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Autore: l y r a _    30/04/2018    2 recensioni
Il secondo anno di liceo di Tooru Oikawa è un gran macello. Lo dice Hajime Iwaizumi, il suo migliore amico da una vita, e precisa che lo sarebbe stato un po’ meno se non avessero incontrato Sakurai e subìto tutte le sue complicazioni patologiche.
Il primo anno di liceo di Megumi Sakurai è un fallimento annunciato e lei è arrogante, ambiziosa e ha scrupoli quanti gli spiccioli nel suo portafogli: nessuno. Lo dice tutta Sendai ed è tutta la verità.
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[Oikawa/OC | UshiShira | Accenni OC/Ushijima | Perpetrato reato di canon/OC ]
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 9

Punizione!
 

Spero mi perdonerete se per questa volta anticipo il mio piccolo spazio, ma sento di dovervi delle scuse. Come vedete - a dispetto di tutto - sono ancora viva! So bene che dall'ultimo aggiornamento sono passati un numero preoccupante di mesi, ma la verità è che negli stessi mesi me ne sono successe di belle e di brutte. Per ricordare solo le belle, mi sono laureata!Se, nonostante la mia latitanza, ancora siete qui ad aspettare un capitolo, vi ringrazio di cuore, non potevo desiderare lettori migliori. ;) Poiché questo capitolo (piuttosto di transizione) è stato  scritto e riscritto a più riprese in un lasso di tempo lungo all'incirca quattro mesi, potreste percepire spaccature piuttosto nette nel modo di scrivere. Ho cercato di appianare queste differenze quanto più o potuto nella fase di limatura finale, ma io le sento tutte, come in una sorta di percorso ad ostacoli.

Buona lettura e grazie ancora per essere qui! <3

P.S. Pubblicare dopo tutto questo tempo mi fa sentire tutta la vergogna della prima volta, sono un caso disperato....


 

Il monte Kaihaku[1], dall’alto dei suoi miseri cinquecentosessantadue metri, distava quaranta minuti dall’Accademia Shiratorizawa e soli trenta dal centro di Sendai. Stando così le cose, non c’era nessuno in tutta la città che non l’avesse visitato almeno una volta nella vita, perlomeno da bambino, strepitando e pestando i piedi a terra perché troppo stanco per proseguire il giro nel boschetto che lo ricopriva. Eppure il preside Kurihara si ostinava a non cambiare meta per la prima gita delle matricole, che ogni anno prevedeva che gli studenti alloggiassero tre giorni in una piccola struttura di proprietà della scuola ai piedi del monte, tentando di autogestirsi quanto più possibile allo scopo di “consolidare i legami del gruppo classe”, come ricordava la brochure dell’orientamento che annualmente tornava a circolare nelle classi terze delle scuole medie.
Ognuna delle sei sezioni veniva divisa fra maschi e femmine, ed a loro volta le due categorie venivano spezzettate in gruppetti da tre estratti a sorte, destinati a condividere una delle stanzette della struttura. Il regolamento prevedeva che i gruppi classi rimanessero sempre coesi e svolgessero insieme ogni attività di gruppo, dalla preparazione del pranzo alle escursioni, ma accadeva puntualmente che gli studenti abbandonassero i compagni della propria classe per trascorrere il proprio tempo con qualche amico iscritto ad un’altra sezione, mandando all’aria tutti i buoni propositi del consiglio d’istituto. Così, in realtà, piuttosto che entusiasmare i ragazzi per la bellezza del luogo (discutibile secondo la metà della popolazione scolastica), la gita era attesa esclusivamente come pretesto per saltare le lezioni e far baldoria fino a notte fonda sovraffollando le stanzette dei singoli gruppi.
Accadeva quindi che, durante questa singolare tappa del curriculum scolastico di ogni studente dell’accademia, si stabilissero amicizie e rivalità che andavano ben oltre i confini della sezione.
Ovviamente, a Megumi erano toccate le due secchione con gli occhiali. Di per sé non erano male: non parlottavano di lei alle spalle né la guardavano disgustate come i tre quarti degli altri studenti, tuttavia dibattevano esclusivamente delle lezioni di fisica della professoressa Saito e lei aveva nuovamente bisogno di ripetizioni, perciò si sentiva un’idiota quando stava ad ascoltarle. E poi si annoiava, a pelare patate per il pranzo mentre quella del terzo banco l’osservava sospettosa, ed era seccante dover tenere i capelli sciolti per coprire il collo, oggetto degli sguardi più curiosi. Durante il pranzo, un tipo della sezione tre le aveva chiesto se le andava di far visita a lui e ad i suoi due compagni di gruppo durante la notte, visto che “era abituata a questo genere di cose” e lei aveva sentito la gola e gli occhi pizzicare tanto che era dovuta correre in bagno e prendere una pillola in più. Le ragazze puntavano il dito contro di lei e storcevano il naso, i ragazzi sghignazzavano, qualcuno era meno crudele e le rivolgeva occhiate compassionevoli, che lei non accettava. Se aveva qualcosa da dire, la riferiva soltanto alle insegnanti, evitava invece accuratamente ogni occasione di rimanere sola con i professori, sia perché non voleva alimentare ulteriori voci di corridoio, sia perché in cuor suo li temeva profondamente.
Tuttavia non si sentiva sola, nient’affatto.
Possedeva un’ombra che la seguiva ovunque andasse, ogni volta che la sua sezione era al completo. Shirabu l’aveva salutata frettolosamente quando erano saliti sull’autobus, e null’altro. Da allora, Megumi lo scorgeva sempre con la coda dell’occhio, che fosse solo o circondato da altri non importava: parlava poco e l’osservava molto, come se avesse da dirle il mondo, ma non trovasse il coraggio e le parole. A lei non dava fastidio: non era né uno di quelli che giudicavano, né di quelli che sghignazzavano. Shirabu era uno di quelli che taceva e a Megumi piacevano le persone così.
Arisu, per conto suo, aveva tenuto fede alla sua promessa: piccola com’era nessuno si accorgeva che alla sezione quattro si aggiungesse talvolta una studentessa in più. Trotterellava attorno a Megumi appena poteva, come un cane da guardia, pronta a ringhiare contro chi sorprendesse a spettegolare.
Così la mattina seguente avevano piantato in asso i propri rispettivi gruppi e si erano avventurate in due sul pendio della collina. Il premio per chi toccava per primo la cima del monte era la completa astensione dalle incombenze dell’autogestione. L’idea di non lavare i piatti della mensa ed i gabinetti doveva attrarre parecchio la maggior parte degli studenti, se il primo tratto della salita era tanto affollato da obbligare a sgomitare per poter vincere la concorrenza. A Megumi e ad Arisu non interessava molto l’esenzione dalle faccende, in particolare la prima alzava il passo solamente per allontanarsi dal grosso della scolaresca, che era stanca di sentir bisbigliare di continuo. La seconda, invece, si arrampicava fra i cespugli come l’animale selvatico che doveva essere stata in una vita precedente e Megumi doveva faticare – ingombrante com’era – per starle dietro.
Il percorso, in altri frangenti, sarebbe dovuto essere affascinante: il sole di mezzogiorno filtrava attraverso le foglie dei pioppi e dei faggi che assistevano, ogni anno, al passaggio di un centinaio di ragazzini con indosso la stessa tuta viola. Un particolare uccello cinguettava insistentemente su un ramo di castagno, probabilmente seccato da tutto quel viavai di ragazzi rumorosi, ma né Megumi né Arisu avrebbero mai saputo dire a quale razza appartenesse. L’aria era fresca e profumava di erba, e man mano che si avvicinavano alla cima, l’atmosfera si faceva sempre più silenziosa e gli abeti sempre più numerosi. L’idea era quella di fermarsi al tempio ad un centinaio di metri dalla meta e consumare lì il pranzo a sacco che avevano nello zaino.
«Spero che non ci sia nessuno vicino al tempio adesso.» confessò Megumi scavalcando un grosso ramo d’abete che il vento doveva aver tirato giù «Vorrei poter pranzare in pace. Ieri sono rimasta a digiuno, per colpa di quelli stronzi.»
«Non devi ascoltare quello che dicono, Megumi-chan. Sanno solo la metà della storia, condita di pettegolezzi. Alla gente piace tenerti in considerazione quando le sei utile, quando essere tuo amico è una questione di prestigio. Sei fantastica finché hai successo e ti fai in quattro per loro. È successo anche a me, vedrai che per te sarà la stessa cosa.»
«Anche a te?»
«Ecco, sì.» la voce di Arisu tremò lievemente «Lo scorso anno, quando ero ancora alle medie.»
«C’entrano i tuoi capelli rosa?»
L’altra rise, ma si trattava di un riso colmo di amarezza. «No, quelli sono venuti dopo.»
«E allora cosa ti era successo?»
Arisu smise di avanzare lungo il sentiero sconnesso, Megumi fece altrettanto, in attesa del responso dell’amica. La coinquilina sollevo le spalle e scosse il capo, poi alzò l’indice in sua direzione.
«Mi sei successa tu.» ammise «La nostra scuola lo aveva vinto sempre quel torneo, io avevo la reputazione di essere imbattibile. Mi adoravano tutti! La coach, le mie compagne di squadra, il mio ragazzo, i miei amici! O almeno, quelli che credevo che lo fossero. Facevo qualsiasi cosa per loro, tolleravo anche che mi chiamassero Scoiattolo, era un nomignolo che faceva tremare le migliori attaccanti delle squadre avversarie. Tutte, tranne te.»
Negli ultimi tempi, a causa delle vicende che avevano coinvolto Megumi, i trascorsi fra le due erano passati in secondo piano, sepolti da ben più contingenti questioni. Arisu stessa aveva permesso che lei se ne dimenticasse, sforzandosi quanto più possibile di far finta di nulla dopo la discussione sorta al primo giorno di convivenza. Adesso riemergeva con tutta la sua forza e Megumi non si sentiva affatto in grado di farci i conti. Qualche mese prima non si sarebbe preoccupata dello stato d’animo di Arisu, in quel momento invece, finì per appesantire ancora di più il suo fardello di colpe.
«Sono stata crudele con te» ammise fra i denti «ingiustificabile.»
«Ora è tutto passato» la rassicurò l’altra «Davvero, è tutto a posto.»
«Faresti bene ad odiarmi, invece.»
«L’ho fatto, sai? Per il primo mese, quando nessuno mi parlava più nei corridoi ed io non mi fidavo più di loro.» spiegò Arisu riprendendo ad avanzare lungo il sentiero, Megumi la imitò «Ti ho detestata con tutto il mio cuore. Mi avevano parcheggiata in panchina, le mie compagne non mi volevano nemmeno nella squadra B durante gli allenamenti. Avevo terrore di ogni servizio, non riuscivo a difendere più niente. Ti rivedevo in ognuna di loro, così ho lasciato il club, volevo lasciare anche la pallavolo.»
«Allora perché sei qui?»
Ancora una volta Arisu scosse il capo, come se stesse per dire la cosa più ovvia del mondo. Il vento scosse i rami dell’abete sopra di lei, da cui piovve una generosa quantità di aghi ingialliti e sottili.
«Per te.» disse.
«Scusa, ma non capisco.» balbettò perplessa «Mi odi eppure sei venuta qui per me?»
Le guance dell’altra si tinsero di un rosa molto simile a quello dei suoi capelli.
«Mi dicevo che se anche al liceo avessi ripreso a giocare con una nuova squadra, prima o poi ci saremmo scontrate nuovamente, e tu mi avresti portato via ancora una volta la fiducia delle mie nuove compagne. Eri come un muro enorme contro cui continuavo a sbattere la faccia, ero ossessionata da te, non riuscivo a pensare o a parlare d’altro. Ad un certo punto ho pensato che c’era un altro modo per far sì che non ci scontrassimo più, a parte lasciare la pallavolo: essere nella tua stessa squadra. È stata una rivelazione! Ho iniziato a studiare per il test di selezione ed ho ritrovato l’entusiasmo ed un senso a ciò che facevo. Ho capito che io ho sempre voluto giocare con te, dal primo momento, ed era quel desiderio a torturarmi. Quando ad aprile sono entrata nella palestra con il modulo d’iscrizione al club e ti ho vista lì… ho dovuto faticare per non commuovermi.»
Megumi ripensò all’inchino frettoloso che Arisu le aveva rivolto a settembre, quando lei era ancora troppo imbarazzata per parlarle con disinvoltura. “E chi ti scorda?” le aveva domandato con il sorriso che Megumi aveva connotato di risentimento dolorosamente vivo. Quel giorno aveva interpretato ogni sguardo o gesto che Arisu le rivolgeva come un tentativo di suscitare in lei dei sensi di colpa, ora scopriva invece che la compagna di squadra era semplicemente emozionata. Questa spiegazione, fra l’altro, giustificava il repentino cambio d’umore del giorno successivo, quando pareva che l’altra avesse maturato l’improvvisa voglia di saltellare di gioia: non c’era stato nessun cambio d’umore, Arisu era sempre stata felice di rivederla.
«Dovresti scegliere meglio le persone per cui provi ammirazione.» commentò cercando di rinsaldare alla men peggio le vistose falle nella sua presunta facciata impassibile «Soffri di sindrome di Stoccolma?»
«Devi rovinare sempre tutto?» la rimbeccò Arisu, ma non c’era traccia di disappunto nella sua voce.
«Mi dispiace essere stata una fregatura.» si scusò allora Megumi, il cuore un po’ più leggero «Non sono affatto un modello a cui guardare, al massimo sono l’esempio di cosa non si fa.»
«Non ho mai detto che tu fossi il mio modello da imitare, a meno che in realtà tu non ti chiami Xiao Lu[2], questo cambierebbe tutto.» precisò Arisu «Io volevo te come compagna di squadra, e sì… sei stata una bella fregatura, dal momento che hai perfino smesso di giocare. Però negli ultimi tempi non sei male come amica, quasi non ti riconosco. Dai, dimmi una cosa cattiva delle tue.»
«Io non dico cose cattive!» protestò, poi si corresse quando l’altra sollevò un sopracciglio «O almeno non le dico a comando.»
«Io conosco un’altra versione della storia.»
«Se stai cercando di fare una battuta non ti è riuscita.»
«Sono un libero, non posso andare al servizio… perciò perdonerai la mia assoluta mancanza di familiarità con le battute.»
«Questa ti è già venuta meglio, anche se pecca di originalità.»
«Che ne sai tu di umorismo?» la punzecchiò Arisu divertita, Megumi si lasciò stuzzicare di buon grado.
«Sicuramente più di quanto ne sappia uno scoiattolo insipido come te.»
«Eccoti qui, mi eri mancata!»
«Sei proprio impicciosa.»
Oltre l’ultima ansa del sentiero sterrato, il tempietto tanto agognato si lasciò scorgere. Lo stomaco di Megumi brontolò con prepotenza al ricordo dei panini nello zaino, e lei fu felice di non incontrare nessuno nei dintorni. Si era quasi convinta che il suo desiderio di pranzare in solitudine fosse sul punto di essere realizzato, quando si accorse delle due voci femminili che provenivano dall’area di sosta.
«Peccato, è già occupato…» imprecò Arisu prima che potesse farlo personalmente.
«Parla piano!» l’ammonì premendosi l’indice sulle labbra «C’è una che piange!»
«Che piange?» ripeté l’altra dubbiosa.
«Sì, ascolta!» sussurrò imperativa.
Megumi non avrebbe saputo dire perché quelle voci le suonassero familiari, ipotizzò che si trattasse di qualche compagna di classe o inquilina dello stesso piano. Fatto stava che la ragazza che piangeva doveva essere davvero disperata: i suoi lamenti alternavano il dolore all’ira senza vie di mezzo, singhiozzava tanto che era difficile comprendere che parole stesse pronunciando, lei ne afferrò appena tre, ed erano tutti improperi irripetibili. Lo sguardo di Arisu si accese di rivelazione non appena la seconda voce, più dolce e controllata (seppure l’acutezza del tono tradisse una punta d’apprensione), intervenne per cercare di consolare la sciagurata.
«È Kaori-chan!» annunciò a mezza voce.
«Chi è? Una tua compagna di classe?» domandò Megumi incapace di capire perché si fosse eccitata tanto. L’altra, per tutta risposta, aggrottò le sopracciglia.
«Kaori Nonaka, primo anno, schiacciatrice laterale. Hai dimenticato proprio tutto del club, eh?»
Megumi arrossì appena. «No che non l’ho dimenticato, e che mi sono sempre riferita a lei per cognome. Non pensavo che tu e la grassottella foste diventate tanto amiche da chiamarvi per nome.»
«È gelosia quella che leggo fra le righe?» cantilenò Arisu assottigliando gli occhi nocciola.
«Certo che no!» si affrettò a replicare subito «Si tratta solo di un’osservazione, perché dovrei essere gelosa del fatto che voi siate amiche?»
«Megumi-chan, non devi essere gelosa del fatto che qualcuno abbia fatto amicizia con me prima di te.»
«Infatti ti ripeto che non lo sono, se non siamo diventate amiche prima è perché non l’ho voluto, pace.» spiegò impacciata, anche se un po’ le rodeva realmente che Arisu avesse un’altra amica oltre lei. «E l’altra chi è?»
«Mai sentita.» sentenziò Arisu con serietà.
«Io invece sì…» ammise Megumi pensosa «Il punto è… dove?»
«Andiamo a vedere, forse possiamo dare una mano!» propose l’altra.
«Ma sei matta? Se una piange è per cose personali, non puoi piombare lì e farti i fatti suoi…»
«La povera Kaori mi sembra molto in difficoltà.»
«Sono certa che la tua povera amica saprà venirne fuori da sola.»
«Megumi-chan, se andiamo lì forse può diventare anche amica tua.»
«Non essere ridicola, non ho bisogno di altre amiche, né tantomeno di altra gente che faccia parte di quel club.»
Ma Arisu non aveva alcuna intenzione di ascoltarla: la prese per un polso e suo malgrado si ritrovò un istante dopo nel bel mezzo dell’area di sosta, gli occhi piantati su Nonaka e sulla misera figura rannicchiata su un tronco accanto a lei, i capelli neri e lucidi che ne coprivano il volto come quelli della protagonista di un noto film dell’orrore.
«Kaori-chan, perché l’hai fatta piangere?» esordì Arisu senza troppi mezzi termini.
«Quella è Ikeda?» domandò invece Megumi prima ancora che Nonaka potesse obiettare di non avere alcuna colpa. La ragazza accanto a lei sollevò lentamente il capo e scostò i capelli lisci dalla fronte, scoprendo gli occhi sottili e allungati, ora gonfi di lacrime.
«Andate via!» ringhiò in loro direzione.
«È davvero lei!» esclamò Arisu sorpresa «Ma cosa è successo?»
Nonaka strascicò la pianta del piede sinistro per terra, a corto di parole. Con un sorriso tirato cercò di spiegare: «Poco fa sono passati di qui Nobuhara e la sua nuova ragazza.»
«Quella troia!» sbottò nuovamente Ikeda riprendendo a singhiozzare «Si tenevano per mano, capisci? Per mano! Gliele taglierei, quelle mani!»
«Mikoto-chan, non essere così volgare… ci sono altre persone adesso…»
«Che se ne vadano!» strillò furente «Sono qui per compiacersi di me? Per raccontare che anche la strega piange?»
«Ma nessuno si compiace di vederti così per colpa di Nobuhara, Ikeda.» intervenne Megumi «Mi dispiace molto che tu stia così per uno come quello lì, nessuna dovrebbe stare così male per quello lì né per nessun altro. I maschi sono disgustosi.»
Ikeda smise di singhiozzare e rivolse uno sguardo indecifrabile a Megumi. Soffiò poderosamente il naso nel fazzoletto raggrinzito e, dopo secondi di silenzio lunghi quanto ore intere, batté la mano destra sulla parte del tronco libera, per farle cenno di sedersi accanto a lei. La ragazza cercò lo sguardo di Arisu, perplesso quanto il suo, poi quello incoraggiante di Nonaka. Così finì accucciata accanto alla strega, in bilico sul tronco, chiedendosi in quale modo avrebbe dovuto piegare le gambe per stare comoda. Ikeda la scrutava con curiosità, finché non si decise a parlare:
«Non si fa che parlare di te.» disse di punto in bianco «Quello che dicono è vero?»
«Dipende da cosa dicono.» obiettò già infastidita.
«Che te la facevi con Hattori per rimanere nella squadra.»
Non aveva fatto tutta quella strada per sentirsi giudicare da Ikeda, perciò Megumi valutò di alzarsi ed andar via prima che la rabbia prendesse il sopravvento. Arisu schiuse le labbra per difendere la compagna di stanza, ma entrambe furono interdette appena in tempo.
«Io lo sapevo.» aggiunse Ikeda tirando su con il naso «E sapevo anche che era un violento. Vedevo come ti guardava, era nauseante. L’ho visto metterti le mani addosso dopo l’amichevole contro il liceo Yamanaka e per giorni mi sono tormentata: volevo denunciarlo al consiglio d’istituto, ma ho commesso l’errore di parlarne prima con Ren e lui mi ha proibito di immischiarmi nella vicenda. So che adesso è tardi, ma se la mia testimonianza può essere ancora utile, ti prego di tenermi in considerazione.»
«Quindi tu hai visto Hattori molestare Megumi» ripeté Arisu incredula «E non ne hai fatto parola con nessuno solamente perché Nobuhara ti ha vietato di farlo?»
La domanda di Arisu era lecita, ma fra le parole di Ikeda si nascondeva una questione molto più profonda, per giunta non molto dissimile da quanto Megumi stessa avesse vissuto negli ultimi tempi.
«Nobuhara decideva cosa dovevi o non dovevi fare?» la domanda le sfuggì fra le labbra in un sussurro e gli occhi di Ikeda s’inumidirono di nuovo.
«Pretendeva che non parlassi con altri ragazzi all’infuori di lui, dopo che ci siamo messi insieme ha allontanato da me tutti i miei amici e mi ha impedito di legarmi ad altre persone, comprese voi del club. Diceva che mi avreste messo in testa idee strane e mi sarei rovinata. Ogni volta che mi ribellavo minacciava di lasciarmi, cosa che poi ha fatto ugualmente. Io tolleravo tutto, ero troppo innamorata.»
«Quindi era questo il motivo!» esclamò Nonaka spazientita. Megumi personalmente non credeva che Nonaka potesse perdere la pazienza ed infuriarsi come i comuni mortali, ma in quel momento era inequivocabilmente fuori di sé. «Facevo bene, allora, ad insistere con te! Ci voleva Sakurai per farti sputare il rospo? È da quando sei tornata che cerco di farti parlare, di tirarti su di morale, e solo ora ne parli? Come potevo capirti, se continuavi a stare zitta?»
«Kaori-chan, ti sei arrabbiata?» mormorò Ikeda dubbiosa.
«Kaori-chan, ti sei arrabbiata?» ripeté l’altra scimmiottandola «Sì, Kaori-chan è incazzata nera! Noi ti avremmo messo in testa idee strane? Sarebbe stato meglio, se ci avessi permesso di farlo! Lo avresti lasciato tu, quel grandissimo pezzo di… di…» si trattenne appena in tempo «Oh, se solo un’altra volta ti sorprendo a sospirargli dietro, io…»
«Tu cosa, Kaori-chan?» continuò Ikeda con serietà «Sei troppo buona per prendermi a schiaffi.»
«Allora smetterò di parlarti.»
«Se può essere utile due schiaffi posso darteli io, credo di essere cattiva quanto basta per farlo.»
Tutte e tre rivolsero lo sguardo ad Arisu, come attendendo che anche lei avanzasse una proposta, ma la ragazza tese le braccia in avanti per difendersi e voltò con uno scatto la testa dall’altro lato.
«Io non farò proprio nulla!» precisò intimorita «Una volta mi hai fatta inciampare sulla panca nello spogliatoio!»
A quel punto Mikoto Ikeda scoppiò in una risata sincera e cristallina, che Megumi non aveva udito mai da quando si conoscevano. La guardò esterrefatta premersi le mani sullo stomaco perfettamente piatto e curvarsi in avanti. Aveva cominciato a dubitare della sanità mentale di Ikeda, quando si scoprì anche sé stessa a ridere senza un motivo preciso e presto si accorse che anche Arisu e Nonaka erano state contagiate dalla loro ridarella. Risero così tanto che le facevano male gli addominali ed il ritrovato buonumore le mise una fame da lupi. Nessuna di loro menzionò più Ren Nobuhara e la sua nuova fiamma, né – con grande sollievo di Megumi – Ikeda insistette oltre sull’argomento Hattori: per mezza giornata, riuscì a sentirsi una ragazza come tutte le altre, che parla e ride di argomenti frivoli quanto solenni, come l’ultimo paio di scarpe in saldo al negozio appena fuori città, che Nonaka aveva mostrato tutta tronfia sullo schermo del suo cellulare quasi totalmente scarico.
Solo che – e se ne rese conto solo quando il sole prese a calare ed il cielo tingersi di un rosso insopportabile – tanto normale quel quartetto non doveva essere: dopo aver raggiunto la vetta, s’erano fatte persuadere da Arisu ad abbandonare il sentiero del ritorno in nome di una fantomatica scorciatoia ed erano finite in mezzo al bosco, o forse continuavano a girare in tondo come delle cretine.
«Ricordami, perché mi sono fidata di te?» si lamentò Megumi esausta dopo l’ennesimo giro.
«Perché conoscevo un modo per accorciare i tempi?» ribatté ironica Arisu.
«Accorciare i tempi?» ripeté stridula «Se avessimo seguito il percorso indicato saremmo giù da un pezzo! Se non te ne sei accorta, tra poco non si vedrà più nulla!»
«Me ne sono accorta, grazie! Useremo la torcia del cellulare!»
«Se hai ancora della batteria, perché non la usi per chiamare aiuto?»
«Perché non c’è copertura, genio!»
«Ragazze, per favore… mi sta venendo mal di testa…» le avvisò Ikeda.
«Non è il tempo né il luogo giusto per litigare…» intervenne Nonaka.
«Non era nemmeno il tempo ed il luogo per giocare all’esploratrice!»
«Ritorniamo sul sentiero, allora!»
«Tra meno di mezz’ora sarà buio pesto! Come credi di trovarlo?»
«Basta!» gridò Ikeda seccata «Siete insopportabili! Adesso lasciate fare a me e statemi ad ascoltare: Kaori-chan, raccogli delle foglie… che siano secche! Hiromi, dalle una mano e procurati un paio di legnetti sottili.» puntò quindi il dito contro Megumi, poi indicò il ramo più basso del pino sopra di loro «Sakurai, io e te staccheremo questo qui.»
~
«Guardatelo, ha la faccia da stupido.»
«Non ti sente nemmeno, Takahiro. Sorride allo schermo come un deficiente e basta.»
«Iwa-chan, ti ho sentito!»
«Ah, quindi non sei ancora del tutto rincoglionito?»
«Certo che no! Sono solo felice.» ammise Tooru tutto impettito «Mi ha mandato una foto di dove sono ora!» aggiunse mostrando il telefono agli amici.
«Kaihaku, gran bella meta…» commento Matsukawa sarcastico «A parte il tempio cosa c’è a Kaihaku?»
«Niente, penso. Ci sono gli alberi e le zanzare.» rispose con schiettezza Hanamaki «Che gran fregatura, se pagassi io quella retta lì pretenderei di più che una gitarella in mezzo ai boschi. E se ti perdi nei boschi?»
«Solo uno sprovveduto uscirebbe dal sentiero.» obiettò Iwaizumi «Tipo il nostro Oikulo, ecco lui sarebbe uno di quelli che esce dal sentiero e si perde nel bosco. Ed io sono uno di quelli che ce lo lascia.»
«Vorrei poterti credere Hajime.» ridacchiò Hanamaki rigirandosi fra le mani il telecomando della televisione della clinica «Il problema è che ce lo riporti sempre indietro, non saresti in grado di lasciarlo lì.»
«D’accordo, la prossima volta che siamo dalle parti di un bosco avvisatemi, farò del mio meglio per lasciarcelo.»
«Ah ah, molto divertente!» finse irritato Tooru «Vi farà piacere sapere, invece di fare congetture insensate su di me, che questo pomeriggio Gumi-chan s’è fatta convincere a lasciare il sentiero e si sono perse.»
Hanamaki lasciò perdere il telecomando e si portò le mani al petto fingendo commozione, poi con piglio volutamente effeminato annunciò: «Io voglio essere la damigella!»
Tooru lo fulminò con lo sguardo.
«Sì, so cosa stai pensando.» aggiunse allora l’amico «Che il mio colore di capelli condiziona fortemente la scelta della tinta dell’abito. Ebbene sì, hai ragione, ma penso che il lavanda mi starebbe divinamente.»
«Puoi giurarci!» confermò Matsukawa.
«Oggi siete tutti particolarmente simpatici.» considerò con disappunto «E comunque il lavanda mi fa profondamente schifo, levatelo dalla testa.»
«Quindi la tua Sakurai è tornata a scuola, ha smesso di giocare al Galaxy, vi sentite tutti i giorni e verrà a trovarti lunedì prossimo, di ritorno dalla gita.» ricapitolò Hanamaki «Dov’è l’inganno?»
«Ora è parcheggiato nel lato più oscuro della friendzone. Ed è ammirevole che si sia offerto di sua spontanea volontà.»
La spiegazione semplice e concisa di Iwaizumi gli procurò una spiacevole fitta gelida al petto. In tutta onestà, non si era pentito di essersi proposto come amico, ma si augurò che Sakurai non lasciasse impolverare i sentimenti che nutriva per lei, dopo quell’improvvisa svolta nel loro rapporto. Si domandava più volte al giorno se una ragazza potesse mantenersi in contatto così frequentemente con un semplice amico ed il suo cuore continuava a bisbigliargli che «No, non lo farebbe
Ma Sakurai trascendeva – lo aveva imparato a sue spese – dalle etichette femminili. Quindi, a cosa credere?
«La prossima volta rimedia un appuntamento per quando esci da qui.» suggerì Matsukawa notando forse la sua tristezza «Portala in quel parco divertimenti di cui avete parlato. Se non vuole venirci, dille che vogliamo andarci anche noi… ad un certo punto ci defileremo e vi lasceremo soli.»
«Esco di qui ad ottobre… saremo sotto i preliminari dell’Harukou e voi dovete allenarvi. Non potete permettervi di saltare le attività del club.»
«Oikawa, sei il mio capitano preferito.» annunciò Hanamaki con solennità «Perciò le chiederai di andarci di lunedì.»
«Mi risponderà di no in ogni caso.»
«Si può sapere perché sei così pessimista?» sbottò infine Iwaizumi «Non è scritto da nessuna parte che rifiuterà per forza! Sia chiaro che a me Sakurai non sta nemmeno tanto simpatica, ma m’innervosisce che tu ti fasci la testa prima ancora di batterla! Dieci minuti fa leggevi i suoi messaggi sprizzando felicità, adesso sei piombato nello sconforto… decidi cosa fare, no?»
«Iwa-chan, non lo faccio apposta… è che succede.»
«Allora cerca di non farlo succedere più: per colpa di Sakurai sei stato picchiato in un corridoio, sei stato coinvolto e rimasto ferito in una rissa con uno che poteva pure sfondarti il cranio, hai peggiorato il tuo ginocchio e bruciato ogni possibilità di giocare all’Harukou. Sia chiaro che se ti accade altro dovrà rispondermene direttamente, perciò vedi di non deprimerti.»
~
Erano già le dieci e mezza di sera quando tutte le stoviglie furono perfettamente lucidate ed impilate l’una sull’altra. A quel punto la professoressa Suzuki, dopo aver verificato che tutte le faccende fossero state correttamente portate a termine, consegnò loro un sandwich per ciascuna, l’unica portata che avrebbe costituito la loro misera cena.
Kaori ne fu parecchio delusa: dopo tutta la fatica di scrostare i tegami sporchi di grasso bruciato, aveva sperato di venir premiata con gli avanzi del pollo arrosto ed invece doveva accontentarsi di un panino minuscolo. Megumi osservò Mikoto separare le due parti del proprio sandwich ed estrarne disgustata l’unica e sottile fetta di carne che vi era contenuta.
«Qualcuno la vuole?» propose con voce rauca.
Kaori si affrettò a prenderla ed aggiungerla all’imbottitura del proprio panino, raddoppiandone lo spessore. Nel panino di Mikoto, d’altro canto, erano restate solo le verdure cotte al vapore.
«Come puoi farti bastare quello?» domandò allora Megumi contrariata «Non dirmi che sei a dieta o altre cose simili, perché sarebbe ridicolo.»
«Sono vegetariana.» spiegò con una tranquillità preoccupante «Hai qualche problema?»
«Megumi-chan non ha proprio nessun problema!» s’immischiò Arisu prima che l’altra potesse replicare e scatenare un eventuale putiferio.
«Come mai?» continuò invece Megumi sinceramente interessata.
«Mi piacciono gli animali, mi dispiace mangiarli.»
«Capisco. Io avevo un cane, una volta. Ci ero molto affezionata.»
«Io ho tredici gatti.»
«Credo di aver capito male.»
Mikoto sembrò divertita. «Hai capito bene, ho tredici gatti. Il mio preferito è Quattro
«Come fai a tenere tredici gatti in casa?» obiettò Arisu sconvolta.
«Mikoto ha una bella villetta in città, con un giardino molto grande.» intervenne Kaori a bocca piena «Perciò può lasciarli liberi di fare ciò che vogliono.»
«Tutti sono randagi che ho raccattato. I miei sono veterinari, a volte capita che dei volontari ce ne portino alcuni per sterilizzarli, e noi ce li teniamo. I gatti portano fortuna.»
«Tredici sono troppi, in ogni caso.» osservò Arisu, poi fu colta da un’improvvisa epifania «Il fatto che la tua maglia fosse la numero tredici c’entra qualcosa coi tuoi gatti?»
Mikoto non rispose e si limitò ad un sorriso ambiguo. Per quel giorno, considerò Megumi, aveva parlato abbastanza e non doveva esserci più abituata; riflettendoci meglio constatò di trovarsi nella medesima situazione, perciò fu lieta quando l’altra annunciò la sua volontà di ritirarsi per riposare. Ne seguì l’esempio immediatamente, rivolgendo un rapido inchino a lei e a Kaori e sorridendo a Risu, ancora presa dall’eventuale correlazione fra il numero di maglia di Mikoto e quello dei suoi gatti.
Attraversando di fretta il patio che conduceva alle stanze sorpassò l’ingresso alla piccola sorgente termale, dalla quale non proveniva più il chiacchiericcio festoso della sera precedente: l’orologio che portava al polso segnava le undici e mezza e non doveva esserci più anima viva. L’idea di avere quel piccolo angolo di pace tutto per sé la dissuase dal proseguire il tragitto fino alla stanza delle secchione e a sgattaiolare di soppiatto nelle terme. Si meravigliò della prontezza con cui finì per disfarsi dei propri abiti e si immerse nella vasca senza doversi preoccupare delle occhiatacce delle altre ragazze o dell’eventualità che qualche ragazzo tentasse di sbirciare fra le fessure che costellavano la parete divisoria.
Ad un certo punto si ricordò che avrebbe dovuto scrivere ad Oikawa della punizione poiché il resoconto con lui si era fermato a quando erano riuscite a tornare al coperto, poco prima che l’arrivo dei professori la costringesse a staccare il telefono dal caricabatteria. Immaginando che il suo repentino silenzio avesse potuto preoccuparlo, si rimproverò di non aver pensato di farsi viva prima di fare il bagno, poi ritorno sui suoi passi: cosa gliene importava se Oikawa si fosse tormentato? Tuttavia – cambiò idea dopo qualche minuto – era crudele tenerlo sulle spine.
Stava per riprendere l’asciugamani che aveva lasciato a bordo vasca, pronta ad uscire dalla vasca, quando la quiete fu spezzata dal tonfo di qualcosa che cadeva in acqua nel lato della piscina riservato ai maschi, simile al rumore prodotto da un tuffo, seguito dall’imprecazione sommessa di una voce che conosceva bene.
«Shirabu? Sei tu?» tentò incuriosita.
Nel silenzio teso che seguì, Megumi fu abbastanza certa di aver preso un clamoroso granchio.
«Sakurai?» domandò invece l’altro «Che ci fai ancora qui a mezzanotte passata?»
Megumi si fece più vicina al divisore, per farsi udire meglio, e anche l’altro fece altrettanto, a giudicare dal flebile scroscio dell’acqua e dall’appressarsi della sua voce. «Avevo bisogno di rielaborare la giornata.» spiegò.
«Ho sentito che insieme a tre ragazze delle altre sezioni ti sei presa una punizione per essere rimasta fuori sulla collina oltre l’orario consentito.»
«È stata colpa di Hiromi.» si giustificò «Ha insistito per lasciar perdere il sentiero e cercare delle scorciatoie nella boscaglia, ed alla fine ci siamo ritrovate in mezzo al nulla, senza copertura per i cellulari e alla fine anche con la batteria scarica. In breve, se non ci fosse stata Ikeda non saremmo più rientrate, sarebbero dovuti venire a cercarci.»
«Ikeda non è quella che stava con Nobuhara? Giocava da centrale, no?»
«Proprio lei, pare che abbia un buon senso dell’orientamento. E di sopravvivenza, aggiungerei, l’ho vista costruire una fiaccola con un ramo, foglie secche e resina. Hai presente Indiana Jones, no? Stentavo a crederci.»
«Senti che roba… E dire che sembra una signorinella viziata.»
«Una sorpresa, ti giuro. Prima o poi le chiederò dove abbia imparato. Il massimo della mia sopravvivenza è accendere un falò di legnetti secchi col fiammifero.»
«Almeno tu sai accendere il falò, io mezz’ora fa ho trovato uno scarafaggio nel gabinetto e mi sono rifiutato di entrarci finché gli altri non se ne sono sbarazzati. Penso proprio che mi prenderanno in giro per il resto della mia vita.» confessò demoralizzato.
«Ti bastava schiacciarlo, no? Noi in campagna ne troviamo tantissimi, soprattutto dalle parti del torrente. Se dovessimo allarmarci ogni volta che ne vediamo uno, dovremmo piuttosto trasferirci in città.» raccontò con un po’ di nostalgia.
«Sono disgustosi, e quando gli schiacci fanno crac. Mi viene la pelle d’oca solo a pensarci!»
«Mi dispiace, se ci fossi stata io, te lo avrei fatto fuori senza troppe storie.»
Shirabu la ringraziò per il pensiero, ma le spiegò che era umiliante ricorrere all’aiuto di una ragazza per uno scarafaggio: avrebbe ottenuto un effetto ancor più disastroso e le beffe si sarebbero moltiplicate in un batter d’occhio.
«Non ci sarebbe niente di male, non siamo tutti uguali. Sarebbe un buon modo di ricambiare tutte le ripetizioni che mi hai offerto.» commentò perplessa «E comunque se dovesse capitartene un altro, e ti auguro di no, che ne so… in ritiro, chiedi a Wakatoshi, è un professionista. Dovresti vederlo, li schiaccia con una noncuranza tale da risultare quasi comico.»
«Grazie per avermi offerto questa immagine idilliaca del capitano.» replicò schifato «Non ne avevo per niente bisogno.»
«È solo la bucolica quotidianità di Minamisaka e dei bei vecchi tempi.» ammise con malinconia «Fa tanto strano sentir parlare di lui come “Il capitano”, non ho mai pensato che potesse avere abbastanza carisma per un ruolo simile.»
«Il carisma si manifesta sotto forme diverse dalla semplice eloquenza.»
«Quando parlo con te mi sento sempre ignorante.»
«Sakurai, è inutile che te lo dica… se hai bisogno di altro aiuto con lo studio, puoi sempre contare su di me. Lo faccio volentieri.»
«Te l’ha chiesto il capitano, non è vero?» domandò lasciandosi sfuggire un sorriso. S’era interrogata per tanto tempo sulle ragioni dietro la gentilezza di Shirabu, fino a raggiungere la certezza del coinvolgimento di Wakatoshi. Doveva averci visto giusto, perché l’altro replicò:
«Se tu smettessi di evitarlo, potrei dire con certezza di volerti aiutare di mia spontanea volontà.»
«Quindi te l’ha chiesto davvero lui.»
«Adesso sto facendo di testa mia. Mi dispiace molto per quello che ti è accaduto, e – tanto per la cronaca – io non credo nemmeno ad una parola delle voci che hanno messo in giro su di te. Ieri quelli della sezione 3 sono stati rivoltanti con quelle battute…»
«Oggi sto scoprendo che c’è più di uno dalla mia parte, ed è una sensazione piacevole.» rispose con maggiore serenità «Grazie. E credo che accetterò quelle ripetizioni.»
«Con piacere.»
Si ritirarono per qualche minuto in silenzio, godendosi il tepore dell’acqua termale, fino a che a Megumi non fu tornata in mente la domanda che avrebbe voluto porgli prima che iniziassero a parlare di insetti molesti.
«E tu, Shirabu, perché fai il bagno da solo dopo mezzanotte e non con i tuoi compagni di gruppo?»
L’acqua si mosse d’improvviso, come se il ragazzo fosse sobbalzato. Borbottò a mezza voce qualcosa che l’altra non riuscì a comprendere molto bene, perciò gli domandò di ripetere.
«Mi vergogno a fare il bagno con gli altri.» ammise impacciato «Mi sento osservato. È lo stesso motivo per cui alla fine degli allenamenti aspetto che tutti siano andati via per fare la doccia.»
«E perché? Siete tutti maschi e tu diversamente da me non hai alcun segno inconsueto addosso, non c’è niente da osservare. Loro non guardano te come tu non guardi loro.»
«Hai centrato perfettamente il problema.»
«Non ti capisco, ti ho appena detto che non c’è nessun problema di cui curarsi.»
«Lascia perdere» sospirò Shirabu rassegnato «Vuol dire che sono bravo a dissimulare.»
Ancora dubbiosa, decise di accettare l’invito a lasciar cadere l’argomento, che il compagno di classe non sembrava affatto morire dalla voglia di affrontare. Dal momento che il sonno cominciava finalmente a prendere il sopravvento, uscì dalla vasca e si avvolse l’asciugamano attorno al petto, lo salutò e gli augurò la buona notte, prima di dirigersi verso l’uscita. Shirabu la fermò prima che potesse oltrepassarla.
«Sakurai» la pregò titubante «Non raccontare a nessuno quello che ci siamo detti sulla questione di fare il bagno, per favore. Neanche al capitano
«Ti ricordo che io non ci parlo più col tuo capitano
«E dovresti parlarci invece. E parlare di tutto tranne che di quello che ci siamo detti.»
~
Era ovvio che Arisu e Kaori, quando la sera precedente erano rimaste sole, avessero continuato a parlare di loro e, più specificamente, ad escogitare qualche espediente per persuaderle a tornare al club. Il piano dell’ultima mattina di gita scolastica, dedusse Mikoto, era far leva sulla nostalgia.
«Risu-chan, perché hai scelto di giocare proprio a pallavolo?» aprì le danze Kaori strofinando con forza la spugna su una ciotola, durante il secondo round della loro punizione «Una volta mi hai detto che hai praticato tanti altri sport.»
Arisu non piaceva a Mikoto, la trovava irritante e buonista nonostante cercasse di atteggiarsi da dura. Quindi dovette faticare non poco per nascondere il proprio stupore quando quella rispose:
«Volevo fare un dispiacere a mia mamma.»
«Ed in che modo, scusa?» la incalzò perplessa Kaori.
«Mia mamma è una di quelle donne che vestono le figlie femmine di pizzi e trine e che le iscrivono a scuole di danza contro la loro volontà. Dopo anni di ginnastica ritmica, l’unica via di mezzo che mi avesse concesso, ho iniziato a provare vari club scolastici. Alla fine non le è andata male, ho scelto la pallavolo, ma ricordo quanto fosse sconvolta quando le ho annunciato di voler fare il portiere di calcio.»
«Saresti stata un ottimo portiere» commento sarcastica Mikoto «Sarebbe bastato mirare nell’ampio spazio compreso fra la traversa e la tua testa.»
«Be’, tu ce l’avresti sbattuta, la testa!» ribatté l’altra indispettita.
«So che da lì in basso può sembrare tutto più imponente, ma per arrivare a due metri e quarantaquattro centimetri mi manca ancora parecchio. Lo prenderò per un complimento.»
«Prendila come vuoi!»
«E poi» intervenne Megumi con l’intendo di sedare le acque «Hai cambiato idea?»
Arisu tornò tranquilla immediatamente, come se l’altra avesse spento un interruttore.
«Sì, quando ho scoperto che avrei potuto giocare in difesa a pallavolo. Torno a casa ricoperta di lividi e mia madre s’infuria ogni volta, dice che ho la pelle chiara, i capillari deboli e cose di questo tipo… è la mia piccola vendetta dopo anni di forzature. Adesso amo quello che faccio e sono decisamente più brava come libero che come ginnasta. Per la cronaca, ero penosa.»
«Quindi giochi a pallavolo per ricoprirti di lividi? Molto nobile, vagamente masochista.» ritornò ad osservare Mikoto, intenzionata come non mai a smontare la loro strategia di persuasione. In verità non lo desiderava perché determinata a non riprendere più le attività sportive, ma per il semplice gusto di contraddire Scoiattolo.  Kaori, tuttavia, finse di non aver sentito ed aggiunse prontamente:
«Tu perché invece hai scelto la pallavolo, Mikoto-chan
«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.»
«Dai, sono curiosa!»
«Già» ribadì Arisu come se avesse già fiutato il suo imbarazzo «Perché?»
«Perché sono alta.» tagliò corto.
«Avresti potuto iscriverti a basket.»
«Non voglio sentir mai più parlare di basket, intesi?»
«Dai, non essere timida, Mikoto-chan!» protestò Kaori.
«Timida, io? Ma mi hai vista?» replicò contrariata prima di schioccare la lingua.
«Allora che male c’è?»
Bruciante di vergogna, Mikoto inspirò ed espirò profondamente. Poi, con un filo di voce, sussurrò tutto d’un fiato:
«Quando avevo dodici anni ero pazza di una serie tv in cui la protagonista giocava a pallavolo.»
«Tutto qui? Questo era il tuo grande segreto?» domandò Megumi perplessa.
«Molto nobile la tua ragione, Mikoto-chan.» la canzonò Arisu, finalmente giunta al momento del proprio riscatto «Vagamente infantile.»
«Di buono c’è che conoscerla non vi aiuterà a comporre nessun sermone di convincimento. Siete finite dritte dritte in un vicolo cieco.» annunciò Mikoto soddisfatta.
«In che senso sermone?» intervenne Megumi incrociando le braccia.
«Queste due stanno cercando di convincerci a tornare al club, ma farebbero bene a lasciare da parte la retorica perché non è affatto il loro forte.»
«Ma cosa dici, Mikoto-chan?» balbettò Kaori arrossendo «Era solo un argomento qualsiasi!»
«E Kaori è una pessima attrice, non c’è dubbio.»
«Le cose stanno veramente come dice Mikoto?» tuonò Megumi alle due cospiratrici.
Mikoto guardò le due compagne farsi sempre più piccole dinanzi all’interrogatorio dell’altra e per poco non sentì anche lei l’esigenza di fare qualche passo indietro. Il fatto era che Megumi Sakurai nonostante fosse stata privata di buona parte del suo smalto e fosse ultimamente vittima di pettegolezzi e prepotenze, continuava a destare in loro quel sentimento di inquietudine che da sempre la circondava in campo. Fin da quando era poco più che una bambina, Sakurai era stata imprevedibile, pronta a scattare con arroganza e crudeltà contro chiunque gliene desse occasione ma allo stesso tempo perno imprescindibile della formazione sul quale contare ogni volta che si finiva negli angoli. Emanava dunque un’aria di autorevolezza poco ortodossa, ed era forse proprio questa a scontrarsi con l’autorità ben più legittima di Kurihara. Felice di essere dalla stessa parte di Megumi, si godé lo spettacolo.
«Pensavo ne avessimo parlato abbastanza!» rimproverava adesso in direzione di Arisu «Non ho alcuna intenzione di ricominciare, ed è scorretto da parte tua cercare di incastrarmi coi tranelli!»
«Sono stata io ad influenzarla!» s’intromise coraggiosamente Kaori, ma Megumi la zittì con uno sguardo e ritornò a rimbeccare la compagna di stanza.
Dopo dieci minuti di quella tiritera – e vagamente preoccupata che Kaori potesse scoppiare in lacrime – Mikoto decise di interromperla. D’altro canto era curiosa: quanto avrebbe potuto ottenere la nostalgia su una simile personalità selvaggia?
«E tu, Megumi… perché hai iniziato a giocare?»
«Che fai, passi al nemico?»
«Semplice curiosità.» la sfidò con un sorriso. Non aveva alcuna intenzione di mettersi contro di lei, le stava perfino simpatica.
«Per un amico.» rispose alla fine «Aveva bisogno di una compagna di giochi.»
«Ora non ne ha bisogno più?»
«S’è fatto altri compagni di giochi.» spiegò con amarezza.
«Come è giusto che sia.» aggiunse Mikoto «Credo sia il caso che te ne faccia anche tu.»
Avrebbe voluto chiudere la bocca aperta di Kaori, che con occhi sgranati guardava incredula in sua direzione, prima che le venisse troppo da ridere. Eppure Mikoto non si stava affatto prendendo gioco di Megumi: era estremamente seria e si ritrovò a pensare che lei stessa avrebbe fatto bene a seguire il proprio consiglio. Suo malgrado dovette considerare che Kaori sapeva essere indirettamente persuasiva.
«Ci sono compagni di giochi migliori di me.»
«Come è giusto che sia.» ripeté.
«Che gioco stai facendo?»
«Puoi anche rimproverarmi, io non ho affatto paura di te.»
«Non ho mai voluto che nessuno avesse paura di me.»
«Bugiarda. Quella lì» ed indicò Arisu, che la supplicava silenziosamente di smetterla «trema ancora dallo scorso inverno.»
Punta sul vivo, l’altra strinse le labbra in silenzio. Mikoto fece un sorriso di sbieco.
«Ma non ho alcuna voglia di litigare con te, sarebbe un peccato perdere una compagna di giochi così.»
«Non mi risulta che tu abbia intenzione di giocare.»
«Non si sa mai, potrei fare una maratona di quella serie tv e ritrovare l’entusiasmo.»
«Fai quello che vuoi.» si arrese «Nessuno avrebbe da ridire se tu tornassi al club, sono a corto di membri.»
A Mikoto sembrò che quell’ultima conclusione di Megumi straripasse di rimpianto ed invidia, sottolineava che per lei le cose stavano in modo diverso e che nessuno l’avrebbe voluta nuovamente al club dopo quanto era accaduto. Tuttavia, in nome di quella nascente amicizia, decise di non oltrepassare la soglia della discrezione e lasciò che l’altra riprendesse ad occuparsi del pavimento della cucina, non prima di aver rassicurato Scoiattolo di non essere poi così delusa da lei come le aveva fatto pensare.

 
 

[1] Il Monte Kaihaku è una località d’invenzione.
[2] In questo universo immaginario, Xiao Lu è il nome del libero della Nazionale cinese maschile di pallavolo.
   
 
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