I
know you were trouble
Johanna
Mason
&
Saraphen
Snow
Johanna
aprì gli occhi sentendo la gola che le doleva
così
come faceva in realtà quasi ogni parte del suo corpo.
Le
ci volle qualche manciata di secondi per realizzare ciò che
era successo.
Ricordava
la copertura dell’Arena che saltava in aria,
l’hovercraft
che calava verso di loro e l’esultazione gioiosa di chi era
convinto di essere
prossimo alla libertà e allo scoppio della rivolta.
Quando
la pedana dell’hovercraft si era sollevata però
non c’erano
stati Haymitch e Plutarch ad attenderli, bensì una decina di
Pacificatori
armati fino ai denti che li avevano ammanettati e caricati
lì sopra come se
fossero null’altro che bestie da mandare al macello.
Ricordava
l’ago che le penetrava la carne morbida dell’incavo
del gomito e la sensazione del sedativo che entrava rapidamente in
circolo.
Poi
aveva perso i sensi e null’altro.
Si
guardò attorno, mettendo lentamente a fuoco
l’ambiente in
cui si trovava.
Era
su un letto dal materasso alto e morbido, al centro di una
stanza dalle pareti color dell’alabastro e
dall’arredo sontuoso.
Ma
quello che la colpì più di ogni altra cosa furono
un paio
di occhi blu cobalto che la fissavano con moderata curiosità.
Erano
incastonati su di un volto dagli zigomi alti e la
mascella volitiva, labbra sottili arricciate in
un’espressione vagamente
sardonica e corte e scomposte ciocche corvine a completare il tutto.
-
Finalmente ti sei svegliata, gli altri sono in piedi da un
pezzo. –
-
Immagino che gli altri siano in condizioni migliori delle
mie – lo rimbrottò per tutta risposta, mettendosi
a sedere e avvertendo una
sensazione di forte capogiro.
-
Muoviti piano, potresti avere un trauma cranico. Il
Pacificatore che ti aveva in consegna non ci è andato
leggero. –
-
Che novità. –
-
A sua discolpa c’è da dire che hai provato a
staccargli il
braccio a colpi di accetta quando sono arrivati nell’Arena.
–
Johanna
sbuffò, folgorandolo con un’occhiataccia.
-
E tu chi accidenti dovresti essere? –
-
Saraphen Snow. –
-
E il rampollo reale non ha nulla di meglio da fare che
osservare una Vincitrice che ha perso i sensi e attendere il suo
risveglio? –
Saraphen
annuì, stringendosi nelle spalle, - Svariate decine
di cose in realtà, ma volevo assicurarmi che non buttassi
all’aria tutto il mio
lavoro. Se siete vivi è merito mio e se volete continuare a
vivere fareste
meglio a fare quello che vi dico finchè siete a Capitol.
–
Sorpresa
e momentaneamente a corto di una replica pungente,
Johanna rimase in silenzio a fissarlo come se non fosse certa di aver
capito
bene quello che intendeva.
-
A quanto pare sono riuscito a zittire Johanna Mason, sembra
che sia proprio la giornata del tutto può succedere se a
volerlo sono io. –
-
Ti accorgi di quanto suoni fastidioso quando parli? –
Saraphen
abbozzò un sorriso divertito, portando una mano
all’altezza
del cuore e fingendo un’espressione sofferente.
-
Oh, questa era cattiva signorina Mason. –
Johanna
ingoiò la rispostaccia e l’istinto di afferrare la
lampada sul comodino accanto a lei e tirarglielo contro solo
perché era davvero
curiosa di scoprire cosa il giovane e ribelle rampollo del Presidente
Snow
avesse proposto per convincere Coriolanus a non massacrare
immediatamente i
superstiti.
-
Perché siamo ancora vivi? –
-
Perché io ho suggerito che rendervi dei martiri non fosse
propriamente una scelta saggia. La cosa migliore è che i
cittadini pensino a un
atto di magnanimità del Presidente che ha deciso di tirarvi
fuori dall’Arena e
proclamarvi Vincitori ex equo. Ovviamente starà a voi
recitare bene la parte ed
essere convincenti oppure … -
Oppure
Coriolanus se ne sarebbe infischiato delle implicazioni
del renderli dei martiri e li avrebbe fatti fuori.
-
Le esecuzioni tendono a diventare noiose e francamente ho di
meglio da fare –, replicò noncurante, alzandosi
dalla poltrona che aveva
occupato e dirigendosi verso la porta, - Ti lascio il tempo di renderti
presentabile, poi raggiungi il resto dei tuoi amici al piano di sotto.
–
*
-
Quando ci verrà permesso di tornare al nostro Distretto?
–
Saraphen
alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo,
voltandosi verso di lei con aria vagamente infastidita.
Non
sopportava che interrompessero la sua concentrazione, era
una cosa che Johanna aveva imparato a notare in quelle due settimane di
convivenza forzata.
-
Non ne ho idea, ma dopotutto qui non state certo troppo
male. –
-
Per quanto possa apparire dorata una prigione rimane sempre
tale. –
-
Molto saggia -, convenne Saraphen, - ma mi permetti di farti
notare che quello non è affatto il tipo
d’abbigliamento adatto alla serata che
comincerà tra meno di un’ora? –
L’ennesima
festa nella Capitale.
Sembrava
che Saraphen avesse consigliato la strategia migliore
quando aveva proposto di graziarli, perché la maggior parte
degli abitanti di
Panem appariva smaniosa di vederli partecipare agli eventi mondani e
assicurare
a tutti quanti che Snow fosse un uomo che sotto sotto era capace di
compassione.
-
Non indosserò quella roba che ha portato la stilista. Mi fa
assomigliare a una specie di sgualdrina. –
-
Sono sicuro che non sia poi così tremenda come dici.
–
-
Certo, infatti è anche peggio. –
Saraphen
si alzò, avvicinandolesi e porgendole la mano.
Attese
qualche secondo, poi visto che Johanna non dava cenno
di afferrarla fu lui a prenderla e costringerla a seguirlo.
-
Dove stiamo andando? –
-
Nella tua stanza. Diamo un’occhiata a cos’altro
puoi
indossare. –
Provò
a protestare, ma tenere il passo delle gambe lunghe del
ragazzo era difficile già in condizioni normali e parlare di
certo non l’avrebbe
agevolata.
Così
si rassegnò a seguirlo con un cupo sguardo omicida che
mantenne anche quando lo vide aprire l’armadio e cominciare a
scorrere gli
abiti che le erano stati portati in quei giorni.
Ne
estrasse uno color avorio, studiandolo per qualche secondo
prima di scuotere il capo.
-
No, troppo virginale. –
Poi
soppesò quello rosso corallo, scuotendo nuovamente la
testa.
-
No, neanche questo … forse questo. –
Ne
estrasse uno di un cupo verde bosco adornato d’intarsi
color dell’oro puro e glielo porse.
-
Prova questo, dovrebbe andare. –
Incrociò
le braccia al petto, risoluta.
-
Scordatelo. –
-
Johanna o quello o l’abito della stilista, a te la scelta.
–
Afferrò
l’abito con uno sbuffo indignato, sparendo nel bagno
privato e chiudendosi la porta dietro di sé con uno
schianto.
Lo
indossò continuando a sbuffare, per poi osservarsi davanti
al grande specchio a figura intera.
Doveva
riconoscere che le stava particolarmente bene.
Era
aderente, ma non tanto da sembrarle dipinto addosso, e la
combinazione di colori si sposava bene con i suoi capelli e metteva in
risalto
le pagliuzze dorate nei suoi occhi.
Appariva
femminile, elegante e al contempo sensuale.
Un
look al quale non era certo abituata.
Rimase
a contemplare quell’immagine finchè il bussare
contro
la porta di Saraphen non la riportò alla realtà.
-
Stai cercando di impiccarti con il vestito oppure ti decidi
a uscire? –
Aprì
la porta, spalancandola volontariamente con molto più
impeto del necessario e sorrise compiaciuta quando la sentì
urtare qualcosa e
il gemito sommesso di Saraphen le giunse alle orecchie.
Il
ragazzo le lanciò un’occhiataccia, tenendosi il
braccio
colpito, ma l’espressione nel suo sguardo cambiò
non appena ebbe modo di
osservarla dalla testa ai piedi.
Le
iridi cobalto seguirono ogni singolo centimetro della sua
figura e probabilmente se fosse stata una di quelle ragazze timide e
dal
rossore facile si sarebbe imbarazzata tanto era penetrante quello
sguardo.
Lei
però non era così, affrontava tutto con
risolutezza e
irriverenza.
E
quella situazione non l’avrebbe certo spinta ad agire in
modo differente.
-
Vedi qualcosa che ti interessa? –
-
Ho visto di meglio. –
Inarcò
un sopracciglio, beffarda, - Sì, certo, come no. –
Poi
lo oltrepassò con un ticchettare di unghie sul petto e
uscì dalla stanza, voltandosi solo quando aveva oltrepassato
la soglia.
-
Beh, non vieni? –
*
Il
rumore di colpi sordi che proveniva dal piano semi
interrato la spinse a scendere la rampa di scale e andare a curiosare.
Arrivò
davanti alla grande vetrata che affacciava sul
corridoio, sbirciando con discrezione all’interno.
Si
trattava di una palestra molto simile a quella che era al
centro d’addestramento e che veniva messa a disposizione dei
vari Tributi prima
di entrare nell’Arena.
C’erano
armi di ogni sorta e in quel momento Saraphen era a
dorso nudo e impegnato a parare sistematicamente ogni colpo che il suo
avversario cercava di mettere a segno con la spada da scherma.
Quando
ebbero terminato l’incontro, il misterioso contendente
dalla chioma blu accennò verso di lei e mormorò
qualcosa che a quella distanza non
riuscì a sentire.
Tuttavia
Saraphen si voltò a sua volta nella sua direzione e
le fece cenno di raggiungerli.
Camminando
circospetta, acconsentì alla sua richiesta e si
fermò a qualche passo da loro.
-
Credevo che ti stessi preparando per tornare a casa, non
partite dopo cena? –
-
Sì, ma ho già finito e il rumore del
combattimento mi ha
incuriosita. –
-
Quindi ha il tempo di scambiare un paio di stoccate? –
Meditabonda,
alla fine decise di annuire e accettò la spada
d’allenamento
che gli porgeva il ragazzo dai capelli blu.
-
Vi lascio duellare, per oggi ne ho abbastanza di attività
fisica – asserì lo sconosciuto, scambiando una
pacca con Saraphen prima di
uscire dalla palestra a passi svelti.
Fu
allora che si misero in posizione di guardia.
Contarono
fino a tre, per poi incrociare le lame e scambiare
parate e affondi con un impeto tale che li portò presto
verso il margine nord
della palestra, quello semi nascosto dagli sguardi di chi avrebbe
potuto
percorrere il corridoio.
Fu
allora che Saraphen scostò la spada e la
rimpiazzò con il
suo corpo.
Vederlo
così vicino a lei, e perdipiù seminudo,
annullò la
concentrazione di Johanna.
Non
che non avesse sempre saputo che Saraphen fosse
bellissimo, ma ignorare quel particolare aspetto era stato facile
finchè tra
loro c’era stata una certa distanza.
Adesso
che invece era stata annullata diventava difficile non
concentrarsi sui muscoli guizzanti, le iridi blu cobalto o il volto dai
tratti
perfetti.
Lo
vide chinarsi a prendere d’assalto le sue labbra,
catturandole in un bacio passionale che prestò si
trasformò in una sorta di
lotta di lingue e denti.
Con
il fiato corto Johanna gli artigliò i fianchi, attirandolo
verso di sé di scatto e sentendo la sua eccitazione premere
contro di lei.
Sentì
le mani di Saraphen strappare la camicia a quadri che
indossava come se non fosse altro che un sottile velo di carta,
gettandola a
terra, e poi dedicarsi al bottone dei pantaloni e alla zip.
Lo
aiutò a liberarla da quel fastidioso impedimento
calciandoli via mentre al contempo agganciava il bordo della tuta
indossata da
Saraphen e la faceva scivolare giù. Fu allora che gli
saltò in braccio,
aggrappandosi con le mani al collo e stringendo le gambe attorno alla
sua vita.
La
bocca di Saraphen seguiva il profilo del suo collo
leccando, mordendo e succhiando con voracità.
E
doveva ammetterlo, mai in vita sua aveva provato una sensazione
altrettanto totalizzante e piacevole.
*
Erano
passati nove mesi da quando era tornata a vivere al
Sette e dall’ultima volta che aveva visto Saraphen.
Nove
mesi da quando aveva scoperto di essere incinta e appena
poche ore da quando aveva dato alla luce la sua bambina.
Eppure
lui era comparso nel salotto di casa sua come se fosse
sempre stato lì e non fosse passata più di una
manciata d’ore dal loro ultimo
incontro.
Teneva
tra le braccia Riley e la osserva proprio come aveva
sempre guardato lei, con quello sguardo d’orgogliosa
possessività che faceva
sentire preziose e inestimabili ai suoi occhi.
-
Ti assomiglia molto, mi chiedo se anche lei avrà
un’indole
impetuosa. –
-
Di sicuro da noi due non potrebbe nascere un agnellino. –
Rise.
-
Anche questo è vero. Mi piacerebbe rimanere qui, lo sai.
–
-
Ma non puoi -, concluse per lui, - Perché non sai come
reagirebbe quello psicopatico con cui condividi metà DNA.
–
-
Purtroppo so che non la prenderebbe affatto bene e che nel
migliore dei casi la vorrebbe a Capitol, lì dove potrebbe
controllarla e
servirsene a suo piacimento. E io non voglio che nessuna di voi due
possa
diventare un’arma di ricatto nelle sue mani.
Perciò immagino dovrò
accontentarmi di qualche momento rubato una volta ogni tanto.
–
Johanna
annuì, sospirando.
Tipico
della sua vita, nulla andava mai completamente per il
verso giusto.
Saraphen
le porse Riley, per poi baciarla a fior di labbra.
-
Vai già via? –
-
Devo -, annuì contrariato, - ma prima o poi vivremo tutti e
tre sotto lo stesso tetto, è solo questione di tempo, te lo
prometto. –
*
Te
lo prometto.
Erano
passati ventun’anni da quella promessa, ma alla fine
Saraphen l’aveva mantenuta.
Quando
aveva preso il potere durante la Quarta Edizione della
Memoria, divenendo a tutti gli effetti il nuovo Presidente di Panem e
inaugurando un regime democratico che aveva permesso a tutti gli
abitanti di
Panem di respirare un po’ di libertà, Saraphen era
finalmente stato pronto a
vivere con lei.
E
si era rivelato pronto a essere non solo un padre tardivo,
ma anche un buon nonno.
Lo
si vedeva quando, come in quel momento, faceva saltellare
da una parte all’altra il piccolo Blake spingendolo a ridere
come un matto
mentre Fox e Riley li osservavano dal divano.
Johanna
sorrise a sua volta davanti a quella scena.
Finalmente
la sua famiglia era riunita.
Nulla
avrebbe potuto più farla soffrire in quella vita.
Spazio
autrice:
Salve!
Un
po’
più in ritardo di quanto avessi previsto inizialmente, ma
alla fine eccomi qui
con l’OS che vi avevo promesso su Johanna e Saraphen. Spero
di essere riuscita
a dare una risposta alle domande sul loro rapporto che “The
odds are never in
our favor” vi avevano fatto sorgere.
Detto
ciò
un happy ending amoroso ci voleva anche per la nostra Jo e spero che il
personaggio di Saraphen vi sia piaciuto.
Alla
prossima.
XO
XO,
Mary