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Autore: Zoe__    01/05/2018    0 recensioni
E senza dubbio l’avrebbe detto, ripetuto, migliaia di volte finché un giorno si fosse svegliata e non le fosse passata definitivamente, era sicura che potesse accadere solo così, perché un amore come il loro se ne sarebbe andato via velocemente come era arrivato. Non si erano innamorati l’uno dell’altra con il passare del tempo, ma era stato un vero e proprio colpo di fulmine a renderli così dipendenti dall’altro. Vera era convinta che non avrebbe mai dimenticato Harry con altri uomini, con dei passatempo o semplicemente smettendo di vederlo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In the dark
Will you stay
'Till the dust
Turns to flames?


Vera sedeva, avvolta dal buio dello studio ed illuminata solo dalla lampada all’angolo della scrivania. Più che seduta era probabilmente appollaiata, con le gambe strette sotto i glutei; coperta da un maglione grigio che le cadeva morbido sulle spalle, teneva i capelli alti in una crocchia disordinata. Gli occhiali le scivolavano di tanto in tanto sul naso mentre, col capo chino, osservava la scatola blu che teneva fra le mani. Il freddo le pizzicava sulla pelle scoperta, ma sembrava non curarsene. Deglutì, strinse il labbro fra i denti e si decise ad aprirla. Fu immediatamente investita da un profumo familiare, arricciò il naso, ed accennò un sorriso al pensiero. Portò su gli occhiali con un gesto veloce della mano, poi con la stessa prese uno dei foglietti piegati all’interno di quella scatola non troppo grande né troppo piccola. Lo aprì con accuratezza, sembrava avesse paura di rompere quel pezzettino di carta; c’era scritto, con la calligrafia più bella ed ordinata che avesse mai visto, una data: 7 Dicembre 2015. Sorrise subito, la sua mente vagò velocemente a quel giorno d’inverno. Avevano deciso di costruire un pupazzo di neve nella loro nuova casa, lui aveva intenzione di crearne uno a regola d’arte e ne aveva prima disegnato uno schizzo, lei ancora dormiva e non aveva idea che fuori stesse nevicando. L’aveva resa felice, sì che l’aveva fatto, sicuramente per lei era stato inaspettato ed amava le sorprese. 
Chiuso il primo biglietto, lo ripose di fianco e ne cercò un altro con gli occhi fissi sul mucchio di carta sotto di lei. Il fatto che avesse deciso di inserire anche quella data le provocò un’espressione perplessa sul viso, confusa. Nell’aria sentiva sempre lo stesso profumo, sembrava che le pareti fossero intrise di quella colonia delicata. Si stropicciò gli occhi prima di aprire un nuovo foglietto, sembrava più spesso e ciò la incuriosì. Apertolo, cadde un ulteriore frammento di carta - lo spiegò, era un biglietto della metropolitana. Aveva già intuito di cosa si trattasse, quando lesse la data sorrise e chiuse gli occhi: 2 Ottobre 2011. Era maledettamente in ritardo per il suo treno - lo perse, alla fine le porte le si chiusero davanti - ma quel giorno erano diventati una coppia. Loro, che odiavano etichettarsi, quel giorno erano una coppia - erano fidanzati! - avevano quasi paura a dirlo. Lui conservava gelosamente quel biglietto della metropolitana, l’aveva comprato durante il viaggio, con tanto di multa, perché appena aveva appreso che lei era a pochi minuti da casa sua si era catapultato nella prima stazione vicina. Non si vedevano da tempo, più di due mesi, lei era stata via per lavoro e lui bloccato a Londra per l’Università. L’aveva raggiunta correndo, proprio sotto i tabelloni della linea ferroviaria, mentre era intenta a cercare il prossimo treno disponibile. L’aveva afferrata per i fianchi, voltata verso di lui, poi baciata. 
Vera sorrise pensando che nessuno avrebbe mai fatto niente di simile per lei, lui era stato in grado di dimostrarle - con i gesti e con le parole - quanto, amando una persona, ci si possa spingere oltre i propri limiti. 
Rovistando ancora inciampò in un bigliettino un po’ meno ordinato degli altri, evidentemente lui non l’aveva scritto su una superficie piana, come era accaduto con i restanti, ed anche la carta era differente, giallognola e quadrettata: 23 Agosto 2012. Fece uno sforzo per ricordare, pian piano nella sua mente si dipingeva la splendida Roma di notte al di fuori della loro finestra d’albergo. Scosse il capo, non pensava che avesse inserito anche quella data. L’aveva raggiunta per meno di ventiquattro ore in Italia, dove era impegnata in una campagna pubblicitaria, e si erano amati tutta la notte alla luce della luna più bella che avessero mai visto, in una città spettacolare. Probabilmente il bigliettino era così disordinato perché l’aveva scritto sul cuscino, magari con lei che dormiva di fianco a lui. L’aveva colta totalmente di sorpresa, si era presentato con una pizza e dei fiori alla porta della sua camera d’albergo - e no, quella pizza non la mangiarono di certo - e lei l’aveva accolto con il sorriso migliore che potesse avergli mai rivolto. Splendeva di luce propria, anche notevolmente stanca, ma sollevata dalla sua vista. Harry era sempre stato in grado di farle capire quanto in realtà potesse contare su di sé, prima di tutti, ed in secondo luogo su di lui e sul suo amore. Senza dubbio l’amava come non aveva mai amato nessuna ragazza, sicuramente più di quanto amasse se stesso. Il loro amore era giovane, felice e spensierato, leggero e felice.
Pose anche questo biglietto di fianco a lei.
Frugò ancora, socchiuse gli occhi e ne scelse uno: 19 Luglio 2013, Central Park. Le si inumidirono gli occhi, strinse un labbro fra i denti, tremava troppo forte. Poggiò il mento sul palmo della mano, socchiuse gli occhi. Tirò un sospiro forte, tolse gli occhiali e socchiuse nuovamente gli occhi, mentre ancora delle lacrime le scendevano, piccole, sulle sue guance.
“Se rimaniamo altri cinque minuti rischi di vedermi in preda ad una crisi di nervi. Harry io voglio andare a pranzo!” Squittì, al suo fianco. Lui teneva salda la presa delle loro mani, mentre lei si dimenava, affrettando il passo. “Diamine, che razza di problema hai se ci torniamo domani qui? Guarda che non se ne va, e noi neanche, dato che rimarremo qui un’altra settimana!” 
Lui rise, rideva e non poteva fare altrimenti davanti all’impazienza della sua ragazza, quell’apparente angioletto che invece aveva per ogni riccio - di lui e di lei - un capriccio. Con un gesto veloce si scansò i capelli dal viso, poi le afferrò anche la mano libera e l’attirò verso una zona più appartata. 
“Sto per morire dalla fame!” Borbottò ancora. Non le diede tempo di lamentarsi oltre che le prese il volto fra le mani e le stampò un bacio a fior di labbra. Si allontanò, poi, guardandola negli occhi e sorridendo, mostrando i suoi denti perfettamente allineati che, cavolo, se la facevano impazzire. La vide pronta a replicare ulteriormente, ma la bloccò immediatamente.
“Stai zitta, okay? Mangeremo subito, te lo prometto.” Le sorrise rassicurante. 
Lei alzò gli occhi al cielo, totalmente stufa, era almeno la quinta volta che glielo ripeteva. Tornò con lo sguardo davanti a lei, Harry non c’era, abbassò gli occhi, lo vide inginocchiato ai suoi piedi. 
“Sposami” sussurrò, e aprì un cofanetto in velluto, verde, proprio come i suoi occhi, ora luminosi e lucidi “sposami, Vera. Passa il resto della tua vita con me e rendimi l’uomo più felice del mondo.” Deglutì, impaziente di una risposta. 
Sentì le lacrime scendere, senza neanche accorgersene, e lo abbracciò subito. 
“Sì.” Sussurrò al suo orecchio. 

Vera sospirò nuovamente, strinse gli occhi e con una mano scacciò via le lacrime, poi asciugò le guance. Sorrise amaramente a quel ricordo, trovando, dopo poco, nella scatola, l’anello di Harry con inciso su il suo nome. Deglutì, lo osservò meglio. La vista era nuovamente appannata dalle lacrime, avevano ripreso a scendere, ma poteva leggere chiaramente la data del loro matrimonio ed il suo nome, indifferenti al tempo. 
Il loro amore, invece, sembrava aver percorso una strada diversa. Il tempo, l’aveva provato - Vera fu percorsa da un brivido quando questa consapevolezza tornò a farsi spazio nella sua mente, singhiozzò più rumorosamente e fu costretta a coprirsi la bocca col dorso della mano - l’aveva provato tanto da separarli. Ogni volta che ne prendeva atto Vera veniva scossa da molteplici sospiri, ed avrebbe fatto di tutto pur di scacciare quel pensiero che, davvero, era la realtà, la concretezza e non solo la paura di una giovane coppia. Facile chiedersi, quindi, cosa fosse successo. Difficile era a questo punto dare una risposta concreta a questi interrogativi, sempre più numerosi. Perché era successo? Perché si erano lasciati? Perché il loro matrimonio era finito? Vera, due anni dopo, ancora non era in grado di rispondere a tutte quelle domande. La certezza era però che, nonostante ora il matrimonio fosse concluso, le pratiche per il divorzio in corso, il loro amore non avesse cessato per un attimo di esistere. Ed allora si chiedeva perché non fosse abbastanza, abbastanza da far superare ad entrambi le rispettive barriere. Odiava tante cose di Harry, ma certamente ne amava molte di più e lui allo stesso modo. Allora perché non superare quei limiti che avrebbero permesso ad entrambi di essere felici? C’era molto di più, le paure di lui che erano i desideri di lei, come avere un figlio, la gelosia di entrambi, il terrore di rimanere soli. C’erano piccole cose, alla base della loro separazione, ma ce n’era una nettamente maggiore, che avrebbe spiegato perché la ragazza si trovasse in quel momento in una totale valle di lacrime: il loro amore che, nonostante tutto, non aveva cessato di esistere. 
Vera espirò, evidentemente provata dagli ultimi minuti e richiuse la scatola blu, premurandosi prima di riporvi i bigliettini - e la fede - ordinatamente. La ripose sotto lo scrittoio e decise di alzarsi, spense la lampada ed uscì dallo studio. Chiuse la porta di quello studio semplicemente immacolato, in cui più quadri si ripetevano sulle pareti, varie foto decoravano lo scrittoio e la libreria. Cercò di ricomporsi e a passi incerti e lenti si diresse verso la stanza accanto. Stette ferma sulla soglia, poggiandosi allo stipite della porta. Incrociò le braccia appena sotto il seno e spostò il peso sulla gamba di destra. La camera da letto di Harry era tutto sommato lo specchio della sua personalità. Teneva diverse cornici sulle pareti e sui comodini o semplicemente sul mobile sul fondo della stanza, accanto alla finestra, che dava sull’immenso prato che circondava l’intera struttura. C’erano, poi, una poltrona con dei vestiti ordinatamente sistemati sopra - probabilmente quelli per il giorno seguente - ed era posizionata dall’altro lato della finestra e, accanto a questa, una lampada scura, in quel momento spenta. Lo sguardo di Vera si spostò poi sul tappeto scuro che stava ai piedi del letto ed, infine, sul letto stesso. Le lenzuola di seta blu erano stropicciate attorno alla figura di Harry che dominava l’intero materasso, il capo sul suo cuscino e le braccia, piegate, aperte sotto la federa accanto alla sua. La ragazza deglutì, un labbro stretto fra i denti. Il modo in cui lui prendeva pieno possesso del letto quando era solo la faceva sorridere sempre, sembrava un bambino - e a quel pensiero un nodo le si formò inevitabilmente proprio dove teneva le braccia conserte - e quell’immagine era in forte contrasto con la reale, data la sua stazza notevole, ma non con la personalità di quell’artista un po’ incompreso del quale lei era, ancora, nonostante tutto, follemente persa. E senza dubbio l’avrebbe detto, ripetuto, migliaia di volte finché un giorno si fosse svegliata e non le fosse passata definitivamente, era sicura che potesse accadere solo così, perché un amore come il loro se ne sarebbe andato via velocemente come era arrivato. Non si erano innamorati l’uno dell’altra con il passare del tempo, ma era stato un vero e proprio colpo di fulmine a renderli così dipendenti dall’altro. Vera era convinta che non avrebbe mai dimenticato Harry con altri uomini, con dei passatempo o semplicemente smettendo di vederlo. Lei sapeva, come lui del resto, che tutto quello sarebbe stato inutile, quasi quanto il loro divorzio. C’era molto che non andava, che aveva reso impossibile la loro convivenza nelle quattro mura di quella casa che avevano scelto dopo litigate e litigate, ma che era la loro e lo sarebbe sempre stata, anche se oramai l’avevano venduta e non ne volevano più sapere niente. Avevano provato in tutti i modi a liberarsi l’uno dell’altra, vendendo la casa, vendendo la macchina, nascondendo i ricordi nei cassetti più remoti delle loro case, delle loro menti, ma sarebbero sempre tornati al punto di partenza: loro due. Allora perché privarsi? Come si dice? Si torna sempre dove si è stati bene. É vero e per quei due non vigeva sicuramente regola differente. Vera rabbrividì non appena il tocco delicato delle sue mani le sfiorò la mente, chiuse gli occhi ai suoi baci sulla gola, sul petto, sulla pancia e deglutì ai loro sospiri che si mescolavano nelle sue orecchie. Era normale, forse non troppo in realtà, che si trovassero a casa di lui, sul suo letto, per nessunissimo motivo se non il fatto che nessuno dei due fosse in grado di separarsi dall’altro. Vera, tornata ad abitare con i genitori, spariva improvvisamente in quelle occasioni e sua madre chiamava preoccupata la sua migliore amica, Helen, sperando che, almeno lei, potesse dare una riposta all’assenza e al silenzio di sua figlia. Ed Helen, pienamente a conoscenza della realtà autodistruttiva in cui lei, con lui, si era cacciata, rispondeva semplicemente che avrebbe dormito a casa sua. Harry spegneva il telefono, diventava irreperibile non appena Vera, puntuale, bussava alla sua porta. Non c’erano parole, non si sarebbero detti altro per il resto della serata. I loro silenzi parlavano molto più di quanto loro sarebbero stati in grado di fare. Non capitava secondo giorni fissi, sembrava che entrambi sapessero, dentro, di aver bisogno di quel contatto. Per quanto fosse una cosa malata, bastava davvero poco. Un messaggio, tuttalpiù una telefonata, e l’incontro era fissato senza troppe cerimonie. Stare insieme a letto non era difficile, era quello di cui avevano bisogno, era la cosa che riusciva meglio tanto a lui quanto a lei. 
Vera tornò a guardare la figura stesa sul letto, portò una ciocca di capelli dietro gli occhiali e con lo sguardo percorse lentamente la sua schiena nuda, spostò gli occhi sui suoi numerosi tatuaggi ed infine sul suo volto corrucciato. Le labbra erano appena socchiuse, le sopracciglia aggrottate e le guance rosate ed alcuni dei suoi ricci scuri sparsi sulla fronte, altri sul cuscino. Si avvicinò lentamente al letto, riprese i suoi vestiti e si ricompose. Decise di rimanere col suo maglione addosso, glielo avrebbe restituito, forse, la prossima volta, se ci fosse stata - sperava comunque che un giorno finisse, nonostante sapesse che, ancora una volta, si sarebbe svegliata pensandolo. Una volta infilate le scarpe, nel massimo silenzio, si alzò dal tappeto. Si avvicinò a lui cercando di non svegliarlo e gli posò un bacio a labbra piene sulle sue, carezzandogli la guancia, sfiorandogli gli zigomi col pollice. Posò, poi, un bigliettino sul suo comodino, accanto all’abat-jour ed al suo telefono, deglutendo il nodo che le si era ormai formato in gola, nuovamente. Lasciò la stanza sistemandosi gli occhiali, percorse il lungo corridoio che portava al salone e recuperò la sua borsa. La sistemò in spalla, si diresse verso la porta, la aprì ed uscì con la luce dell’alba a sfiorarle la pelle. 

Harry si svegliò non appena sentì il rumore della porta, Vera se n’era andata di nuovo. Si stropicciò gli occhi, allungò una mano verso il cellulare per vedere che ore fossero, mentre sentiva la macchina di lei sfrecciare via. Si scontrò con un bigliettino ed accese la luce per capire meglio. 
1 Febbraio 2018, buon compleanno Harry. Sempre tua, Vera.

   
 
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