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Autore: koan_abyss    30/04/2018    3 recensioni
Il percorso di cinque giovani Serpeverde attraverso le influenze e le aspettative delle famiglie, della comunità magica, di alleati e rivali dai primi anni di scuola al culmine della II Guerra Magica.
Gli anni immediatamente precedenti e quelli narrati nei libri della Rowling visti dagli occhi di Severus Piton: le sue esperienze, i suoi legami, la sua promessa.
Mentre i suoi studenti sfogliano le canzoni dell'innocenza, si confrontano con le tradizioni, costruiscono a poco a poco la loro identità, Severus Piton, incastrato nel suo doppio ruolo di Direttore di Serpeverde ed ex-Mangiamorte, diventa suo malgrado una figura importante per loro e le loro scelte future.
La fanfiction non intende discostarsi dal canon, ma anzi seguire fedelemente la storia originale del punto di vista verde-argento.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Severus Piton, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo 6



Isabel non era tipo da indugiare su una soglia, e non lo avrebbe fatto neanche quella sera. Ma allo stesso tempo non era affatto sicura di cosa dire, e di cosa aspettarsi da Piton: non si parlavano da quando l’uomo le aveva fatto capire che sperava che lei denunciasse Lupin.
Tutta la furia e l’indignazione con cui l’avrebbe affrontato a giugno, se gli altri non l’avessero convinta a desistere, erano evaporate.
Se pure avevano dovuto rinunciare a Lupin, Piton era ancora al suo posto, nel laboratorio di Pozioni, e questa era la cosa più importante, per Isabel. Eppure, si ritrovava costretta a considerare la reazione del Direttore alla sua scelta di non assecondare il suo piano.
Quando sarebbe stato arrabbiato, contando che aveva comunque ottenuto ciò che voleva? Quanto sarebbe stato incline a fargliela pagare, contando quanto sarebbe stato facile dirle che si era reso conto di non avere tempo per prepararla all’apprendistato in Pozioni?
Isabel bussò alla porta dell’ufficio di Piton, suo malgrado sulle spine. Entrò quando ricevette il permesso e, pur odiandosi, esitò vicino alla porta.
“De Atienza…” la salutò Piton, in piedi vicino alla scrivania, con l’aria un po’ guardinga.
Lo sguardo dell’uomo saettò rapidamente per la stanza, poi tornò su di lei, infastidito, forse.
“Buonasera, professore,” esordì lei. “Spero di non disturbarla…”
“No, no, De Atienza, affatto…”
Rimasero a fissarsi in imbarazzo. Isabel si rese improvvisamente conto di non sapere come formulare la questione.
‘Intende penalizzare il mio futuro accademico perché non mi sono prestata a fare da strumento in una bega che non mi riguardava?’ ‘Intende far scontare a me la sua frustrazione per non veder riconosciute le sue abilità?’ Quanto poteva essere saggio, affrontare così apertamente Piton? E quale parte di lei credeva davvero che il suo professore preferito, il suo Direttore, le avrebbe coscientemente recato un danno perché non lo aveva assecondato? La parte di lei che avrebbe fatto la stessa cosa ci credeva fermamente…ma quella che ricordava che Piton le aveva dato i suoi appunti e le sue ricette per tirarla su di morale no.
“Mi chiedevo se fosse tutto a posto, tra di noi,” disse.
Piton strinse gli occhi, perplesso: “È una formulazione quanto mai vaga, De Atienza, e inopportuna, data la natura strettamente accademica dei nostri rapporti.”
Se fosse stata appena meno preoccupata, Isabel avrebbe sorriso maliziosamente, prima di correggere il tiro con leggerezza.
“Mi riferisco al professor Lupin, alla fine dell’anno scorso. È arrabbiato con me?” chiarì.
Piton impiegò un istante a capire, poi i suoi tratti si contrassero con irritazione.
Scosse le spalle con stizza: “No. Non avrei dovuto coinvolgerla. Volevo denunciare Lupin, sapevo di doverlo fare, e alla fine l’ho fatto. Avrei dovuto farlo a settembre,” aggiunse in un sibilo rivolto a se stesso.
“Bene!” esultò Isabel. “Allora non è arrabbiato con me: che sollievo! Quindi possiamo cominciare ad abbozzare un programma di studio…”
Avanzò decisa nell’ufficio, ignorando l’occhiata esasperata e divertita che Piton rivolse al soffitto. Si accomodò senza aspettare un invito, mentre Piton faceva il giro della scrivania e si sedeva a sua volta, pronto ad ascoltare pazientemente le sue chiacchiere.
Piton fece ancora in tempo a dirle: “Credo che questo sia suo,” mentre apriva un cassetto, prima che si perdessero nella conversazione, e Lupin fu scordato per sempre.

Piton aveva la sgradevole sensazione che chiunque sapesse che Moody lo spaventava, che bastasse guardarlo per capirlo al di là di ogni dubbio. Immaginava i suoi colleghi scambiarsi sorrisini divertiti alle sue spalle, gli studenti ridere di lui dopo essere fuggiti dalla sua aula. Quanto di questa sensazione avesse a che fare effettivamente con Moody e quanto fosse una conseguenza dell’inquietante calma che era seguita all’apparizione del Marchio alla Coppa del Mondo, Piton non avrebbe saputo dirlo.
Il Torneo Tremaghi si avvicinava, e con lui nemici e alleati che Silente voleva tenere sotto controllo, ma dall’altro lato non veniva alcuna mossa.
Era assurdo concedersi di sperare che quanto accaduto quell’estate fosse davvero l’opera di un folle? Un gesto senza spiegazione e senza conseguenze?  Ma c’era la Profezia della Cooman: Peter Minus era fuggito da Hogwarts e si era riunito al suo vecchio padrone, secondo Silente, il quale aveva un piano per risorgere; quindi tutti loro dovevano vigilare, restare al castello, vegliare sul ragazzo e sopportare Moody e lo stramaledetto Torneo.
Se almeno avessero fatto qualche tentativo di rintracciare Minus…il pensiero dell’uomo che aveva tradito Lily libero e impunito per tutti quegli anni! Tradita proprio da uno degli amici che gli aveva preferito: quando erano stati sciocchi entrambi, alla fine, sulla scelta delle persone a cui dare il potere di forgiare il loro futuro.
Forse il pensiero sarebbe stato più facile da sopportare, se Piton non fosse stato bloccato a Hogwarts, se avesse potuto essere là fuori a cercare Minus, per farlo pagare per quello che gli aveva portato via! Ma c’era la Profezia e l’apparizione del Marchio e le sparizioni: era impossibile non intravedere uno schema, per quanto labile, ancora. E così Piton restava dov’era rimasto per gli ultimi tredici anni, nei suoi appartamenti, a sopportare Moody e l’angoscia e la rabbia e l’impotenza che ciò gli procurava, in attesa di una mossa, di un qualche avvenimento.
Le fiamme del camino del suo ufficio si tinsero improvvisamente di un verde brillante. Piton sospirò infastidito, senza mettere da parte i compiti che stava (infruttuosamente) correggendo da quaranta minuti.
Al contrario di quelle del Signore Oscuro, la mossa di Lucius Malfoy non si era fatta attendere a lungo. La testa del mago apparve tra le fiamme.
“Lucius.”
“Tutti questi anni di amicizia,” iniziò Malfoy, la voce contratta e un sorriso tutt’altro che divertito, “tutto il supporto che ti ho accordato, e non ricevo una parola da te quando mio figlio viene attaccato da un insegnante proprio sotto il tuo naso?”
“Vedo che comunque sei stato informato dell’accaduto piuttosto tempestivamente,” ripose Piton, ignorando il tono aggressivo dell’altro.
“È tutto quello che hai da offrirmi? Sarcasmo? Certo che Draco me l’ha detto! E se pensi che non pretenderò spiegazioni da Silente sul perché un Auror si permette di aggredire un bambino per via del passato di suo padre…”
“Dubito fortemente che a Silente importerà qualcosa della questione, per quanto lo conosco io,” lo interruppe Piton. “Quanto ad aggredire bambini, mi sembra di ricordare qualcosa riguardo due babbani e i loro figli aggrediti da una folla di esaltati non più tardi di quest’estate…”
Gli occhi di Malfoy lampeggiarono pericolosamente e le sue guance si tinsero di quel rosa pallido che era molto più frequente vedere sul viso di Draco: “Stai mettendo mio figlio sullo stesso piano della feccia babbana, Severus?”
“No, ma sia benissimo che Silente lo farà! E cosa potresti ribattere, senza incrinare la maschera di ipocrisia che ti sei costruito in questi anni, Lucius?” rispose Piton, sbattendo la penna d’oca sullo scrittoio.
“A cosa serve che tu sia Direttore di Serpeverde, che tu ti affanni a restare nelle grazie del vecchio, se non puoi averlo dalla tua parte? A cosa mi servi, se non puoi proteggere mio figlio?” strillò Malfoy.
“Che cosa ti aspetti che faccia? Se hai dei suggerimenti, Lucius, sarò ben lieto di sentirli,” rispose Piton a denti stretti.
“Non puoi permettere che quell’Auror…”
“Io non posso niente contro quell’Auror!” esplose Piton. “Non voglio averlo tra i piedi e soprattutto non voglio averlo tra i piedi a causa di Draco! Ho ordinato a tuo figlio di stargli lontano e per una volta lui ha avuto il buon senso di ascoltarmi.”
Si interruppe e prese un respiro profondo. Malfoy lo fissava, rigido, dalle fiamme.
“Se le cose stanno così…” fece, freddo.
Piton sbuffò, senza guardarlo.
“Io lo proteggo, tuo figlio,” disse. “Lo vizio, persino. Ho sempre…”
“Vorrei che lo dimostrassi, invece di parlare,” ripose secco Malfoy. “Te la sei sempre cavata bene con le parole. Molto meno con i gesti.”
Piton riportò gli occhi sulle fiamme nell’istante in cui con un lieve ‘pop’ la testa di Malfoy sparì e i riflessi smeraldo della metropolvere scomparvero.
Rifletté che se il primo passo di Lucius era stato prendersela con lui, probabilmente sarebbe stato anche l’unico: attaccare ancora Silente dopo essere stato allontanato dal Consiglio Scolastico e dopo lo scandalo dell’ippogrifo l’anno precedente sarebbe stato un suicidio politico, con tutta probabilità. Ma saperlo a mente fredda non impediva alla sua follia di genitore ansioso di cercare qualche capro espiatorio per le sofferenze del figlio.
Piton grugnì al pensiero di essere stato vicino a giustificarsi. Era vero che forse si era comportato molto più attivamente nei confronti di McIver, in una situazione analoga, ma allontanare William da Sanders non aveva significato interferire con le istruzioni di Silente o alienarsi ancora di più qualcuno sul cui appoggio avrebbe dovuto contare, in caso di una guerra. E Draco non era certo stato attaccato sotto il suo naso, E Piton lo trattava davvero come un piccolo principe, la maggior parte del tempo: era una dei suoi Serpeverde e Piton era dalla loro parte, sempre. Non c’era ragione che si sentisse così inadeguato e in colpa.
Cercò di tornare a dedicarsi i compiti da correggere, che degli ingenui e sfortunato Corvonero erano convinti che fossero andati bene.

Dover interrompere i suoi esperimenti per presenziare all’arrivo dei graditi ospiti di Beauxbatons e Durmstrang era insopportabilmente indisponente, per Euriale. Le sue ricerche procedevano spedite, ultimamente. Non c’era da stupirsene, visto tutto il tempo che vi dedicava da quando la scuola era iniziata.
Era passata a occuparsi di una classe superiore di spiriti, dopo quelli elementali: creature più complesse, rispetto ai flebili filamenti di fumo che poteva caricare di emozioni umane e che esistevano, sul piano materiale, solo per sua concessione e allo scopo di ubbidirle. No, gli spiriti che aveva incontrato durante i suoi ultimi esperimenti bramavano l’esistenza sul piano umano, avevano desideri e disegni, e li esternavano, proponevano patti, nel linguaggio limitato e categorico dell’alfabeto Fütark. Euriale aveva notato che benché li si potesse classificare a seconda di cosa era richiesto per compiere il rituale di evocazione, ognuno era diverso: non erano intercambiabili e non erano un’entità collettiva, ma ciascuno era un individuo a se stante, legato dalle caratteristiche di evocazione del proprio gruppo come i babbani sono legati dalle leggi della fisica e i maghi dalle regole della magia.
L’idea di poterli controllare era esaltante e spaventosa allo stesso tempo.
I primi successi con quelli che i testi della Biblioteca definivano ‘spiriti di Carlsberg’ l’avevano resa arrogante, e la ragazza si era arrischiata a evocare uno spirito ombra, i quali, sempre secondo i testi della Sezione Proibita, potevano offrire assistenza vitale, per un arcimago. Era stato subito chiaro il perché: gli spirito ombra potevano spostarsi senza limitazioni, scivolando attraverso le ombre di un vicolo nel piano materiale e poi riapparire n quello umano nell’oscurità che circondava una lampada pochi metri più in là pur essendo dotati di un corpo fisico, che permetteva loro di interagire col mondo, all’occorrenza. Erano virtualmente incontenibili, potevano raggiungere qualunque luogo, attraversare qualunque soglia, serratura o sigillo passando da un’ombra all’altra.
Il pensiero aveva fatto girare la testa di Euriale dalla meraviglia, e ne aveva evocato uno.
Aveva intuito in fretta perché il testo li definisse adatti a un arcimago, e non al mago qualunque: l’esemplare di infima potenza che aveva evocato aveva approfittato di una piccola esitazione ed era fuggito dal circolo che avrebbe dovuto trattenerlo attraverso l’ombra che Euriale aveva permesso lo coprisse per un istante, mentre si sporgeva affascinata a studiare il corpicino umanoide dello spirito. Fuori dal circolo, la creatura si era mossa in fretta verso di lei, troppo veloce da imprigionare in un altro circolo-trappola. Presa dal panico, Euriale aveva acceso tutte le torce della sala con un gesto della bacchetta, indietreggiando precipitosamente. Ma il suo corpo continuava a proiettare un’ombra, e lo spirito correva e saltellava verso di lei, da un tavolo all’altro, per raggiungerla e sparire chissà dove.
Senza riflettere, la ragazza aveva cercato di intrappolarlo con un bicchiere di vetro mezzo pieno dimenticato su un tavolo. Lo strillo oltraggiato della creatura le aveva svelato che gli spiriti ombra non amavano l’acqua. Bloccando il bicchiere con entrambe le mani, Euriale aveva strillato ‘Aguamenti!’, colmandolo. La piccola creatura si agitava e picchiava i piccoli pugni sul vetro, affogando, impossibilitata ad attraversare l’acqua.
Euriale aveva fatto fluttuare il bicchiere con la magia di nuovo sul circolo-trappola e aveva all’istante congedato lo spirito.
Ovviamente, Madama Pince, attirata dal trambusto, l’aveva cacciata in malo modo, strillando per l’acqua rovesciata ovunque vicino ai suoi preziosi libri. Euriale era filata via un po’ scossa., senza riuscire a scacciare il pensiero di essere stata vicino a farsi divorare la faccia da un essere di un altro mondo.
Tuttavia, aveva idea di aver scoperto per puro caso qualcosa di importante, e utile, e continuava a studiare gli spiriti ombra. O meglio, lo avrebbe fatto, se Will non fosse venuto in Biblioteca a ricordarle dell’arrivo delle delegazioni per il Torneo Tremaghi, e a interromperla.
Possibile che ultimamente non riuscisse a fare altro che irritarla? Le prime settimane di scuola Will si era tenuto un po’ a distanza, in reazione alla sua freddezza, confuso e forse ferito. Euriale sapeva di essere ingiusta, ma era comunque riuscita a mettere a tacere i suoi sensi di colpa immergendosi nelle sue ricerche. Ma adesso Will ne aveva abbastanza di silenzi e occhiatacce, a quanto pareva, e le stava addosso, pretendendo di sapere cosa diavolo le pigliava. Ritrovarselo sempre tra i piedi offeso e insistente non aiutava Euriale ad essere bendisposta nei suoi confronti. Oltretutto, come spiegargli qual era il problema? Quell’assurdo e intollerabile senso di inferiorità che provava nei suoi confronti? Non era riuscita a parlarne neanche con le ragazze…Sospettava che il problema si sarebbe solo ingigantito, se non l’avesse affrontato, ma era davvero il caso di farlo ora? Accolse con sollievo l’ordine di Piton di fare silenzio mentre le Casa di Serpeverde prendeva posto sulle scalinate d’ingresso, con il resto della scuola.
L’attesa si prolungò, nel freddo di ottobre, mentre gli studenti cominciavano a dr segni di impazienza. L’eccitazione salì al culmine, poi si frantumò in una miriade di mormorii e bisbigli, occasionalmente spenti dallo ‘shhht!’ di qualche insegnante.
Liam sospirò, quando Will e Euriale ricominciarono a scambiarsi sibili irritati, lei tenendo ostinatamente lo sguardo avanti.
Isabel e Madeline rivolsero a Liam la medesima occhiata, mentre l’attenzione di tutti veniva attirata verso l’alto.
“Laggiù!”
“Ehi, Wallace, guarda!” esclamò Liam mettendo una mano sulla testa di Will e scostandolo da Euriale. “Le ragazze implorano che tu la lasci in pace,” gli sussurrò all’orecchio.
Will scosse la testa con fastidio, ma Liam non lo lasciò.
Gli si accostò per indicargli dove stava guardando: “Sul serio, piantala e guarda là.”
Will si immobilizzò e seguì il suo dito puntato sullo strano oggetto che stava scendendo sul parco, ormai quasi a terra.
“Quelli sono Abraxas!”  esclamò incredulo.
L’oggetto che stava planando davanti a loro era una carrozza gigantesca, trainata da una dozzina di cavalli alati color palomino altrettanto imponenti.
Will si aggrappò al braccio di Liam: “Non ne avevo mai visti! Non avevo idea che potessero essere attaccati, ma ha senso, sono incredibilmente forti…Chi li avrà addestrati? Chi sono quelli?”
Liam gli diede uno scappellotto dietro la testa, mentre Euriale rispondeva: “Quello è lo stemma di Beauxbatons, dev’essere la loro delegazione.”
“Finalmente,” commentò Isabel. “Speriamo adesso che anche quelli di Durmstrang si diano una mossa.”
“Non hai mai visitato Beauxbatons, Elly?” chiese Madeline, mentre un ragazzo con una divisa azzurro polvere saltava giù dalla carrozza e preparava una scaletta d’oro.
“Oh, no. La scuola è in un luogo segreto. Ho visto qualche foto di mia nonna da ragazza, e direi che deve trovarsi da qualche parte in Costa Azzurra, ma non saprei dire di più…” ripose Euriale. “La loro Preside è famosa per essere eccentrica, prima ancora che una grande strega.”
“Un po’ come Silente,” borbottò Liam.
“Sarebbe quella, la Preside?” esclamò Isabel.
Dalla carrozza era appena scesa una donna monumentale, alta come un albero, fasciata di satin nero e coperta di opali.
“Dici che è più grossa di Hagrid?” chiese Liam a Will.
Lui si strinse nelle spalle: “Potrebbe anche darsi…”
“Decisamente elegante,” cominciò Isabel mentre gli studenti di Beauxbatons scendevano a loro volta e restavano in attesa, tremanti e poco coperti nella gelida sera. “Il vestito è a posto, ma quegli opali…li ho sempre trovati un po’ da bambine, non trovate?” continuò, sistemandosi i capelli e sfiorando i suoi orecchini di smeraldo.
“Evita di menzionarlo a quella gigantessa,” le suggerì Madeline. “Ehi, Will, hai sentito? Toccherà ad Hagrid occuparsi dei cavalli alati…”
“Sempre che quelle orrende bestiacce che soffiano fiamme dal culo non lo abbiano già fatto secco!” rise lui. Liam ghignò. “Tra l’altro, forse dovrei andare a chiamarlo. Quegli Abraxas avranno bisogno di un paddock della loro misura. Forse farebbe comodo anche l’aiuto di Vitious,” continuò il biondo.
“Stai solo attento a non farti calpestare da quegli elefanti,” fece Euriale.
Will le fece l’occhiolino, con appena un po’ meno allegria del solito.
“Aspetta che arrivi anche Durmstrang, o Piton ti leverà la pelle, se ti allontani,” gli consigliò invece Madeline, studiando attentamente gli studenti di Beauxbatons che si dirigevano verso la Sala Grande.
“Ti fai un’idea sulla concorrenza?” le chiese Liam. “Lascia perdere i francesi, quelli li stroncherà il freddo! Sono quelli di Durmstrang che hanno fama di essere duellanti, competitivi e versati nelle Arti Oscure…” concluse in un sussurro.
“Non credo che me la caverei male, contro un campione di Durmstrang,” gli rispose Madeline. “Non ci si può difendere dalle Arti Oscure senza conoscerle, e conoscerle bene, diceva Piton.” Rivolse un’occhiata complice a Liam: “Direi che noi non partiamo certo svantaggiati.”
“Ma perché non si sbrigano?” sbuffò Will. Si girò a guardare Piton, vicino agli altri Direttori. “Piton ha l’aria solenne…e un po’ disgustata. Sono sicuro che neanche se ne accorgerebbe, se andassi alla capanna del guardiacaccia.”
Euriale lo imitò, cercando di usare il suo potere in maniera discreta. Ben poco da percepire, otre il nervosismo e la curiosità degli alunni (e di Vitious) e l’apprensione della McGranitt.
“Usa l’Occlumanzia…deve sembrargli tutta una pagliacciata.”
“Non lo è?” interloquì Isabel.
“Strano però che si preoccupi di nasconderlo,” concluse Euriale.
“Quindi via libera? Posso sgattaiolare via?” chiese Will. “Non vedi l’ora di giocare con quei cavalli, vero?” fece Liam.
“Be’, un progetto di ricerca sugli Abraxas piuttosto che sui disgustosi ibridi di cui Hagrid va tanto fiero ha le sue attrattive…”
“Non puoi aspettare ancora un po’ ed evitare di farlo incazzare? Già hai lasciato Pozioni…” gli rispose Euriale.
“Non ho lasciato Pozioni!” protestò Will, arrossendo leggermente. “Ho…ho cannato l’esame, l’estate scorsa. Avrei continuato, ma con solo un ‘Eccezionale’ non posso.”
“Questo perché si scrive ‘Eccezionale’ ma si legge ‘Mediocre’,” cinguettò Isabel.
“Stronza.”
“Forse ci siamo,” li interruppe Madeline, indicando il lago, che ribolliva stranamente e rumorosamente, ora che vi prestavano attenzione.
“Pensa se te ne fossi andato e ti fossi perso l’arrivo di quelli di Durmstrang a cavallo di delfini giganti o dragoni marini, Wallace…”
I cinque ragazzi dimenticarono per qualche minuto tutti i battibecchi, osservando affascinati il galeone che emerse dalle acque scure del lago, come un veliero fantasma incredibilmente vivido e solido.

Piton non sapeva che aspettarsi da Karkaroff. Non sapeva se gli avrebbe fatto lo stesso effetto di Moody, o se vederlo cambiato dal tempo, in un ruolo tanto diverso da quello in cui lo ricordava, glielo avrebbe reso indifferente ed estraneo. Si chiese fugacemente cosa Karkaroff avrebbe provato a vedere lui: se lo avrebbe trovato cambiato o identico al ragazzo avventato e rancoroso avvolto in vesti cerimoniali in mezzo a tutti gli altri compagni. Si chiese ancora più fugacemente cosa in effetti fosse cambiato in lui che chiunque altro potesse percepire. La riposta onestà era ‘nulla o quasi’ e Piton avrebbe preferito non sentirla neppure nella propria mente. E poi, perché Karlaroff avrebbe dovuto essere diverso da qualsiasi altro vecchio compagno; perché avrebbe dovuto essere diverso da Malfoy, McNair, Mulciber e Cartright (faceva comodo alla sua mente ignorare che Karkaroff era l’unico che sapesse che era stato una spia per Silente, sebbene non conoscesse alcun dettaglio…).
In ogni caso, c’erano quasi: dal galeone qualcuno gettò l’ancora, poi la passatoia venne calata sulla battigia, e in un attimo gli studenti di Durmstrang e il loro Preside sbarcavano sul terreno di Hogwarts. Karkaroff si fece avanti in fretta, salutando Silente con eccessiva familiarità e un calore per nulla sincero.
Piton lo osservò sorpreso: non erano passati tanti anni, ma l’uomo alto e sottile avvolto in pellicce pesanti che si avvicinava aveva ormai barba e capelli completamente bianchi. Il taglio era lo stesso, come quel ridicolo pizzetto, ma Karkaroff era inequivocabilmente invecchiato. Ovviamente erano tutti invecchiati e lui stesso non aveva rinfacciato a Malfoy e agli altri i loro atteggiamenti da ragazzini alla Coppa del Mondo? Chissà perché allora adesso avvertiva una piccola fitta di vanità, all’idea dei suoi capelli perfettamente neri. Scacciò quel pensiero inopportuno e irrilevante con irritazione: certo che il tempo era passato anche per lui, in un lampo e troppo lento per poterlo sopportare, si disse osservando Karkaroff sospingere avanti con fare premuroso uno dei suoi studenti. Eccola lì, la prova che gli anni erano trascorsi anche per Severus Piton: gli scorreva sotto gli occhi assieme ai suoi Serpeverde, agli studenti di sesto e settimo anno che avevano l’età per partecipare al Torneo.
Era stato fin troppo occupato per assecondare le chiacchiere degli altri Direttori su chi si sarebbe candidato, ma ora ci rifletté brevemente. Un Campione Serpeverde…che onore, che scandalo, che smacco per tutte le altre Case! Di certo l’idea doveva far gola a molti dei suoi ragazzi.
Un Campione di Serpeverde, quello sì che avrebbe giustificato un improvviso sfoggio di vanità.
Accordò con un cenno del capo il permesso a McIver di allontanarsi nella direzione opposta a quella del flusso di studenti (gli Abraxas dovevano attrarlo come il canto delle sirene…purché non provasse a cavalcare una di quelle bestie…) e seguì i colleghi in Sala Grande, per l’occasione più lucida, splendente e sfarzosa di quanto Piton l’avesse mai vista.
La delegazione di Durmstrang, intenta a studiare meravigliata ogni dettaglio della Sala, prese posto al tavolo Serpeverde. Se ciò fosse dovuto al fatto che era il più vicino all’entrata (e camminare col naso per aria è sempre un azzardo), o se invece gli studenti in divisa bordeaux avessero ricevuti precise istruzioni dal loro Preside, Piton non avrebbe saputo dirlo. Ma certamente non avrebbe lasciato che la risposta gli sfuggisse troppo al lungo: capelli bianchi o meno, intendeva essere a conoscenza di tutto quello che passava per la testa di Karkaroff.
Tanto più che Moody non era nei paraggi Perché perdersi l’arrivo del suo uomo? Probabilmente stava perquisendo il galeone, con il benestare di Silente, in tutta tranquillità. ‘Anzi, vigilando costantemente’, si corresse con disgusto, ripensando suo malgrado all’intrusione di Moody nel suo ufficio e nel suo laboratorio, riprovando ancora quella sgradevole sensazione in fondo alla gola, di soffocare ed essere costretto a mordersi la lingua.
La presentazione del Calice di Fuoco e le manie teatrali di Silente, che si divertì ad analizzare e smontare acidamente all’orecchio della McGranitt, lo distolsero dal pensiero di Moody, ma per poco: al momento di lasciare la Sala Grande per tornare tutti ai propri dormitori, alloggi o sistemazioni temporanee per quell’anno, Moody fece la sua comparsa, rendendo palese che il trattamento riservato a Piton non era un’esclusiva.
Le espressioni di furia e paura sul viso di Karlaroff erano insopportabili, sapendo che il suo stesso volto le aveva espresse. E poco si adattavano a Karkaroff, che Piton ricordava sempre mellifluo e cauto, untuoso e servile con il Signore Oscuro. Oh, certo, anche all’epoca era stata presente una certa dose di terrore di fondo, nel suo sguardo e nei suoi pensieri, che Piton, giovane Legilimante, non perdeva occasione di studiare, come quelli di tutti i compagni.
Tutti loro erano terrorizzati dal Maestro. Un terrore intossicante, avvolgente, che andava di pari passo con la meraviglia e la devozione. Lui era stato il loro Dio, onnipotente e crudele, imperscrutabile e generoso, che vedeva dentro loro tutti con facilità e noncuranza, con divertimento e distacco. Era giusto avere paura di Lui.
Era dannatamente sbagliato e patetico che Moody potesse spaventarli così dopo quello che avevano visto e vissuto.
Karkaroff batté in ritirata e Piton, nonostante tutto, lo avrebbe volentieri imitato. Rimase invece al suo posto e guardò il vecchio Auror raggiungere Silente quasi inosservato, nel trambusto della Sala Grande che si svuotava, il chiacchiericcio sognate ed esaltato di più di mille studenti perfetto per mascherare qualunque rapporto segreto sui quartieri dei loro onorati e stimati ospiti. Purtroppo esso disturbava anche l’udito fino di Piton, e il professore dovette accontentarsi dell’espressione placida di Silente per interpretare i risultati dell’azione di Moody.
Silente incrociò brevemente il suo sguardo senza perdere la sua aria sibillina e Piton decise che non era successo nulla che richiedesse la sua presenza e quella di Moody nella stessa stanza ancora a lungo.

 
Note:
Rieccomi, finalmente! Un capitolo dedicato a blackjessamine, a cui mancavano i ragazzi (*manda bacio*)
Che i cavalli possono essere attaccati significa che possono essere attaccati a una carrozza, addestrati da carrozza. Magari era piuttosto ovvio, ma non si sa mai:)
Scusate la lunga attesa
   
 
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