loro due potrebbero anche funzionare… ma Twilight con Fluttershy? Rarity e Pinkie Pie? Non avremo mai una formazione equilibrata in questo modo!»

«E credi che sia quello che voglia, uh? Una formazione equilibrata?»

«Non ti seguo… »

«Rifletti, Bright, rifletti: i Kaiju si adattano facilmente ad ogni nostra strategia. Troviamo un modo per eliminarli e la volta successiva sviluppano delle difese che rendono vani tutti i nostri progressi. Se creassimo delle macchine con caratteristiche similari, o equilibrate, come dici tu, riusciremo a dominare una battaglia, forse riusciremo a superarne una seconda, ma alla terza i Kaiju avranno già sviluppato dei sistemi per vanificare i nostri progressi.»

Bright intuì il suo disegno.

«Quindi la tua strategia è… creare il caos in battaglia?»

«In questo modo guadagneremo più tempo per investigare sulle loro origini e capire una volta per tutte come fermarli. Ogni Jaeger avrà il suo campo di specializzazione, le sue armi. Tre stili di combattimento diversi più le combinazioni di attacco se combatteranno in gruppo. I Kaiju non sapranno più che pesci pigliare, e noi per la prima volta avremo finalmente un vantaggio sui nostri nemici.»

Posto così, il piano aveva senso, e dopotutto, se era Bibski a dirlo, c’era forse da dubitare? Ma era corretto riporre tanta fiducia in lui?

Ripensò al dialogo con suo fratello, e chissà se da un certo punto di vista Blu non avesse ragione? Forse Bright era troppo attaccato a Bibski per avere un’opinione obiettiva. Ma Bibski aveva saputo farla in barba a tutti, li aveva fatti evadere dalla prigione dell’Impero di Cristallo, aveva fatto condonare tutti i loro crimini, ottenendo l’alleanza della famiglia reale e dando il via al programma Rescue Equestria. Poteva sbagliarsi proprio ora che le cose stavano procedendo secondo i suoi piani? Messo così, sembrava ridicolo anche solo pensarlo.

Stava ragionando su tutto questo quando fece la sua entrata in scena Spike, il draghetto di Princess Twilight.

«Ragazze, venite qui, presto!» Corse agitato, stringendo tra gli artigli qualcosa.

Le Custodi si interruppero, erano arrivate forse al quarto giro di corsa e alcune avevano già il fiato corto. Considerato che erano soltanto a metà del riscaldamento, potersi fermare fu per loro un vero colpo di fortuna.

«Che succede, Spike?» Chiese Twilight, che si avvicinò per prima. Anche i tre stalloni si avvicinarono per sentire. Rainbow Dash, indolenzita, verificò le condizioni delle sue ali e fu l’ultima ad unirsi.

«Sono arrivati i risultati dell’analisi del sangue di Discord, guardate!» Porse loro i fogli di carta stropicciati che aveva con sé.

Si strinsero tutto intorno, cercando il proprio spazio per vedere.

«Li hanno consegnati a Princess Luna, io poi mi sono offerto di portarveli!» Spiegò entusiasta, ma nessuno fece caso alle sue parole, solo Fluttershy lo ricompensò accarezzandogli le creste craniali.

La maggior parte di loro guardò invece i testi e le cifre stampate sui fogli, senza però capire la metà delle informazioni che vi erano contenuti. La Principessa dell’Armonia, però, seppe subito dove puntare l’attenzione. Strabuzzò gli occhi incredula.

«Ti dispiace se do un’occhiata?» Chiese Bibski, impossessandosi dei documenti. Lo si sentì mugugnare qualcosa mentre scorreva tra le righe, fino a quando anche lui non arrivò al punto che aveva lasciato di stucco Twilight. Fece il gesto di sistemarsi il casco dell’Equalizzatore.

«Questo è molto interessante.» Esclamò infine.


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I ricercatori che avevano lavorato sui campioni di sangue erano rimasti sconcertati dallo scoprire cosa si nascondesse nell’emolinfa di Discord: piccoli organismi di provenienza sconosciuta, molto simili a delle nano–macchine la cui composizione molecolare non corrispondeva a niente di conosciuto dalla scienza equina.

Viste attraverso le lenti del microscopio, si presentavano con un corpo centrale discoide dal quale si estendevano quattro appendici snodate, con cui nuotavano nel plasma sanguigno e aggredivano le magiglobine, proteine responsabili della distribuzione dell’etere magico all’interno del flusso sanguigno.

La prima scoperta pervenuta all’attenzione dei ricercatori fu proprio che il draconequus, come i pony, incanalasse il suo potere per mezzo di queste molecole, benché la sua biologia e perfino il DNA non trovavano corrispondenza con nessun altro abitante sul suolo di Equestria. Si poteva dire che somigliasse ai pony tanto quanto fosse diverso, a conferma di ciò che già si sapeva sul suo conto, e cioè che proveniva da una dimensione caotica, “simile ma opposta” all’ordine instaurato dall’Armonia nel loro mondo.

Proprio questa insolita affinità tra le due razze poteva spiegare le interazioni molto particolari che le nano–macchine avevano instaurato con Discord all’interno del suo organismo. Esse infatti tendevano a cercare la fonte di potere magico più intensa presente nelle vicinanze e, come già spiegato, a ghermire con le loro propaggini le magiglobine da cui assorbivano l’etere magico, facendolo diventare carburante per il proprio sostentamento.

Il consumo elevato di tanto potere spiegava il fenomeno della soppressione della magia, lamentata da chiunque fosse stato colpito dai globuli assorbi–magia. Ma perché la guarigione, che dopo poche ore aveva portato i pony a recuperare le loro capacità, non si era verificata anche su Discord?

Per trovare una risposta a questo interrogativo furono prima riesaminati i campioni di sangue prelevati dai pazienti equini, confermando la totale assenza delle nano–macchine, quindi il sangue del draconequus fu sottoposto a un processo di filtrazione dal quale fu prelevata una parte degli organismi estranei e introdotta all’interno del plasma di un unicorno dalle apprezzabili capacità magiche, che avrebbe quindi rappresentato un terreno di coltura ideale per i test che stavano per compiersi.

Nel nuovo ambiente le nano–macchine cominciarono ad agire secondo le previsioni, aggredendo e divorando le emanazioni di magia delle magiglobine, ma dopo poco più di un’ora, l’attività di alcune di esse cominciò a diminuire in maniera drastica, sino a morire a partire da due ore dall’inizio dell’inoculazione.

Cosa le aveva uccise?

Tutta l’equipe di ricerca si trovava d’accordo nel dire che le nano–macchine non potevano trovarsi lì per caso, ed era ipotizzabile che chiunque avesse aizzato il Kaiju Cyclop contro i pony di Canterlot, le avesse dotate di una programmazione che permettesse loro di far fronte alle situazioni più avverse. Quando il sangue di Discord era stato sottoposto a filtrazione, alcune delle nano–macchine erano riuscite a resistere alla separazione arpionandosi alla superficie della provetta. Successivamente avevano iniziato un processo di scissione del proprio nucleo centrale molto simile alla mitosi cellulare, che aveva riportato la loro popolazione a un numero simile a quello di partenza.

Quindi le nano–macchine non solo erano dotate di un forte istinto di sopravvivenza, ma erano anche capaci di auto–regolare il numero di individui che potevano coesistere all’interno di un organismo, motivo per cui Discord e con lui anche gli altri pony non lamentavano disagi oltre all’emicrania registrata nelle prime fasi dell’infestazione. Con questi risultati era facile concludere che fintanto che ogni singola unità non veniva rimossa dal suo organismo, non c’era speranza per il draconequus di recuperare le sue funzioni magiche. Al primo tentativo di sottoporlo a un processo di dialisi, le nano–macchine residue avrebbero immediatamente rinvigorito le proprie schiere.

Ma allora, se erano così difficili da debellare, cosa aveva permesso ai pony di guarire, e cosa aveva ucciso le nano–macchine che erano state impiegate nei test sui campioni di sangue?

La risposta sfuggiva a una spiegazione scientifica da parte dell’equipe, o per meglio dire, era come se non fosse un singolo fattore a determinarne la disfatta: non l’azione difensiva del sistema immunitario, non l’effetto collaterale dell’interazione con un enzima o con altre particelle presenti nel sangue equino. In esso le nano–macchine era come se fossero indotte alla morte per conseguenza dell’esposizione prolungata allo stesso sangue di pony, come se qualcosa di ancora più piccolo dei globuli bianchi e degli anticorpi le aggredisse portandole al malfunzionamento e alla disgregazione. Cosa fosse questo fattore, non era dato saperlo con certezza.

A lungo si erano avanzate ipotesi sull’esistenza di un costituente fondamentale di tutta la materia, organica e inorganica, e l’Armonia era il nome che era stato scelto per dare una definizione di facile comprensione di tale elemento di base.

L’Armonia era ciò che permetteva agli esseri viventi di esistere e alle cose inanimate di avere una propria interazione col mondo, agli ecosistemi di mantenersi in equilibrio e ai pony di costruire grandi palazzi verso cui innalzarsi verso il futuro. L’Armonia era anche magia, era energia. Ed era la somma delle emozioni che ogni creatura provava, era la loro paura e la loro speranza. Era il tutto, perfettamente bilanciato. E quando qualcuno minacciava quel perfetto equilibrio, gli Elementi dell’Armonia intervenivano per ripararlo, portando una scintilla di luce nei cupi cuori degli animi più scuri, o allontanando ciò che non poteva essere aggiustato, per proteggere ciò che restava.

Con i Kaiju, invece, le cose erano sempre state diverse. Per qualche motivo la semplice permanenza su questo mondo causava in loro danni terribili, e per quanto si adattassero alla sopravvivenza, la loro malvagità e la loro assoluta negatività in quanto agenti del caos, era anche la ragione del perché fin dall’inizio i pony avevano potuto contare su un vantaggio così prezioso.

Forse questo effetto si era esteso anche sulle nano–macchine, facendo sì che i pony fossero predisposti a guarire.

Al contrario di Discord, che in quanto agente del caos a sua volta, non era parte di quel mondo, e di conseguenza, non poteva considerarsi una creatura dell’Armonia.


   
 
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