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Autore: Roscoe24    29/04/2018    8 recensioni
"Sarebbe tornato alla sua stanzetta, quella in cui non dormiva da quasi due mesi ormai: tornare a casa di Magnus – la sua casa e non la loro come si era illuso di poterla chiamare – era fuori questione, soprattutto dopo la lite che avevano avuto quella mattina.
Il nephilim cacciò quel pensiero mentre apriva la porta di camera sua: non voleva farsi sopraffare ulteriormente dalle preoccupazioni, doveva concentrarsi su ciò che, invece, lo aspettava all’Hunter’s Moon – una serata in compagnia della sua famiglia dopo secoli."
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Alec chiuse la porta del suo ufficio con un colpo secco, ma non per questo rumoroso. Era stata una giornata sfiancante, iniziata malissimo e con un susseguirsi di pensieri che avevano portato una direzione ancora peggiore. Tutto quello stress accumulato gli faceva pulsare le tempie come se un temporale avesse preso residenza nel suo cervello e si divertisse a torturarlo. Alec odiava i mal di testa. Percorse il corridoio dell’Istituto, quello che univa gli uffici amministrativi agli alloggi. Sarebbe tornato alla sua stanzetta, quella in cui non dormiva da quasi due mesi ormai: tornare a casa di Magnus – la sua casa e non la loro come si era illuso di poterla chiamare – era fuori questione, soprattutto dopo la lite che avevano avuto quella mattina.
Il nephilim cacciò quel pensiero mentre apriva la porta di camera sua: non voleva farsi sopraffare ulteriormente dalle preoccupazioni, doveva concentrarsi su ciò che, invece, lo aspettava all’Hunter’s Moon – una serata in compagnia della sua famiglia dopo secoli.
Emise un verso di scherno verso se stesso a seguito di quel pensiero. Secoli, un concetto estremamente figurato per lui, per Magnus, invece… basta! Niente Magnus, almeno per stasera. Niente pensieri catastrofici sul fatto che il loro futuro fosse un misterioso, enorme, gigantesco, punto interrogativo piazzato nel bel mezzo di una landa sconosciuta che ad Alec sembrava irraggiungibile e impossibile da esplorare.
Dio, meno male non voleva essere catastrofico.
Sei un tale re del dramma, quando ti impegni, Lightwood!
Alec scacciò quell’affermazione che, per quanto potesse essere veritiera, era anche estremamente irritante e non aveva di certo voglia di ascoltare i pensieri che la sua coscienza gli suggeriva, così si diresse di buon passo verso il bagnetto della sua stanza e aprì l’acqua della doccia. Dopo essersi spogliato, aspettò che raggiungesse una temperatura normale, calda abbastanza da rilassarlo, ma non così bollente da ustionarlo. Mica era Magnus, lui, che sfidava l’elasticità della propria pelle sottoponendola a temperature che sarebbero riuscite a fondere anche il ferro angelico!
Non ti sei mai lamentato quando facevate la doccia insieme, però.
Alec alzò gli occhi al cielo: cominciava ad averne abbastanza della sua oltremodo onnisciente coscienza, che continuava a pungolarlo, sussurrandogli  tutte le verità che lui non voleva sentire. Iniziava a capire perché quel burattino di legno bugiardo di quella favola mondana avesse spiaccicato il suo grillo parlante. La coscienza può essere una vera spina nel fianco, se ci si mette d’impegno.
Alec sbuffò e, entrando nella doccia, pensò che avrebbe schiacciato la sua molto volentieri.

Alec entrò nel pub all’ora stabilita: odiava aspettare i ritardatari e odiava farsi aspettare. Con lo sguardo, abbracciò tutto il bar, facendo scorrere gli occhi sulla folla per vedere se riusciva a trovare qualcuno dei suoi: notò sua madre in un tavolo non troppo distante, seduta insieme ad Izzy e Jace. Prima di andare al tavolo, si avvicinò al bancone e, facendo un cenno di saluto a Maia, le chiese un Martini. Con il gin, perché non era lui quello a cui piaceva la vodka. Era Magnus.
Magnus, che quando preparava i drink, muovendo le sue bellissime mani anellate e gonfiando le sue oltremodo toniche braccia, lo faceva con una particolare cura, come se conoscesse un’arte particolare, oscura al resto del mondo.
Odiava i drink di Magnus.
No, non è vero. Li adori. Stai solo facendo un po’ di dramma. Ancora. Ma chi sono io per giudicare? Oh, giusto, solo la tua parte razionale!
Alec buttò giù un sorso del Martini per cercare di zittire la sua mente. Sarebbe annegata nell’alcol, quella stronzetta supponente.
Wow. E poi dici di non essere un bambino!
Alec ignorò volutamente questo filo di pensieri e, dopo aver ringraziato Maia, si diresse al tavolo dove stava la sua famiglia. I loro visi sorridenti lo aiutarono a rilassarsi un poco.
“Alec!” lo salutò sua madre, alzandosi per abbracciarlo. Alec ricambiò quella stretta. La pelle pulita di sua madre era un promemoria della sua punizione: Maryse era stata derunizzata come pena per essere appartenuta al Circolo e, anche se non lo dava a vedere, Alec sapeva quanto stesse soffrendo. Sua madre poteva anche non essere più una Shadowhunter, ma rimaneva pur sempre una guerriera. E avrebbe lottato con tutta se stessa per non mostrare quanto tutta questa situazione la distruggesse. Alec la strinse ancora un po’, come se avesse voluto farle capire che non aveva niente da temere perché sarebbe sempre stato dalla sua parte, e poi sciolse l’abbraccio.
“Ho fatto tardi, scusate.”
“Sei il Capo dell’Istituto, fratellone. Hai un mucchio di cose da fare.” Ripose Isabelle, abbracciandolo velocemente a mo’ di saluto.
“Ticchettare sui nostri schermi e riempire documenti per tutto il giorno deve essere davvero impegnativo, Alec!”
Alec, una volta seduto, si voltò verso Jace, che stava sorridendo per la sua battutina. “Possiamo fare cambio, se vuoi!”
Sul viso del biondo si formò una smorfia inorridita. “Già provato. Non fa per me!” rabbrividì e bevve un sorso della sua birra.
Alec gli lanciò un’occhiata laterale divertita e nascose un sorriso dentro al suo Martini. Ma quel sorriso svanì non appena vide l’espressione di sua madre cambiare, incupendosi.
“Spero di non mettervi in imbarazzo.” Il suo sguardò vagò dal bancone, dove una fila di Shadowhunters la stava fissando, ai suoi figli.
Alec aggrottò le sopracciglia. “Di cosa stai parlando? Sei nostra madre, siamo dalla tua parte!”
“Sempre.” Aggiunse Isabelle e Maryse si voltò verso la figlia, prendendola per mano e rivolgendole un sorriso commosso.
“Grazie.” Posò lo sguardo su ognuno dei suoi figli, uno alla volta. “Se c’è un lato positivo in tutto questo è che posso passare di nuovo del tempo con voi tre.”
“Quindi… cosa farai adesso?” chiese Alec, prendendo un altro sorso del suo drink.
“Avrò bisogno di un lavoro… ne sto già cercando uno, in realtà.” Maryse sorrise. “Dov’è Magnus? Sono sorpresa non sia qui, è l’happy hour!”
Alec sentì una stilettata in petto, all’altezza del cuore e prima che la sua mente gli ricordasse altre cose, finì il suo drink tutto d’un fiato. “Gli ho lasciato un messaggio.” Sorrise, cercando di non mostrare quanto in realtà si sentisse a disagio.
“Sono sicura che arriverà presto.” Disse Izzy, mentre usava la cannuccia nel suo bicchiere per mescolare un cocktail rosa.
“E il tuo amico quando ci raggiunge?” Maryse si voltò verso la figlia, mentre Isabelle sentiva tutti gli sguardi su di sé, soprattutto quelli dei suoi fratelli.
“Quale amico?” cominciò Jace, sulla difensiva.  
“Hai un nuovo fidanzato? Perché sono sempre l’ultimo a sapere queste cose?”
“Oh, non preoccuparti, Alec. Nemmeno io lo sapevo!”
“Quindi, cos’è? Uno stregone, un lupo mannaro?”
“No, Alec, è un mondano.”
Alec e Jace si scambiarono un’occhiata, le sopracciglia di entrambi schizzarono in alto, come se la risposta della sorella li avesse sopresi parecchio. “Un mondano?” chiese Jace, poi.
“Sì, un mondano!” Affermò Izzy, come se avesse dovuto spiegare un concetto semplicissimo a due bambini duri d’orecchio.
“È un dottore.” Aggiunse Maryse, annuendo con il capo, dando enfasi a quelle parole.
“Mamma!” Isabelle la pregò con gli occhi di non continuare quel discorso, sentendosi più a disagio di quanto avrebbe mai immaginato. Lei a disagio. Era più facile che l’Inferno gelasse. “E voi due!” Si rivolse ai fratelli, gli occhi ridotti a due fessure nella tipica espressione di avvertimento. “Vedete di comportarvi bene!”
“Noi?”
“Cosa?”
Jace e Alec parlarono simultaneamente e dalle loro espressioni si evinceva chiaro come il sole che pensavano davvero di non essersi mai comportati da fratelli maggiori iperprotettivi con lei – come se Isabelle non avesse una lista infinita di episodi che dimostravano il contrario.
“Eccolo, è lui.” Disse la ragazza, tagliando ogni possibilità di rispondere ai fratelli. La sua famiglia si voltò tutta verso la porta, in direzione di un ragazzo di colore alto e dal bel portamento.
“Oh, Isabelle, è così carino.”
Alec diede mentalmente ragione alla madre. Anche Magnus era carino, pensò.
Carino? Davvero? Pensavo lo ritenessi tipo, non so, tutto ciò che di bello è stato creato dal Grande Capo che manovra la giostra celeste. Anche se, ad essere pignoli, tecnicamente è stato creato da Asmodeus.  
Oh, andiamo!
Che vuoi, Lightwood? Vuoi forse negare? Non puoi mentire a me. Vorrei ricordarti che la prima volta che l’hai visto ti è andato in tilt il cervello e sei fuggito in preda al panico!
Non era panico! Doveva davvero tornare dagli altri per completare la missione di salvataggio degli stregoni superstiti dell’attacco dei seguaci di Valentine!
Certo, e tu ti preso personalmente la briga di occuparti dello stregone più figo. Era solo un caso, vero? Eri solo ligio al tuo dovere.
Esattamente.
Bugiardo. Sei un grandissimo bugiardo.
Alec ne aveva abbastanza della voce della sua coscienza. Albert, l’avrebbe chiamata, come Einstein perché a quanto pare era una so-tutto-io fastidiosissima. Non che Einstein fosse fastidioso, intendiamoci. Mica l’aveva conosciuto, lui, per poterlo dire. Forse Magnus sì, avrebbe potuto chiedergli se conoscere Einstein fosse stato entusiasmante come conoscere Casanova.
Stai impazzendo. Mi hai persino dato un nome.
Alec sbuffò stremato da se stesso e decise che era arrivato il momento di un altro drink. Strinse la mano a Charlie e chiese se qualcuno voleva da bere. Dopo aver ricevuto una risposta affermativa, si diresse di nuovo verso il bancone. Aveva in programma di incontrare Maia parecchie volte, quella sera. Se non poteva schiacciare il suo grillo parlante, l’avrebbe fatto annegare.

Charlie era un tipo simpatico, decise Alec. Sembrava molto alla mano e davvero interessato a conoscere meglio Isabelle, nonostante lei avesse omesso la verità su alcune cose. Tipo le loro vere occupazioni. Secondo Charlie, erano una famiglia di gioiellieri. Alec non riuscì a trattenere una risatina, che nascose dietro ad un sorriso, quando il ragazzo fece una domanda sull’attività di famiglia. Doveva ammettere, comunque, che Izzy aveva molta fantasia. Era stata furba.
“Ti ha detto che siamo gioiellieri?”
Forse dovresti controllare la lingua. Sei brillo, Lightwood.
Alec ignorò Albert e finì il suo drink. Il quarto da quando era entrato all’Hunter’s Moon.
“Che male c’è a-” cominciò Charlie, ma Maryse lo interruppe dolcemente.
“Preferiamo definirci artisti.”
Il ragazzo si rilassò all’istante e accennò persino un sorriso, che però si spense quando sentì squillare il proprio cellulare. “È l’ospedale. Devo andare. Mi dispiace davvero.”
“Non preoccuparti.” Disse Maryse, cordiale.
Alec guardò Isabelle alzarsi dal suo posto per raggiungere Charlie e accompagnarlo alla porta, dove si abbracciarono per salutarsi.
Anche a lui piaceva abbracciare Magnus. Aveva un buon odore, profumava sempre di sandalo e i suoi capelli erano incredibilmente morbidi. Forse usava la magia per renderli tali, ma quando Alec ci passava le dita attraverso, aveva l’impressione di accarezzare la seta nera. Gli mancavano i capelli di Magnus. E Magnus in generale. Voleva baciarlo. E fare pace. E baciarlo di nuovo, tante volte. Gli piaceva baciare Magnus, ma proprio tanto tantissimo. La cosa che non gli piaceva, invece, era litigare con lui, soprattutto se poi non avevano modo di chiarirsi. Ma, a quanto pare, Alec non aveva colpa se non erano ancora riusciti a parlare perché Magnus era, citando testualmente, «impegnato con un cliente» e non era riuscito a raggiungerlo. Tornò a prestare attenzione ai presenti al tavolo nel momento stesso in cui sentì la voce di Luke salutare sua madre.
“Ciao, Lucian.” Rispose Maryse e Alec, mentre si alzava con Jace per lasciarli soli a parlare, pensò che nessuno chiamava più Luke in quel modo, che sua madre era l’unica a farlo.
Come Magnus è l’unico che ti chiama Alexander?
Alec accartocciò il viso in una smorfia di disappunto verso Albert, ma non poté non dargli ragione. Come non poté fare a meno di pensare che gli piaceva quando Magnus pronunciava il suo nome per intero: gli dava una sfumatura nuova, amorevole, come se il suo nome diventasse automaticamente interessante sulle labbra di Magnus.
Si diresse al bancone, mentre Jace si dirigeva verso la porta, forse per chiamare Clary. Magnus la chiamava sempre «biscottino», forse perché era incredibilmente bassa, come i biscotti che sono piccoli e tascabili. Sì, era sicuramente per quello, decise Alec.
Hai nominato Magnus almeno cinquanta volte, lo sai?
Tecnicamente non aveva nominato nessuno, era più un monologo interiore con Albert come unico spettatore – uno spettatore molesto, per giunta. Era come se Albert gli tirasse i pomodori. Ad Alec nemmeno piacevano i pomodori! Non avrebbe potuto tirargli, che ne sa lui, biscotti? Però aveva appena finito di associare i biscotti a Clary, quindi Alec non era sicuro che farsi tirare addosso delle Clary sarebbe stato meglio che ricevere pomodori. Per quanto bassa poteva essere la Fairchild, era sempre una persona e tante Clary sono tante persone e Alec non voleva essere schiacciato da tante persone. Meglio i pomodori, a questo punto.  
I tuoi vaneggiamenti da ubriaco mi disturbano fortemente, Lightwood.
Be’, non era affare di Alec se Albert era infastidito. Lui stesso era infastidito da Albert eppure non glielo faceva notare ogni secondo. Oppure sì?
Non aveva importanza. Magnus aveva importanza, ma Magnus non c’era perché avevano litigato e detto delle cose che non pensavano totalmente e Alec non voleva pensare, solo lasciarsi andare per qualche ora, zittire la mente e fluttuare in mezzo a fiumi di alcol.
Era un buon piano, sì.
Sì, lo era assai.
Sorrise, compiaciuto di se stesso e alzò una mano per attirare l’attenzione di Maia, che si avvicinò immediatamente a lui.
“Cosa ti do, Alec?”
Bella domanda. Birra? No. Vodka? Nah, la vodka era troppo una cosa da Magnus e lui non voleva pensare a Magnus in quel momento.
“Bourbon. Fallo doppio, per favore.”
Maia annuì e gli riempì un bicchiere con del liquido ambrato, poi gli sorrise e afferrò la banconota che Alec le porse, prima di andare a servire altri clienti.
“Giornataccia?”
Alec si voltò alla sua destra dove incontrò il nuovo capo della sicurezza dell’Istituto, Underhill, se la memoria non cominciava a fargli brutti scherzi.
Continua a bere così tanto e non avrai più mezzo neurone funzionante entro la fine della serata.
Albert era decisamente antipatico.
“Più o meno. Di solito non bevo.” Si affrettò a dire Alec e Albert parve approvare.
Meno male c’è ancora qualcosa di funzionante nel tuo cervello. Credi davvero sia opportuno farsi vedere in queste condizioni da un tuo subordinato?
Underhill alzò le mani in segno di resa. “Lungi da me voler giudicare. È il Capo dell’Istituto, merita una pausa più di chiunque altro, signore.”
“Chiamami Alec. Non siamo all’Istituto.”
Ma certo, perché adesso siete amiconi, giusto? Riesci anche solo lontanamente ad immaginare tua madre chiedere una cosa del genere ad un suo sottoposto?
No, ma adesso il Capo era lui e in quanto tale poteva porsi nel modo che più lo aggradava con le persone, accidenti ad Albert e alla sua dannatissima lingua lunga!
Underhill annuì e bevve un sorso della sua birra. “Dov’è la tua dolce metà?”
Alec sentì l’amaro in bocca, mentre il messaggio di Magnus gli tornava alla mente. “Impegnato.”
“Capisco.” Underhill fece una pausa. “Ti lascio al tuo drink, allora. Buona serata.”
Alec gli accennò un sorriso cordiale. “Anche a te.” Osservò il biondo andare via e poi abbassò lo sguardo sul bourbon nel suo bicchiere. Era ambrato, come gli occhi di Magnus, che lo guardavano in un modo che ad Alec faceva mancare il respiro. Perché doveva mancargli così tanto? E perché quel cliente aveva deciso di aver bisogno dei suoi servizi proprio quella sera, quando invece Magnus avrebbe dovuto essere qui, con lui, per chiarirsi?
Era tutto così ingiusto.
Lanciò un’ultima occhiata all’ambra del bourbon e poi lo trangugiò tutto d’un fiato, sentendo la gola che gli andava in fiamme, proprio come i resti del suo cuore angosciato che erano stati bruciati da quel messaggio e dai ricordi della conversazione avuta quella mattina, che l’aveva perseguitato tutto il giorno. Doveva aumentare le dosi. Solo aumentando le quantità di alcol sarebbe riuscito a zittire il suo cervello.

Aumentare le dosi non era servito ad un bel niente. Anzi, aveva peggiorato le cose. Se prima di bere i suoi pensieri erano focalizzati su Magnus e la loro lite, adesso, con la mente totalmente annebbiata e le gambe che non reggevano più il suo peso, Alec non riusciva a non pensare che ciò che lo preoccupava prima era solo la punta dell’iceberg. Stando all’Hunter’s Moon non aveva potuto fare a meno di pensare che avevano avuto lì il loro primo appuntamento: Magnus aveva preso un drink con un nome impronunciabile, servito in uno di quei bicchieri sciccosi che hanno lo stelo fine fine, mentre Alec aveva ordinato una birra, che non gli era piaciuta per niente perché gli era sembrata troppo amara. La prima birra della sua vita al suo primo appuntamento con il primo ragazzo che gli fosse mai veramente interessato. Alec non avrebbe mai immaginato che dopo quel giorno non solo avrebbe cominciato ad apprezzare la birra e l’alcol in generale, ma avrebbe trovato l’amore della sua vita – della sua mortale, corta, piena di pericoli vita.
Barcollò fino al tavolo da biliardo, perché anche quello gli ricordava Magnus. Avevano giocato lì al loro primo appuntamento ed Alec si era vantato come un pavone che fa la ruota, dicendo che era un gioco semplice, che era tutta una questione di mira, come con il tiro con l’arco. E Magnus, dall’alto della sua secolare esperienza, l’aveva lasciato parlare per poi batterlo in un colpo solo. Alec l’aveva accusato di aver barato, usando la magia, ma la verità era che Magnus era solo incredibilmente bravo a biliardo. L’aveva dimostrato una miriade di volte, compresa quella in cui Alec gli aveva promesso, solo qualche giorno prima, che non sarebbe andato da nessuna parte – né ad Idris, né in nessun altro luogo. Magnus era tutto ciò che aveva sempre sognato e mai, per nulla al mondo, si sarebbe separato da lui.
Si appoggiò al bordo del tavolo da biliardo, con la testa che girava insieme alla stanza. Sentiva le gambe di gelatina ed era sicuro che, se non si fosse appoggiato, sarebbe caduto con la faccia sul pavimento. O avrebbe vomitato, doveva ancora capire quale delle due cose sarebbe successa prima.
“Ehi, stai bene?”
Alec alzò lo sguardo per trovare di nuovo quello azzurro di Underhill, che lo guardava preoccupato.
Bene, benissimo direi. Abbiamo raggiunto nuovi livelli di degrado, Lightwood.
Sta’ zitto, Albert – pensò Alec.
“Sì, più o meno.” Alec emise un singhiozzo e Underhill si avvicinò per costatare se stesse davvero bene. “A quanto pare, non ho la tolleranza all’alcol di uno stregone di ottocento anni.” Biascicò, arricciando il naso e il labbro superiore in una smorfia. Non appena quelle parole uscirono dalla sua bocca, Alec si trovò a rifletterci. L’aveva sempre saputo, ovviamente, ed era una delle cose che più lo facevano pensare, ma in quel preciso momento era un’altra la cosa che gli venne in mente.
“Magnus ha ottocento anni. Ho circa settecentottanta anni meno di lui. Pensi che questo faccia di me il suo toy-boy?”
Eeee con questo possiamo dire addio alla nostra dignità, Lightwood. La prossima volta che vorrai bere così tanto, ti prego, per il bene della nostra reputazione, incatenati ad un muro di cemento armato. Per Raziel, ti rendi conto di quanto sei imbarazzante, sì?
Underhill accennò ad un sorriso, ma nel suo viso non c’era nemmeno il minimo cenno di scherno.
“No, penso che il fatto che state insieme fa di te il suo ragazzo.”
“Ma lui ha ottocento anni.”
“È uno stregone, Alec. Di solito sono molto più grandi di noi.”
“Vuoi dire vecchi. Anche se non invecchiano, il che è un paradosso.” Alec fece una pausa. “Magnus non invecchierà, io sì.” Rifletté poi, biascicando, colto da una tristezza che gli impregnò la voce, mentre cercava di mettersi dritto e non usare più il tavolo come appoggio. 
Underhill lo guardò con comprensione, come se riuscisse a capire il dolore di Alec e il motivo per cui si era ridotto in quello stato. “Perché non vai a casa, Alec? Vuoi che ti riaccompagni dalla tua famiglia?”
“No!” esclamò Alec, un sorriso triste ad alzargli solo un angolo della bocca. “Non possono vedermi in questo stato, farebbero un sacco di domande a cui non voglio rispondere.”
“Allora facciamo così, usciremo dal retro e starò con te finché non trovi un taxi, d’accordo?”
Alec guardò Underhill. Aveva un sorriso gentile sul viso e sembrava davvero intenzionato ad aiutarlo, come se gli facesse genuinamente piacere e non perché si sentisse obbligato a farlo in quanto suo superiore. Questa costatazione lo spinse ad accettare e gli diede anche la certezza che il ragazzo non avrebbe fatto parola con nessuno di quello che aveva visto quella sera.
Meglio dire di come ti ha visto questa sera.
Per una volta, convenne Alec, Albert aveva ragione.
“D’accordo, grazie.”
Underhill annuì e, insieme, uscirono dalla porta sul retro.

L’aria serale rinfrescò il viso accaldato dall’alcol di Alec e lo aiutò a riprendersi un pochino, mentre insieme ad Underhill cercavano di attirare l’attenzione di un qualsiasi tassista newyorkese.
“Sai,” cominciò il biondo e Alec si voltò alla sua destra per guardarlo in viso. “Magnus non è uno Shadowhunter, potrebbe non capire i nostri modi. I Nephilm amano una volta sola. Ferocemente. Qualunque cosa tu stia provando, va bene. Non essere duro con te stesso.”
Alec abbassò lo sguardo sull’asfalto, sui suoi anfibi consumati, rovinati sulle punte per via di tutte le battaglie che aveva combattuto e da cui era uscito vincitore. Le parole di Underhill erano vere: i Nephilim amano una volta sola nella vita, ferocemente e con tutto il loro cuore, combattono per quell’amore. E Alec era un soldato, un guerriero, aveva combattuto battaglie che aveva sempre vinto. Era uno dei migliori della sua generazione, dannazione, e non lo era diventato perché preferiva arrendersi. No, lo era diventato perché aveva sempre combattuto, perché «impossibile» significa solo «provare di nuovo». E quella volta, durante il loro primo appuntamento, lui e Magnus potevano anche non aver risposto alla domanda che si erano posti, a quel dubbio che aveva toccato entrambi: erano troppo diversi per stare insieme? Ma Alec l’aveva baciato. Non se n’era andato. Aveva deciso, nel momento stesso in cui era tornato indietro per baciare Magnus, che non gli importava un accidente delle loro diversità, perché il suo cuore già sapeva che avrebbe amato quell’uomo per il resto della sua vita – fosse essa mortale e corta e piena di pericoli. Ad Alec non importava. Era sicuramente più doloroso vivere senza Magnus. E non era una metafora, sapeva già cosa volesse dire vivere senza di lui e di certo non avrebbe ripetuto quell’orribile esperienza solo per delle divergenze.
Erano diversi, probabilmente agli opposti, ma il suo cuore mortale aveva scelto Magnus e l’avrebbe amato per tutto il tempo che gli rimaneva – fossero due anni, fossero ottanta. L’avrebbe amato fino a farselo consumare, il cuore.
“Credo che tu abbia ragione.” Disse con un sorriso che sapeva di speranza. Un taxi si fermò davanti a loro e, dopo aver salutato Underhill, Alec salì.
“Dove la porto, signore?”
Alec non ebbe bisogno di pensarci nemmeno un istante. “Brooklyn.”
Doveva dire a Magnus che lo amava e che l’avrebbe fatto per tutto il tempo che Raziel gli avrebbe concesso. Alec si sorprese nello scoprire che questa consapevolezza gli bastava: al diavolo quella scatola, Magnus era suo e non avrebbe rischiato di perderlo per nessun motivo.




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Ciao a tutti! Come sempre, se avete aperto la storia e l’avete letta fino alla fine, vi ringrazio immensamente!
Questo racconto è nato da un’idea di danim, che si è chiesta quali potrebbero essere stati i pensieri di Alec all’Hunter’s Moon durante la 3x06, quindi il merito è tutto suo, io l’ho solo sviluppato!
A proposito, Daniela, spero che ti sia piaciuto e che sia, almeno un po’, come te l’eri immaginato.
Quando Alec dice di avere circa settecentottanta anni meno di Magnus, me lo sono inventato! Ho fatto un conto approssimativo perché nei libri Alec dovrebbe avere, se non sbaglio, circa due anni più di Clary, quindi se nella serie lei ha diciotto anni, Alec dovrebbe averne venti! Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate, a me fa piacere!
Un abbraccio, alla prossima! <3










 
   
 
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