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Autore: _only_ hope_    01/05/2018    1 recensioni
È una storia che si divide su tre momenti, questa.
Una storia che parla di presente.
Una storia che parla di passato.
E una storia che parla di un passato ancora più passato.
Tre filoni narrativi che raccontano di Jo, ma anche un po' di Alex e di Paul.
[partecipa al contest "Sono stato tutta la mattina per aggiungere una virgola, e il pomeriggio l'ho tolta", indetto da S.Elric sul Forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Karev, Altri, Jo Wilson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro, Contesto generale/vago
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Autore: _only_ hope_
Fandom: Grey's anatomy
Rating: Arancione
Avvertimenti: Tematiche delicate
Prompt e citazione: Luce e oscurità - citazione 4
Note: /


 

L'oscurità, la luce e la terra di mezzo

 
"Signorina Wilson, Le auguro un buon viaggio".
Jo Wilson, si chiamava Josephine Alice Wilson: dovette ripeterselo più volte mentre riprendeva il biglietto e la sua nuova patente con mano tremante. Patente che era illegale, ma solo provvisoriamente: avrebbe cambiato il suo nome all'anagrafe, non poteva permettersi di perdere così tutti i suoi anni di studio. Non glielo avrebbe permesso.
Alzò lo sguardo e sorrise leggermente alla donna dietro al bancone.
"Grazie, buona giornata".
Da qualche parte c'era ancora: c'era ancora quella ragazza che era andata a vivere nella sua automobile a sedici anni, c'era ancora quella ragazza forte e autonoma che non si lasciava piegare da niente e nessuno, c'era ancora quella ragazza che amava la libertà. Non schiacciata, solo nascosta da un muro di insulti, di percosse, di violenza.
Si guardò attorno più volte mentre attendeva il volo, anche se una parte di lei si ripeteva che era impossibile che lui l'avesse già scoperta.


 
Tieni lo sguardo basso, tienilo basso e le percosse non saranno così violente, tienilo basso e non penserà che tu lo stia sfidando, tienilo basso e tutto finirà presto.
A volte funzionava, altre meno.
Aveva raggiunto il taxi piegata in due, quella mattina, e stupidamente aveva dato il nome dell'ospedale in cui lavorava anche Paul: forse, se non fosse stata nel suo stesso ospedale- Sciocca, cosa pensava? Fuggire da lui?
Eppure il pensiero ultimamente la raggiungeva spesso: nei primi tempi era stato sfuggente, così leggero che solo a sfiorarlo volava via, mentre ora riusciva a stringerlo a sé nelle notti più buie, trovando un po' di conforto. In quel momento, però, la sola idea di scappare le sembrava ciò che di più lontano da lei ci potesse essere: lo sguardo fisso sul lenzuolo, ascoltava Paul fingere interesse per le sue condizioni. Si era addirittura seduto accanto a lei sul letto, ma sicuramente l'intervento d'urgenza che le aveva salvato il rene non lo sfiorava neppure.
Infatti non appena l'infermiera uscì dalla stanza la mano di suo marito si strinse attorno al suo avambraccio, tanto che per un attimo il resto del corpo non le provocò più alcun dolore. I sensi erano di nuovo all'erta.
"Scivolare dalle scale: l'ho sempre detto che sei un'incapace, Brooke. Non crearmi ulteriori problemi, domani ti riporto a casa".


 
"Jo, penso di aver trovato qualcosa di tuo!"
"È pieno di cose mie, Alex".
"Sì, ma- forse questo non dovevo aprirlo".
Uno sbuffo, il tonfo sordo di una scatola lasciata a terra e alcuni passi che si avvicinano a lui, i quali diventano più incerti e leggeri mano a mano che l'oggetto che Karev tiene tra le mani entra nel suo campo visivo: una busta rossa senza scritte, neutra, anonima.
"Oh".
"Ci sono delle foto e no, non ho sbirciato".
Lei si morde il labbro inferiore per un istante, alzando lo sguardo al soffitto bianco, poi si avvicina ancora di un passo e si siede accanto a lui.
"Puoi guardarle, se vuoi".


 
Non era sempre stato uno schifo, anzi, i primi mesi erano stati idilliaci: nessuno si era mai interessato a lei come Paul. In tanti l'avevano amata, prima, ma pochi avevano avuto la pazienza di ascoltarla come aveva fatto lui, pochi l'avevano stretta a sé con la dolcezza con cui l'aveva stretta lui, e solo uno, trainato dalla foga del momento, le aveva proposto di trasferirsi con lui.
Così, però, non ci aveva dato troppo peso quando Paul le aveva lanciato le prime frecciatine, quando le aveva consigliato di non andare più a questa o quella festa universitaria, o quando aveva dato delle poco di buono alle sue amiche. Quando poi le aveva chiesto di sposarlo era stato perfetto.
A volte tornava ancora perfetto, dimostrando che da qualche parte c'era ancora il suo Paul, come nel giorno del loro primo anniversario: le aveva regalato dei fiori e l'aveva portata fuori a cena.
Seduta sul sedile dell'aereo Brooke ripensava a quei momenti e si chiedeva se non fosse soltanto una codarda a scappare, se non avrebbe dovuto provare più forte a tenere in piedi il suo matrimonio. Era vero quello che lui le diceva sempre: non lo amava abbastanza.
Era una buona a nulla.


 
Faceva male, Dio, era insopportabile. Stesa sul pavimento in posizione fetale cercava di farsi scudo, quando un braccio la tirò in piedi.
"Spero che ti sia servito di lezione" esclamò lui, trascinandola fino ai fornelli.
Brooke non rispose, restando ad occhi bassi, il solo desiderio di stendersi con il ghiaccio sui lividi; eppure avrebbe voluto spiegargli che non l'aveva fatto apposta, che la cena si era bruciata perché il giorno dopo avrebbe avuto un esame importante, che doveva essere preparata se voleva laurearsi il mese successivo. Si diede mentalmente della stupida: prima il matrimonio, poi lo studio.
Sussultò quando Paul sbatté la padella nel lavello, di nuovo arrabbiato.
"Rispondi, cazzo!"
Fece l'errore di alzare lo sguardo: due occhi la trapassarono come pugnali.


 
Ci sono cinque fotografie in quella busta, cinque fotografie e un biglietto aereo che le ricordano chi era e chi è. Quando Alex le estrae, Jo gliele sfila dalle mani e le sfoglia per un momento, assorta, prima di appoggiare la prima sul pavimento.
Un uomo e una donna, lei a testa bassa, gli occhi che a malapena guardano l'obiettivo, la bocca che sorride. Di lui sorridono anche gli occhi: era sempre uscosì bravo a fingere. Un brivido percorre la schiena di Jo, la bocca è improvvisamente secca, gli occhi ancora su quell'istantanea.
"Questa è Brooke Stadler" sussurra, mentre una mano si posa accanto alla sua sul pavimento e due dita cominciano a giocherellare con gli anelli che porta all'anulare.
Un sospiro, un'altra immagine. "E anche lei".
Quella fa ancora più male, le stringe il ventre, le chiude le vie respiratorie: deve alzare lo sguardo verso Alex per resistere. Non è Brooke Stadler, non più.
In quella foto, però, lo è appena diventata. E ride felice.


 
C'era una coppia seduta accanto a lei, una coppia anziana: si stringevano la mano e il pollice di lui disegnava cerchi sul dorso di lei, mentre conversavano amabilmente sulla vacanza appena conclusa.
Quello che non avrebbe mai fatto con suo marito, l'occasione mancata: un matrimonio felice. Sentì una fitta al basso ventre, le budella che si attorcigliavano: era uno strano dolore, morire di nostalgia per qualcosa che non avrebbe mai vissuto[1]. Era sull'orlo delle lacrime e, mentre l'aereo prendeva quota, la tentazione di scendere da lì per tornare da Paul era forte: voleva essere felice con lui, camminare mano nella mano nel parco come facevano un tempo, voleva che tutto tornasse come all'inizio e durasse per sempre.
"Rientri anche tu dalle vacanze?"
La voce della donna la raggiunse, spingendola a cacciare indietro le lacrime e a voltarsi nuovamente nella direzione della coppia, il tutto mentre il cervello fumava alla ricerca di una buona risposta. Alla fine optò per una mezza verità.
"Ero qui per lavoro: una conferenza".
La conferenza di New York in cui Paul faceva da relatore, quella che le aveva dato il tempo per scappare.


 
Un occhio nero, stava andando a lezione con un occhio nero, ma aveva già la scusa pronta per chiunque le avesse posto delle domande: maledetti pali della luce.
Aveva esagerato, la sera prima, aveva fatto un commento di troppo e lui aveva perso il controllo: se l'era meritato. Il tutto si era ridimensionato quella mattina, quando lui si era scusato e le aveva ricordato quanto l'amava, immergendosi con lei nel piacere più puro. Era felice, quella mattina. Eppure, cos'era quella fitta che le attanagliava lo stomaco?
Incrociò Janet in corridoio, mano nella mano con il suo ragazzo, e si sorrisero lievemente mentre proseguivano. Brooke si voltò a guardarla andare via, ma incrociò gli occhi ammonitori di Paul.
Avrebbe voluto anche lei andare in giro per il campus mano nella mano con lui. Era suo marito, dopotutto. Qualche ora, doveva attendere soltanto qualche ora.


 
Nella terza fotografia c'è una ragazza sorridente, abbracciata ad una donna più anziana.
La toga nera svolazza nel vento, il cappello è ormai volato via. Lei mostra fiera all'obiettivo l'orologio nuovo che porta al polso.
"Lei è Brooke senza Stadler" osserva Alex alzando gli occhi. Lei non incrocia il suo sguardo, ma sorride. "Esatto. E quella è la Signora Schmidt".
"La immaginavo diversa".
"Ci facciamo sempre un'immagine diversa degli altri" risponde lei, alzando le spalle.
"Anche quella che ti eri fatta di me all'inizio era diversa" replica lui, nel tentativo di alleggerire la conversazione, e lei finalmente lo guarda negli occhi, senza preoccuparsi di nascondere un piglio divertito. "Ti eri fatto tutte le mie amiche".


 
Fu in un momento di silenzio che Brooke ripensò alla Signora Schmidt, alla possibilità di rivolgersi a lei per chiederle aiuto: di sicuro non glielo avrebbe negato e lei avrebbe avuto qualcuno a cui appoggiarsi nella sua nuova vita.
Quello, però, sarebbe stato uno dei posti in cui Paul l'avrebbe cercata. No, Seattle era stata la scelta giusta. Era stata scrupolosa, trascorrendo pomeriggi interi connessa alla rete di un Internet Point: quello di Seattle era uno dei pochi ospedali degli Stati Uniti in cui non esercitava alcun vecchio collega o vecchio compagno di università di Paul.
Più si allontanava da New York, più Brooke si convinceva che diventare Jo fosse stata la scelta giusta: o quella o la morte.
Il basso ventre le lanciò una fitta, memore della notte precedente, le orecchie che rifiutarono di sentire nuovamente i gemiti di suo marito.
No, non aveva più un marito.
Aveva Seattle, il nome di un albergo e l'indirizzo dell'anagrafe.
Aveva paura, ma anche tanta speranza.
Aveva un sogno che forse si sarebbe potuto realizzare.
E forse sarebbe stata finalmente felice.


 
Quel giorno era perfetto.
C'erano così tante persone, e tutte guardavano lei: Paul aveva optato per un matrimonio in grande e l'amarezza per l'assenza della signora Schmidt era durata solo qualche attimo, poi era stata travolta dalla gioia. Era il suo momento, era finalmente giunto il suo turno di essere felice.
Un collega di Paul la raggiunse sul bordo della pista per invitarla a danzare, al che lei gli sorrise e, preso tra le mani il pizzo bianco del vestito, lo stava per seguire, quando suo marito si affiancò a lei e, avvicinate le labbra al suo orecchio, in un sussurro le chiese di ballare con lui, solo con lui, fino allo sfinimento. Era così felice di essere finalmente diventato suo marito.
E lei, travolta da una nuova ondata di felicità, si lasciò portare in pista.


 
Ci sono ancora due immagini: la quarta, della grandezza di una fototessera, raffigura Jo qualche anno prima, un sorriso timido sul volto.
"Lei è Josephine Alice Wilson" dice. "Ero appena arrivata: è la foto della mia nuova patente e quella che ho messo sul curriculum quando ho deciso di iscrivermi al programma". Quando aveva trovato il coraggio di uscire dalla bolla sicura che si era creata, mesi e mesi dopo il suo arrivo in città.
Lo guarda negli occhi, sicura, prima di sorridergli e baciarlo. "Questa è l'ultima, per il momento: Josephine Brooke Wilson" conclude, allungandogliela: lei e Alex, qualche tempo prima.
"Manca Josephine Brooke Karev" osserva lui con un sorriso: quel pomeriggio ha scoperto qualcosa di Jo, lei gli ha donato un pezzo del suo passato, e non riesce ad esprimere a parole quello che prova. È sempre meno difficile aprirsi l'uno con l'altra.
"Vero" ride lei di rimando, intrecciando le braccia attorno al suo torace, sentendo quelle di lui circondarla di riflesso.
Ce l'ha fatta: è uscita dal buio della sua vecchia vita e ha trovato la luce, la luce di una carriera splendente davanti a lei, la luce di amici sinceri, la luce della famiglia. Lei e Alex.


 
"Perché mi segui?"
"Sono la Sua matricola per oggi"
"Ah. Ciao, marticola, hai un nome?"
"Jo Wilson"
"Ah, carino: mi piacciono le donne con il nome da uomo"[2]



 
[1] A. Baricco, "Seta"
[2] Grey’s anatomy 9x03

 
Grazie per aver letto :)


 
  
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