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Autore: _astronaut_    30/04/2018    2 recensioni
||SPOILER AVENGERS:INFINITY WAR||
"Se non uccide, fortifica", dicono.
E' proprio così?
Raccolta di One-Shots tutte tra loro collegate per creare una storia più lunga narrata dal punto di vista di Tony e degli altri personaggi; se non avete ancora visto il film, non leggete (siate saggi, non rovinatevi la visione di uno dei film più emozionanti dell' MCU!). Enjoy!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE! SPOILERS DI Avengers: Infinity War
Canzone consigliata: Fleurie – Hurts like hell

"And it hurts like hell"

Dicono che ciò che non ti uccide ti renda più forte. 
Non so se però funziona davvero così: solo pensare a chi ho visto morire, oggi, mi fa sprofondare in una profonda agitazione che, se non fossi oramai abituato a gestire la mia respirazione, sfocerebbe nel giro di qualche secondo in un attacco di panico.
Non esistono parole per esprimere quello che in questo momento si sta agitando nella mia anima inquieta, nella mia mente stanca, nel mio cuore spezzato, nel mio fisico stremato e ferito. Mi siedo - probabilmente tra pochi minuti darò di stomaco e vomiterò tutto il dolore che non riesco a esternare -, chiudo gli occhi.
Penso, o meglio, cerco di capire ciò che mi ha detto Strange prima di dissolversi come tutti gli altri che erano con noi: “Tony… Non c’era altro modo”.

Non c’era altro modo per cosa?

Strange non ci aveva detto nulla riguardo alla sua visione, aveva solo detto che dovevamo combattere, e aveva approvato appieno il piano di Star Lord. Forse aveva qualcosa in mente? 

O forse… forse voleva solo darci speranza. 

Quell’uomo ed io eravamo molto simili, per non dire uguali, avrei fatto lo stesso al suo posto. Di sicuro, non avrei gettato nella più nera disperazione i miei compagni: piuttosto, avrei dato loro coraggio e avrei accettato le conseguenze.
Forse, il fatto che esistesse un futuro in cui noi uscivamo dallo scontro vincitori, era una bugia. 

Ma allora… quelli che sono morti, sono morti invano?

Sono solo, solo come nei miei incubi peggiori: Peter, che ormai avevo a cuore come un figlio, era morto, sparito nel nulla, polvere impotente dinnanzi al vento della morte. E Pepper? Se n’era andata anche lei? Steve, Nat, Bruce, Rhodes… Thor? Erano morti anche loro?
Guardo le ceneri di Peter, Quill, Drax, Mantis e Strange ai miei piedi, e tutto ciò che riesco a pensare è una sola, semplice, domanda: Perché? 
Perché non io, al posto di Peter? Era solo un ragazzo, cosa aveva fatto di male?

Mi dispiace, Peter, mi dispiace così tanto…

Sento gli occhi pizzicare per far uscire delle lacrime che, a ben guardare, sono più per un dolore psicologico che per un dolore fisico: la ferita al fianco? Bazzecole, si sta già rigenerando.
Vorrei, in questo momento, non aver creato un’armatura così potente in grado di curarmi così efficacemente: se la morte sopraggiungesse, adesso, e mi portasse con sé, probabilmente non opporrei alcuna resistenza.
E invece no, nonostante tutto, nel giro di qualche ora avrò bisogno di qualche garza per asciugare una ferita sanguinolenta e abbastanza profonda ma non mortale, che grazie alle giuste cure, sarà solo il ricordo di una brutta avventura nel giro di qualche giorno. 

Brutta avventura è un eufemismo. E’ un incubo.

Il vero dolore è davanti ai miei occhi. Il vero dolore è vedere la cenere sulle mie mani e sentire, incredibilmente, l’odore di Peter: un misto di sapone e cenere, unico resto di ciò che poco fa era un ragazzo pieno di coraggio, vitalità e speranze.
Tutte cose che gli ho portato via accettando che venisse con me e Strange. 

Avrei dovuto rispedirti a casa senza nemmeno ascoltarti… E invece no, che io sia maledetto!

Ma forse è già una maledizione essere sopravvissuto per caso alla morte: quale criterio c’è, dietro tutto ciò che è accaduto? La logica avrebbe voluto che fossi io a morire, sono ormai un uomo sulla cinquantina, ho scampato la morte un bel po’ di volte… Perché stroncare la vita di un ragazzo?
Stringo nel pugno le ceneri di Peter, attaccate alla mia mano bagnata di sangue e sudore.

Ti vendicherò.

Giuro questo nella mia mente, e sugello la mia promessa con delle lacrime salate che mi bruciano il viso pieno di graffi.
Non sono bravo a mantenere le promesse, questo Pepper lo sa bene. A lei avevo promesso che non ci sarebbero state sorprese, questa sera saremmo dovuti andare a mangiare assieme… E invece no, sono su un pianeta sperduto chissà dove nell’Universo, la navicella è… 
“Integra” la voce di Nebula mi giunge distante, un po’ metallica, per niente famigliare e per niente consolante. Come me, ha il dolore negli occhi e il senso di colpa nel cuore. 
La guardo, e capisco cosa le sue parole vogliano dire: Strange, alla fine, ci ha salvati. 
Lo stregone sapeva che qualcuno sarebbe sopravvissuto, e aveva messo al sicuro la navicella in un universo alternativo, che l’avrebbe protetta sino al momento della sua morte per poi farla riapparire su Titano quando – e se - Strange fosse sparito. Prendo una manciata di ceneri di Peter e di Strange, le metto in una piccola pietra spezzata e cava che ha assunto la forma di una scodella.

Ora posso tornare a casa. 

“Riesci ad alzarti?” mi domanda, offrendomi un braccio per potermi rialzare. 
Prendo la sua mano e lascio che mi sostenga, che mi conduca fino alla nave spaziale e che mi domandi dove io voglia andare, sulla Terra.
“Portami a casa” mormoro, dandole istintivamente le coordinate del complesso Avengers, dove io e Pepper ci eravamo stabiliti assieme a Rhodes.
“Ci vorrà un’ora. Fortunatamente non siamo distanti dai portali Galattici”
Annuisco. “Grazie”
Sorride mestamente. “Mi dispiace per tutti i tuoi amici”
“Mi dispiace per tua sorella” rispondo piano, guardando fuori dall’oblò della nave.
Non parliamo per tutto il viaggio, cercando di processare il dolore che, come un virus, sta velocemente prendendo il possesso del nostro corpo: non riesco nemmeno a godermi il panorama attorno a me, e siamo a livelli di film di fantascienza, con la differenza che tutto ciò che vedo è reale.

Sicuramente Peter apprezzerebbe molto.

Non dormo, non voglio chiudere occhio: ho troppa paura che i miei incubi diventino realtà, è appena successo, non voglio che riaccada.
Atterriamo sulla pista di atterraggio di fronte al Complesso prima di quanto pensi. 
“Quanto tempo hai intenzione di metterci?” domanda Nebula con finta indifferenza.
“Poco” rispondo “Devo solo…”

Devo solo prendere Pepper tra le braccia e trovare un modo di contattare gli altri, sempre che gli altri ci siano ancora.

Nella mia testa corre velocemente questo pensiero, ma mi limito a dire: “Devo solo cambiare armatura e cercare di risalire al luogo dove posso trovare aiuto, dammi qualche minuto”
Nebula nemmeno spreca fiato per dirmi “Okay”, annuisce soltanto e si volta, chiaro segnale che non ha più nulla da dirmi e che vuole stare sola.
Esco zoppicante e dolorante dalla navicella, ma inizio a urlare come un forsennato appena entro nel Complesso: un nome, sei lettere, un universo di emozioni, una sola preoccupazione.
“Pepper!” urlo, la voce roca “PEPPER!” ripeto, la gola in fiamme. Cammino fino alla sala comune, trovo sul tavolo un bigliettino e uno strumento bianco e allungato che avevo tanto temuto di vedere fino a qualche anno fa. Sul divano, cenere. 
Accendo lo strumento: sul piccolo schermo appare Due settimane.
Con il fiato corto e il cuore che minaccia di cedere, prendo con mani tremanti il foglietto che era stato scritto da Pepper: lettere chiare, calligrafia minuta ma sicura, leggera e dolce, come lei.
Prendo un grande respiro, cercando di far sì che le lacrime smettano di sgorgare dai miei occhi come se fossi un rubinetto gocciolante, ma senza risultato.
Tra un singhiozzo e l’altro, conscio di ciò che ho perso, inizio a leggere il biglietto, nel naso il profumo di Pepper, nel cuore i suoi baci, negli occhi il suo sorriso.

Mio Tony, 
non so dove tu sia stato, o cosa tu abbia fatto, ma sono fiera di te, amore, so che hai fatto il bene dell’umanità. Come al solito vorrai qualche premio per la tua eroica impresa finita a buon fine… La ricompensa stavolta è già qua: spero che tu stia bene, che non sia troppo stanco, e che tu sia tornato a casa, stavolta, per restare per sempre… Non tanto per me, quanto più per la piccola creatura che sta crescendo dentro di me e che porterà il tuo cognome.
Dopo il sogno che mi hai raccontato poche ore fa, ho deciso di verificare se dovessi effettivamente ritenerti un profeta, oltre che il mio uomo, oltre che il mio amore: e a quanto pare, a “genio, miliardario, playboy, filantropo”, dovrai aggiungere anche “padre”.
Oh, Tony, sono così felice! 
Sento che tutto andrà bene: non può essere altrimenti, tu sei sempre tornato a casa, qualunque cosa ti fosse successa; sei passato attraverso il varco inter dimensionale di New York, figuriamoci se non riesci a tornare a casa con una navicella spaziale!
Forse quando tornerai da noi saremo addormentati, quindi… Ecco qualcosa da leggere prima che mi svegli a causa dei baci che mi darai con quelle labbra che amo. Già mi immagino il solletico che mi farà la tua barba quando strofinerai il tuo naso contro il mio collo.
Il tuo sogno si è avverato, e Dio, ti amo così tanto, Tony. 
Ma ora, ti prego, svegliami, non vedo l’ora di stringerti a me. O forse è meglio dire “A noi”?
Bentornato, amore mio. Ci sei mancato

Urlo. Urlo con tutto il fiato che ho in corpo, straziato dal dolore, poggio la testa sui cuscini del divano dove ora c’è solo un mucchio di cenere, ma non piango, no: la rabbia è troppo forte, mi riempie il corpo, mi pervade le vene, pompa in ogni cellula, sostituisce l’ossigeno e il sangue.
Vedo nero.
“MALEDETTO!” grido, la voce ridotta a un rauco suono, ombra di ciò che era stata, un po’ come io sono ormai l’ombra di ciò che un tempo ero stato. “IO TI TROVERO’ E TI UCCIDERO’, FOSSE L’ULTIMA COSA CHE FACCIO IN QUESTA MIA CAZZO DI VITA!” l’urlo diventa un sussurro, quasi una preghiera, mischiato ai nomi di Pepper e di Peter.

Pepper era incinta. Portava in grembo una vita, era innocente. Era innocente!

“Mi dispiace, Pepper, mi dispiace” mormoro scuotendo la testa “Mi dispiace, perdonatemi, volevo difendervi, non ce l’ho fatta… Ho fallito… perdonatemi…”
La mia testa sembra esplodere, ma non so come, trovo il coraggio di accendere Friday, che mi dà le coordinate di Visione: aveva acceso il suo localizzatore, oggi: si trova in Wakanda.

E’ morto, però. Sicuramente. Se fosse stato ancora vivo, la gemma della mente sarebbe stata ancora con lui e Thanos non avrebbe ucciso metà della popolazione.

Mi segno le coordinate, vado nel mio laboratorio, prendo una piccola scatola di metallo dove raccolgo le ceneri di Pepper e Peter, e un’altra dove rovescio delicatamente i granelli di Strange, chiudo il tutto, lo metto in uno zaino assieme a qualche vestito e al mio portafoglio, levo l’armatura, installo il nuovo reattore sul mio petto e aziono quella nuova – funziona perfettamente-, per poi richiuderla e vedere brillare, come al solito, il mio cuore di una luce azzurra e rassicurante a cui tanto mi sono affezionato in tutti gli anni che sono passati.
Mi sento pesante, pesante come non mai.
Faccio un respiro profondo, non mi guardo nemmeno allo specchio quando vado in bagno, mi lavo le mani, ma sono così piene di sangue, polvere e terra, che non si lavano completamente.
Non m’importa. Prendo della frutta da offrire a Nebula, nel caso non avesse lo stomaco chiuso come il sottoscritto, poi esco e chiudo il complesso degli Avengers. 

Vietato l’accesso a tutte le persone non autorizzate.

Il viaggio sulla navicella dura poco: ciò che vedo sotto i miei occhi sembra così placido e normale, che mi fa dubitare di aver sognato tutto.
Quando arrivo in Wakanda, però, la distruzione della guerra mi appare impietosa davanti agli occhi. Ci arriva un messaggio da terra, e davanti a me compare il viso stravolto di una guerriera dallo sguardo profondamente triste e pieno di rabbia.
“Chi sei, straniero, e cosa vuoi?”
“Sono Tony Stark” rispondo “Non voglio uccidere nessuno, chiedo asilo. Voglio parlare con il vostro re”
“Il nostro re non c’è più” gli occhi della donna si riempiono di lacrime “La pace non esiste più. Ma ti conosciamo, e quindi sei autorizzato ad atterrare, ma fai una mossa falsa, e ti perforerò il cervello con la mia lancia”
“Mi faresti solo un favore” mormoro quando la comunicazione si spegne. 
Nebula sospira. “Siamo tutti in lutto”
“Sì. Lo so” rispondo acidamente prima di uscire dal portellone e atterrare sul suolo Wakandiano.
Vedo la stessa donna che mi aveva parlato pochi secondi prima, poi vedo tutte le persone che per anni erano state la mia famiglia. 
Bruce sorride a trentadue denti, ma il suo sguardo si spegne quando mi vede cadere in ginocchio e guardare negli occhi Steve, che dal canto suo si avvicina a me, in silenzio, le labbra serrate e gli occhi fissi nei miei.
Si inginocchia, mi guarda, inclina un po’ il viso, pensando probabilmente a come non farmi esplodere davanti a tutti. Lo conosco quello sguardo, quel ragazzone mi conosce meglio di quanto sia disposto ad ammettere. Sa che la minima parola potrebbe farmi spezzare come un fuscello, in questo momento.
Non dice niente. Mi da la mano, sporca ancora come la mia, nonostante siano passate ore da quando i nostri cari si sono volatilizzati, noto i suoi occhi guizzare verso il fianco sinistro, dove ancora esce del sangue. Tace. 
“Vieni in pace?” domanda la donna sconosciuta a Nebula.
“Vengo per vendetta nei confronti del mostro che ha ucciso mia sorella” risponde la ragazza con rabbia.
“Benvenuta in Wakanda” la donna le fa cenno di seguirla, poi si rivolge a Steve: “I vostri alloggi sono nella torre ovest. La regina Shuri sarà impegnata per i funerali solenni di tutti i nostri caduti. Per qualsiasi cosa, sapete benissimo dove si trova tutto. Siete liberi di andare e venire, previa conoscenza di noi guardie. Capitano”
Se ne va, senza lasciare il tempo a Steve di rispondere, e nel giro di qualche secondo siamo solo io, Steve, Nat, Bruce, Thor, Rhodes, e un… procione? Capisce la situazione, quest’ultimo, dice qualcosa a Thor, che annuisce, e se ne va via, chissà dove. Riporto l’attenzione sui miei amici.
“Mi…” provo a dire, ma Steve mi interruppe.
“Non dire niente, Tony” mormora Steve “Non serve”
“Ma…” tento ancora, ma Steve mi abbraccia. E’ qualcosa di così inaspettato, così sincero, così pregno di parole non dette e così… desiderato, che mi sciolgo come un bambino in un pianto disperato.
Piango tutte le lacrime che ancora non ho avuto il coraggio di versare, e sono costretto a inginocchiarmi perché tutta la tensione emotiva e tutta la stanchezza post-battaglia mi è piombata addosso tutta in un momento. Qualcuno è rimasto. Non sono solo.
Steve trema contro di me, il suo petto sussulta contro il mio. Sento il tocco famigliare di Natasha sul capo, la stretta fraterna di Rhodes, l’abbraccio poderoso di Thor, la presenza discreta di Bruce, tutti stretti in un abbraccio che cerca di ricucire delle ferite così profonde che forse non guariranno mai.
Non so quanto tempo passiamo tutti stretti fra noi, so solo che a un certo punto Thor urla, e ciò che dice risuona nel silenzio surreale che si è creato: “Maledetto, hai sterminato il mio popolo, hai pugnalato il mio migliore amico, hai ucciso mio fratello!” fa una breve pausa, trattenendo un gemito “Io ti ucciderò!”
Singhiozzo. 
“Maledetto!” urla Steve “Hai ucciso T’Challa, Sam, hai ucciso Wanda e Visione, hai ucciso… Hai ucciso Bucky” singhiozza “Io ti ucciderò, fosse l’ultima cosa che faccio!”
Tremo. 
Queste cose le ho già giurate dentro di me, non le ho esternate; so che toccherebbe a me parlare, so che quello che stanno urlando coloro che hanno perso di più è una promessa di vendetta comune, condivisa anche da coloro che tacciono, so perfettamente che dovrei parlare anche io, ma non riesco a farlo.  
Non ce la faccio, l’angoscia mi blocca la gola. 

Ho bisogno di aria.

“Tony, dillo. Dillo chi hai perso” mi mormora Nat a qualche centimetro dal mio viso, ma io mi stacco, coprendomi gli occhi con le mani, dondolandomi su me stesso.
“Peter” indovina Rhodes, e io non posso fare a meno di annuire mentre il mio pianto si intensifica.
“Stephen Strange, lo stregone più coraggioso che io abbia mai conosciuto” riesco a dire “E…” mi blocco.
“Oh, Dio, no. No, no, no. Non può essere… E Pepper?” mormora Bruce.
Annuisco, singhiozzando. “Anche lei. Era incinta” aggiungo.
Cala il silenzio, rotto da un’imprecazione poco usuale da parte di Bruce, tanto da strappare l’ombra di un sorriso dal volto di tutti i presenti, ma ben presto la realtà dei fatti torna a opprimere tutti noi.
Steve si avvicina a me e mi abbraccia, cullandomi con una dolcezza inaudita, quasi avesse paura di rompere la mia anima in altri mille pezzi con la sua, a sua volta distrutta.

E’ questo che sono: un morto che cammina. 

Bruce stringe a sé Natasha, che a sua volta si lascia andare al pianto, lei che prima era riuscita a trattenere le lacrime assieme a Rhodes e Bruce. 
Nemmeno qualcosa da stringere al cuore è rimasto, questa è la beffa: delle persone che amavamo, ci rimangono solo ricordi e granelli di cenere.
“Siamo i Vendicatori” ringhia Steve, tremante di rabbia “E questo faremo: vendicheremo”

I loved and I loved and I lost you, and it hurts like hell



Angolino disagiato
Ebbene sì, Infinity War mi ha distrutto il cuoricino. Ho pianto in sala, non so se rendo l’idea. Contando il fatto che sono una persona molto sensibile, dire che ho scritto questa fic con le lacrime agli occhi è dire poco.
Insomma, spero di non avervi fatto piangere troppo… (Anzi no, in realtà l’intento era proprio quello MUAHAHAHAHAHAHAHAHAH).
Non so se tenere questa one shot come qualcosa a sé stante o farla diventare il primo capitolo di una storia più lunga, immaginandomi un futuro che ancora non riesco a delineare nitidamente… voi che dite? 
Qualsiasi parere o critica sono ben accetti, nessuno è perfetto! Fatemi sapere, intanto grazie a chi ha letto fino qui! 
Besoss
   
 
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